Carla VirzĂŹ
I riccioli di Remedios
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A Remedios, perché i quattro continenti che porta nell’anima risplendano sempre dai suoi occhi come poesia… A Giuliana, per quello che è…
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I riccioli di Remedios è un racconto destinato a lettori di 6 -10 anni Testi: Carla Virzì Illustrazioni: Graziana Maugeri Impaginazione e rielaborazione grafica: Tiziana Candido I edizione 2015 Tutti i diritti riservati. È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro, così come l’inserimento in circuiti informatici, la trasmissione sotto qualsiasi forma e con qualunque mezzo elettronico, meccanico e di altro tipo, senza l’autorizzazione dell’autrice.
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Carla VirzĂŹ
I riccioli di Remedios illustrazioni
Graziana Maugeri
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Remedios era ricciolina. Niente in contrario ai riccioli, badate bene, ma i suoi avevano qualcosa di vivo, e non nel senso che respiravano, emanavano frescura, profumo o cose del genere… questo lo facevano senz’altro, ma erano vivi molto molto più di così. Si svegliavano al mattino prima di lei, ammesso che la notte non avessero fatto baldoria, e pretendevano di tirarla su dal letto quando ancora la piccina non aveva nemmeno iniziato a stropicciarsi gli occhi. Non era stato sempre così. Quando Remedios era nata, ai suoi genitori tutto era parso normale e ordinario: qualche ciocca un po’ più ribelle delle altre poteva sfuggire via da sotto un cappello ma non per questo ci si stava tanto a lamentare. Fu solo tra i sette e gli otto anni che le cose iniziarono a farsi drammaticamente strane…
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Una mattina, al rientro da scuola, i suoi riccioli presero a gonfiarsi… e gonfiarsi… e gonfiarsi… da soli e senza motivo apparente. “Quest’antipatica umidità!” commentava la mamma. “Sarà la pioggerellina di ottobre…” aggiungeva il papà. Ma nessuno dei due, in effetti, era convinto di ciò che diceva: il cielo limpido, l’aria leggera e asciutta, la temperatura mite testimoniavano, senza alcun dubbio, la stranezza della vicenda. Finché un giorno, a scuola, al suono della campanella che segnava la fine delle lezioni, la povera Remy conobbe le sue prime, grandi difficoltà: i riccioli non avevano nessuna intenzione di tornare a casa. La trattenevano lì, al banco, e dall’alto della folta capigliatura la spingevano giù, verso la sedia, mentre la piccina, in piedi, cercava di trascinarsi fino alla porta. Che dolore alla testa! una vera e propria lotta! i capelli tiravano da un lato e lei dall’altro! e nessuno si accorgeva di nulla!
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Gli altri bimbi, infatti, senza voltarsi indietro un istante, correvano entusiasti fuori dalla scuola. Solo quando l’aula rimase deserta, qualcosa intervenne ad aiutare la bambina: “Remy, Remy, manchi solo tu, dai, non hai voglia di tornare a casa?” Era la voce del maestro Cesare, dalle scale, bastò da sola, chissà come chissà perché, a quietare le ciocche ribelli. Da quel giorno, tuttavia, un crescendo incontrollato di battaglie. E le combatteva da sola, Remedios: agli occhi di genitori e parenti, i riccioli si guardavano bene dal farsi notare! Finire tra le forbici di qualche fantasioso artista del taglio era il loro peggiore incubo; vedersi ridotti in ciuffi non più alti di un fagiolo li terrorizzava parecchio. E, dunque, era a tu per tu con la piccina che gli screanzati davano il meglio di sé. “Lasciatemi dormire, dispettosi riccioli!” li pregava ogni mattina, non avendo alcuna voglia di alzarsi prima del suono della sveglia. Ma quelli
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la tiravano su già alle prime luci dell’alba, senza tanto stare a contrattare. La prima volta fu persino divertente, vedersi sollevare dal letto e quasi sollevare il letto stesso a cui la piccina si aggrappava… ma poi, di giorno in giorno, divennero sempre più ansiosi, sempre più impazienti, sempre più vitali. Sì, sempre più vitali… perché la stranezza della vicenda non finisce mica qui! In una delle tante albe che i riccioli attendevano con desiderio per svegliare la bambina, Remedios pareva più assonnata che mai, la notte non riposava affatto bene, tante erano le giravolte che i riccioli le facevano in testa nelle loro notti irrequiete! “Per favore, basta, dispettosi riccioli!” li implorò. Riccioli sdruccioli! si sentì rispondere da una vocina stridula che non poteva essere, certo, quella della mamma (la sua mamma, infatti, aveva sempre un che di dolce e morbido nella voce), e allora chi mai…?
