Lisette e la scoperta dei dinosauri

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CONTI SCARPELLI - LISETTE E LA SCOPERTA DEI DINOSAURI

La piccola Lisette avanza nella grotta al lume tremolante della lanterna. Anche se non è la prima volta che vi entra, freddi brividi le corrono lungo la schiena ossuta. Poi lo vede. L’occhio di pietra la fissa come fosse ancora vivo. Sono milioni di anni che nessuno aveva più visto quella lunga testa con una cresta su un lato.

Valeria Conti è autrice di libri per ragazzi, per i quali ha vinto numerosi premi. Giacomo Scarpelli, storico della filosofia, è anche un noto sceneggiatore.

VALERIA CONTI GIACOMO SCARPELLI

LISETTE E LA

SCOPERTA

DEI

DINOSAURI Illustrazioni di Lucia Scuderi

Lucia Scuderi ha scritto e illustrato libri pubblicati in tutto il mondo. È premio Andersen 2013. EDITORI

celacanto

€ 18,00 (i.i.)

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Parole da leggere, in silenzio o ad alta voce, storie da vedere, mondi da esplorare © 2015, GIUS. LATERZA & FIGLI

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PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA GIUS. LATERZA & FIGLI SPA, ROMA-BARI

Questo libro è stampato su carta amica delle foreste STAMPATO DA SEDIT - BARI (ITALY) PER CONTO DELLA

GIUS. LATERZA & FIGLI SPA ISBN 978-88-581-1734-7

PROGETTO GRAFICO EMANUELE RAGNISCO MEKKANOGRAFICI ASSOCIATI


VALERIA CONTI GIACOMO SCARPELLI

LISETTE E LA SCOPERTA DEI DINOSAURI Illustrazioni di

Lucia Scuderi

EDITORI

LATERZA



Domenica, 5 aprile 1807. La piccola Lisette avanzava nella grotta al lume tremolante della lanterna. Si udiva soltanto il gocciolare delle pareti e lo scricchiolio dei suoi zoccoli di legno sul terriccio. Lisette era convinta che in un tempo antichissimo in quella cava di gesso si rintanassero i mostri e i draghi delle fiabe. E anche se non era la prima volta che si addentrava nella grotta, freddi brividi le scorrevano lungo la schiena ossuta. Poi lo vide. L’occhio di pietra, che la fissava come fosse ancora vivo, sporgeva insieme al contorno dell’impressionante muso. Lisette si fece sotto. Il lungo teschio aveva una cresta sul lato. Era forse un cucciolo di drago? Lisette poggiò a terra la lanterna e tirò fuori dalla sacca di tela martello e scalpello. Si accinse a liberare il capoccione dalla parete di roccia in cui era imprigionato. A Parigi c’erano collezionisti di curiosità e bizzarrie magiche che pagavano generosamente per quei resti. Ma stavolta era per un cliente diverso, un uomo di scienza.



Il giorno dopo. Georges Cuvier, professore di anatomia comparata, se ne stava nel suo studio, tutto legno e stucchi. Fuori dalla finestra si poteva vedere uno scorcio del Jardin des Plantes, il parco nel cuore della Parigi napoleonica dove si trovava il Museo di Scienze Naturali in cui lavorava. Lo stormire degli alberi era coperto dalle grida dei bambini portati a spasso da mamme e tate. Ma di questo lo scienziato non si curava. Il suo sguardo limpido era intento a scrutare il disegno inviatogli da un collega: una bizzarra creatura fossile rinvenuta in Baviera. Cranio sottile, scheletro compatto, zampe lunghissime e uncinate. Di cosa diavolo si trattava? Forse di un rettile, ma si muoveva sulla terra o piuttosto si arrampicava sugli alberi, o nuotava nell’acqua? Cuvier non si accontentava di ricostruire gli scheletri, osso dopo osso; provava a disegnare quegli esseri sconosciuti con muscoli, pelle, squame o piume, per avere davanti agli occhi un’ipotesi del loro aspetto da vivi. Quel lunedì di aprile, tuttavia, si trovava di fronte a un problema di cui non riusciva a venire a capo. “Maledizione!”, esclamò esasperato, e battè il pugno sul piano della scrivania. “Maledizione, maledizione e maledizione!” Rabbia scientifica, ma anche preoccupazione per il futuro. Pareva, infatti, che Napoleone volesse stringere i cordoni della borsa: il bellissimo Museo di Scienze Naturali era un lusso dispendioso per Parigi. L’imperatore minacciava di interrompere i finanziamenti, a meno che non saltassero fuori nuove scoperte sensazionali. Cuvier già si vedeva in mezzo a una strada con la moglie, i figli e le proprie scartoffie. In quel momento, un forte scampanellio alla porta. Lo scienziato sospirò e controvoglia andò ad aprire.

