Itinerario 9

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Val di Chiana Toscana. Territorio, storia e viaggi


“Aiuto, i Pollacchi!”, sulle tracce del generale Dabrowski durante il “Viva Maria”

gli inizi del 1799 la Toscana era una delle poche aree italiane Santino ancora non occupate dagli eserciti rivoluzionari francesi. Il Gallorini Granduca Ferdinando III aveva stipulato un atto di neutralità riconosciuto da vari stati europei, Francia compresa. Però, per una serie di esigenze militari, i francesi avevano troppi interessi ad occupare la Toscana e così verso la fine di marzo ruppero gli indugi, entrarono nel Granducato e cacciarono il Granduca, che si rifugiò a Vienna. Durante il mese di aprile il nuovo governo francese, insediatosi a Firenze, iniziò ad emanare varie norme per riplasmare lo stato toscano. Qui, però, a differenza di altre aree italiane, non si costituì una repubblica, ma furono insediati un commissario che gestiva l’amministrazione civile ed un generale che si occupava della parte militare. Furono istituite 12 Municipalità alla guida delle quali vennero nominati dei filo francesi, sbrigativamente definiti “giacobini”. La chiesa di San Per una serie di motivazioni economiche, sociali e religiose, ma Giuseppe presso anche per certi comportamenti provocatori degli occupanti france- Terontola, dove ci si e dei loro sostenitori locali, nonché per la requisizione di vetto- furono accesi scontri fra popolani e vaglie, animali ed argenti delle chiese, la popolazione della Toscana polacchi, il 13 in generale e quella della Valdichiana in particolare incominciò a maggio 1799

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dare segni di insofferenza, se non di ostilità, verso i nuovi arrivati ed il nuovo corso. Le notizie di continue disfatte francesi nel nord Italia, da parte degli Austro-Russi, fecero il resto. Fu così che nei primi giorni di maggio 1799, tanti paesi della Val di Chiana insorsero contro i francesi e contro le autorità ad essi obbedienti. Fino a quando, il 6 maggio, insorse anche Arezzo, al grido di “Viva Maria!”. I francesi scapparono verso Firenze e ad Arezzo fu insediata una commissione provvisoria, formata da nobili ben visti dal popolo, che prese il nome di Suprema Deputazione.Se da un lato, con la scusa di difendersi dai francesi, la Suprema Deputazione organizzava truppe armate per tenere a freno gli insorti più facinorosi, dietro le quinte cercava un onorevole compromesso con le autorità di Firenze, per far tornare la città all’obbedienza verso i francesi, senza dover subire feroci rappresaglie. Mentre le trattative procedevano ed anche il Vescovo di Sansepolcro faceva da mediatore, arrivò ad Arezzo una notizia imprevista, che costrinse la Suprema Deputazione a scegliere la via delle armi. Si seppe che un forte contingente “pollacco” stava per dirigersi da Perugia verso Cortona ed Arezzo, per riportare le due città ribelli ed i paesi vicini all’obbedienza. Si trattava della Legione Polacca, comandata dal generale Jan Henryk Dabrowski, forte di 4000 fanti e 400 cavalieri. Siccome la Polonia era stata invasa da Austria, Prussia e Russia, molti suoi ufficiali e soldati erano fuggiti in Francia. Qui Dabrowski aveva fondato la Legione, alleata dei francesi, che poi condusse in Italia al sevizio della Repubblica Cisalpina. Mentre i polacchi erano a Napoli, furono richiamati al nord per dare manforte ai francesi contro gli austro-russi. Durante la risalita della Penisola, il comando francese ordinò a Dabrowski di andare a spengere i focolai di rivolta in Val di Chiana e ad Arezzo. Fu così che mentre Dabrowski ed i suoi soldati si avvicinavano a Cortona, i cortonesi, aiutati dai castiglionesi e dagli aretini, si preparavano a resistere. Campaccio (Cortona) - Villa Farina. La lapide che ricorda lo scontro del 13 maggio 1799

