La “strata de Sexto”
a strada per Sesto “incipit a Porta de Campo Corbolini” recita lo Statuto del Capitano del Popolo del 1322-1325 (Liber IV, Cap. VIII), aveva cioè inizio dalla Porta a Faenza, com’era anche denominata la porta delle mura due-trecentesche, i cui resti furono inglobati nella cinquecentesca Fortezza da Basso. All’inizio del Trecento evidentemente si preferiva chiamare la porta con il nome della vicina chiesa con annesso spedale templare di San Jacopo in Campo Corbolini, che tuttora con il suo loggiato si affaccia su via Faenza. La crescita della città nel corso del Novecento e la sistemazione delle aree al di là delle mura che per secoli avevano racchiuso il tessuto urbano, hanno pressoché annullato le testimonianze dell’antico tracciato della via, che acquistano una qualche consistenza, anche se sporadica, solo a partire dalla pieve di Santo Stefano in Pane, a Rifredi. A impianto basilicale, la chiesa con la divisione
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Villa Corsini
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Villa Loggia dei Bianchi
delle tre navate di cui consta con arcate nascenti da semplici pilastri quadrangolari ripete i caratteri tipici delle pievi romaniche della campagna fiorentina, anche se le sue arcate leggermente ogivali già preannunciano il gotico. Notevoli, al suo interno, oltre a una piccola cripta sotto il presbiterio, una terracotta invetriata della bottega di Santi Buglione, raffigurante il Matrimonio della Vergine, e una Madonna col Bambino di Cenni di Francesco di ser Cenni, inserita in una pala in terracotta di bottega di Andrea della Robbia. Proseguendo in direzione di Sesto non è raro incontrare, in via delle Panche o in via di Castello, stretti fra moderni palazzi condominiali, vetusti edifici già di pertinenza di insediamenti rurali conformati “a corte”, che riunivano in uno stesso resede la casa padronale e quella del mezzadro: sono le uniche componenti dell’attuale realtà abitativa che si rifanno in qualche modo all’antica strada. Le borgate che si succedevano lungo l’itinerario (Il Sodo, Castello, Quinto) sono state fagocitate dalla diffusa crescita urbana. Ma sulle basse colline che si affiancano alla strada, sulla destra, rimangono le testimonianze del paesaggio della campagna periurbana d’un tempo, nelle dimore signorili che costellano il territorio. Brevi deviazioni conducono infatti ad alcune tra le più prestigiose ville della campagna fiorentina, tutte dotate di parchi e di più o meno grandi giardini all’italiana. Anzitutto troviamo la villa La Quiete, già Palagio di Quarto, che nel 1438 fu donata da Firenze al condottiero Niccolò da Tolentino, passò poi ai Medici e dal XVII secolo divenne sede del Convento delle Montalve, che vi trasferirono il loro “Conservatorio”, istituto di istruzione ed educazione delle giovani nobili. Il nucleo più antico della villa è d’impianto quattrocentesco, ma non pochi dei corpi di fabbrica che la compongono risalgono all’Ottocento, così come la sistemazione del parco che si sviluppa oltre l’edificio della limonaia. A sinistra della villa, la via di Boldrone evoca l’antica via per Sesto, avendo conservato i caratteri delle strade suburbane dei secoli scorsi, grazie alle architetture degli edifici cinque-seicenteschi che la costeggiano, e alla presenza del monu-
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Villa di Castello
mentale Tabernacolo di Boldrone, una edicola a pianta esagonale con due colonne e due semicolonne ioniche a base attica, il cui interno era affrescato con una Crocefissione del Pontormo, staccata ed ora conservata presso l’Accademia delle Arti del Disegno. Non lontano è la villa Corsini, attribuita ad Antonio Maria Ferri, con la sua scenografica facciata, inquadrata da due pilastri. Si tratta di uno dei più significativi esempi di villa fiorentina tardo-barocca, con il suo parco, arricchito da una scultura del Tribolo, e con il suo giardino delle Quattro Stagioni, ampia esedra in cui sono disposte statue di pietra serena raffiguranti le stagioni.
