Viaggio in Valdarno

Parchi e beni naturali Il sistema dei parchi e delle aree protette

itinerario comprende quelle parti del territorio valdarnese che dispon’ L gono già di un sistema di aree naturali protette piuttosto ragguardevole

e di un sistema di SIC/SIR (Siti di importanza comunitaria e Siti di importanza regionale) sanciti da normative dell’Unione Europea: un sistema di parchi e siti realizzato tra gli anni ’90 e 2000. In pratica, si sono costituiti due subsistemi di parchi nel versante del Pratomagno e lungo l’Arno e gravitanti direttamente o indirettamente sul fiume.

Il primo sub-sistema abbraccia le aree pedecollinari e collinari-montane, ubicate essenzialmente a nord dell’Arno, ed è costituito dalle anpil (aree naturali protette di interesse locale) della Foresta di Sant’Antonio (Comune di Reggello), de Le Balze (due aree autonome ubicate rispettivamente nel Comune fiorentino di Reggello la prima e nei Comuni aretini di Castelfranco di Sopra, Loro Ciuffenna, Pian di Scò e Terranuova Bracciolini la seconda) e dell’arboreto monumentale di Moncioni (Comune di Montevarchi), oltre che

Le Balze nel Comune di Reggello, estremo residuo del fondo del lago che tra Pliocene e Pleistocene copriva la conca del Valdarno 176

IL VALDARNO SUPERIORE. Territorio, storia e viaggi

Quattordicesimo itinerario Parchi e beni naturali

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dalla riserva naturale statale biogenetica di Vallombrosa (Comune di Reggello), che rappresenta il fiore all’occhiello dell’intero patrimonio protetto.

Il secondo sub-sistema è quello delle zone umide ed è composto da due riserve naturali regionali – quelle della Valle dell’Inferno e Bandella e di Ponte a Buriano e Penna – e dall’anpil della Garzaia di Figline Valdarno.

L’itinerario non ignora altre aree di rilevante importanza ambientale e paesistiche, disposte lungo il fiume, che in futuro potrebbero arricchire il sistema dei parchi valdarnesi.

Da Firenze, per la strada di Pontassieve e della Consuma, con deviazione per Pelago e Vallombrosa, si perviene alla RISERVA NATURALE STATALE B IOGE NETICA DI VALLOMBROSA. Istituita nel 1977 dal Ministero dell’Agricoltura e Foreste, si estende per circa 1270 ettari nel versante occidentale del Pratomagno, propaggine dell’Appennino che dal Monte Falterona si dirige verso sud (Comune di Reggello).

Occupa ambienti collinari e soprattutto montani (con altimetrie comprese tra 500 e 1450 m) caratterizzati da forti pendenze e da numerose vallecole incise da brevi torrenti (come il Borro di Lagacciolo che fa da limite ad ovest), che sono alimentati dal ricco sistema sorgentizio locale.

L’orografia montana, i caratteri geologici (l’area è costituita da potenti banchi di arenaria) e i caratteri climatici (specialmente le abbondanti precipita-

La foresta di Vallombrosa, eretta in Riserva Naturale Biogenetica con estese fustaie di abete bianco

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Quattordicesimo itinerario

La cappella di San Girolamo a Vallombrosa

zioni) hanno senz’altro favorito la millenaria opera selvicolturale, svolta dal Medioevo al XIX secolo dai monaci della locale grande e monumentale abbazia benedettina e successivamente dal Corpo Forestale dello Stato, ai fini di assestamento/miglioramento e di coltivazione delle risorse boschive.

In particolare, la costante attività degli esperti forestali di Vallombrosa era diretta all’impianto e alla gestione – negli ambienti del querceto deciduo (cerro) nelle fasce inferiori e della faggeta nelle fasce superiori – di estese fustaie di abete bianco e altre conifere, utilizzate per ricavare grandi travi che poi, portate al porto di S. Ellero, venivano fluitate ‘in foderi’ nell’Arno fino almeno a Firenze, e di castagno (utilizzate essenzialmente in funzione alimentare, per il frutto e per l’allevamento dei suini). Oggi, circa metà del territorio è occupato da formazioni boschive pure di abete bianco, non più tagliate a raso come nel passato, ma gestite in maniera conservativa per tutelare un patrimonio di grande valore storico-ambientale (Ceccolini e Cenerini, 1998), e da boschi misti di faggio e abete, molto interessanti sia dal punto di vista tecnico forestale che naturalistico. Nelle zone più elevate sono particolarmente estese le faggete, sia di alto fusto che cedue, mentre nelle fasce sottostanti sono presenti rimboschimenti a prevalenza di pino laricio, abetine di abete americano e castagneti.

