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Itinerario
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IL MUGELLO, LA VAL DI SIEVE E LA ROMAGNA TOSCANA
Viaggio con il Granduca in Mugello
Tredicesimo itinerario - Viaggio con il Granduca in Mugello
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TREDICESIMO ITINERARIO llorché Pietro Leopoldo giunse in Toscana la nuova postale Bolognese era già attiva da qualche anno, anche se, essendo state largamente disattese le norme contrattuali concordate dalla Reggenza con i costruttori, sarebbero occorsi lavori supplementari, che in seguito vennero effettuati. Il percorso per Bologna rappresentava l’asse principale della intricata maglia viaria del Mugello, per il resto costituita da una serie di tracciati, somiglianti più a tratturi e a strade campestri, che collegavano tra loro i principali centri della sub-regione. “Strada assai cattiva e ridotta quasi impraticabile”: questo sarà il commento del Granduca nei riguardi dei due vecchi tracciati più importanti, entrambi diretti ai confini dello stato: la strada del Giogo di Scarperia e la cosiddetta Faentina, che transitava per Salaiole, Borgo San Lorenzo, Ronta e Marradi. Ma un po’ tutte le altre strade si presentavano come “viottoli e tratturi”, in altri termini come mulattiere, specialmente nelle aree montane e collinari, tutt’al più transitabili – quasi esclusivamente nelle pianure e nella bella stagione – con veicoli leggeri come i calessi, ma non con i più pesanti e ingombranti carri e carrozze. Tali inadeguate condizioni riguardavano anche la transappenninica del Muraglione (con i centri di Dicomano, San Godenzo e Palazzuolo sul Senio), nonché le vie traverse per il Casentino da Pontassieve per la Consuma e da Contea-Londa per Stia, penalizzando pesantemente il commercio e l’intera economia della valle e non solo. Sin dalla prima visita che fece in Mugello (giugno 1773) si formò quindi nel Sovrano la convinzione di migliorare qualitativamente o di costruire ex-novo specie quelle vie che collegavano la valle della Sieve a due aree tra le più emarginate del Granducato: il Casentino e la Romagna toscana. Nelle terre ai confini con lo Stato pontificio, infatti, Pietro Leopoldo ebbe a osservare che “il campamento di questa assai popolata provincia consiste nel traffico e negozio e vettureggiare di carbone, grasce ed altri generi dello Stato del Papa e nella quantità di bestiami, in specie minuto, con la quale la maggior parte del popolo va a passare l’inverno in Maremma, o come pastori o come tagliatori carbonari”. Fagioli, granturco e seta (“tanto del prodotto che di trattura”) costituivano la base dell’economia locale: si trattava nel complesso di magre risorse che motivavano la propensione della popolazione locale di “voltarsi” verso la pianura, vale a dire di avere rapporti con lo Stato pontificio, invece di “guardare” verso Firenze. Ma ciò che più preoccupava il Sovrano, oltre al fatto che le aree più periferiche del Mugello e della val di Sieve risultavano dipendere per buona parte dei generi primari dal più ricco Stato della Chiesa (il che fomentava il fenomeno del contrabbando), era la consuetudine delle persone più facoltose di investire in Romagna i loro capitali, anche personali. Il Granduca osservava infatti che “ove vi è la passione che tutti vogliono avere in casa il prete, mandano i loro figli ai seminari di quei vescovi (cioè di Faenza, Forlì, Bertinoro e Sarsina); questi spesso gli impiegano e anche bene nello Stato del Papa, ove vi sono migliori benefizi che in Toscana (e questo) merita attenzione per i gran denari che escono dallo Stato a quelle cure”. Di qui la necessità di rinnovare la viabilità del Mugello e della val di Sieve, onde creare collegamenti rapidi ed efficienti tra la Capitale e le terre che a nordest del Granducato confinavano con lo Stato Pontificio. Ciò significava migliorare la strada che per Borgo San Lorenzo arrivava a Ronta, per poi dividersi in due rami, rispettivamente diretti a Marradi e a Palazzuolo sul Senio, e quella che si snodava per Dicomano, San Godenzo e Premilcuore, conducendo a Portico e Rocca San Casciano, e con un altro ramo a Galeata e Santa Sofia. Il Sovrano stabiliva quindi di rendere migliori e più agevoli le salite “delle strade maestre di Ronta e Crespino che serve per Marradi e Modigliana, quella
