Quarto itinerario
Val di Chiana Toscana. Territorio, storia e viaggi
L’abbazia di Farneta e la presenza monastica in Val di Chiana
in dall’alto medioevo la Val di Chiana ospitò comunità mona- Renato Stopani stiche sotto la regola di San Benedetto. Nella maggior parte dei casi si trattò di cenobi di modesta consistenza dimensionale che non dettero vita a grandi abbazie. A partire dalla seconda metà dell’XI secolo molti dei monasteri furono interessati all’azione rinnovatrice portata avanti dalle due congregazioni benedettine riformate di Vallombrosa e di Camaldoli. Specie a quest’ultima aderì la maggior parte delle fondazioni monastiche della regione chianina: già nel 1086 divenne infatti camaldolese l’abbazia di San Quirico alle Rose, presso Foiano, seguita (1087) dall’abbazia di Nasciano, nei dintorni di Lucignano, e poi dal monastero di San Savino a Monte San Savino (1105) e avanti al 1113 dalle abbazie di Fleri, presso Cortona, e di Sant’Angelo a Corteluponi, nei dintorni di Lucignano. Dei tanti piccoli monasteri che punteggiavano la vallata il più delle volte rimane ben poco a testimoniare di una presenza monastica che non di rado risaliva a ben prima del Mille. Così, ad esempio, dell’abbazia di Badicorte resta solo la tribuna della chiesa con l’abside che ne concludeva l’unica navata, dell’abbazia di Sant’Andrea al Pozzo sono sopravvissute soltanto la facciata e una fiancata della chiesa, e pochi resti rimangono dell’abbazia di San Gaudenzio.
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Spaccato dell’Abbazia con la struttura della cripta sottostante
Scomparsi o radicalmente trasformati i locali e gli ambienti che formavano i complessi monastici, talvolta si sono conservati gli edifici adibiti al culto: vedi il monastero di Sicille (Trequanda) o la Badia di Castiglion Fiorentino. In entrambi i casi si è di fronte a chiese romaniche di modeste dimensioni che constano di semplici aule rettangolari e non si differenziano molto dalle chiesette rurali suffraganee delle pievi. A Sicille, che fu un monastero vallombrosano, la facciata della chiesa, dal prezioso e accurato rivestimento a filaretti di pietra tufacea, si arricchisce di un portale con archivolto estradossato a sesto acuto e architrave decorato con due croci di foggia templare che racchiudono una iscrizione che fa riferimento alla costruzione della chiesa: “ANNO D(omini) M. CC. L / XIII. IND(ictione). VIII”. Entro questo quadro del monachesimo medievale della Val di Chiana, che non si presenta oggi particolarmente ricco quanto a persistenze architettoniche, è da collocare un monumento di eccezionale importanza per la storia dell’arte e della spiritualità della Terra Aretina: la Badia di Farneta. Di origine altomedievale, l’abbazia di Santa Maria a Farneta appartenne sin dall’origine all’ordine benedettino e solo nel tardo medioevo passò agli Olivetani. Sorse su un modesto rilievo che si eleva dal fondo della valle, tra Camucia e Foiano della Chiana, sulla strada maestra detta “de’ ponti di Cortona” che consentiva in quel punto il superamento della palude. La parte più antica della chiesa è riferibile al X secolo ed è rappresentata dalla vasta cripta triabsidata, divisa in navatelle da grosse colonne di spoglio con capitelli egualmente di recupero da fabbriche romane (oltre ad alcuni di rozza fattura), sui quali s’impostano le poderose volte a crociera della copertura, senza sottarchi, secondo la tradizione antica, il che concorda con la datazione preromanica proposta. Le absidi, poi, sono come “affondate in tre nicchie”, il che fa assumere loro una pianta a trifo-
Abbazia di Farneta Abbazia di Sicille
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glio che riecheggia le orientali celle tricore, mentre opposta all’abside centrale si apre un’absidiola che “ricorda quella di sepoltura nelle chiese germaniche” (M. Salmi). Tutti questi elementi denunziano influssi oltramontani e orientali che, richiamandosi alla cultura architettonica carolingia, fanno della cripta di Farneta uno dei più importanti monumenti preromanici della Toscana. Lo schema icnografico della cripta si ripeteva e si arricchiva nell’imponente chiesa superiore, dove si aggiungevano altre due absidi nelle testate del transetto, mentre le tre absidi della parete terminale in origine presentavano anch’esse nicchie laterali, che vennero però vandalicamente distrutte durante i lavori di restauro del secolo scorso, per un “supposto errato ripristino”. Originariamente la chiesa si caratterizzava per essere ad un’unica navata e per avere una pianta a croce latina. Nel Trecento venne però modificata: fu ampliata e trasformata in un edificio a tre navate divise da archeggiature sestiacute nascenti da grossi pilastri, per poi, in epoca moderna, tornare alla primitiva icnografia, sebbene accorciata in corrispondenza della facciata. Nel piccolo museo annesso alla chiesa, in alcuni locali superstiti del complesso monastico, si conservano alcuni dei numerosi ritrovamenti avvenuti nel corso dei restauri: capitelli romanici, forse del chiostro o della torre campanaria, una pila acquasantiera ricavata da un capitello classico di tipo corinzio, alcune epigrafi del XII e del XIV secolo. Un altro prezioso reperto, una matrice in pietra dura (VIII-IX secolo) che doveva servire per produrre piccoli crocifissi di bronzo, anch’essa trovata nei pressi dell’abbazia, è attualmente conservata nel Museo Diocesano di Cortona. Anche questi reperti, assieme all’architettura delle strutture superstiti del complesso abbaziale, contribuiscono a definire i caratteri della Badia di Farneta e ci consentono di collocarla tra gli episodi di maggior rilievo nella storia del monachesimo medievale in Italia. Quarto itinerario
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