Vallombrosa, divenuta con l’unità d’Italia “bene inalienabile dello Stato” e per più di un secolo sede della prima e celebre scuola forestale, ospita inoltre uno dei più importanti arboreti d’Italia e d’Europa nel quale vegetano oltre 3000 esemplari di 1300 specie diverse (Nuzzo et alii, 1998): una struttura che – con il grande laboratorio all’aperto della foresta ove natura e cultura si compenetrano profondamente, penetrabile mediante una fitta rete di sentieri – si presta mirabilmente ad esperienze di didattica ed educazione ambientale, grazie alla competente collaborazione del corpo delle guardie forestali.

Ricco risulta il patrimonio faunistico: oltre ai grandi mammiferi (cinghiale, capriolo, daino, ghiro e lupo), tra gli uccelli sono segnalati i rari rampichino alpestre e astore.

Forte è l’utilizzazione turistica: Vallombrosa/Il Saltino, anche per il suo clima fresco e la presenza di amene praterie ed ombrose foreste, fin dal primo Novecento costituisce un’apprezzata stazione di soggiorno montano, con numerosi esercizi alberghieri ai quali prima della seconda guerra mondiale si

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accedeva mediante una piccola ferrovia a cremagliera dalla stazione di S. Ellero sulla Firenze-Arezzo, poi distrutta. Purtroppo non mancano problemi di degrado che investono il comprensorio, come i ripetitori, le pale eoliche ed altre costruzioni poco compatibili con lo status di un’area protetta (e che ’affollano’ soprattutto la prateria d’altura del panoramico Monte Secchiata), le piogge acide che da anni colpiscono la foresta, l’intenso traffico automobilistico dei giorni festivi, ecc.

Fra i beni di rilevanza culturale, si segnala, oltre alla splendida abbazia, fondata da S. Giovanni Gualberto nell’XI secolo e accresciuta e rimaneggiata fino almeno al XVIII secolo, di recente dotata di un prezioso museo d’arte, un vero e proprio percorso pedonale religioso e spirituale, storico-artistico e paesaggistico, formato da dieci cappelle che punteggiano il bosco a partire dall’abbazia, a valle, fino all’eremo delle Celle detto Paradisino, a monte, raggiungibile mediante la breve ma erta salita del Calvario; un insieme consolidatosi tra il XVI e il XVII secolo, nel periodo di massimo splendore del cenobio vallombrosano, che costituisce oggi un vero e proprio museo all’aperto. Ognuna di queste cappelle segna un luogo particolare, uno spazio con forte valenza religiosa, ed è legata ad una storia precisa che si rifà ad episodi della vita dei monaci e dello stesso padre fondatore (Gabbrielli e Settesoldi, 1977 e 1985; Gabbrielli e La Marca, 1990; Giunta Regionale Toscana, 1994; Nuzzo et alii, 1998; Ceccolini e Cenerini, 1998; Guarducci e Rombai, 1999; Caneva, a cura di, 2007, pp. 135-137).

Proseguendo per Reggello, s’incontra l’AREA NATURALE P ROTETTA DI I NTERES SE LOCALE DELLA FORESTA DI S. ANTONIO. Istituita nel 1997, dopo che – soprattutto per merito dell’azione ferma e convinta del biologo Gabriele Oliva, presidente del locale Circolo di Legambiente – fu possibile sconfiggere l’applicazione di piani di assestamento forestale incompatibili con lo status di patrimonio demaniale (Oliva, 2004, p. 6), si estende per 926 ettari in terreni alto-collinari boschivi che, a sud-est di Vallombrosa, vanno ad affiancarsi e ad allargare la celebre foresta monastica nella parte collinare-montana del Comune di Reggello.

Fin dal Medioevo fece parte del patrimonio forestale vallombrosano, e in futuro le due aree dovrebbero andare a formare insieme una riserva naturale (preclusa alla caccia) di quasi 2300 ettari di superficie, a costituire uno straordinario “polmone” verde a poche decine di chilometri da Firenze che dovrebbe incorporare pure l’istituendo parco archeologico del Poggio alla Regina (caratterizzato da un insediamento fortificato medievale fatto oggetto di attenti studi e campagne di scavo dall’équipe dell’Università di Firenze diretta da Guido Vannini).

