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Itinerario
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IL MUGELLO, LA VAL DI SIEVE E LA ROMAGNA TOSCANA
Parchi e aree verdi
Quindicesimo itinerario - Parchi e aree verdi
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QUINDICESIMO ITINERARIO a valle della Sieve e la Romagna Toscana abbracciano numerosi parchi, aree naturali protette di interesse locale/ANPIL e siti di importanza comunitari/SIC di recente costituzione, con ubicazione quasi sempre in ambienti montani o collinari. L’unica eccezione è rappresentata dall’‘Oasi di Gabbianello’, istituita nel 2003-04 su 30 ettari di zona umida situata quasi al centro del Mugello e in situazione di piano-colle: è gestita dalla società cooperativa Ischetus con la supervisione del WWF Toscana ed è visitabile con guida ai margini nordorientali dell’invaso artificiale di Bilancino, lago che ha molto accresciuto “gli elementi di naturalità del Mugello”. In effetti, “la notevole estensione del lago [ha introdotto] nel Mugello un nuovo ecosistema, quasi un piccolo sorprendente mare interno, fortemente valorizzato con inedite zone di balneazione e un circuito turistico nato intorno alla vela, al windsurf e alla pesca sportiva. Con il lago è arrivata anche la sorpresa dell’Oasi di Gabbianello”, con ubicazione ai bordi dello specchio d’acqua, in un contesto paesaggistico collinare costituito da boschi alternati a pascoli e coltivazioni. “Si tratta dell’unica area umida protetta del Mugello che si è sviluppata come un habitat di importanza naturalistica e punto di passo per l’avifauna migratrice” – che, provenendo dal bacino fiorentino, qui sosta prima di riprendere il viaggio per superare l’Appennino –, specialmente per lo svernamento del germano reale, dell’alzavola e del fischione. Inoltre, essa “offre un ambiente ideale per la nidificazione a molte specie, tra le quali il Cavaliere d’Italia, il tarabusino e la marzaiola”. Durante la migrazione l’area è frequentata da numerosi uccelli, fra cui la cicogna bianca, la gru, l’oca selvatica e il fenicottero rosa, oltre ai passeriformi con specie tipiche del canneto come
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Il lago di Bilancino e le emergenze storico-architettoniche del territorio circostante
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QUINDICESIMO ITINERARIO il cannareccione, la cannaiola e l’usignolo di fiume (D’Angelis, 2007, pp. 102103 e 264). Se vogliamo dare un ordine topografico all’itinerario di visita, appare opportuno cominciare il viaggio da occidente, e precisamente dal sito di importanza comunitario/SIC “Monte Morello” che abbraccia spazi di particolare importanza paesaggistica che sono fatti oggetto di intensa fruizione turistico-ricreativa e escursionistica, data la vicinanza a Firenze e alla sua area metropolitana, con le foreste di conifere impiantate fra Otto e Novecento che appartengono anche alla subregione mugellana; e dall’ANPIL “I Monti della Calvana” che è stata istituita nel 2003-04 ed è gestita direttamente dalle amministrazioni comunali di Cantagallo, Prato e Vaiano (Provincia di Prato) e di Calenzano e Barberino di Mugello (Provincia di Firenze). L’area protetta coincide grosso modo con il sito di importanza comunitario/SIC “La Calvana” e si estende complessivamente per 4016 ettari sul sistema orografico compreso fra le valli del Bisenzio, della Marina e della Sieve, che costituisce una successione di rilievi che si snodano per 15 km a quote di 700-800 m fino a raggiungere i 916 m del Monte Maggiore. La dorsale è costituita da un’alternanza di rocce calcaree, localmente chiamate ‘alberese’, facilmente erodibili dalle acque meteoriche che danno luogo a fenomeni carsici superficiali e sotterranei. Sono 20 le grotte già esplorate, concentrate tra Monte Cantagrilli, la valle del Rio Buti e i dintorni di Cavagliano. Numerosissime le doline (depressioni del terreno a forma di piatto o di scodella) e molti i campi carreggiati (massi affioranti ad andamento rettilineo variamente erosi). L’area è conosciuta per le praterie, che occupano la parte più elevata del rilievo e in cui vivono quasi 60 