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Furono approntate trincee e barricate sopra Terontola, vicino al confine con la Repubblica Romana, mentre si predisponevano difese nei centri abitati di Cortona, Castiglion Fiorentino ed Arezzo. Centinaia di contadini e popolani armati alla meglio, comandati da alcuni nobili che avevano servito nel disciolto esercito granducale, si apprestarono a difendere la loro terra da coloro che credevano dei “senza dio”. In realtà, Dabrowski non aveva grandi intenzioni di combattere e mettere a rischio i suoi soldati polacchi, difficilmente rimpiazzabili. Comunque, il mattino del 13 maggio 1799 incominciarono gli scontri tra polacchi e chianini vicino al Pozzo di San Giuseppe, sopra Terontola, con morti e feriti da ambo le parti. Alla fine Dabrowski tentò un aggiramento dei combattenti avversari, attraverso le basse colline che fanno da confine tra Toscana ed Umbria. Fu così che i cortonesi ed i loro alleati furono costretti ad arretrare verso il Campaccio, ai piedi della città. Anche lì ci furono acerrimi scontri, come ci informa pure una lapide in marmo collocata fuori dal cancello di Villa Corazzi (oggi Farina), che riporta una citazione del Botta. Esasperati dalla forte resistenza dei cortonesi, i polacchi iniziarono a compiere rappresaglie sul territorio, con uccisione di vecchi, incendi di case e pagliai, violenze sulle donne e perfino rapimenti. Nel tardo pomeriggio gli scontri si spostarono verso Cortona e i difensori si chiusero dentro la città, barricando le porte e sparando dalle millenarie mura. Si combatté fino a sera, ma dopo alcuni tentativi di sfondamento delle porte urbiche, siccome non aveva cannoni, verso le ore ventitre Dabrowski ordinò un ripiegamento su Camucia. I difensori tirarono un respiro di sollievo e si prepararono per difendersi ancora il mattino seguente. Ma i polacchi non tornarono più a cercare di prendere Cortona, le perdite subite e la forte difesa fecero decidere al generale di proseguire verso Arezzo. Alle prime luci dell’alba del 14 maggio la Legione Polacca iniziò la marcia verso Castiglion Fiorentino, spesso bersagliata da cecchini appostati tra i grani, tra le vigne e nei fossi lungo la strada ReL’attestato del Dabrowski

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gia. I Polacchi rispondevano con saccheggi ed incendi delle case lungo il loro cammino. Intanto a Castiglion Fiorentino si infiammava la lotta tra coloro che volevano resistere ai polacchi e quelli che saggiamente facevano notare come i loro migliori uomini armati fossero rimasti a Cortona e quindi le probabilità di difendersi rimanevano minime. Meglio una trattativa. Alla fine prevalsero i secondi ed una delegazione di tre castiglionesi andò incontro a Dabrowski per trattare il transito della Legione dal paese. Dabrowski accettò volentieri un pacifico passaggio e così arrivarono all’accordo che i soldati polacchi avrebbero sfilato fuori dalle mura castellane e i castiglionesi avrebbero loro offerto da bere e da mangiare. Il generale ed i suoi ufficiali entrarono invece in paese, ben accolti. I castiglionesi raccontarono a Dabrowski che cosa stavano preparando gli aretini ai suoi soldati, rilasciarono i filo-francesi incarcerati e diedero qualche “spicciolo” di mancia al generale. Dabrowski, contento, rilasciò un attestato di buon comportamento ai castiglionesi, che lo utilizzarono felicemente l’anno dopo, quando tornarono i francesi per punire i paesi ribelli. Come attesta anche una lapide collocata sotto il porticato della Chiesa del Gesù, per lo scampato pericolo i castiglionesi decisero di ricordare perennemente quel 14 maggio con una solenne cerimonia al Crocifisso miracoloso lì conservato. A quel punto, il generale sapeva che gli aretini avevano preparato una grande barricata nella gola dell’Olmo, difesa anche da cannoni. Migliaia di armati erano appostati in difesa di Arezzo. Non poteva rischiare di far morire molti suoi soldati per prendere una città di cui non interessava nulla. Decise quindi di far credere ai comandanti nemici di voler dirigersi verso Arezzo, mentre poco prima dell’Olmo, avrebbe deviato verso San Zeno, il Bastardo (oggi