La gestione spetta al Comune di Reggello in collaborazione con il Corpo Forestale dello Stato e con la Comunità montana della Montagna Fiorentina, in considerazione anche del carattere demaniale del bene.

L’area abbraccia i Siti di Interesse Comunitario Vallombrosa e Bosco di S. Antonio e Pascoli montani e cespuglieti del Pratomagno, individuati dalla Regione Toscana in base alla Direttiva Habitat n. 92/43/CEE e alla L.R.

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Faggi nella foresta di Sant’Antonio

Il faggione di Prato a Marcaccio

56/2000; è compresa tra il crinale del Pratomagno (che a Poggio della Risala sfiora i 1500 m di altitudine) e Case Lavane poco a nord dell’abitato di Reggello, comprendendo un sistema collinare-montano di rocce arenacee, dalle ripide pendici con balze rocciose e incisioni torrentizie profonde (determinate dai torrenti Resco e di Sant’Antonio), ricco di sorgenti di acque purissime fra le quote altimetriche di 600 e 1490 m.

L’area è rivestita soprattutto dal bosco ceduo di latifoglie decidue (dominate dal cerro con carpino, roverella, acero) e dai castagneti da frutto che occupano le fasce inferiori, e poi dal bosco pure ceduo di faggio (con nuclei d’alto fusto di pino nero, abete bianco, rosso e douglasia e con lembi di prateria e arbusteto d’altura) in quelle superiori. Depauperata dalla plurisecolare ceduazione e dai ricorrenti incendi, nell’ultimo dopoguerra l’area è stata oggetto di diffusi rimboschimenti di conifere, ma mantiene comunque ancora ben visibile il suo carattere originario dato dalla dominanza delle latifoglie decidue.

La fauna è varia ed abbondante, grazie agli ungulati (caprioli, daini e cinghiali), ai mammiferi minori (lepre, tasso, ghiro, istrice, faina e volpe), ai volatili (cincia mora, sterpazzola, codirosso, picchio muratore, merlo acquaiolo, cornacchia grigia, fagiano, cuculo, ghiandaia, rapaci come il gheppio e la poiana, lo sparviero e il barbagianni, la civetta e il gufo e l’allocco) e finalmente al lupo, di recente reintroduzione.

Al fine di accrescere il carattere di area ancora integra e naturale, sono in corso di esecuzione e in progetto interventi per il miglioramento ambientale (avviamento all’alto fusto dei cedui e mantenimento delle esigue radure ad arbusteto, come ambienti idonei alla fauna selvatica), il recupero delle Case Sant’Antonio come centro visitatori e della rete dei sentieri CAI per creare iti-

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Un suggestivo scorcio delle Balze di Reggello

nerari botanico-faunistici, per la cartellonistica e la realizzazione di materiale didattico-informativo e promozionale.

Insieme a Vallombrosa, la Foresta fa parte del SIC/SIR 46 Vallombrosa e Bosco di Sant’Antonio e del SIC/SIR 79 Pascoli montani e cespuglieti del Pratomagno. Quest’ultimo soggetto si estende per oltre 6700 ha nelle aree di crinale dei Comuni valdarnesi di Reggello, Pian di Scò, Castelfranco di Sopra e Loro Ciuffenna e in quelli casentinesi di Castel Focognano, Castel San Niccolò, Montemignaio, Ortignano Raggiolo e Talla, e si qualifica soprattutto per le sue praterie pseudoalpine appunto di crinale che ospitano un alto numero di specie erbacee e arbustive rare. Di notevole interesse per l’avifauna sono gli spazi rivestiti a brughiera, che ospitano svariate specie nidificanti, altrove poco diffuse (biancone, albanella minore, calandro, magnanina). Tali ambienti risultano vulnerabili per l’espansione naturale dell’arbusteto e del bosco e per i danni prodotti dalle attività antropiche (come ad esempio la mobilità dei mezzi fuoristrada) e necessitano pertanto di adeguati piani di gestione da parte del Corpo Forestale dello Stato (Billi, 1980; Elisi o Lisi, 1997; Guarducci e Rombai, 1999; Fontani e Meli, 2002; Oliva, 2004; Bettini e Gargani, 2006, pp. 62-66 e 106-109).

