Un itinerario nell’archeologia industriale Opifici e ciminiere: la “rivoluzione” manifatturiera
Il Valdarno Superiore nell’Atlante di Attilio Zuccagni Orlandini 164
IL VALDARNO SUPERIORE. Territorio, storia e viaggi
Dodicesimo itinerario Un itinerario nell’archeologia industriale
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Uno storico opificio a Levane (Montevarchi), costruito nel 1903 (v. pag. 169)
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na delle grandi tavole che compongono l’Atlante geografico, fisico e storico del Granducato di Toscana, di Attilio Zuccagni Orlandini, che vide la luce nel 1832, è dedicata al Valdarno superiore. Nel testo che accompagna la tavola descrivendo la regione si accenna alla relativa povertà di industrie del comprensorio dovuta, si dice, “alla vicinanza alla capitale, che rende poco solleciti gli abitatori del territorio a cercar lucro nelle manifatture; poiché trovandosi in essa fabbricazioni e mestieri di ogni genere, e con maggior raffinamento e più sicuro smercio esercitati, riuscirebbe assai rischioso tentarne la concorrenza”. Quindi si elencano le principali fabbriche, per lo più ubicate a Figline, San Giovanni e Montevarchi, costituite da fornaci di terraglie e di vetro, fabbriche di cappelli di pelo, di lavori di ferro (coltelli e bullette), di tele di canapa e di lino, di cordami e di “cigne per bestiame cavallino”. Sempre si trattava tuttavia di modeste realtà manifatturiere che, per tecnologie adottate e per modo di organizzare la produzione, erano ancora tipiche espressioni dell’età pre-industriale. Con l’Unità d’Italia e il forte impulso che venne subito dato alla costruzione delle ferrovie, operazione che avrebbe favorito l’unificazione anche sul piano economico e sociale, fu decisa nel 1861, e completata in cinque anni, la costruzione della linea Firenze-Roma, transitante per Arezzo. Ancora una volta agì la vocazione viaria del Valdarno, che fu attraversato per tutto il suo sviluppo longitudinale dalla strada ferrata che univa Firenze con la futura capitale d’Italia.
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Dodicesimo itinerario
Tra le conseguenze del passaggio della ferrovia fu la fioritura, nei decenni successivi, di tutta una serie di iniziative industriali di non trascurabile rilievo le cui tracce, a livello di archeologia industriale, sono ancora rilevabili sul territorio. Non è raro il caso, infatti, di imbattersi in Valdarno, specie nei centri abitati del fondovalle, in antichi opifici che hanno conservato in una qualche misura le linee architettoniche tipiche delle fabbriche dei decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento. Lo stesso grande viadotto ferroviario di Bucine costituisce uno dei più begli esempi di architettura ottocentesca legata alla costruzione della rete ferroviaria italiana. Realizzato nel 1863, il ponte fu danneggiato dagli attacchi aerei dell’ultimo conflitto, ma si presenta ancora con i caratteri dell’impianto originario. Nel 1872 venne fondata la Società Italiana per l’Industria del Ferro, che utilizzando i banchi di lignite affioranti nella zona di Castelnuovo dei Sabbioni a Cavriglia, darà vita alla grande ferriera di San Giovanni Valdarno. Lo stabilimento, passato nel 1880 alla Società Anonima delle Ferriere Italiane, costituì il risultato dell’esperienza imprenditoriale di Wilfredo Pareto. Il carattere edilizio dell’opificio ottocentesco, è ancora oggi evocato dal lungo e massiccio fabbricato rivestito in laterizio, all’ingresso di San Giovanni, disposto tra la strada e la ferrovia.
Il complesso delle ferriere di San Giovanni Valdarno all’ingresso del centro abitato
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Dodicesimo itinerario
Il Viadotto della ferrovia Firenze-Roma presso Bucine, realizzato nel 1863 (v. pag. 167)
Una tipica attività industriale valdarnese che prese avvio nella seconda metà dell’Ottocento fu lo sfruttamento dell’anidride carbonica (comunemente chiamata acido carbonico), dapprima per la produzione della biacca, una vernice usata per trattare le imbarcazioni di legno, quindi per le più diverse applicazioni in campo chimico e per la produzione di ghiaccio secco. Utilizzando le locali sorgenti di acque acidulo-minerali, ricche appunto di anidride carbonica, sorgerà a Poggio Bagnolo, presso Pergine, un grande stabilimento che sin dai primi anni del Novecento sarà leader a livello nazionale per l’estrazione e la commercializzazione dell’acido carbonico. Naturalmente la fabbrica, ancora attiva, si è notevolmente ampliata, ma conserva pur sempre una parte della primitiva costruzione realizzata negli ultimi anni dell’Ottocento. Sempre sul finire dell’Ottocento assumerà un particolare rilievo, specie in Val d’Ambra, la trattura della seta, passando dalla fase domestica a quella industriale. La lavorazione si concentrerà in due grandi filande, la più antica delle quali fu realizzata a Pieve a Presciano (Pergine), l’altra ad Ambra. Entrambi gli stabilimenti – come uno, analogo, a Montevarchi – si sono conservati (la loro attività si è protratta sino al secondo dopoguerra), ma di particolare rilievo per l’archeologia industriale è soprattutto quello di Pieve a Presciano, che presenta ancora integri i diversi ambienti destinati alla lavorazione della seta, nonché il forno con l’alta ciminiera. Ampie costruzioni, che denunziano chiaramente la vetustà del loro impianto, e che spesso ancora ospitano attività manifatturiere anche se diverse da quelle originarie, appaiono qua e là nel panorama urbano dei principali centri del Valdarno. Già ai margini degli abitati, sono state ormai raggiunte dall’espansione del tessuto edilizio conseguente al recente sviluppo urbano: ve ne sono non solo a Montevarchi, Figline o San Giovanni Valdarno (nell’ultimo abitato spicca la grande vetreria da poco ben recuperata), ma anche in altre località minori del fondovalle, quali Laterina o Levane. In quest’ultima, circondata da edifici per civile abitazione che la circondano da ogni lato, una fabbrica con tanto di ciminiera e di targa che ne ricorda l’anno di costruzione (“1903”), ancora prosegue la sua attività testimoniando l’antichità della presenza delle attività industriali nel piccolo centro valdarnese.
Gli edifici della filanda di Pieve a Presciano presso Pergine
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