Le pievi romaniche nei dintorni di Firenze
ppena fuori le mura due-trecentesche che recingevano la città, il territorio periurbano era ecclesiasticamente organizzato in plebati. La popolazione che viveva accentrata nei borghi e nei villaggi, così come quella degli insediamenti isolati che andavano nascendo con l’affermarsi della struttura poderile, faceva capo alle chiese plebane che punteggiavano la campagna attorno a Firenze. Attestatasi nell’alto medioevo, l’organizzazione ecclesiastica “per pievi” sottointendeva una tipologia insediativa che vedeva nel villaggio la normale forma di insediamento delle campagne. Nate come chiese pubbliche, immediatamente soggette al vescovo e le sole con funzioni battesimali, le pievi non erano sorte necessariamente in corrispondenza dei villaggi demograficamente più ricchi, ma si erano ubicate in funzione della viabilità, privilegiando gli agglomerati rurali che si trovavano nei punti ritenuti più adatti per la raccolta dei fedeli che vivevano nei territori sottoposti alla loro giurisdizione ecclesiastica (i plebati). Di qui la loro collocazione sulle principali strade che s’irradiavano dalla città (le “strate et vie mastre”): vedi la pieve
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La Pieve di Villamagna
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La Pieve dell’Antella
di Giogoli, che si trovava sulla via volterrana, la pieve di Settimo, nata sulla via per Pisa, la pieve di Ripoli, posta sulla via aretina, la pieve di Remole, sulla via “per quam itur ad Sanctum Petrum de Sieve”. Egualmente le pievi di Sesto, Campi e Brozzi si trovavano sulle strade per Prato e Pistoia, e così anche tutte le altre, che erano sorte nelle vicinanze di importanti vie di comunicazione o che comunque su di esse gravitavano. Lo stretto rapporto pievi/viabilità si era riflesso anche nella conformazione territoriale dei plebati, nel senso che l’aggregazione dei “popoli” dipendenti dalla pieve e costituenti il plebato si era attuata lungo l’asse rappresentato dalla via sulla quale la pieve era sorta. Come è risaputo, a partire dall’XI secolo, con il nuovo assetto raggiunto dalla Cristianità con l’attuazione della riforma della Chiesa, si verificò in gran parte dell’Occidente un diffuso rinnovamento dell’edilizia religiosa. La contemporanea crescita delle forze produttive conseguente alla generale fioritura economica permise alle popolazioni urbane, così come a quelle della campagna, di esprimere anche architettonicamente il ravvivato sentimento religioso. Così nell’ambiente rurale le modeste costruzioni plebane altomedievali vennero sostituite con nuovi edifici, e lo stesso avvenne per le piccole chiese “suffraganee” delle pievi, che andavano nascendo in corrispondenza dei villaggi La torre campanaria della Pieve di Cercina dove si addensava l’accresciuta popolazione.
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Il campanile della Pieve di Villamagna
Il campanile della Pieve Vecchia di Signa
La Pieve di Giogoli
In questo quadro va collocata, intorno alla metà dell’XI secolo, la realizzazione a Firenze della versione romanica della cattedrale di Santa Reparata, che portò alla sostituzione del vetusto edificio paleocristiano con una costruzione egualmente a struttura basilicale, ma caratterizzata da una gravità tutta
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lombarda nella divisione delle tre navate mediante archeggiature nascenti da poderosi pilastri quadrangolari. Nei decenni che seguirono, e soprattutto nel corso del XII secolo, il rinnovamento interessò anche le pievi, che nella maggior parte dei casi presero a modello la nuova cattedrale fiorentina. Si formò così l’architettura-tipo della pieve romanica del contado, che sarà una costruzione a impianto basilicale, con le tre navate divise da archeggiature su pilastri e concluse da una o tre absidi semicircolari. Pressoché assenti risulteranno essere i motivi decorativi (talvolta appariranno delle arcatelle pensili di ricordo lombardo a coronamento dell’abside, come nelle pievi di Villamagna e di Settimo), e negli edifici verrà solo valorizzata la bellezza della pietra, disposta a regolari filaretti di bozze rettangolari ben scalpellinate. Questo schema, che già caratterizzò la pieve delIl campanile a vela della chiesa di Carmignanello l’Impruneta (la prima ad essere rinnovata nel 1060, ma dell’edificio romanico rimangono solo alcuni elementi), fu poi ripetuto dalle pievi di Sesto, di Cercina, di Ripoli, di Villamagna, di Miransù, di Remole, di Santo Stefano in Pane, di Settimo. Ed anche le pievi di Campi e di Calenzano, seppure in seguito trasformate, denunziano di avere avuto in origine un impianto simile, espressione del carattere conserva-
L’abside della chiesa di San Marcellino a Ripoli
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L’abside della chiesa di Ontignano