AREA NATURALE P ROTETTA DI I NTERESSE LOCALE LE BALZE (COMUNE DI REGGELLO). Istituita con delibera comunale del 2005, si estende per 1000 ettari nella parte occidentale dello specifico sistema geo-morfologico dei ripiani di sedimenti fluvio-lacustri di ciottoli e conglomerati, sabbie e argille ubicati in tutta l’area a nord dell’Arno, ai piedi del sistema montano del Pratomagno.

La gestione è affidata al Comune di Reggello e alla Comunità montana della Montagna Fiorentina.

L’area è costituita da un “susseguirsi di forme bizzarre, a piramide tronca”, sorta di spettacolari guglie e cattedrali gotiche con pareti verticali o “scoscese

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di colore giallastro”, alte decine di metri e “separate da profonde incisioni”, che si stagliano nettamente “sul verde sfondo dei boschi del Pratomagno” (Piccioli e Billi, 1996).

Le balze sono i resti del fondo del lago che tra Pliocene e Pleistocene ricopriva la conca tettonica valdarnese; esse conservano anche importanti resti fossili di piante e animali risalenti a 1-3 milioni di anni fa, molti dei quali (elefanti, ippopotami, rinoceronti, iene, tigri, conchiglie del lago che nel Quaternario antico o Pleistocene occupava il Valdarno di Sopra) hanno arricchito le collezioni paleontologiche dei musei di Storia Naturale dell’Università di Firenze e dell’Accademia Valdarnese del Poggio di Montevarchi.

L’area si qualifica per valori paesistico-ambientali eccezionali e quasi unici in Italia, ma appare scarsamente protetta dall’incessante opera di smantellamento degli agenti esogeni da un manto vegetale assai povero e pur tuttavia preziosissimo, di regola, costituito da ginestre e varie altre specie cespugliose, più raramente da querce e pini (piante che comunque stanno ricolonizzando aree dove da tempo sono cessate le tradizionali attività di pascolo e di coltivazione saltuaria): tanto che l’insediamento rurale e le colture agrarie (che caratterizzano le plaghe collinari circostanti e la pianura che si distende ai loro piedi) qui risultano assai poco presenti. Semmai, vi si trovano numerose piccole caverne scavate nella parte basale più sabbiosa per il riparo temporaneo degli uomini e degli animali.

L’area è ammantata da boschi di latifoglie decidue e sempreverdi – dominati rispettivamente da roverelle e cerri oppure dal leccio –, con vasti arbusteti a rovo, ginepro ed erica e con negli stretti ambienti riparii, lungo i corsi

Un’altra veduta delle Balze

Parchi e beni naturali

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d’acqua, i salici, i pioppi e gli ontani. È bene osservabile e raggiungibile dalla via dei Sette Ponti e dalle strade San Clemente-Valle della Marnia, Prulli-Vaggio, Vaggio-Casigliano, ecc.

Tale ambiente richiede un’opera attenta e continua sia di tutela idro-geologica e vegetazionale e di risistemazione ambientale delle cave dismesse, che di manutenzione e recupero delle opere antropiche (insediamenti, strade, sistemazioni agrarie) e di valorizzazione scientifica e turistica.

Da qualche anno, sono in progetto e in via di realizzo interventi per la manutenzione dei sentieri, per la sistemazione idraulica e il consolidamento del terreno anche a mezzo di piantumazioni arboree, per la segnaletica e la tabellazione, per il recupero del patrimonio storico-architettonico (Billi, 1980; Piccioli e Billi, 1996; Guarducci e Rombai, 1999; Oliva e Pischedda, 2004; Bettini e Gargani, 2006, pp. 67-70).

L’area protetta de Le Balze continua oltre Reggello e il confine provinciale fiorentino. Proseguendo, per l‘antica via dei Sette Ponti per Pian di Scò-Castelfranco di Sopra-Terranuova Bracciolini-Loro Ciuffenna, con imbocco di vasi diverticoli verso l’Arno, s’incontra infatti l’AREA NATURALE PROTETTA DI INTERESSE LOCALE LE BALZE (COMUNI DI CASTELFRANCO DI SOPRA, LORO CIUFFENNA, PIAN DI SCÒ E TERRANUOVA BRACCIOLINI). Istituita con delibere comunali del 1998, si estende per 3089 ettari nella parte orientale dello specifico e suggestivo sistema dei beni geo-morfologici dei ripiani di sedimenti fluvio-lacustri di ciottoli e conglomerati, sabbie e argille ubicati in tutta l’area a nord dell’Arno, ai piedi del sistema montano del Pratomagno (alle quote altimetriche di 280-300 m).

