Viaggio in Valdarno

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Il rinnovamento dell’edilizia rurale Nuove tipologie architettoniche nel solco della tradizione

N

ella seconda metà del Settecento, sull’onda delle riforme leopoldine, e con il processo di modernizzazione dell’agricoltura che ne conseguì, portando a cospicui investimenti in sistemazioni poderili (bonifiche e piantagioni), iniziò nelle campagne della Toscana interna, area di diffusione della mezzadria, un processo di rinnovamento dell’edilizia rurale.

La casa colonica, nelle sue tipologie fondamentali rappresenta anche nel territorio del Valdarno un importante patrimonio storico-architettonico e, opportunamente riattata, una risorsa abitativa e turistica 152

IL VALDARNO SUPERIORE. Territorio, storia e viaggi


Decimo itinerario Il rinnovamento dell’edilizia rurale

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Una casa colonica in una foto degli anni Sessanta, nei pressi di Castelfranco di Sopra

Nel Valdarno superiore, ove peraltro fu portata a compimento una vasta operazione di bonifica del fondo valle nel tratto fra Incisa e Montevarchi, il rinnovamento ebbe manifestazioni ragguardevoli. Non furono pochi i grossi proprietari (Serristori, Rinuccini, Ricasoli, Bartolini, Inghirami, ecc.) che, recependo i valori etici e culturali di stampo illuministico che stavano alla base della politica del granduca Pietro Leopoldo, si dettero a rinnovare le abita-

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Decimo itinerario

Una casa colonica datata 1775, nei pressi di Badia Agnano

zioni dei loro “lavoratori”, com’erano chiamati allora i mezzadri. Numerose, specie nelle fattorie situate nei fertili terreni di piano o di bassa collina, furono così le case coloniche ricostruite “sopra un elegante disegno di un abile architetto”, onde rispondere alle esigenze di miglioramento e di razionalizzazione delle abitazioni rurali. Alle primitive, modestissime, case “su podere”, non di rado rappresentate da costruzioni precarie (“case di terra”), si sostitui-

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Una casa colonica di impianto sette-ottocentesco, nei pressi di Castiglion Fibocchi

rono in tanti casi edifici che si uniformavano al modello di casa colonica elaborato dalla cultura architettonica ufficiale. La nuova edilizia sul piano estetico si riallacciava chiaramente alla tradizione artistica tardo-rinascimentale, ma nello stesso tempo teneva conto delle necessità pratiche dei contadini, in ordine all’esposizione dei vari ambienti, alla disposizione dei locali, all’articolazione degli spazi di vita e di lavoro, al fine di evitare, come scrisse uno dei progettisti, l’architetto granducale Ferdinando Morozzi (“Delle case de’ contadini. Trattato architettonico-agrario”, 1770), quegli “errori che sono molto funesti non solo alla vita de’ medesimi Contadini, quanto ancora di pregiudizio notabile all’interesse di chi possiede, che non ricava dalla possessione quel frutto compensativo, che egli si lusinga cavare da tante parti che devono somministrarglielo”. Il processo di rinnovamento continuò nell’Ottocento e i nuovi tipi edilizi si diffusero in modo più sistematico, secondo un processo di ammodernamento che si protrarrà sino all’inizio del XX secolo. Negli anni in cui anche l’agricoltura toscana cominciò a risentire della rivoluzione agraria in atto in tutta Europa, quando cioè tutta la struttura produttiva, pur rimanendo ancorata alla mezzadria, tese a trasformarsi in senso ancora più capitalistico, implicando un aumento della produttività, il conseguente aumento dei profitti rese possibili maggiori spese “per muramenti ed acconcimi”, come nei libri contabili delle fattorie venivano definiti gli investimenti per il miglioramento o la ricostruzione dei fabbricati. Scriverà Gino Capponi intorno alla metà dell’Ottocento, riguardo al rinnovamento dell’edilizia rurale allora ancora in atto: “…chi calcolasse il capitale speso negli edifizi rurali per crescere i comodi e i soccorsi alla coltura, e per migliorare l’abitazione del contadino, forse lo troverebbe anche superiore a quello impiegato direttamente in coltivazioni”. L’attività edilizia, infatti, con-

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Decimo itinerario

Una casa colonica tardo ottocentesca, nei pressi di Terranuova

templò non di rado anche la riorganizzazione di tutto l’articolato complesso di spazi, attrezzature e ambienti di cui consisteva il resede rurale di un podere, implicando ad esempio la costruzione ex-novo delle capanne per l’ammassamento e il ricovero del fieno e la realizzazione di pozzi e cisterne coperte, in ordine alle accresciute esigenze igienico-sanitarie. Il Valdarno si costellerà così di edifici colonici dalle forme regolari e volumetricamente definite, che denunziavano con evidenza di essere frutto di una progettazione preliminare. Le costruzioni consteranno infatti di masse compatte (cubi o parallelepipedi), quasi sempre sormontate da un torrino (la colombaia) oppure strette fra due piccole torri. Il loro schema varierà soltanto per le diverse soluzioni di superficie del prospetto principale, a seconda della distribuzione delle aperture e, soprattutto, per le diverse caratteristiche dei loggiati che, disposti per lo più su due ordini, potranno constare di due o più arcate. La chiarezza formale degli impianti, la proporzione tra le masse degli edifici e dei torrini, la ritmica sequenza delle arcate a catenaria dei loggiati, fanno di queste costruzioni un mirabile esempio di “manifestazione corale” della tradizione architettonica toscana. La loro frequenza in Valdarno – come ad esempio dimostra l’area delle Balze compresa nella fattoria Rinuccini dei Renacci (v. Secondo itinerario) – ha fatto sì che esse sono diventate uno dei tratti distintivi della regione che il granduca Pietro Leopoldo nelle sue “Relazioni” del 1777 definì “una delle più fertili province della Toscana, popolatissima e piena di gente industriosa”.

Il rinnovamento dell’edilizia rurale

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