La Chiesa del Gesù

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San Giuliano) e per la recente strada granducale avrebbe proseguito su Firenze. Mandò quindi in avanti il suo vice, il colonnello Jozef Chamand, con l’avanguardia. Ma Dabrowski non sapeva che gli aretini avevano preparato anche una lunga imboscata da Vitiano ad Olmo, con tanti popolani armati nascosti lungo la strada e pochi cavalleggeri che andavano qua e là per coordinare le azioni. Fu così che quando Chamand arrivò al Ghetto di Vitiano, fu investito da molte fucilate e quindi affrontato da una dozzina di giovani a cavallo. Fu ucciso, assieme ad alcuni suoi soldati, provocando l’acerrima rabbia dei legionari. Ma l’esasperazione dei polacchi arrivò al culmine poco più avanti, quando a Rigutino si ritrovarono di fronte ad una barricata presso il Rio Grosso, ben difesa da tanti contadini dei poderi di Valdichiana. Quindi, i legionari del Dabrowski iniziarono una feroce rappresaglia che colpì tutti coloro che trovarono nelle case adiacenti alla strada. Furono uccisi nei loro letti perfino novantenni paralizzati. Da Rigutino a San Zeno ci fu una serie impressionante di case incendiate, chiese profanate, botti di vino sfondate, pagliai inceneriti. E morti. Morti fra i polacchi, costantemente bersagliati dai cecchini e morti sia fra gli armati aretini che, ancor di più, fra gli anziani che a causa della loro età non avevano fatto in tempo a scappare. Vicino a Pieve a Quarto c’è una casa padronale che ancor oggi riporta una lapide, che ricorda i danni subiti da parte polacca in quel lontano 14 maggio. Finalmente, a sera Dabrowski ed i suoi arrivarono al Bastardo e così poterono riposarsi e curare i feriti. Mentre il generale ed i suoi collaboratori furono ospitati da due sacerdoti, ai quali narrarono le sanguinose vicende della giornata, i soldati si sparsero nel paese e se trovarono del vino ne tracannarono a dismisura. Così, quando il mattino seguente la Legione ripartì, non tutti i soldati polacchi la seguirono: molti erano ancora in preda ai fumi di Bacco. Fu così, che quando gli abitanti del paese, prudentemente allontanatisi, fecero ritorno alle loro case, trovarono soldati polacchi che dormivano nelle cantine e nei luoghi più disparati. Almeno uno di questi poveretti fece una brutta fine. Fu ucciso dai padroni di casa, incattiviti dai danni riscontrati alla loro abitaNono itinerario

La lapide della Chiesa del Gesù a Castiglion Fiorentino, che ricorda il passaggio della Legione Polacca

Lapide su una casa di Pieve a Quarto, dove si ricordano i danni apportati dai polacchi

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La Sinagoga di Monte San Savino

zione. Fu quindi fatto sparire nel forno del pane. L’apparente fuga del Dabrowski fece crescere l’orgoglio degli aretini, che sentendosi invincibili perché protetti dalla loro patrona – la Madonna del Conforto – si diedero a cacciare i francesi dai paesi vicini e poi si diressero in quelli più distanti. In pochi mesi misero in piedi una pittoresca armata, forte di circa cinquantamila uomini, con cui liberarono tutta la Toscana e poi il centro Italia, da Roma al Po. Purtroppo, anche per la eterogenea composizione delle armate del “Viva Maria”, vi furono certi episodi poco edificanti, con violenze e saccheggi verso i filo-francesi e gli Ebrei. Violenze subito represse dai comandanti e dalla Suprema Deputazione, ma che hanno lasciato una macchia sul movimento. E se il massacro dei 13 ebrei a Siena ed il contemporaneo saccheggio del locale Ghetto sono attribuibili a delinquenti senesi avidi di denaro e gioielli, che poi furono individuati, arrestati e condannati, in altri casi sono documentati furti e percosse verso i cosiddetti giacobini da parte degli insorgenti. Proprio in Val di Chiana, a Monte San Savino, vi era da secoli una piccola comunità ebraica con una sua sinagoga. Quando scoppiò il “Viva Maria”, alcuni debitori di certi commercianti ebrei sobillarono il popolino della zona, provocando ripetute violenze contro il Ghetto e gli israeliti, dipinti come filo-francesi. La scarsa forza pubblica non riuscì a contenere i tanti facinorosi ed alla fine, per evitare guai maggiori, i dirigenti locali concordarono con i maggiorenti della comunità ebraica una temporanea espulsione dal paese, fino al ritorno del Granduca. In realtà, si trattò di un esilio defini-

Ottavo (AR), Chiesa di Santa Maria Assunta. Scritta del 1807 che ricorda le “iniquas gentes” che hanno causato danni

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tivo, perché ormai i rapporti fra popolazione cristiana ed ebrea, tesi da secoli, erano arrivati alla definitiva rottura e se gli ebrei inviarono petizioni alle autorità fiorentine per poter tornare al Monte San Savino, altrettante ne inviavano i savinesi per non farli rientrare, confidando nell’equazione: allontanati gli ebrei, estinti i debiti. Seppur con le sue luci ed ombre, il Viva Maria è di sicuro una singolare pagina della Val di Chiana e della città di Arezzo, da indagare e studiare al meglio. Per tanto tempo il passaggio dei “pollacchi” del Dabrowski è rimasto nella memoria della gente di Val di Chiana. E se nel 1807, quando fu edificata la nuova chiesa di Ottavo, si sentì il bisogno di ricordare quei giorni tremendi, fa pensare l’episodio che nel 1944, dopo l’arrivo degli Inglesi, quando furono visti alcuni soldati del generale Anders con la divisa inglese, ma con la scritta “Poland” sulla manica, alcuni anziani chianini incominciarono ad allarmarsi dicendo agli altri: “Questi sono cattivi, sono “pollacchi”!”.

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