La gestione – d’intesa con le amministrazioni locali interessate e la Comunità Montana del Pratomagno – è provvisoriamente affidata al Comune di Terranuova Bracciolini, maggiormente interessato sul piano territoriale.

Anche questa area presenta gli stessi caratteri ambientali e paesistici del settore precedente, con le sue “forme bizzarre, a piramide tronca” e sorta di spettacolari guglie (Piccioli e Billi, 1996); tra l’altro, Le Balze valdarnesi e il Ponte a Buriano furono evocate in opere pittoriche di Leonardo da Vinci, come La Gioconda, la Vergine e Sant’Anna e la Madonna dei fusi (Starnazzi, 1997).

Anche per questa ragione, tale ambiente richiede un’opera continua – come da pochi anni si sta cominciando a fare – di tutela idro-geologica e vegetazionale e di risistemazione ambientale delle cave dismesse, e di manutenzione e recupero delle opere antropiche (insediamenti anche ipogei, strade, sistemazioni agrarie) e di valorizzazione scientifica e turistica.

Le Balze aretine sono percepibili e visitabili dai tanti diverticoli stradali della via dei Sette Ponti per Castelfranco-Treggiaia, Faella, Piantravigne, Poggitazzi, Montemarciano, Ganghereto, Campogialli, ecc. (Billi, 1980; Piccioli e Billi, 1996; Guarducci e Rombai, 1999; Oliva e Pischedda, 2004).

Proseguendo sempre per la via dei Sette Ponti e deviando verso l’Arno all’altezza di Figline Valdarno s’incontra, in località Carresi e Restone, l’AREA NATURALE P ROTETTA DI I NTERESSE LOCALE DELLA GARZAIA DI F IGLINE VALDARNO. Istituita nel 2003 su una superficie di 10 ettari, la Garzaia è facilmente raggiungibile da una traversa dell’Aretina ad est del centro abitato. Tale zona

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umida è presente lungo l’Arno in un bosco dell’antica fattoria Serristori, come forma accorta di rinaturalizzazione di vecchie cavità abbandonate dall’industria estrattiva di materiali alluvionali e di stoccaggio di inerti, Con i suoi laghetti contornati dalla tipica vegetazione igrofila (cannuccia e stipa) e il bosco di salici bianchi (d’inverno quasi sempre allagato), la garzaia in pochi anni ha acquisito importanza faunistico-ambientale sancita dall’istituzione nel 1995 – da parte della Provincia di Firenze – di una zona di protezione lungo le rotte di migrazione dell’avifauna: vi nidificano la nitticora e la garzetta, e vi si soffermano tante altre specie di uccelli per lo più migratori, come airone cinerino, airone rosso e airone bianco, tuffetto, cormorano, germano reale, gallinella d’acqua, folaga, cannareccione, pendolino, ecc. (Scoccianti e Tinarelli, 1999, pp. 92-95; Bettini e Gargani, 2006, pp. 37-39).

Proseguendo poi verso Levane (strettoia o gola del Ponte dell’Acqua Borra), s’incontra la RISERVA NATURALE REGIONALE DELLA VALLE DELL’I NFERNO E BANDELLA. Istituita con delibere regionale del 1995 e provinciale del 1996, si estende per circa 526 ettari intorno al fiume Arno tra il Ponte dell’Acqua Borra e il Ponte del Romito (Comuni di Laterina, Pergine Valdarno, Montevarchi e Terranuova Bracciolini), circa 10 km a valle dell’altra analoga riserva di Ponte a Buriano-Penna, nel Valdarno di Sopra.