specie di orchidee e numerose specie erbacee tutelate (come i narcisi). Alle praterie si alternano arbusteti e boschetti con esemplari di biancospino monumentali, carpini bianchi e noccioli. I versanti della Calvana sono in genere coperti da boschi di latifoglie a roverella, cerro, carpino nero, orniello e acero campestre. L’avifauna è di interesse per i passeriformi e i rapaci a rischio di estinzione. Sono presenti rettili, anfibi tutelati come la salamandra e l’ululone, rapaci e ungulati selvatici introdotti (cinghiali e caprioli) (D’Angelis, 2007, p. 278). I versanti e le vette della catena principale dell’Appennino non comprendono parchi veri e propri, bensì svariati siti d’interesse comunitario/SIC, a partire ad occidente dal “Sasso di Castro e Monte Beni” e dal “Passo della Raticosa, Sassi di San Zanobi e della Mantesca”, per passare al centro alla “Conca di Firenzuola” e al “Giogo-Colla di Casaglia”, e finalmente ad est al “Muraglione-Acqua Cheta”: tutti ambienti d’altitudine improntati dalla storia naturale (boschi di faggio) e dalla storia sociale di lungo periodo (sia boschi di conifere e castagneti da frutto, in larga misura in abbandono, e sia prati e pascoli), che vengono considerati tra i più importanti della Toscana per la presenza ora di singolarità geomorfologiche (come gli ‘spunzoni’ o alti ‘sassi’ dalle pareti precipiti di Castro, Monte Beni e San Zanobi) e di tante specie rare del mondo vegetale e del mondo animale che sono legate ad attività agricole e pastorali tradizionali e a spazi da molto tempo poco abitati e in via di larga rinaturalizzazione. Ovviamente, la gemma ‘verde’ della valle della Sieve è costituita dal Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi-Monte Falterona-Campigna, creato nel 1989-90, che si estende per 38.118 ettari (di cui 18.000 in Toscana) a cavallo della dorsale appenninica Tosco-Romagnola; abbraccia 12 Comuni, di cui 7 toscani (i casentinesi Pratovecchio, Chiusi della Verna, Stia, Bibbiena e Poppi in Provincia di Arezzo, e i due comuni S. Godenzo e Londa in Val di Sieve e Provincia di Firenze). Quindicesimo itinerario - Parchi e aree verdi
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QUINDICESIMO ITINERARIO
Veduta aerea del Lago di Bilancino
Il parco tutela una tra le più importanti foreste appenniniche. Infatti l’area è larghissimamente ricoperta da bellissime e rigogliose foreste (che incidono per ben l’80% della superficie territoriale): sopra i 900 m circa prevalgono foreste pure di faggio o di abete bianco (la presenza di quest’ultimo devesi in grandissima parte all’uomo, anche se spesso del lontano Medioevo o almeno dei tempi moderni), ma assai diffusi sono anche i boschi misti di latifoglie (faggio, acero montano, olmo montano) e conifere d’impianto più o meno recente (abete bianco, tasso, pino nero e silvestre, abete rosso), mentre alle quote inferiori dominano le latifoglie a riposo invernale (con il cerro e il carpino nero soperchianti le altre specie) o i castagneti, sparsi un po’ in tutta l’area, ma frequenti soprattutto nei versanti casentinesi e della Val di Sieve. Di grande interesse sono pure gli esigui lembi di brughiera a mirtilli (vere stazioni relitto di periodi climatici più freddi) e le praterie d’altura che a pelle di leopardo ricoprono alcune aree di crinale e non poche radure nella foresta: ciò che sta a dimostrare l’origine artificiale di queste cenosi, create con faticosi lavori di diboscamento e dissodamento soprattutto nei secoli XVIII-XIX (per l’alto valore dell’allora assai diffuso allevamento montano); da qualche decennio, in seguito alla crisi o all’abbandono delle attività zootecniche e agro-silvo-pastorali, anche le praterie alto-montane sono oggetto di ricolonizzazione (ora naturale, ora artificiale) da parte della vegetazione, presentando in genere stadi diversi della naturale successione verso il bosco misto. Anche in previsione dei piani di assestamento forestale (si pensi alle controverse questioni della “rinaturalizzazione” con latifoglie dei boschi artificiali ma da secoli “naturalizzati” di conifere, e della continuazione delle pratiche selvicolturali con i tagli specialmente delle abetine e dei popolamenti artificiali di douglasia), assume un particolare valore la corretta conoscenza scientifica, non solo di tipo naturalistico, ma anche storico, delle cosiddette Foreste Casentinesi. E ciò anche e soprattutto per il loro valore culturale, in considerazione dell’origine storica di larghissima parte di questa, per effetto della quasi millenaria pratica selvicolturale dei monaci di San Godenzo, Camaldoli e Badia Prataglia, ol144
