Spartaco, Barry Strauss

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BARRY STRAUSS - SPARTACO

Roma era grande, potente e lenta. Spartaco era piccolo, indomabile e veloce. Come mi spiace che non l’abbiate visto tutti che cos’era, Spartaco, in quei giorni. Era il coraggio, l’onestà, il senso del dovere verso la sua gente. Era lui il capo della rivolta. Migliaia di schiavi lo seguirono, per loro fu come respirare per la prima volta.

BARRY STRAUSS

SPARTACO Illustrazioni di

Paolo d’Altan

Barry Strauss è Professor of History e Professor of Classics alla Cornell University. Paolo d’Altan è uno dei più famosi e premiati illustratori italiani.

EDITORI LATERZA

celacanto

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LATERZA




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Parole da leggere, in silenzio o ad alta voce, storie da vedere, mondi da esplorare © 2014, GIUS. LATERZA & FIGLI

www.laterza.it PRIMA EDIZIONE NOVEMBRE 2014 EDIZIONE I II III IV V VI ANNO 2014 2015 2016 2017 2018

2019

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA GIUS. LATERZA & FIGLI SPA, ROMA-BARI

Questo libro è stampato su carta amica delle foreste STAMPATO DA SEDIT - BARI (ITALY) PER CONTO DELLA

GIUS. LATERZA & FIGLI SPA ISBN 978-88-581-1473-5

Testo adattato da CAROLA SUSANI e pubblicato in accordo con Lotto 49 PROGETTO GRAFICO EMANUELE RAGNISCO MEKKANOGRAFICI ASSOCIATI


BARRY STRAUSS

SPARTACO Illustrazioni di

Paolo d’Altan

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LATERZA


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È una sera d’estate del 55 a.C. Il buio scende sulla villa rustica che produce, per mezzo del sudore degli schiavi, cereali e vite. I campi e la valle sono quieti e anche il Vesuvio non ha più colore e sembra che dorma. Le galline nell’aia non beccano più già dal tramonto, uno schiavo o una schiava le ha ricoverate nel pollaio. E i cavalli e la vacche, abbeverati alla vasca della corte interna, prendono sonno nelle stalle. A quell’ora puoi vedere gli schiavi riunirsi nella grande cucina fumosa. Là dentro è caldo, c’è un tanfo di marcio che perdura, ma loro si rintanano lì, forse per istinto, per non farsi sentire. Parlano con le voci profonde sussurrando. Ci sono contadini forti e stanchi, che coltivano la vigna sottostando ai comandi del villico, schiavo anche lui; schiavi cuochi; schiavi domestici; donne che sotto la direzione della villica hanno tessuto e cucito, alcune tengono accanto i propri figli. Non tutti gli schiavi sono lì. Quelli che hanno mancato verso i padroni o verso i villici, chiusi nell’ergastolum, la prigione domestica, cercano di prender sonno incatenati. Se passando per la strada che porta al Vesuvio ti fermi là dov’è la villa e porgi orecchio, dalla cucina sentirai provenire la voce acuta di un ragazzo. “Publipor, ci racconti?” Gli occhi dei bambini, dei ragazzi, e anche quelli degli uomini adulti sono fissi su Publipor, sgranati. Si chiama ragazzo di Publio, ma è un uomo fatto. Publio era il suo padrone. “Publipor”, quello che parla è un altro ragazzino, “erano gladiatori, vero? Erano forti e non avevano paura. Sono passato un giorno davanti a un ludus, ma non ho visto i gladiatori. Come vorrei anch’io allenarmi in un ludus e morire combattendo nei giochi”. “Sciocco”, risponde Publipor, grave, “ci sono modi di vivere e morire più degni per un uomo. O almeno, così la pensavano Spartaco e i suoi. Lo so che si racconta che ero con loro, ma non è vero. Però conobbi uno che fu con loro e seppe fuggire al tempo giusto e se ne vergogna ancora.