Il bosco nella Valle dell’Inferno, Riserva Naturale regionale

Parchi e beni naturali

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La chiesa di San Martino a Pontifogno (Reggello) circondata dai boschi

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Comprende il bacino artificiale di Levane (costruito a fini idroelettrici negli anni ’50 del XX secolo), l’ansa fluviale del cosiddetto Lago di Bandella (creato dall’impaludamento del torrente Ascione tributario dell’Arno) con le aree circostanti al corso d’acqua. “Nella riserva naturale è presente la tipica vegetazione del Valdarno, caratterizzata da un’alternanza di boschi e di coltivi, in parte abbandonati. Nei versanti esposti a settentrione e lungo i ripidi impluvi dei borri troviamo boschi misti a prevalenza di querce quali il cerro e la farnia”, ormai rara nelle pianure toscane; invece, “nelle fasce ripariali sono presenti formazioni dominate da salici, pioppo nero e, più raramente, ontano nero e olmo campestre”.

Nei versanti esposti a sud sono presenti boschi misti dominati da roverella, mentre nelle stazioni più acclivi è presente il leccio con sottobosco di essenze tipiche della macchia mediterranea. La formazione del lago e di un’area palustre (ansa di Bardella) hanno determinato l’arricchimento della vegetazione preesistente con essenze igrofile”.

Ricca è l’avifauna nidificante (nibbio bruno, poiana, barbagianni, civetta, allocco, torcicollo, picchio verde, picchio rosso maggiore, martin pescatore, tottavilla, averla piccola, ecc.). “L’area riveste anche una certa importanza per la sosta dell’avifauna acquatica e costituisce, da questo punto di vista, un sistema integrato con la vicina Riserva Naturale di Ponte a Buriano e Penna”.

Nei periodi di migrazione, è consigliabile la visita dal buon punto di osservazione del ponte sull’Ascione (poco a sud della località Monticello).

Purtroppo, “la vegetazione igrofila e la fauna risentono negativamente delle forti e repentine escursioni del livello dell’acqua legate alla gestione della diga. A tal proposito è allo studio un progetto per la stabilizzazione del livello delle acque del Lago di Bandella” (Nuzzo et alii, 1998).

Invece, il progetto di creazione di una fascia di rispetto o “area contigua” al lago di Bandella nel Comune di Terranuova Bracciolini ha fino ad ora incontrato l’opposizione dei cacciatori e dei cavatori di inerti.

Sono ancora visibili nel territorio, come nelle zone circostanti, importanti segni e resti della presenza dell’uomo fin da epoche remote, a testimonianza dell’importanza del luogo dovuta sia alla ricchezza delle risorse naturali che alla sua collocazione strategica per il controllo delle vie di comunicazione. Si segnalano i resti di un mulino appartenuto ai monaci camaldolesi di Agnano, visibili soprattutto quando il livello delle acque è particolarmente basso; più a valle, lungo il fiume, in prossimità di Bandella, su un modesto rilievo, si trovano i ruderi del villaggio di Castiglioncello, la cui esistenza è documentata almeno dal XIV secolo; in posizione dominante sulla Valle dell’Inferno, era collocato l’originario insediamento di Castiglion Ubertini (distrutto nel 1342), oggi denominato il Castellare, i cui resti ricadono in un’area privata. Nelle immediate vicinanze della riserva, si segnalano la chiesa di S. Maria in Valle, la chiesa di Casanuova, la cappella di Sergine, l’insediamento di Monticello, la sorgente minerale già utilizzata in epoca romana nei pressi dell’Acqua Borra e, infine, il castello diroccato di Leona, oggi Levane Alta.

Parchi e beni naturali

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Nell’area protetta sono in corso interventi – in collaborazione con l’ENEL – per la realizzazione del centro visitatori (da adibire a studi e ricerche, informazioni, educazione ambientale, corsi per guide, ecc.), di aree attrezzate, di sentieri naturalistici, di segnaletica, e per il recupero ambientale e faunistico (Billi, 1980; Nuzzo et alii, 1998; Ceccolini e Cenerini, 1998; Guarducci e Rombai, 1999).

Circa 10 km a monte della riserva Valle dell’Inferno-Bandella, segue la RISERVA NATURALE REGIONALE DI P ONTE A B URIANO E P ENNA. Istituita con due delibere regionale del 1995 e provinciale del 1996, si estende per 666 ettari lungo l’Arno tra l’area boscata sottostante la diga di Penna e Ponte a Buriano, tra il Valdarno di Sopra e la piana di Arezzo (Comuni di Arezzo, Civitella in Val di Chiana e Laterina). È stata anche definita un’area contigua di 421 ettari.