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QUINDICESIMO ITINERARIO tre che degli “operai” del duomo fiorentino di Santa Maria del Fiore (nel complesso romagnolo di Campigna) ai quali le Foreste appartennero tra il basso Medioevo e il secolo scorso, per poi essere riunite nel demanio statale toscano prima e italiano poi. Il parco ha carattere interregionale e configurazione prettamente montana (l’altitudine scende comunque da 1658 m della dorsale a poco più di 400 nel versante collinare romagnolo), comprendendo il crinale dell’Appennino dal massiccio del Monte Falterona-Monte Falco fino al Passo dei Mandrioli con i suoi vastissimi panorami, e con i versanti romagnolo e toscano (territorio di Castagno d’Andrea nella Valdisieve, una delle ‘porte’ dell’area protetta, e alto Casentino); si articola nelle tre zone di “conservazione integrale” (le “aree di eccezionale valore naturalistico in cui l’antropizzazione è assente o di scarsissimo rilievo”, ove “i fenomeni naturali sono affidati esclusivamente all’evoluzione spontanea, senza interventi diretti dell’uomo, ad eccezione dell’ordinaria manutenzione dei sentieri pedonali di accesso”, comprendendo le riserve naturali statali integrali romagnole di Sassofratino e Pietra con le loro foreste secolari “di rara bellezza”), “di protezione” (“aree di rilevante interesse naturalistico, dove l’antropizzazione risulta scarsa e prevalentemente volta alla conservazione e al conseguimento degli equilibri naturali, in parte classificate riserve naturali biogenetiche” da seme di Camaldoli, Scodella e Badia Prataglia, con le foreste demaniali, per circa 14.000 ettari nelle due Regioni) e “di tutela e valorizzazione” (“aree di interesse naturalistico, dove tuttavia l’attività umana assume evidente rilievo”, anche per la presenza, oltre che di foreste, anche di “praterie, terreni coltivati” di proprietà privata e di “case sparse e piccoli agglomerati urbani”, per complessivi 21.200 ettari nelle due Regioni). La fauna del parco è caratterizzata da una buona ricchezza in specie e ne rispecchia l’integrità e la varietà ambientale. Tra i mammiferi (cinghiali, caprioli, daini, cervi, mufloni, tassi, volpi, donnole, faine, puzzole, ecc.), si segnala il lupo (reintrodotto da non pochi anni) in un discreto numero di esemplari. Anche l’avifauna è ben rappresentata, conta infatti più di 80 specie nidificanti e molte di
Filari di cipressi nei dintorni di Galliano
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QUINDICESIMO ITINERARIO passo e svernanti: da segnalare molte specie legate ai boschi di alto fusto (sparviero, astore, allocco, cince bigia, cince mora e cinciarella, rampichino, picchio muratore, rosso maggiore e rosso minore, ecc.) e alle brughiere o praterie d’altura (falco pecchiaiolo, lodolaio, gheppio, passera scopaiola, culbianco, prispolone, ecc.), insieme all’aquila reale che dopo alcuni decenni è tornata a nidificare nell’area. Oltre che per i beni forestali e faunistici, il parco – in considerazione dell’alta piovosità – si fa apprezzare per l’abbondanza di acqua, sotto forma di sorgenti, tra cui quella celeberrima di Capo d’Arno con il suo “laghetto degli idoli” etruschi, e di innumerevoli ruscelli e torrenti limpidi, movimentati da frequenti cascate, alcune delle quali spettacolari come quella dell’Acquacheta nel versante romagnolo di S. Benedetto in Alpe, celebrata da Dante Alighieri, alta circa 80 m; sono anche presenti il lago artificiale di Ridraccoli (ricavato sull’alto corso del Bidente per dissetare la Romagna) e modesti ma numerosi acquitrini, disseminati nelle foreste (come la torbiera del Porcareccio). Ovviamente, centri di ragguardevole attrazione turistica sono sia i suoi