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IL MUGELLO, LA VAL DI SIEVE E LA ROMAGNA TOSCANA
Veduta di Pontassieve sullo sfondo del ponte mediceo
La pieve di San Piero a Sieve
di San Godenzo e San Benedetto in Alpe che serve per la Rocca San Casciano e tutti gli altri castelli”. I tanti provvedimenti di ammodernamento della viabilità del Mugello e dell’intera valle della Sieve con l’oltre Appennino romagnolo auspicati da Pietro Leopoldo nel resoconto inedito (è conservato a Praga nell’Archivio di Stato: SUAP, RAT Petr Leopold 23) della visita effettuata nel giugno 1773 alla valle – con proseguimento per la Romagna e il Casentino – scaturivano proprio dalla consapevolezza dell’importanza delle infrastrutture di comunicazione per lo sviluppo della vita economica e sociale, per cui erano particolarmente fiorenti centri come Barberino, un castello, egli scrive, “molto popolato, vi è un gran traffico, in specie di pannine basse, bigelli e simili”, oppure di San Piero a Sieve che è anch’esso un “castello molto popolato”, o di Borgo San Lorenzo, “luogo grosso e mercantile”, ricco “delle sue manifatture di lane, conce e cuoio”, o di Dicomano, popolato “da vetturali e da gente che bada al suo traffico”. Ma soprattutto valeva l’esempio di Pontassieve, vera e propria cerniera commerciale tra il Mugello e la Val di Sieve, riguardo al quale il Granduca annoterà: “Il castello di Pontassieve è molto popolato e pieno d’industria, per la riunione che si fa delle cinque strade di Firenze, Valdarno, Romagna, Casentino e Mugello: vi è molto traffico di lana e fabbricazione di panni ordinari e molti vetturali”. Le valutazioni di Pietro Leopoldo furono meno positive per le altre zone del Mugello e della val di Sieve non servite da buone vie di comunicazione, come quella parte del Vicariato di Pontassieve “composta di montagne piuttosto sterili”, oppure come i centri di Vicchio e Ronta, definiti “inferiori”. Ed egual tenore hanno le osservazioni su Firenzuola, dove “vi è qualche benestante (ma) per il resto sono tutti pastori che vanno l’inverno in Maremma”, su Marradi, “terra poco popolata, piuttosto povera, con poca industria” o su Palazzuolo, dove viene ripetuto “vi è qualche benestante; per il resto vanno tutti in Maremma l’inverno non essendovi molte pasture nella giurisdizione”. Comunque, in generale, il giudizio sulle popolazioni mugellane è buono, ricorrendo nelle relazioni granducali, espressioni del tipo: “è giurisdizione di gente quieta ed applicata ai suoi traffici e negozi”, oppure “generalmente il popolo è buono, docile e quieto”. Del resto, percorrendo la via Bolognese della Futa (con soste a Pratolino e Cafaggiolo) e poi percorrendo anche la Val di Sieve, il sovrano non mancava di valutare fertile e ben coltivato per lo più a seminativi il fondovalle e di sottolineare le fitte coltivazioni di viti “tutte basse” presenti nelle colline. I poderi erano lavorate da famiglie numerose di mezzadri e possedevano molto bestiame pecorino, suino e soprattutto bovino: in quasi tutte le fattorie, specialmente dell’alta collina, erano presenti “cascine di mucche” per l’abbondanza dei prati e delle pasture resi particolarmente produttivi dalle acque dei tanti tributari delL.R. - R.S. la Sieve, oltre che dal clima relativamente umido della valle. Tredicesimo itinerario - Viaggio con il Granduca in Mugello
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