Il viaggio di Darwin

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celacanto

Parole da leggere, in silenzio o ad alta voce, storie da vedere, mondi da esplorare

© 2018, GIUS. LATERZA & FIGLI, www.laterza.it PRIMA EDIZIONE LUGLIO 2018 EDIZIONE I II III IV V VI ANNO 2018 2019 2020 2021 2022

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA GIUS. LATERZA & FIGLI SPA, ROMA-BARI

Questo libro è stampato su carta amica delle foreste STAMPATO DA SEDIT - BARI (ITALY) PER CONTO DELLA

GIUS. LATERZA & FIGLI SPA ISBN 978-88-581-2772-8

A cura di Valeria Conti PROGETTO GRAFICO EMANUELE RAGNISCO MEKKANOGRAFICI ASSOCIATI


GIACOMO SCARPELLI

IL VIAGGIO DI DARWIN Illustrazioni di

Maurizio A.C. Quarello

EDITORI

LATERZA


La mattina di Natale del 1831 ero appollaiato su un grande rotolo di cime umide, sul ponte del Beagle, un brigantino con diverse bocche da fuoco e tre alberi su cui erano arrotolate vele bianchissime. Mi chiamo Syms Covington, a quel tempo avevo 15 anni ed ero stato ingaggiato come mozzo. Non stavo nella pelle dall’eccitazione, sentivo che una grande avventura stava per cominciare; avrei visitato il Brasile, l’Argentina, Tahiti, la Nuova Zelanda e l’Australia. Mentre sbocconcellavo il budino di Natale che mia madre mi aveva messo nel bagaglio pensavo alla mia famiglia e a quanto mi sarebbe mancata. Le navi mi avevano sempre appassionato e non avevano segreti per me. Il Beagle, ossia bracchetto, era considerata una specie di bara galleggiante, ma a me piaceva lo stesso, forse per via del nome: a casa avevo lasciato Spot, un cane bracchetto, che era il mio inseparabile amico.



Delle navi mi piaceva tutto, persino le operazioni di carico delle merci: grandi carrucole che sollevavano pesanti casse di legno piene degli oggetti piĂš strampalati provenienti da posti lontani e misteriosi. Adesso avrei scoperto da dove venivano e cosa contenevano. “Questa cassa, dalla quale escono fili di paglia, scommetto che è riservata alle porcellane e ai bicchieri di cristallo per la tavola del capitano. 8


Quest’altra… beh, non è difficile, dai grugniti e dall’odore direi che è piena di maiali. Quella più piccola spero contenga uvetta e canditi con i quali il cuoco preparerà torte buonissime”. D’accordo, non erano cose provenienti da paesi lontani, però risolvere i piccoli misteri della vita restava uno dei miei passatempi preferiti. Per vincere la nostalgia di casa, dopo aver spazzolato il budino, decisi di suonare il mio violino. Lo posai sotto il mento, impugnai l’archetto, ma proprio in quel momento Jack il cuoco mi urlò: “Syms, è arrivato il tuo passeggero. Sbrigati, devi portare i suoi bagagli in cabina”. Balzai giù dal rotolo di cime e mi affrettai a eseguire gli ordini, prima che il capitano FitzRoy, comandante del Beagle, si accorgesse che stavo perdendo tempo. FitzRoy era un ufficiale giovane, ma severo e rigido, quando camminava ti veniva da pensare che avesse ingoiato un palo. Qualcuno aveva messo in giro la voce che in passato avesse trasportato schiavi. Ma era solamente una voce tanto per intimorirci. 9


Corsi incontro al mio passeggero, un gentiluomo alto, con il viso tondo e paffuto, la fronte spaziosa e i capelli biondi. Mi sorrise e mi tese la mano: “Charles Darwin, piacere di conoscerti”. “Simon Covington, detto Syms, il piacere è mio, signore”, risposi e calcolai che doveva avere all’incirca sette o otto anni più di me. Lo accompagnai in cabina trascinando a fatica il suo pesantissimo bagaglio.


“Avete con voi molti libri?”, domandai. “Sì, soprattutto volumi di biologia e geologia. Sono un naturalista”, rispose. Entrammo nella cabina tutta mogano e ottone. Mister Darwin si guardò intorno. “Beh, non è certo spaziosa”, esclamò in tono allegro. Lo fissai incredulo, su una nave tutta quella superficie era un lusso! Avrebbe dovuto vedere la soffocante nicchia nel retro della cambusa dove dormivo io. Mister Darwin continuò a studiare l’ambiente, finché non se ne uscì con la più assurda delle domande: “Syms, dov’è il letto?”. Sempre più stupito, gli mostrai la sua amaca e l’agganciai al soffitto. L’amaca di stoffa ondeggiò invitante, ma lui la osservava perplesso. Mi chiesi la ragione di tante incertezze e capii: Charles Darwin era un marinaio d’acqua dolce. Due giorni dopo, il 27 dicembre 1831, lasciammo l’Inghilterra diretti in America del Sud. L’Oceano Atlantico si stendeva all’infinito davanti alla prua del Beagle.

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Il primo giorno di navigazione il cielo azzurro sembrava di smalto, il vento soffiava leggero e la temperatura non era troppo rigida. Mi trovavo sul ponte a suonare il violino quando scorsi il mio passeggero. Due profonde occhiaie gli segnavano il viso e l’incarnato aveva una sfumatura verdognola. “Buongiorno Mister Darwin, vado a prepararvi tè e pane tostato con il burro”, dissi subito. “Per carità, non nominare niente di commestibile!”, esclamò con una smorfia di disgusto. “Il mal di mare non mi dà tregua”, spiegò, “e quell’amaca! Mai provato niente di più scomodo”. Nonostante il malessere, si guardò intorno pieno di curiosità. “Piuttosto raccontami qualcosa di quelle persone laggiù”, aggiunse indicando tre strani personaggi vestiti in maniera insolita.



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