celebri conventi/santuari di Camaldoli (col suo vicino eremo) eretto a partire dall’XI secolo e della Verna (costruito nel Monte Penna dopo che San Francesco vi ricevette le stimmate nel 1224), sia tanti borghi e castelli che sorgono fino alle quote di circa 700 m nel versante toscano e di circa 500 in quello romagnolo (Stia e Pratovecchio, Moggiona e Romena, Badia Prataglia e S. Benedetto in Alpe, Chiusi della Verna e Serravalle, ecc.), antiche vie mulattiere e altri storici percorsi, mulini e altri opifici ’andanti ad acqua’, rifugi alpini e cascine zootecniche di montagna, edifici religiosi isolati e metati di castagne, ecc., che in parte si sta recuperando e attrezzando per l’agriturismo e il turismo naturalistico ed escursionistico. L’ente parco è stato istituito nel 1993. Forte di un solido consenso guadagnato tra le amministrazioni e le popolazioni locali (persino tra i cacciatori!) ed erede
Mulino a vento di Monterifrassine nel territorio di Pontassieve
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QUINDICESIMO ITINERARIO di tradizioni amministrative di “buon governo” forestale e territoriale, ha già saputo conquistarsi un notevole prestigio, effettuando tra l’altro concreti interventi per la salvaguardia dei prati d’altura e la conversione dei cedui invecchiati, e per la pubblica fruizione dell’area protetta, come il restauro di ben 250 chilometri di itinerari e la costruzione di 5 percorsi didattici, 5 rifugi e numerose aree attrezzate, l’apertura di un giardino botanico a Valbonella (S. Sofia) e di una decina di centri visita e “sentieri natura” nei principali centri abitati e nei loro paraggi (per la secolare faggeta a Badia Prataglia, per la monumentale foresta di abeti circostante il monastero di Camaldoli, per il monte della Verna e di Chiusi della Ver- Le cascate dell’Acqua cheta na segnato dalla spiritualità francescana, per i castagneti di Castagno d’Andrea, ecc.). I risultati non hanno tardato a farsi vedere, tanto che un numero sempre maggiore di visitatori sono attratti dai valori essenzialmente ambientalistici del parco. Gli itinerari organizzati riguardano il Monte Penna e la foresta della Lama, il Monte Penna e La Verna, Campigna-Fonte del Raggio e Campigna-Monte Falco, Castagno d’Andrea-Sorgenti dell’Arno e Castagno d’Andrea-Monte Falterona, Eremo di Camaldoli-Passo della Calla ed Eremo di Camaldoli-Foresta della Lama, Chiusi della Verna-La Verna-Monte Penna-Melosa, Serravalle-Eremo di Camaldoli, Moggiona-Poggio Muschioso-Montanino, ecc. (Ceccolini e Cenerini, 1998; Guarducci e Rombai, 1999). Nella parte collinare meridionale tra Sieve ed Arno trovasi infine l’ANPIL di Poggio Ripaghera-Santa Brigida che grosso modo coincide con l’omonimo sito di importanza comunitario/SIC, istituita nel 1997: si estende per 470 ettari (ma con prospettive di allargamento a 600 ettari) nel settore sud-occidentale del complesso del Monte Giovi, nei pressi dell’abitato di Santa Brigida (Comune di Pontassieve), con i rilievi di Poggio Ripaghera 914 m, Poggio Abetina 857 m e Monte Rotondo 773 m e le più basse colline digradanti in parte sulla Sieve e in parte sull’Arno. In particolare, l’area comprende i versanti meridionali e occidentali del Poggio Ripaghera e del Poggio Abetina, caratterizzati da una morfologia prettamente montana con versanti boscati particolarmente acclivi e incisi da una fitta rete di corsi d’acqua minori. Prevalgono nettamente le arenarie, salvo nella parte occidentale ove affiora il calcare alberese: tale differenza geologica condiziona la natura del suolo e – con essa – la copertura vegetale, come dimostra la presenza del castagneto da frutto nei suoli acidi e subacidi derivanti dall’arenaria e Quindicesimo itinerario - Parchi e aree verdi
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QUINDICESIMO ITINERARIO
Santa Brigida
