MALVALDI BRUZZONE - LEONARDO E LA MAREA
Perché sulla spiaggia ci sono tutti questi legnetti, chiede Leonardo? Perché c’è la marea? Perché le cose pesanti si attraggono? È il mare che di notte porta tutti questi tesori alla luna… L’unica cosa che vede è la luna, e così se ne innamora. Un racconto senza peso per affrontare con la grazia dell’infanzia due immensi misteri, i fenomeni fisici che regolano il mondo e il legame tra due cuori innamorati.
MARCO
SAMANTHA
MALVALDI
BRUZZONE
LEONARDO E LA MAREA Illustrazioni di
Desideria Guicciardini
Marco Malvaldi esordisce nel 2007 con la serie di gialli sui vecchietti del BarLume e da allora è in vetta alle classifiche della narrativa italiana. È scrittore ed è chimico. Samantha Bruzzone, ex ricercatrice chimica, è corresponsabile di numerosi libri di Malvaldi. Desideria Guicciardini ha pubblicato in Inghilterra e in Italia con tutti i maggiori editori. Nel 2014 ha vinto il Premio Andersen come migliore illustratrice.
EDITORI LATERZA
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Parole da leggere, in silenzio o ad alta voce, storie da vedere, mondi da esplorare © 2015, GIUS. LATERZA & FIGLI
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2020
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA GIUS. LATERZA & FIGLI SPA, ROMA-BARI
Questo libro è stampato su carta amica delle foreste STAMPATO DA SEDIT - BARI (ITALY) PER CONTO DELLA
GIUS. LATERZA & FIGLI SPA ISBN 978-88-581-1890-0
PROGETTO GRAFICO EMANUELE RAGNISCO MEKKANOGRAFICI ASSOCIATI
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MARCO MALVALDI SAMANTHA BRUZZONE
LEONARDO Illustrazioni di
Desideria Guicciardini
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“Leonardo, stai attento a dove metti i piedi”. Leonardo si voltò verso la mamma e le fece okay con il pollice. Poi, calatosi sul viso la nuova maschera da sub, cominciò a camminare lentamente, un passo alla volta, controllando bene la sabbia prima di metterci il piede. Leonardo era un bimbo vispo e molto sveglio, ma nonostante i suoi cinque anni a volte – non sempre, eh, a volte – era in grado di comportarsi in modo giudizioso. Se mamma aveva detto di stare attento, allora doveva stare attento. E non era difficile capire il perché. La spiaggia, infatti, era piena di ogni genere di cose: palline di plastica, palline di alghe, sassolini arrotondati, ma soprattutto legnetti. Legnetti che, spesso, erano appuntiti, oppure scheggiati, e che quindi potevano entrare nella pianta del piede e fare veramente male, se uno non portava i sandali. Purtroppo Leonardo, appena vista la spiaggia, i sandali se li era levati subito.
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Primo, perché erano quelli di gomma, che stringevano i piedi in una morsa appiccicosa e facevano venire le vesciche. Secondo, perché quel giorno aveva la maschera da sub nuova, appena comprata all’edicola, e sapeva benissimo che la maschera da sub era una cosa da grandi, mentre i sandali di gomma con la fibbia a forma di granchietto sono una cosa da bambino piccolo. Poteva farsi vedere dai suoi amici con la maschera da sub, che era una cosa da grandi e, diciamocelo, anche un po’ da avventurieri, e insieme con i sandali di gomma da cocco di mamma? No che non poteva. E allora, per prima cosa, via i sandali. Che erano stati raccolti pazientemente dalla mamma già carica di palette, secchielli, asciugamani, borsa termica e materassino, per fortuna ancora sgonfio. Tutte cose indispensabili per il primo giorno di mare.
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E come seconda cosa, mentre camminava, un’occhiata alla bandiera, per controllare che non fosse rossa. Se fosse stata rossa, sarebbe stata una tragedia. Ma la bandiera non era rossa. Era bianca. Si poteva fare il bagno. Anzi, c’era già qualche bimbo che faceva il bagno. Presto, doveva arrivare prima possibile all’ombrellone. Mi spoglio – per fortuna il costume ce l’ho già sotto i pantaloncini – mi faccio spalmare ben bene di crema altrimenti mamma mi urla dietro LeonardoVieniQuiSubitoCheNonTiHoMessoLaCrema, e vado in acqua. Per fare prima, quindi, Leonardo si mise a correre. Era quasi arrivato all’ombrellone quando un legnetto particolarmente appuntito gli si conficcò nel piede destro.
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“Perché sulla spiaggia ci sono tutti questi legnetti?” Mamma smise per un attimo di soffiare sul piede di Leonardo. Il quale era stato zitto per un minuto buono, mentre mamma gli estraeva il legnetto dal piede. Passato il dolore, la sua prima preoccupazione era quella di fare la pace con mamma, che di sicuro era arrabbiata, visto che in fondo si era fatto male disubbidendole e mettendosi a correre. E se c’era un modo per fare pace con mamma, era chiederle il perché di una cosa. “Perché c’è la marea. Di notte il mare sale e deposita i legnetti sulla spiaggia”.
