La “strata per quam itur ad Pontem de Sieve”
ll’inizio del XIV secolo il tracciato stradale che metteva in comunicazione Firenze con la val di Sieve era oggetto di particolari cure da parte della Signoria fiorentina, per l’importanza che tale via rivestiva per l’economia cittadina. A Pontassieve, infatti, la strada consentiva di raccordarsi con il più orientale dei percorsi transappenninici che si svolgevano per il contado fiorentino: la via che, per Dicomano, San Godenzo e l’Alpe di San Benedetto, portava in quella Romagna dalla quale provenivano le cospicue forniture di cereali indispensabili per coprire il fabbisogno alimentare della città. Pontassieve era quindi un nodo stradale di primaria importanza, tanto che da semplice villaggio nato in corrispondenza del ponte che attraversava la Sieve, poco prima della sua confluenza nell’Arno, si trasformerà, nella seconda metà del Trecento, nella “terra sive castri Sancti Angeli”, una delle principali “terre murate” dello stato fiorentino, come ancora denunziano i resti dell’organico sistema difensivo di cui venne dotata. La strada iniziava dal borgo formatosi all’esterno delle mura del 1171, e che aveva preso nome dalla chiesa cittadina di San Pier Maggiore. Fonti più tarde la fanno ovviamente cominciare dalla porta delle mura due-trecentesche: il quattrocentesco “Libro Vecchio di Strade” chiama infatti la via “Strada dalla Porta a Croce a San Godenzo”. Il tracciato iniziale si snodava parallelamente al corso dell’Arno e aveva dato vita, nell’area periurbana, a una serie di borgate divenute sedi privilegiate di quelle strutture ricettive, assistenziali e di servizio richieste dalle necessità di chi percorreva la strada. I piccoli agglomerati sono stati via, via fagocitati dallo sviLa Pieve di Remole luppo urbano di Firenze, che ha ormai
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Pieve di Remole, interno
raggiunto Rovezzano, ma nell’accresciuto tessuto abitativo della città gli antichi borghi sono ancora riconoscibili per le caratteristiche della loro edilizia. Un punto nodale dell’itinerario era costituito dalla pieve di San Giovanni Battista a Remole, il cui plebato si era conformato sul tracciato della via, come chiaramente denunziano i “popoli” delle chiese suffraganee della pieve, che nella loro successione ripropongono il percorso della via sino a Firenze (Le Sieci, San Donato a Torri, Compiobbi, Terenzano). A Remole la via si ramificava dando luogo a due tracciati: il primo (probabilmente il più antico) lasciava la
Incisione settecentesca raffigurante la Villa delle Falle dei SS. Guadagni dall’Opera
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Abside della Pieve di Lobaco
Facciata della Pieve di Lobaco
vallata dell’Arno e procedeva in direzione nord-est, passando per San Martino a Quona, la pieve di Montefiesole e San Pietro a Strada (toponimo, quest’ultimo, che ha conservato il ricordo dell’importanza dell’antico percorso). Raggiungeva poi il crinale delle colline che fanno da spartiacque con la val di Sieve e digradava quindi verso la Rufina. Il secondo ramo, che già all’inizio del XIV secolo doveva aver soppiantato l’altro, come la moderna strada statale si manteneva invece parallelo all’Arno dirigendosi verso Pontassieve. Prima di giungere alla pieve di Remole lungo la strada è tutto un succedersi di borghi sedi di attività manifatturiere (Girone, Compiobbi, Le Sieci). La linea ferroviaria Firenze-Roma, che costeggia la strada, già alla fine dell’Ottocento agì da catalizzatore per la nascita di industrie, del resto presenti nella zona sin dal medioevo, a motivo della presenza dell’Arno, come attesta l’antico molino di San Michele, a Rovezzano e, a Remole, ma dall’altra parte del fiume, il grandioso complesso delle Gualchiere, che costituisce uno dei più importanti esempi di archeologia industriale medievale. Più da lungi svettano la romanica torre campanaria della chiesa di Sant’Andrea a Rovezzano e i campanili delle altre chiesette che facevano capo alla pieve, nelle quali non di rado si conservano pregevoli opere due-trecentesche (a San Pietro a Quintole un affresco trecentesco che raffigura la Madonna col Bambino; a Sant’Andrea a Rovezzano una tavola rappresentante la Madonna col Bambino, di un anonimo pittore fiorentino del XIII secolo; a San Michele a Rovezzano, una Madonna in trono del cosiddetto “Maestro della Maddalena”, della fine del XIII secolo). La strada si svolge per la zona pianeggiante del fondovalle dell’Arno, ove un tempo venivano coltivati gli ortaggi per il mercato cittadino, oggi sostituiti dal-
