Dal Chianti al Valdarno I collegamenti tra le due regioni attraverso la viabilità di crinale
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a modesta catena dei monti del Chianti, che costituisce a occidente la delimitazione geografico-fisica del Valdarno superiore, vede svolgersi lungo tutta la sua linea spartiacque una via “naturale” che già dovette far parte di un importante itinerario di origine etrusca. Il percorso, tuttora esistente solo per tratti, come tutte le vie di crinale doveva consentire di spostarsi su un terreno sicuro, dove l’orizzonte e la capacità di orientamento erano i più ampi possibili. Su tale antica direttrice viaria sin dall’antichità si innestarono i vari percorsi che, rispettivamente dal Valdarno e dal Chianti, risalivano la dorsale chiantigiana mettendo in comunicazione le popolazioni dei due versanti della catena. In anni recenti una serie di ricognizioni archeologiche, che hanno portato alla luce numerosi reperti di età etrusca e romana culminanti nelle rovine di un importante centro abitato (Cetamura), hanno consentito di individuare parti dei tracciati delle antiche vie che, una volta guadagnato il crinale, scendevano sull’opposto versante.
L’abbazia di San Lorenzo a Coltibuono, a cavallo tra Chianti e Valdarno 158
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Le testimonianze di questo sistema stradale “a spina di pesce” sono ben più numerose per l’età medievale, a iniziare dalla stessa conformazione delle circoscrizioni ecclesiastiche di base (i plebati) che denunziano con evidenza di essersi strutturate in funzione di tale viabilità. È significativo, ad esempio, che i territori dei plebati facenti capo a non poche pievi del Chianti o del Valdarno, siano disposti “a cavaliere” della catena montuosa, avendo almeno una chiesa di loro pertinenza al di là del crinale. Così la pieve chiantigiana di San Pietro a Cintoia, che si proiettava in Valdarno con una buona metà delle sue chiese suffraganee; oppure la pieve valdarnese di San Giovanni a Cavriglia, che con la sua chiesa di Sant’Angelo a Sereto si estendeva al di là del crinale dei monti del Chianti. E lo stesso è verificabile per il plebato della pieve di Figline, così come per quelli di altre chiese plebane, sia dalla parte valdarnese che da quella chiantigiana. A partire almeno dal XII secolo e per tutto il medioevo troviamo notizie della presenza di spedali per pellegrini e viandanti nei plebati che si estendevano sui due versanti dei monti del Chianti. Dalle visite pastorali dell’ini-
Il rudere della rocca di Montegrossi, sul crinale dei monti del Chianti
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zio del Quattrocento sappiamo ad esempio che nel plebato di Figline si contavano cinque spedali, quattro in quello di Cavriglia e due in quello di Gaville: la loro presenza costituisce un chiaro indizio dell’esistenza di vie di comunicazione assai transitate. Del resto è significativa anche l’ubicazione delle due abbazie vallombrosane di San Lorenzo a Coltibuono e San Cassiano a Montescalari: entrambe si trovavano in corrispondenza di valichi cui facevano capo percorsi che dal Valdarno si dirigevano in Chianti. Sappiamo infatti che l’attività delle istituzioni monastiche prevedeva anche l’assistenza ai viandanti: e di uno spedale dipendente dell’abbazia di Montescalari (“Spiltalini” = Spedalini) si ha notizia sin dal XII secolo! Oltre ai documenti scritti, il territorio stesso conserva memoria dell’importanza che ebbero nel medioevo taluni dei percorsi che mettevano in comunicazione il Valdarno col Chianti. Sulla strada che risaliva la valle del Sezzate per poi, oltre il Una finestra della rocca di Montegrossi passo del Sugame, digradare in Valdarno (e sul cui tracciato si trovavano le pievi di Cintoia e di Gaville), in prossimità del Ponte agli Stolli, all’attraversamento del torrente Cestio, era un antico ponte ad un’unica arcata, distrutto nel 1944, del quale rimangono le poderose “spalle”. Sulla via che da Gaiole risaliva la valle del torrente Massellone, affluente dell’Arbia, in corrispondenza del valico, non solo si ubicò l’abbazia di Coltibuono, ma sorse anche, sul poggio omonimo, il castello di Montegrossi, le cui grandiose rovine ancora si ergono a dominare la strada. Già residenza feudale dei Firidolfi, il castello costituì significativamente uno dei fulcri del potere imperiale in Toscana all’epoca di Federico I, ed entrò poi a far parte dell’organizzazione difensiva fiorentina. La formidabile posizione di Montegrossi consentiva al fortilizio di controllare nel contempo Chianti e Valdarno, così come faceva il castello di Galatrona che sbarra il cammino a chi digrada nella piana valdarnese dopo aver superato la dorsale chiantigiana al valico di Monteluco della Berardenga, usato da un altro dei percorsi più transitati nel medioevo. Tuttora l’alta torre di Galatrona, che rappresenta il principale residuo di un castello che fu dei conti Guidi e poi dei Tarlati, con la sua imponenza costituisce un punto di riferimento obbligato del paesaggio del versante dei monti del Chianti che guarda il Valdarno e la Val d’Ambra.
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Su altri percorsi di valico che rivestirono nel medioevo minore importanza rimangono testimonianze dei transiti, non soltanto locali, che vi si svolgevano. Ăˆ il caso ad esempio della via di Casignano, che prende nome dal piccolo abitato posto sul ripiano di un alto sperone che si distacca dai monti del
La torre di Galatrona, in prossimitĂ del valico di Monteluco
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Chianti in corrispondenza del Poggio La Pietraia. La strada per buona parte è attualmente ridotta a mulattiera ma della sua importanza in passato fanno fede, a Casignano, i resti medievali di uno spedale posto dinanzi alla chiesetta romanica di San Lorenzo, già suffraganea della pieve di San Pancrazio.
La chiesetta di Casignano, cui era annesso uno spedale
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