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“E perché c’è la marea?” La mamma guardò Leonardo, con le sue gote pienotte. Anche se lei conosceva benissimo la causa reale delle maree, aveva paura che il suo bimbo trovasse arida una spiegazione così inanimata. In fondo Leonardo era ancora piccolo, per lui il mondo era fatto ancora a forma di famiglia: la cosa più grande è il babbo, quella media è la mamma e le cose più piccine sono i bambini. Ogni cosa, di solito, Leonardo la interpretava così. Per di più, carica come un venditore ambulante e con i piedi che andavano arrosto per via della sabbia che scottava, non era esattamente lucidissima. E così pensò che la cosa migliore fosse inventarsi una storia su due piedi (prima che finissero carbonizzati), una storia che fosse in qualche modo adatta al suo bambino. “Vedi, Leonardo, è il mare che di notte porta tutti questi tesori alla luna. Tutte le notti, quando è buio e non c’è nessuno, il mare si sente solo. L’unica cosa che vede è la luna, e così se ne innamora. Allora, visto che non c’è nessuno, cerca di raggiungerla. Si trascina su per la spiaggia, ma non riesce mai ad arrivare alla luna. Però la luna si accorge di lui, e si intenerisce, e gli promette che parlerà con il suo amico sole e gli chiederà di tornare, il giorno dopo, così ci sarà di nuovo caldo e i bambini verranno di nuovo in spiaggia a giocare, e lui si sentirà meno solo. Ma il mare ha paura che la luna se ne possa dimenticare, e allora le lascia dei legnetti sulla spiaggia, perché si ricordi di lui”.
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Leonardo ascoltava, rapito. Mamma gli fece una carezza e gli scompigliò i capelli (cosa che Leonardo detestava, ma che mamma non era ancora riuscita a capire), credendo di aver finito. Ovviamente, non era così. Passarono circa quindici secondi, prima che la voce di Leonardo chiedesse, in tono sospettoso: “Allora è per questo che d’inverno ce ne sono tanti”. Nei quindici secondi di cui sopra, erroneamente convinta di aver chiuso la questione, mamma aveva incominciato a mettere a posto le cose sotto l’ombrellone. Fu quindi in tono piuttosto distratto, mentre incastrava la borsa termica fra l’asta e la sdraio chiedendosi contemporaneamente dove cavolo avrebbe infilato il materassino una volta gonfiato, che rispose: “Come dici, tesoro?” “Ti ricordi che d’inverno siamo venuti al mare e di legnetti ce n’erano tantissimi sulla spiaggia? Allora, ho capito. D’inverno ci sono tanti legnetti perché il mare non vede nessuno, né di giorno né di notte. Allora crede che la luna se ne sia scordata. Così continua a portare legnetti su legnetti, anche grossi grossi, così magari la luna se ne ricorda, giusto?” La mamma si ritrovò sul viso un sorriso un po’ ebete. Certo, da una parte era bellissimo vedere che Leonardo aveva utilizzato quella storiella per spiegare altre osservazioni, ma dall’altra non si aspettava di venire presa così alla lettera. Date le premesse, ovvero la storiella che gli aveva raccontato, il ragionamento era giusto: forse, però, era meglio mettere da parte quella spiegazione un po’ stravagante prima che Leo ci ricamasse troppo su. “Giustissimo. Senti, finisco di mettere a posto e poi andiamo a fare il bagno. E dopo, ce lo prendiamo un gelatone grosso così?”
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Finito il gelato, Leonardo stava seduto sotto l’ombrellone, e si annoiava. “Mamma, posso fare il bagno?” “No, tesoro. Hai mangiato il gelato da poco. Devono passare due ore”. Leonardo tornò a guardare le onde che si rompevano sulla battigia, chiedendosi se a un certo punto una non avrebbe potuto prendere uno slancio così forte da arrivare fino alla luna. Ogni tanto, è vero, ce n’era qualcuna un po’ più alta; ma non importava quanto alta fosse, o quanto velocemente arrivasse, o quanto ardentemente Leonardo tifasse per lei. Anche quelle che sembravano più convinte, raggiunta la battigia, si infrangevano e si ritiravano, tornando nel mare. “Mamma, adesso posso fare il bagno?” “Leo, me l’hai chiesto cinque minuti fa. Te l’ho detto, devono passare due ore”. DUE ORE: mamma lo diceva come se fosse un tempo ragionevole. Anche il babbo aveva questo vizio, parlavano di ore come se fossero noccioline. Due ore sono un sacco di tempo, gente. In due ore si possono costruire due castelli di sabbia, fare quattro bagni, mangiare un numero di gelati che Leonardo non era sicuro di saper contare, quindi tantissimi. Come fanno gli adulti a dire DUE ORE così, come se niente fosse? Comunque, la sostanza per Leonardo non cambiava. C’erano due ore da passare, prima di fare il bagno, e una domanda che continuava a frullargli in testa. Perché il mare era così attratto dalla luna?
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Prima di tutto, Leonardo decise di chiederlo a Saretta e Adele, le sue amiche dell’ombrellone accanto. Chissà, magari loro lo sapevano. In fondo erano più grandi, avevano sei mesi più di lui. “Perché il mare è innamorato della luna?” “Perché la luna è bella”, rispose Saretta. “Perché, la luna è bella?” “Certo che è bella”, rispose Adele. “Quando è notte, brilla. Le cose belle brillano”. “Ed è tonda”, aggiunse Saretta. “Tutte le cose tonde sono belle”. Leonardo ci pensò su un momento. Sì, è vero, il suo pallone era tondo, ed era una delle cose più belle che aveva. Ma anche le meduse sono tonde, e non sono affatto belle – almeno, a Leonardo non piacevano. E anche la signora Buccianti, la vicina di ombrellone di sinistra, era tonda, e lei non era bella per niente, anzi. Forse sei mesi di più non erano abbastanza per sapere queste cose. Bisognava cercare un adulto.
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