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Ma penso l’abbiate già capito… quelle parole frizzavano fuori dalla chioma paffuta di Remy, e la piccola ne ebbe la certezza, quando, accarezzandosi la testa nel tentativo di addomesticare le ciocche moleste (e riuscire a dormire qualche minuto ancora), quella voce strampalata prese ad abbaiarle nel capo più insistente che mai: Riccioli sdruccioli! Riccioli sdruccioli! Riccioli sdruccioli! Parlavano pure, dunque, i suoi riccioli, e, per di più, parlavano di qualcosa che Remy aveva già sentito. Poteva essere? Per verificare la sua idea, corse allo zaino e tirò fuori il quaderno di italiano. Il compito del giorno prima stava lì, nell’ultima pagina, incompleto. Non era colpa sua, avrebbe voluto farlo, quel compito, ma le era mancata assolutamente l’ispirazione. “Scrivi un breve testo poetico, usando solo parole sdrucciole. Ricorda, la parola sdrucciola ha l’accento tonico sulla terzultima sillaba, come
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in tàvolo!” Non tavòlo o, peggio, tavolò, aveva spiegato il maestro, ma tàvolo. Tàvolo… come rìcciolo, pensò la furbetta, che mica si può dire ricciòlo o ricciolò! Già! “Ricciolo è una parola sdrucciola, con l’accento sulla terzultima sillaba,” disse a se stessa. I riccioli conoscevano i suoi compiti! I riccioli conoscevano i suoi compiti e la volevano aiutare? O forse il cervello le stava dando di matto? Per la prima volta, Remedios si chiese cosa avesse scatenato quei riccioli, quale magia fosse accaduta per accenderli, per svegliarli dal sonno di sette lunghi anni. Volevano davvero fare i suoi compiti? e quella fretta mattutina? fremevano per andare a scuola, i suoi riccioli, ma perché? com’era possibile? nessuno ha fretta di andare a scuola, perdinci! ma loro sì! perché?
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Non riusciva a capirlo… non riusciva a capirlo… e poi… improvvisamente un’illuminazione… Era colpa del maestro Cesare, ne era certa, con la sua fissa per la poesia. Aveva svegliato i riccioli, li aveva ubriacati di emozioni ed essi si erano messi in testa (è proprio il caso di dirlo…) l’idea bizzarra di fare poesia. Sì, quella teoria funzionava! E mentre la piccola costruiva dei cubici ragionamenti, eccoli lì i riccioli, impazziti, a fare i suoi compiti, danzandole nel capo come un esercito di fusilli: riccioli sdruccioli cuccioli mammoli e tessili fossili tattili pensili e duttili docili piccoli mobili labili stabili esili rettili fragili prensili flebili fievoli e deboli Non la finivano più…
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“Ho capito ho capito, mi fate venire il mal di testa!” gli urlò la piccola. E, veloce, prese a comporre la poesia che le aveva assegnato il maestro. A scuola, quella fu una mattina come tante, perché da quando Remedios aveva iniziato a frequentare la seconda elementare, non passava giorno che il maestro Cesare non leggesse in classe una poesia. Una qualsiasi. Di ogni genere ne leggeva, in qualunque lingua, da qualsiasi parte del mondo essa giungesse. La poesia… Remy non aveva ancora esattamente capito cosa fosse, ma i suoi riccioli, di quello era certa, l’avevano compreso fino in fondo. E stavano buoni buoni, mentre Cesare leggeva versi leggeri e appassionati. Remedios, intanto, disegnava distratta sul diario, alberi altissimi e stracci di nuvole, non sapendo che era proprio la voce del maestro, proprio le sue parole affollate d’amore, a ispirare i suoi disegni e condurre i pensieri tra i cieli più alti.