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Incisione settecentesca raffigurante la Villa del Marchese Bartolini a Rovezzano
le colture delle aziende floro-vivaistiche. Tutto intorno è il caratteristico paesaggio collinare fiorentino, con la capillare distribuzione degli insediamenti poderili, gli appezzamenti di bosco che si alternano ai campi coltivati con la vite o con l’olivo, le imponenti ville-fattorie, come la tardo-cinquecentesca villa delle Falle, eretta da Gherardo Silvani per i Guadagni, la villa Montalbano o Rocca Tedalda, rifatta con gusto neo-medievale alla fine dell’Ottocento, la villa Frescobaldi, che fu già degli Albizi. La pieve di Remole è ubicata fra la strada e l’Arno: è un edificio a impianto basilicale che ripete i caratteri icnografici, stilistici e strutturali delle pievi romaniche del contado fiorentino. Le tre navate sono divise da archeggiature su semplici pilastri quadrangolari e originariamente erano concluse da tre absidi (il presbiterio fu ampliato nel XIV secolo). Un’agile torre campanaria aperta da monofore e bifore in successione, anch’essa di età romanica, è inserita nella parte sinistra della facciata. All’interno, oltre a una Crocefissione, opera di bottega del Botticelli, è una preziosa tavola cuspidata rappresentante la Madonna in trono col Bambino e Santi, di scuola fiorentina del Duecento. Poco prima di giungere alla pieve, una strada sulla sinistra, risalendo la vallecola del torrente Sieci, consente di raggiungere, prima la pieve di Lobaco e quindi il Santuario della Madonna del Sasso, due monumenti di notevole rilievo sia sul piano storico e che architettonico. Intitolata a San Martino, la pieve di Lobaco è una bella costruzione romanica ad un’unica, ampia navata conclusa da un’abside semicircolare. Recenti restauri hanno però dimostrato che originariamente l’interno era diviso in tre navate da alti pilastri che sostenevano direttamente la copertura lignea a capriate, come nella pieve di Sant’Agata di Mugello. La chiesa si distingue per la preziosità del suo rivestimento murario a filaretti di bianco alberese che, in cor-
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rispondenza dell’abside e della facciata, presenta una fascia decorativa in grigia arenaria. Poco oltre la pieve una diversione sulla destra conduce all’oratorio della Madonna del Sasso, un luogo di pellegrinaggio minore che ebbe notevole importanza nell’area fiorentina. Ove sorge il Santuario in origine era un tabernacolo la cui venerazione s’intensificò talmente da imporre la costruzione di un piccolo oratorio ove, secondo la tradizione, si verificarono nel 1484 delle apparizioni della Madonna a due pastorelle. La richiesta di una chiesa più ampia, ove Ella avrebbe dispensato grazie a chi degnamente le avesse richieste, fu espressamente formulata dalla stessa Madonna e confermata in una grande apparizione a tutto il popolo raccolto in preghiera il 22 agosto 1485. Si andò così formando l’attuale complesso del monastero, che consta di due ambienti principali: l’oratorio inferiore (o Cappella delle Apparizioni) e l’oratorio superiore (o Chiesa Nuova), un più grande edificio con pianta a croce greca, rinnovato in età barocca. Altre costruzioni si aggiunsero poi nel corso dei secoli per sopperire alle necessità dei pellegrini che sempre più numerosi affluivano al santuario: un portico, la “Casa del Cappellano”, le “Stanze delle Compagnie”, il “Macello”. Quest’ultimo era un ambiente ove a maggio e all’epoca dei raccolti si sacrificavano gli animali per riti propiziatori e di ringraziamento. Tornati alle Sieci, si prosegue con belle viste sull’Arno, raggiungendo in breve Pontassieve, l’importante “terra murata” fiorentina sorta ove la strada attraversava la Sieve, che proprio qui confluisce nell’Arno.
Villa il Poggiolo
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