Viaggio in Valdarno

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La strada dei Sette Ponti Un itinerario nel romanico valdarnese

L’abside e il campanile della pieve di San Pietro a Gropina, a Loro Ciuffenna: in alto, due dei celebri capitelli attribuibili a maestranze lombarde 130

IL VALDARNO SUPERIORE. Territorio, storia e viaggi


Settimo itinerario La strada dei Sette Ponti

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La pieve di San Pietro a Cascia di Reggello con la facciata ornata di graziose arcatelle pensili e l’elegante porticato

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lmeno sino a tutto il XII secolo l’arteria principale del Valdarno superiore si svolgeva sulla destra dell’Arno alle pendici del Pratomagno, seguendo un antico percorso, probabilmente di origine etrusca, riproposto dalla strada detta dei “Sette Ponti”. Soltanto nel Duecento, con lo sviluppo dei grossi centri del fondo valle e lo spopolamento della fitta rete di castelli e di insediamenti di altura, si assisterà allo spostamento dell’asse gravitazionale dell’intera valle sulla sinistra del fiume. L’antichità e l’importanza della direttrice stradale seguita dalla via dei “Sette Ponti” è testimoniata da un allineamento di pievi che costituisce un esempio paradigmatico dello stretto rapporto che si ebbe nel medioevo tra le chiese plebane e la viabilità. L’organizzazione ecclesiastica delle aree rurali e la nascita delle circoscrizioni facenti capo alle pievi (pivieri o plebati) iniziò a manifestarsi intorno all’VIII L’interno della pieve di San Pietro secolo. Le chiese che allora sorsero per a Cascia di Reggello “servire” la popolazione dei villaggi disseminati per la campagna tesero a ubicarsi in corrispondenza della principale via di comunicazione del territorio in cui nacquero, proprio perché dovendo fruire dei servizi della pieve più villaggi, essa doveva collocarsi in un punto dove era più facilmente raggiungibile da tutti, e di conseguenza lo stesso piviere si conformò in funzione della viabilità. La pieve fu quindi un importante organo di governo religioso e il suo ruolo territoriale deve anzitutto essere visto nel quadro di una precisa opera organizzatrice della Chiesa a fini religiosi, anche se per secoli le chiese plebane si trovarono a svolgere una funzione di supplenza nei riguardi del potere civile, svolgendo compiti più propriamente laici, specie d’ordine amministrativo. Le pievi di cui dicevamo si succedono lungo il percorso che fu privilegiato per i collegamenti tra Firenze il Valdarno superiore ed Arezzo sino all’epoca in cui si verificò quella che è stata definita la “rivoluzione stradale” del Duecento. Distribuite tra la diocesi di Fiesole e quella di Arezzo erano, seguendo l’allineamento da ovest ad est, le pievi di: Pitiana, Cascia, Sco, San Giustino e Gropina. Al di là del significato che rivestono per la storia del territorio, tali pievi nel loro insieme rappresentano la principale testimonianza dell’architettura romanica della regione valdarnese, che si differenzia dai caratteri del “romanico” delle aree contermini. Si tratta di edifici frutto anch’essi del vasto e capillare rinnovamento edilizio che interessò l’architettura religiosa nel XII se-

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La canonica di Sant’Agata in Arfoli mostra ancora i caratteri architettonici originari, al pari di quella di San Michele a Pavelli verso Figline

colo, protraendosi almeno sino alla prima metà del Duecento. Le costruzioni adottarono lo schema basilicale, ma a differenza della maggior parte delle pievi, sia del contado fiorentino che di quello aretino, ebbero le tre navate divise da monolitiche colonne di arenaria e curarono maggiormente il loro apparato decorativo, arricchendosi di sculture, specie nei capitelli. I lapicidi che operarono in queste pievi valdarnesi per lo più dovettero essere di provenienza padana e, accanto a una maniera decorativa arcaizzante, espressero modi tipici della più moderna scultura lombarda post-wiligelmica. Ma assieme ad essi dovettero operare maestranze locali e addirittura scultori culturalmente riferibili all’ambiente artistico provenzale, come nel caso della pieve di Gropina.