Comprende il bacino artificiale di Penna (realizzato a fini idroelettrici nel 1958) con le aree circostanti il corso d’acqua, ove si colloca il notevole complesso monumentale medievale del Ponte a Buriano, con le sue splendide arcate a sesto ribassato, e del piccolo insediamento omonimo, che si ritiene immortalato da Leonardo da Vinci nel fondale della sua opera pittorica La Gioconda.

La valle scavata dall’Arno nel corso dei millenni, prima incidendo lo stretto dell’Imbuto e poi i depositi fluvio-lacustri e gli strati di macigno fino alla Penna, è da qualche decennio un vasto e tranquillo lago; alla confluenza con il Canale Maestro della Chiana, le acque lacustri si sono allargate occupando una vasta superficie e determinando l’ampliamento della zona palustre, con una modificazione notevole del paesaggio originario.

“Il paesaggio vegetale più diffuso è costituito da una caratteristica alternanza di coltivi e di boschi. Questi ultimi sono costituiti, nei versanti freschi e lungo i ripidi impluvi dei borri, da querceti a prevalenza di cerro e farnia, nelle aree umide si trovano salici, pioppi e, più raramente, ontani e olmi; nei versanti esposti a sud si riscontrano soprattutto boschi di roverella e leccio con sottobosco di essenze tipiche della macchia mediterranea; vengono inoltre osservate presenze sporadiche di rovere e limitati impianti artificiali di conifere. Di particolare interesse naturalistico è l’area umida alla confluenza tra il Canale Maestro della Chiana e l’Arno (Ponte a Buriano), dove è presente una ricca vegetazione igrofila”.

Ricco appare il popolamento faunistico. “Tra gli uccelli nidificanti si segnalano specie classificate come rare o minacciate a livello regionale, nazionale o comunitario, quali svasso maggiore, tarabusino, airone rosso, nibbio bruno, tottavilla, averla piccola, oltre a airone cinerino; sono inoltre presenti poiana, barbagianni, civetta, allocco, torcicollo, picchio verde, picchio rosso maggiore.

L’area, che costituisce un sistema integrato con la vicina riserva della Valle dell’Inferno e Bandella, riveste un notevole interesse per la sosta di uccelli acquatici come cormorano, airone bianco maggiore, falco pescatore, piro-piro boschereccio, starna comune, mignattino piombato, forapaglie castagnolo; in-

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Terrazzamenti nei pressi di Reggello

teressante la presenza di un dormitorio invernale di cormorano, che ha ospitato nel 1994 e 1995 più di 160 individui”.

Fra le emergenze storico-culturali del territorio, si segnalano il Mulino dell’Imbuto, appartenuto ai monaci della Badia di S. Trinità dell’Alpi, che conserva i resti dell’antica pescaia; i nuclei fortificati di Monte sopra Rondine e Penna, tutti in posizione dominante sul fiume; la villa-fattoria di Monsoglio; infine, numerosi edifici rurali di notevole pregio architettonico.

Anche in quest’area, “come nella Riserva Naturale di Valle dell’Inferno e Bandella, le forti escursioni del livello dell’acqua determinate dalla gestione della diga hanno una forte influenza sull’ecosistema. È pertanto allo studio un progetto per la stabilizzazione del livello delle acque nell’area umida tra Ponte a Buriano e la confluenza del Canale Maestro della Chiana nell’Arno” (Nuzzo et alii, 1998).

Anche qui, sono in corso interventi – in collaborazione con l’ENEL – per la realizzazione del centro visitatori, di aree attrezzate, di sentieri naturalistici, di segnaletica, e per il recupero ambientale e faunistico (Billi, 1980; Nuzzo et alii, 1998; Ceccolini e Cenerini, 1998).

Tornando indietro verso il Valdarno e passando a sud dell’Arno con imbocco della via Aretina per Montevarchi, si può raggiungere dalla cittadina, mediante un breve diverticolo per i Monti del Chianti, l’AREA NATURALE P RO -

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TETTA DI I NTERESSE LOCALE DELL’ARBORETO MONUMENTALE DI

MONCIONI. Approvata dal secondo piano regionale del 1997-99 e istituita con delibera comunale del 1998, si estende per 3 ettari nel bosco culturale detto Il Pinetum (di notevole rilievo storico-culturale), esistente intorno alla villa Gaeta del Poggiolo di Moncioni (Comune di Montevarchi).

La gestione è affidata (d’intesa con il proprietario e il Comune) alla Provincia di Arezzo.