la presenza di specie calcicole (come quelle riconducibili alla classe Festuco-Brometea) nei suoli basici derivati dalla roccia calcarea. Più in generale, in dipendenza anche dalle condizioni climatiche e microclimatiche, si può dire siano presenti tutte le fasce vegetali che si susseguono dal piano basale a quello montano: infatti, esistono ora fitocenosi arboree e arbustive termofile (dominate dalla roverella per lo più nel settore occidentale, ma con presenza del leccio in alcune stazioni meridionali come a Pratellino e Belvedere), ora mesofile (dominate dal cerro e dal carpino con presenza del castagno quasi sempre ridotto a ceduo nei settori più freschi, più eccezionalmente dal faggio con stazioni ‘relitte’ nell’alta valle del Rio Polcanto e nel versante settentrionale del Poggio Abetina, oppure dalla prateria arbustata nell’esiguo orizzonte montano di Casa Meleto-Vetta Le Croci e Alberaccio), ora igrofile (ontano nero soprattutto lungo il corso del Rio Polcanto), tra rimboschimenti di quercia rossa e di conifere anche di vecchia data (come quelli di douglasia, pino nero e querce rossa di grandi dimensioni sulle pendici di Poggio Ripaghera). Tra l’altro, nell’area, e precisamente in località Il Fornellaccio e presso Santa Brigida, sono documentate le uniche stazioni italiane di Cistus laurifolius; esistono poi altri endemismi di particolare interesse botanico, quali il bucaneve e varie orchidacee (Lombardi, 1997): sono proprio tali endemismi a giustificare il suo status di SIC. L’area esprime pure beni culturali di rilievo, come il Santuario della Madonna del Sasso, assai venerato, la pieve di Lubaco e il castello del Trebbio, i resti del castello di Monterotondo e numerosi insediamenti rurali dalle più diverse tipologie architettoniche che fanno riferimento al lungo arco cronologico compreso tra i tempi comunali e quelli lorenesi (è il caso di tipiche ville-fattoria e case contadine, tra cui spiccano le turrite e medievali case da signore Le Colonne, Belvedere e Le Lucole e la villa e fattoria medicea La Rocchetta), il mulino a vento (di recente restaurato) di Monterifrassine, vari siti archeologici quali quelli di 148
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QUINDICESIMO ITINERARIO Montefiesole e Monte di Croce. Tutti questi beni sono collegati tra di loro mediante carrarecce e sentieri di grande interesse paesaggistico e panoramico, come i percorsi da Alberaccio al Santuario della Madonna del Sasso, da Alberaccio a Casa Peretola, da La Guardia a Fornellaccio per la Cascina di Monterotondo e il versante settentrionale di Poggio Abetina, da Pratellino al Giogo e quello da Le Lucole al Santuario della Madonna del Sasso. Lungo questi itinerari (specialmente quello segnato SB) spiccano le tipiche numerose burraie (di Caprile, Peretola, Pesciulle, Bacìo, Cascina di Monterorondo, Fontassenzio, Rocchetta, Violana, Monterinalda, Nannarino, ecc.), ubicate tra il santuario e i rilievi posti a nord (Poggio Ripaghera, Poggio Abetina e Monte Rotondo), presenze che stanno a testimoniare l’importanza che aveva nel passato l’allevamento stanziale e transumante di ovini nei poderi mezzadrili altocollinari detti cascine: trattasi di “edifici in muratura, a piano unico, in cui si cercava in ogni maniera di garantire una temperatura fresca, la più fresca possibile. Perciò la burraia era quasi sempre scavata o appoggiata a una scarpata rivolta a Nord, in un luogo ombroso, e soprattutto doveva avere una grande disponibilità di acqua fresca, proveniente da una vicina sorgente: era indispensabile per la produzione, lavorazione e conservazione del burro. Per mantenere una bassa temperatura all’interno, le burraie non avevano finestre: c’era solo una piccola, caratteristica presa d’aria sopra la porta di ingresso (“occhio”). Alcune avevano due stanze, ma la maggioranza era composta da un vano unico, coperto da una volta a botte, che ’penetra’ nel fianco della collina nel tentativo di nascondersi dal calore del sole […]. La produzione del burro in questi locali è durata fino al secondo dopoguerra poi, a partire dagli anni ’50, le cascine sono state progressivamente abbandonate e così le burraie, a parte rari casi, hanno subito un inevitabile degrado” (Bettini e Gargani, a cura di, 2006, pp. 58-61; Chiti Batelli e Fusi, 2001, Cartoguida del sentiero delle burraie; Lombardi, 1997; Ceccolini e Cenerini, 1998: Guarducci e Rombai, 1999). L.R.
La Sieve alla Rufina
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