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La contemporanea presenza di influenze artistiche di matrice diversa, spiegabile con la facilità di collegamento del Valdarno con alcuni tra i principali percorsi che portavano al di là dell’Appennino (soprattutto la casentinese via dell’Alpe di Serra, considerata dai pellegrini d’oltralpe la “melior via” per Roma), è in particolar modo rilevabile appunto a Gropina. La chiesa costituisce il più cospicuo esempio di architettura romanica del Valdarno, sia per la monumentalità dell’edificio, sia per il complesso programma iconografico esplicitato dai suoi capitelli, che in qualche modo riflettono temi e simboli già apparsi nel grande ambone scolpito conservato all’interno, che recenti indagini hanno cronologicamente attribuito ad età altomedievale. Notevoli sono anche le pievi di San Pietro a Cascia e di Santa Maria a Pian di Scò. La prima ha i capitelli prevalen- La facciata della pieve di San Pietro temente decorati a motivi fitomorfici, a Gropina alternati a rappresentazioni allegoriche che si richiamano ai modelli di Gropina. Ha inoltre la facciata percorsa superiormente da una fascia decorativa formata da arcatelle pensili, impostate su peducci ed esili colonne, ed è arricchita nella parte inferiore da un porticato, frutto probabilmente di un intervento di età rinascimentale. Anche la pieve di Pian di Scò ha capitelli con decorazioni fitomorfiche che riecheggiano quelli di Gropina. La chiesa è il risultato di due diversi tempi di costruzione, tutta la prima parte, a partire dalla facciata, essendo frutto di un intervento successivo, come denunzia la maggiore accuratezza di esecuzione dei rivestimenti murari e la presenza nelle pareti esterne di un partito decorativo ad arcate cieche iscriventi il portale (in facciata), e di un ricorso di arcatelle pensili (nella fiancata sinistra). La pieve di San Giustino si differenzia dalle altre per avere le tre navate divise, dapprima da pilastri quadrangolari, poi, in prossimità dell’abside, da colonnati con capitelli affini a quelli delle altre pievi valdarnesi e con sculture egualmente riconducibili a maestranze lombarde. Solo la prima delle chiese plebane che la strada dei Sette Ponti incontrava nel suo percorso a partire da Firenze non presenta particolare interesse per l’architettura romanica. Si tratta della pieve di Pitiana, una costruzione eccezionalmente ad unica navata, che risulta oltretutto assai rimaneggiata: la sola torre campanaria, con successione di monofore e bifora, denunzia ancora gli originali caratteri del XII secolo.

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La facciata della pieve di Santa Maria a Pian di Scò

Due capitelli in stile romanico della pieve di Santa Maria a Pian di Scò

Il panorama del romanico valdarnese non sarebbe completo senza un accenno agli altri edifici religiosi di rilievo della regione, in specie alla pieve di San Romolo a Gaville, che si trova però sull’altro versante della vallata, non lontano da Figline, sulla via per il Chianti. La chiesa è a tutti gli effetti da apparentare al gruppo delle pievi della strada dei Sette Ponti, ripetendone la struttura a impianto basilicale, con le navate divise da pilastri e colonne, e presentando egualmente capitelli scolpiti con elementi fitomorfici e figurazioni umane e bestiali, in qualche modo rapportabili a quelli di Gropina. Sono anche da menzionare altri edifici plebani di più modesto rilievo, ma che si distinguono per aver conservato gli originari caratteri architettonici di età romanica. Vedi la triabsidata pieve di San Leonino a Rignano, dall’impianto basilicale, oppure la pieve di San Pancrazio presso Cavriglia, ad un’unica navata con presbiterio rialzato, sotto il quale si sviluppa la cripta. A questi edifici vanno aggiunte le chiesette suffraganee delle pievi, che costituirono un po’ il tessuto connettivo di quel grandioso e capillare fenomeno che fu il rinnovamento dell’edilizia religiosa tra XI e XIII secolo. Un esempio tipico di tali costruzioni è costituito dalla chiesetta di San Lorenzo a Casignano (Cavriglia), che ha conservato pressoché integro l’impianto romanico ad un’unica navatella absidata. Talvolta le chiesette suffraganee erano in realtà delle “canoniche” così dette perché in esse tenevano vita comune, alla maniera dei monaci, dei canonici, sacerdoti secolari dediti all’apostolato e all’assistenza, specie ospitaliera, donde l’ubicazione delle chiese canonicali in corrispondenza di vie di comunicazione assai transitate. Sant’Agata in Arfoli (Reggello) e San Michele a Pavelli (Figline) sono due esempi di canoniche del Valdarno che ancora mostrano i caratteri architettonici originari non dissimili da quelli delle altre chiesette suffraganee. Ma sono molte altre le espressioni del romanico minore e minimo della regione che attendono ancora di essere “scoperte” e segnalate!

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L’interno della pieve di San Giustino con le tre navate divise da pilastri quadrangolari che in prossimità dell’abside lasciano il posto a colonne con capitelli di sapore lombardo

La pieve di San Romolo a Gaville, affine alle chiese “sorelle” sulla strada dei Sette Ponti che però si trova sul versante opposto della vallata

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