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tore del romanico fiorentino, che solo marginalmente partecipò alle trasformazioni stilistiche e strutturali che ebbero luogo altrove, essendosi sempre richiamato anche negli esempi cittadini all’architettura paleocristiana. Le colonne, è vero, risultano sostituite da robusti pilastri quadrangolari, ma si conservarono le ininterrotte successioni delle archeggiature e mai si arrivò all’alternanza dei sostegni come nel romanico padano. Assolutamentre sconosciuta fu poi la copertura a volte (usata esclusivamente per i piccoli ambienti ipogei, come nelle cripte delle pievi di Giogoli, di Santo Stefano in Pane e dell’Impruneta), non per imperizia tecnica ma per una precisa scelta formale che optò per la tradizionale bellezza del tetto a capriate lignee. La semplicità stilistica e strutturale delle pievi si rispecchia anche nei campanili eretti a lato delle chiese, per lo più costituiti da robuste torri con scarse aperture alla sommità, in corrispondenza della Absidi della Pieve di San cella campanaria (vedi ad esempio le pievi di Ripo- Giuliano a Settimo li, di Miransù e di Signa). In taluni casi la torre è alleggerita da una successione di finestrelle monofore e bifore alternate, come nelle pievi di Giogoli, Villamagna, Remole e Antella, oltre che nel poderoso campanile dell’Impruneta, la cui mole ha le dimensioni di un cassero castellano. Singolare è infine poi la campanaria della pieve di Cercina, che ha la cella
L’interno della Pieve di Villamagna
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La torre campanaria della Pieve dell’Impruneta
Il campanile della Pieve dell’Antella
leggermente aggettante e, in origine, con bifore in ciascuna delle quattro facce della stessa. Solo alcune pievi (San Martino a Brozzi, San Giovanni Battista a Signa e Santa Maria all’Antella) si caratterizzeranno per un impianto più semplice ad aula rettangolare, secondo una icnografia che sarà comunemente adottata, a più piccola scala, dalle chiesette suffraganee delle pievi sorte nei villaggi rurali di maggiore consistenza demografica. Il rinnovamento o, più spesso, la costruzione ex-nihilo dei piccoli edifici religiosi dei villaggi è un fenomeno che ci dà la misura della fervida attività edilizia che ebbe luogo nei secoli XII e XIII. Si tratta di decine e decine di chiesette che furono realizzate all’interno de vari plebati, sempre con l’intervento di maestranze specializzate, in non pochi casi quelle stesse che avevano prestato la loro opera nella ricostruzione delle pievi, come lasciano intuire talune concordanze stilistiche. Così, seppur di dimensioni ridotte, le costruzioni si distingueranno per la preziosità dei paramenti murari e per la perfetta esecuzione delle varie componenti architettoniche, comprese le parti esecutivamente più difficili, come gli archivolti e i portali. Il tempo ha infierito particolarmente sulle chiesette rurali, soprattutto a motivo dell’accrescersi della consistenza urbana della maggior parte dei villaggi, che ha implicato ampliamenti o radicali ricostruzioni, per cui le primitive strutture romaniche oggi sono appena avvertibili in qualche tratto di parete superstite. Non si dimentichi, infatti, che le piccole chiese erano nate per ospitare una popolazione quantitativamente modesta, le comunità contadine constando di poche decine di “fuochi”. Sono però rimaste pressoché indenni da manomissioni le chiesette di pertinenza di quei villaggi che in un certo senso si declassarono, trasformandosi in insediamenti poderali. Nei dintorni di Firenze non è così
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raro imbattersi in un piccolo edificio romanico ben conservato, che sorge a lato di una casa colonica. Vedi ad esempio la chiesetta ad una navatella absidata di San Bartolo a Carmignanello, che possiede ancora l’originale campaniletto a vela; oppure la chiesa di Santa Maria a Ontignano, che presenta nell’abside una fascia di grigia arenaria in contrasto con la prevalente tessitura in bianco alberese. E poi, ancora Sant’Andrea a Mosciano, Santa Margherita a Montici, San Gersolè, Sant’Andrea a Luiano, San Miniato a Quintole, San Gherardo a Villamagna, Sant’Andrea a Morgiano, San Jacopo a Montauto, Santa Lucia a Terzano, per citare alcuni edifici tra i più significativi. Altre piccole chiese sono state ormai raggiunte dall’accresciuto tessuto urbano della città: è il caso di San Bartolomeo al Gignoro, ad aula rettangolare senza abside, e di San Marcellino a Ripoli, che ha l’abside coronata da una cornice a dentelli di cotto e la copertura del catino absidale realizzata dicromicamente in laterizio e bianco alberese. Le chiesette, un tempo di pertinenza dei villaggi della campagna periurbana, costituiscono l’espressione più rappresentativa del “romanico rurale” ed hanno il potere di evocare quella che è stata definita la società “agro-monastica” del medioevo.
La zona absidale della Pieve di Legri
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