Il parco alberato recintato di varie decine di specie anche esotiche, sul modello dei parchi inglesi, venne realizzato, a partire dal 1853, intorno alla sua villa – ubicata in ambiente collinare a oltre 500 m di altitudine, poco a sud del piccolo abitato castellano di Moncioni – dall’avvocato Giuseppe Gaeta, desideroso di sperimentare piante utili all’agricoltura toscana, in collegamento con il barone Bettino Ricasoli e con la fiorentina Accademia dei Georgofili.

Da tempo vi opera l’Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo e nell’anpil vige il divieto di caccia.

L’arboreto è costituito da piante più che centenarie soprattutto di Pseudotsuga o abete odoroso americano douglasia (con sequoie, cedri del Libano, tassi, abeti, pini giapponesi e con specie tipiche degli habitat appenninici e mediterranei) (Chiostri, 1989; Frosini, 1997). Già alla fine del secolo XIX le pian-

Conifere nei pressi di Reggello

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Quattordicesimo itinerario

te de Il Pinetum erano oggetto di studio, “tanto è che il botanico Beissner nel trattato delle conifere pubblicato per la prima volta nel 1887 cita il Cedrus Libani Hybrida qui presente” (Bernacchioni, 1998).

Fino a poco tempo fa, quello che è considerato uno dei più antichi e importanti parchi culturali monumentali di conifere d’Italia versava in stato di abbandono. Di recente sono stati eseguiti (altri sono in progetto) interventi di manutenzione e recupero del bosco culturale e di sistemazione del suolo, di restauro della villa che si qualifica per importanza architettonica ed ambientale (perché essa possa essere adibita a centro visite ed espositivo) e dei sentieri, di allestimento della segnaletica, al fine di valorizzare compiutamente un bene di rilevante valenza scientifica e didattico-divulgativa (Billi, 1980; Pucci, 1882; Chiostri, 1989; Frosini et alii, 1997; Bernacchioni, 1998).

Oltre alle aree protette sopra descritte, c’è da rilevare che nel Valdarno Superiore è stata censita la fitocenosi di interesse regionale (Progetto Re.Na.To.) costituita dal bosco a dominanza di farnia dell’antica fattoria dei Renacci (lungo la via che segue a nord il fiume, tra Incisa e Terranuova), interpretabile come importante nucleo relitto e quindi testimone di un tipo di vegetazione mesoigrofila, legata cioè all’ambiente della pianura umida, oggi in via di scomparsa. E che proprio al confine tra Figline e Caviglia, e precisamente tra l’abitato di Cetinale e l’Arno, nell’area di recupero ambientale dell’ex cava di lignite di Forestello, l’ENEL ha realizzato un recupero ambientale con tanto di rimboschimento: si è venuto così a creare un ambiente “molto interessante sia sotto l’aspetto paesaggistico che produttivo, poiché ha garantito la comparsa di specie vegetali spontanee nonché la presenza di fauna selvatica e di avifauna” (Ulivieri, a cura di, 2006, p. 90).

Non è infine da tacere il fatto che da anni i Monti del Chianti attendono di essere trasformati in parco naturale, con il versante che interessa anche il Valdarno, ove (in località Cafaggiolo, nei dintorni di Castelnuovo dei Sabbioni, in un’area appartenente al Comune di Cavriglia) esiste un piccolo giardino zoologico, il cosiddetto Parco di Cavriglia. Un soggetto che comprende impianti sportivi e strutture per il tempo libero, un maneggio e “un consistente patrimonio di animali proveniente in gran parte da donazioni fatte al parco negli anni ottanta” (daini, maiali di cinta senese, struzzi, caprioli, scimmie giapponesi, lama, mufloni, bisonti, orsi bruni, ecc.), insieme con “un centro per la rivalutazione di asini e muli” (Refice, a cura di, 2007, pp. 147-148).

In ogni caso, i Monti del Chianti per oltre 8000 ettari, con i loro vasti boschi e aree a cespugliato e prateria, costituiscono già da tempo il SIC/SIR 88, per la particolare ricchezza complessiva in termini di biodiversità, e specialmente di rare specie avicole (diversi rapaci) e ittiche (alcuni anfibi), oltre che di numerosi invertebrati (Bettini e Gargani, 2006, pp. 82-84).

Parchi e beni naturali

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