Susan la piratessa

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CAROLA SUSANI

SuSan la pirateSSa Illustrazioni di

Simona Mulazzani

EDITORI

LATERZA


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celacanto

Parole da leggere, in silenzio o ad alta voce, storie da vedere, mondi da esplorare

© 2014, GIUS. LATERZA & FIGLI

www.laterza.it PRIMA EDIZIONE OTTOBRE 2014 EDIZIONE I II III IV V VI ANNO 2014 2015 2016 2017 2018

2019

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA GIUS. LATERZA & FIGLI SPA, ROMA-BARI

Questo libro è stampato su carta amica delle foreste STAMPATO DA SEDIT - BARI (ITALY) PER CONTO DELLA

GIUS. LATERZA & FIGLI SPA ISBN 978-88-581-1336-3

PROGETTO GRAFICO EMANUELE RAGNISCO MEKKANOGRAFICI ASSOCIATI


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CAROLA SUSANI

SuSan LA PIRATESSA Illustrazioni di

Simona Mulazzani

EDITORI

LATERZA


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Caro lettore, cara lettrice che metti il naso tra le mie pagine per indagare la mia ancor breve vita, se mi seguirai sui ponti delle navi, se calcherai con me le strade polverose, vedrai, tra la terra e il mare, uragani e arrembaggi, ingiustizie, grandi speranze e la falce della morte che tutto livella. Ora mi vedi qui, alla luce della lampada a olio, e sembro in pace. Fuori la notte tropicale, umida e calda, è scesa sui gentiluomini e sui poveracci. La mia gente ha trincato il suo rum, ha imprecato e adesso dorme. Li chiamo la mia gente, ti stupisce? Sono pirati. Oggi mi vedi con questa veste lunga fino ai piedi e con il corsetto, ho poco più di vent’anni, sono gradevole alla vista, sono padrona di questa linda locanda qui a Kingston, in Giamaica. Ma io – Susan Smith – sono stata un pirata. Nata son nata a Putney, nei dintorni di Londra. Che è un posto famoso, io non lo sapevo. Del mondo non sapevo quasi nulla, quello che so l’ho imparato in mare. Oggi del mio sobborgo me ne faccio un vanto. Laggiù a Putney i soldati della Rivoluzione inglese hanno discusso di libertà e di giustizia. Il colonnello Thomas Rainborough, nel 1647, mezzo secolo prima che nascessi, così ha detto: che l’essere più povero ha una vita da vivere quanto il più grande e che ogni uomo, se deve vivere sotto un governo, deve prima accettarlo. Bello, no? E parlava anche di me, che se non ero l’essere più povero, poco ci mancava. Sono nata che il marito di mia madre era morto in mare da un pezzo. La prima cosa che ricordo, barche sul fiume: movimenti di luce su una vela spiegata nel vento. Il mio vero padre è un gentiluomo da cui mia madre andava a servizio. Prima ci ha aiutato, se non lo avesse fatto non avrei raggiunto i dodici anni, poi è morto senza lasciarci un soldo. I suoi figli legittimi, quelli che non ne avevano bisogno, si son beccati il gruzzolo della sua eredità.

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Ma io sognavo quell’altro, il marinaio. M’immaginavo quel che aveva visto fra le onde. Quando la gente di mare passava di qua, e aveva voglia di raccontare storie ai ragazzini, restavo volentieri ad ascoltare. A chi mancava un occhio, a chi una mano. A me sembravano segni di gloria: quelle ferite le avrei volute anch’io. Poi mia madre mi chiamava, c’era da prender l’acqua o da lavare. Andavo di malavoglia e continuavo a sognare galeoni. Il marito di mia madre, il marinaio, spero che non sia morto di fatica a bordo di una nave mercantile, ma in battaglia, combattendo agli ordini di un corsaro, magari quell’Henry Morgan, che è stato bucaniere e governatore di quest’isola del Mar dei Caraibi, la Giamaica, e che adesso giace sott’acqua insieme a Port Royal, la sua città, un tempo ricca di danari e di briganti, inabissata dal terremoto nel 1692.


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Oggi ho i capelli lunghi color del miele, quand’ero piccola sembravano di paglia. Avevo dodici anni e a casa non c’era neanche un soldo. Non c’era legna per l’inverno. Quando i nostri genitori erano piccoli la foresta in Inghilterra arrivava fino ai villaggi, ci si poteva raccogliere la legna, poi hanno tagliato gli alberi e recintato quasi tutto, è diventato roba dei signori. Ma a me non me ne importava, per vivere come volevo io non mi sarebbe bastata la foresta. Avevo voglia di esplorare il mondo. Dei miei fratelli uno era morto e l’altro se n’era andato a Londra a cercare lavoro da garzone. C’è chi racconta che l’abbiano rapito, portato qui oltre il mare, a lavorare nelle piantagioni. Io però ho chiesto, e niente, nessuno ha saputo dirmi di lui. Quando mia madre si è accorta che nelle risse non mi facevo mai mettere sotto, che ero forte come un torello, mi ha tagliato i capelli, mi ha vestito con i vestiti del morto e m’ha detto: “Ora sei Jim. Cerca lavoro a Londra.” Che città, ragazzi! Si mescolavano mendicanti e signori. Ho lavorato come garzone da un pescivendolo, da un venditore di spezie, da un macellaio. Portavo la merce a domicilio. Tra i servi domestici ce n’erano d’irlandesi, rossi come il fuoco, di scozzesi e persino di africani. Pensavo: chissà com’è la loro terra? Qualcuno mi ha raccontato di pesci che brillano nell’acqua. I palazzi sembravano fatati, non capivo tutte quelle stanze a cosa potessero servire, ma l’aria puzzava, per le strade c’era fango e nel fiume galleggiavano rifiuti. Mi piaceva avere addosso i calzoni da ragazzo. Per il mio faccino piacevo alle fantesche, mi raccontavano le loro storie tutte uguali. Passavo davanti alla cattedrale di St. Paul. Mi faceva pensare che gli umani a volte sono capaci di far bene. Sarei restata a consegnare carne fino a farmi vecchia, se mi avessero pagato. Quando l’ho chiesto, m’hanno detto che avevo rubato, mi hanno promesso la prigione, m’hanno augurato di dondolare dalla forca. Non avevo fatto niente, ma in certi casi è inutile spiegare. 12


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