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Tu, che vorresti fare il gladiatore, lo sai com’è la vita dentro un ludus?” “Non sarà peggiore della nostra”, dice il ragazzo. “Forse la schiavitù pesa di più quando ti senti forte. Spartaco era come te, era un Trace, i Traci sono forti, amano combattere, bere e cacciare. Aveva combattuto nell’esercito romano. Faceva parte delle truppe ausiliarie che gli alleati forniscono ai Romani. Era cavaliere. Aveva imparato molto sui Romani, sul loro modo di combattere, sulla loro compattezza, sulle loro centurie. Forse i Romani non gli piacevano: disertò, fu latro, che vuol dire tutto, da ribelle a ladrone, fu riacchiappato e condannato a fare il gladiatore per una colpa di cui non sa nessuno. Dicono che fosse innocente. Perché è una condanna peggiore della schiavitù fare il gladiatore, che credete?” “Sì, perché è meglio fare lo schiavo qui in campagna, o il pastore. O in miniera”, dice la voce del ragazzo con sarcasmo.



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“In miniera, no. Non è meglio. Ma lavorare in una casa o commerciare, o sbrigare faccende o fare il villico, sì, è meglio. Ma torniamo a Spartaco. Non vi racconto il mercato degli schiavi. Sono cose che sapete già. Giovani, uomini, donne, Celti, Traci, Germani, Greci esibiti su una piattaforma, con la pianta del piede tinta di bianco. Spartaco fu portato in catene da Roma a Capua, nel ludus di un impresario che si chiamava Cornelio Lentulo Vazia. Il ludus è una caserma e una palestra, là dentro vivono e si allenano i gladiatori. Preferiscono tenerli lontani da Roma, perché temono la loro forza. Anche se qualche ludus importante lo trovi anche lassù.


Come si sta in un ludus? Bene e male. Ti fanno mangiare bene, come una bestia all’ingrasso. Una gran quantità di minestra d’orzo e fagioli. Fai vita di caserma, dormi in una cella e mangi in mensa con gli altri. Quando entri nel ludus fai un giuramento, un sacramentum: giuri di essere bruciato e incatenato, picchiato e infine ucciso. Nei cortili interni puoi trovare i graffiti dei gladiatori, sono sciocchezze, ognuno se la racconta, quello perché fa battere il cuore alle ragazze, quell’altro perché una volta ha vinto (ma la volta dopo perderà), un altro prende in giro il compagno perché puzza: sono modi per distrarsi, per non pensare alla morte. I gladiatori si riuniscono in collegia, per adorare un dio e seppellire i morti. Il dio che adoravano Spartaco e i suoi era Dioniso, lo stesso dio che adoriamo noi. Spartaco era un mirmillone, portava uno scudo a forma allungata, lo scutum, e una spada a doppio taglio, il glaudius. Combatteva con il trace, che non viene per forza dalla Tracia. Si chiama così perché porta la sica, la spada trace ricurva e un piccolo scudo, il parma. A volte un mirmillone combatte anche contro l’oplòmaco, che ha l’elmo beotico e un piccolo scudo rotondo di bronzo, oppure contro il reziario che porta una rete rotonda a maglie larghe e nell’altra mano un tridente. I gladiatori combattono a due a due, a petto scoperto, mostrando i tatuaggi. In ogni combattimento puoi vincere, puoi essere ucciso, puoi arrenderti ed essere ucciso per volontà dell’organizzatore e della folla, allora devi inginocchiarti e accettare il destino senza battere ciglio, puoi essere graziato e uscirne vivo. Comunque se fai il gladiatore non speri di vivere a lungo. Capita che una notte consumi un pasto con i tuoi compagni, che il giorno dopo uccida uno di loro e subito dopo ti occupi di seppellirlo. Certo, i migliori gladiatori possono sperare in denaro, successo e donne (anche se buona parte delle ricchezze finiscono nelle sacche dell’impresario). Ma non capita a molti. E comunque quella speranza non trattenne Spartaco e i suoi. Speravano in tutta un’altra gloria.

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