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Sulla soglia c’erano il collega geologo Brongniart e una bambina alta un soldo di cacio, in panni miseri, con la cuffietta sulle ventitré. “Scusate il disturbo, collega”, disse Brongniart,“ma porto buone notizie”. Cuvier dubitava che quella monella sporca si potesse definire “buone notizie”, ma tacque. Brongniart, oltre a essere un amico, lo accompagnava nelle ricerche di creature fossili sepolte nei dintorni di Parigi. “All’animale simile a un cavallo il cui scheletro abbiamo portato alla luce tempo fa nella cava di Montmartre mancava il cranio”, disse Brongniart. “E Lisette lo ha trovato”. “Il testone è mio!”, strillò la bambina stringendo al petto un sacco di tela imbrattato di gesso grande quasi quanto lei. “Venivo giusto a vendervelo”, aggiunse guardando Cuvier con aria impertinente. “Quanto vorresti?”, chiese lo scienziato incuriosito. “Due franchi d’argento”, sparò Lisette. “Una rapina”, stabilì Brongniart. Poi aggiunse sottovoce a Cuvier: “È orfana, suo padre era un cavatore di gesso”. L’irritazione dello scienziato si dissolse. Cavò dalla tasca le monete d’argento. “Ai due franchi aggiungo una tazza di cioccolata calda e panini al burro”, annunciò Cuvier, che era golosissimo. Gli occhi della bambina s’illuminarono. “D’accordo”. “Prima, però, vorrei vedere il testone”, aggiunse lui in tono gentile. Lì su due piedi, nell’ingresso dell’abitazione, Lisette aprì l’involto di tela e il professore si trovò davanti al teschio pietrificato di una creatura sconosciuta. Era quello che aveva cercato per mesi? Il cranio era lungo e stretto e aveva quella curiosa cresta di lato; qualcosa gli diceva che non si trattava del teschio fossile della creatura da lui dissotterrata tempo prima. Cuvier rifletteva: se il cranio non apparteneva alla bestia simile a un cavallo, c’era lo scheletro del corpo di un’altra creatura seppellito a Montmartre.

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Nella galleria di Anatomia comparata, un’enorme stanza illuminata da lucernari al soffitto e dove trovavano posto lunghi tavoli di rovere, Cuvier, Lisette e Brongniart fissavano lo scheletro dell’animale tornato alla luce mesi prima.

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“L’ho chiamato paleoterio”, disse Cuvier. “Che razza di nome!”, commentò Lisette. “Significa antica bestia selvaggia”, rispose Cuvier sovrappensiero, mentre rigirava tra le mani il cranio portato dalla bambina. I suoi timori si erano rivelati esatti. “Questa testa non appartiene a questo scheletro ”, concluse sconsolato. “Come fate a essere così sicuro?”, protestò Lisette, preoccupata di perdere i suoi due franchi. “Vedi”, spiegò lo scienziato in tono paziente, “ogni animale è stato progettato in modo perfetto, ogni parte corrisponde a un’altra. Se lo stomaco di un animale è creato per mangiare carne, la sua mascella dovrà avere denti forti e acuminati. Ogni parte si incastra alla perfezione e non può cambiare, perché altrimenti si modificherebbero anche tutte le altre parti”. “Un buco nell’acqua”, sospirò Brongniart. “Nella cava, però”, intervenne Lisette, “di testone ce ne sono altre, basta saperle vedere”. Cuvier e Brongniart si scambiarono uno sguardo. “Modestia a parte, io sono la miglior cacciatrice di draghi di Montmartre”, affermò la bambina, orgogliosa. “Non sono draghi, Lisette”. “Peccato”, sussurrò lei un po’ delusa.

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