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Eppure, un evento singolare, un po’ preoccupante, Remedios lo notò quella mattina. Il maestro stava leggendo una nuova poesia, parlava di natura, stagioni, sentimenti: Battito d’ali Sui rami di un castagno Il cuore secca In quel preciso momento, Remedios alzò gli occhi dal disegno e vide uno strano gonfiore sulla testa di Aika, una compagna che sedeva a pochi banchi da lei. I suoi capelli, di solito ordinati e lisci, ma tanto lisci che le forcine vi sgusciavano via come il sapone tra le mani, quel giorno parevano batuffoli di lana infeltrita. Un’idea assurda gelò il cuore di Remy: anche i capelli di Aika si erano svegliati! Un virus? un’influenza? una malattia esentimentimatica? e, perdinci, colpiva le bambine che
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parlavano tante lingue! Aika aveva la mamma giapponese; Remy, il papà Americano e la nonna Asiatica… forse i loro capelli, con tutte quelle lingue attorno, erano diventati matti! Doveva vederci più chiaro! “Aika, Aika!” la chiamò sottovoce, per non farsi sentire dal maestro. “Che c’è?” “Che fai dopo la scuola?” “Niente. Vado con la mamma, facciamo un salto al supermercato e poi dritte a casa. Perché?” “Così!” rispose Remedios alzando le spalle, fingendosi annoiata. E invece, dopo la scuola, la seguì, fino al supermercato e, nascosta dietro allo scaffale dei detersivi, la osservò con attenzione: le ciocche di Aika erano sempre più alte… sempre più alte… e la trascinavano via, verso l’uscita. Di sicuro era la prima volta per Aika, perché ancora
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sorrideva… poverina! non sapeva che l’avrebbero svegliata tutte le mattine all’alba, quelle ciocche imbizzarrite! Ma la cosa più strana avvenne nei giorni seguenti. Remedios stava ormai attenta a ogni segnale. E di segnali, in quella classe, ce n’erano tanti! Come non notare, ad esempio, le profonde occhiaie e gli sbadigli dei compagni? E come non notare le loro pettinature strambe? Il cervello di Remy si mise in moto frenetico… e ragionava… e immaginava… e ipotizzava… e finalmente giunse a una conclusione: le poesie del maestro Cesare avevano incantato i capelli di tutti e poiché erano poesie da tutto il mondo, avevano incantato per primo chi nell’anima aveva più pezzi di mondo, ma la poesia non risparmiava nessuno. A Remedios venne una simpatica idea…
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Al suono della campanella, il maestro Cesare uscì per primo, ma nessuno dei suoi alunni lo seguì: tutti inchiodati alle sedie, ventidue poveri bambini comandati a bacchetta dai loro capelli! Allora Remedios spiegò la faccenda al maestro e lo pregò di andare in cortile a leggere qualcuna delle sue poesie, tutti l’avrebbero seguito… chissà che spettacolo! i capelli in aria, come braccia alzate ad un concerto: fu così che li trovarono i genitori quel giorno, il maestro sul palco della scuola e i bambini sparsi per il cortile, trainati da riccioli danzanti e ciocche fuori controllo. Un caos! Un caos poetico! La poesia, dalle punte dei capelli, a quei bambini fortunati, passò nel sangue e nell’anima. I loro sogni sempre inquieti, certo, ma zeppi zeppi d’amore. Cosa non fa un maestro!
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La Collanina, di cui I riccioli di Remedios fa parte, è una collana ispiratissima. Ispiratissima perché germoglia da bambini veri. I nomi dei racconti, infatti, sono per lo più dei bimbi in carne e ossa che mi circondano o girano per casa, con le loro pingui personalità. Sì, pingui: grassocce, cicciottelle, panciute, ma anche fertili e lussureggianti. Personalità cariche cariche, insomma, che a tirarci fuori una storia breve, rimane la sensazione di aver raccolto una sola ciliegia dall’albero. E a intrecciarsi con nomi e fatti vagamente reali, troverete quasi sempre lo stesso tema: l’accoglienza, lo scambio, la diversità, la multicultura. Me ne scuso in anticipo con chi ne venisse annoiato, non è cosa voluta, ma è il l’idea più cara che porto dentro. La collanina, diventa, così, non solo una piccola collana di racconti o una collana di racconti per piccoli, ma il segno di un viaggio… il ricordo dell’altro… il dono… Banalmente e profondamente, ringrazio la mia famiglia e gli amici, per l’amore, il sostegno e la lettura critica.
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Se i capelli si animassero? E se pretendessero persino di comandare? La piccola Remedios non è certo il tipo da far fare il comodo loro ai suoi riccioli! E di sicuro non le manca l’arguzia per svelare il mistero di certe stramberie…
I volumi della collana: I riccioli di Remedios Lory Lory A come astronauta B come astronauta Le parole di Nora Fratelli d’acqua Emy lunga lunga
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