Incisione settecentesca raffigurante La Villa della Petraia
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A sinistra della villa Corsini inizia la strada che conduce alla villa della Petraia, in origine “casa da padrone” dei Brunelleschi, passata poi ai Medici, che tra il 1576 e il 1594 la fecero ricostruire da Bernardo Buontalenti. L’antica dimora turrita fu allora inglobata in un nuovo edificio dalla nitida facciata intonacata, nella quale si aprono, in ordinata disposizione, finestre inginocchiate al piano terra e semplicemente incorniciate al primo piano. Il giardino all’italiana, che si estende dinanzi alla facciata, è disposto su tre livelli che digradano lungo pendio della collina: sulla terrazza più alta, ove è una fontana del TriboOratorio della Villa Loggia dei Bianchi lo, si gode di una splendida vista su Firenze. A monte e sulla sinistra della villa si estende poi un vastissimo parco con due peschiere, che si unisce a quello della vicina villa di Castello. Residenza preferita dai Medici, che ne entrarono in possesso nel 1477, la villa di Castello fu anch’essa originariamente una casa padronale fortificata, già ampliata sul finire del XV secolo e trasformata poi a metà del Cinquecento dal Tribolo, che ne regolarizzò i prospetti. Infine Bernardo Buontalenti ingrandì ulteriormente la costruzione, inserendo nella facciata un portale “a bugnato”, sor-
Villa Bianchini
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Villa Ginori a Sesto
montato da un balcone. Alle spalle della villa il duca Cosimo volle collocare il giardino, ideato da Benedetto Varchi e realizzato dal Tribolo, che contribuì con questa sua opera a fissare il tipo di giardino “all’italiana”. Disposto anch’esso a terrazze sul declivio della collina, il giardino doveva celebrare la casa Medici e la configurazione territoriale del ducato. Oggi restano tracce frammentarie del percorso figurato, oltre ad alcune opere, come la Fontana di Ercole e Caco, architettata dello stesso Tribolo, e il vivaio con la statua dell’Appennino, opera dell’Ammannati. Prossima alla villa di Castello, in via del Pozzino, è poi la villa Gilli, che appartenne a Giovan Francesco Grazzini, detto il Lasca. Notevoli in essa gli eleganti affreschi con cui Giovanni da San Giovanni ne decorò il cortile intorno al 1629. E tante altre ville, nella campagna all’intorno, gravitavano anch’esse sulla via per Sesto: dalla villa Baldini, poco prima di Quinto, ricostruita nel 1831 dal principe Borghese, che l’intitolò “Paolina”, dal nome della moglie Paolina Buonaparte, alla grandiosa villa Torrigiani; dalla villa Pecchioli o “la Mula”, la cui cantina è in realtà la cella funeraria di un tumolo etrusco, agli scenografici prospetti della villa Corsi-Salviati e della villa Bianchini, entrambe in prossiCasa con torre presso Villa Bellagio a Sesto mità di Sesto.
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Villa Corsini di Sesto in una foto d’epoca
Nato come villaggio aperto non lontano dalla pieve di San Martino, Sesto, con la fioritura della vita economica e sociale conseguente alla bonifica della piana tra il XII e il XIII secolo, crebbe talmente da essere scelto, assieme a Fiesole, come capoluogo di una delle circoscrizioni (le “Leghe”) con cui la repubblica fiorentina all’inizio del Trecento organizzò amministrativamente il suo contado. La crescita di importanza dell’insediamento fu tale da dare nome, abbiamo visto, a una delle “strate et vie mastre” che si dipartivano dalla città. Se il Palazzo Pretorio, ove aveva l’obbligo di risiedere sei mesi l’anno il Podestà, rappresentante della repubblica gigliata, era espressione del potere politico, la pieve di San Martino rappresentava il suo pendant sul piano spirituale. L’antica chiesa plebana, documentata dal IX secolo, esercitava infatti il governo religioso sui “popoli” all’intorno e non a caso costituiva il più cospicuo edificio chiesastico della zona. A impianto basilicale, con le tre navate divise da archeggiature su pilastri, ripeteva lo schema delle chiese La Porta Turrita del Castello di Calenzano plebane del contado fiorentino, ma
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Interno del Castello di Calenzano
Il Castello di Calenzano
forse con una più accentuata monumentalità, dovuta alle sue ragguardevoli dimensioni. Con il suo impianto romanico rimasto sostanzialmente integro (solo nel presbiterio sono stati in seguito operati alcuni interventi di ammodernamento), la chiesa rappresenta la principale testimonianza della storia medievale di Sesto. Oltrepassata Sesto, la strada proseguiva in direzione di Prato transitando per la borgata de Le Querce, dove si staccava, come oggi, la via che conduceva al castello di Calenzano. Posto alla sommità di una propaggine collinare dei monti della Caldana, Calenzano ha conservato una buona parte del trecentesco circuito murario con due porte turrite. Discosta dall’abitato, su un’altura di fronte al castello, sorge la pieve di San Donato, d’impianto romanico, ma completamente rinnovata nel Settecento.
Veduta dall’alto del Castello di Calenzano
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