Undicesimo itinerario
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Le fattorie granducali e stefaniane con l’edilizia rurale storica
a Valdichiana – almeno nei suoi settori della pianura e dei ripiani fluvio-lacustri e marini – rappresenta un vero e proprio archivio di testimonianze, o museo all’aperto, delle più diverse tipologie volumetriche e architettoniche di case contadine realizzate nella Toscana moderna e contemporanea. Basti dire, relativamente alle aree già appartenute alle fattorie granducali e stefaniane, che dei 355 fabbricati censiti e mappati da Gian Franco Di Pietro, 22 furono costruiti nel XVI secolo, 38 nel XVII, 63 nella prima metà e 31 nella seconda metà del XVIII, 108 nel XIX secolo fino al 1823 compreso e 93 nel XIX secolo dopo il 1823 o nei primi decenni del XX secolo (Di Pietro, 2009, p. 11). La riconoscibilità di questi edifici è tuttora quasi sempre resa possibile dalla presenza, sulla facciata principale e sopra l’ingresso, delle tipiche ed eleganti insegne di ceramica invetriata con una figura di santo e le scritte del nome del podere e della tenuta o fattoria fatte apporre dai granduchi Lorena. È tra Quattro e Cinquecento, con la piena affermazione del sistema poderile, che anche la Valdichiana, a latere dell’antica forma di insediamento costituita dai villaggi rurali, vide le pendici delle colline e dei terrazzi incombenti sul fondovalle punteggiarsi di case coloniche isolate, “su podere”, secondo la modalità insediativa legata all’organizzazione della nuova struttura agraria. La più antica edilizia rurale della valle è pertanto riscontrabile fra le ondulazione della sua prima fascia collinare e dei ripiani fluvio-lacustri e marini, oppure nell’area pianeggiante più prossima ad Arezzo, dove è dato trovare costruzioni coloniche per lo più di modesta consistenza dimensionale, con scale esterne coperte da tettoie, non
L
Leonardo Rombai e Renato Stopani
Arme in ceramica invetriata della casa lorenese Sant’Anna
di rado piccole logge e, talvolta, colombaie centrali sul tetto. Si tratta del frutto di un’attività edilizia di tono minore prodotta da maestranze specializzate che fecero uso di semplici schemi costruttivi, perpetuando tradizionali tecniche e dando spesso vita a insieme armoniosi, frutto di felici intuizioni, del tutto estemporanee, data la simultaneità dei momenti di progettazione ed esecuzione. Sono quegli edifici colonici definiti “diacronici o a crescita continua”, caratterizzati da un impianto “organico” nel quale prevale la libera distribuzione delle masse, che si giustappongono e s’intersecano, a partire da un nucleo centrale più antico, talvolta riferibile al CinqueSeicento. La complessità dell’impianto plano-volumetrico delle costruzioni è quindi il risultato del susseguirsi delle aggiunte e degli adattamenti, sempre coerenti e voluti, dove le differenze e le eventuali irregolarità non sono attribuibili a incompetenza tecnica ma ad una intenzionalità che sovente è riuscita a conciliare le necessità pratiche con le esigenze estetiche. In genere, in Toscana, è questo il tessuto connettivo dell’edilizia rurale espressa dal sistema poderile, che aveva portato a un tipo unitario di casa colonica, nel quale erano riuniti in un unico complesso tutti gli elementi necessari per l’abitazione e per l’esercizio dell’attività produttiva, con una distribuzione degli ambienti che vedeva destinato il piano terra per le varie stalle e per il cigliere (la dispensa), il piano superiore per la dimora del mezzadro e il granaio e l’eventuale piano interrato per la cantina. Le ricerche di Gian Franco Di Pietro (2005 e 2009) hanno però, con non poca sorpresa, fatto emergere la presenza numerosa nella valle di case rurali di tipo unitario razionale progettate da architetti medicei e costruite in serie nel XVII secolo, seppure con qualche variante, con evidenti concessioni anche a preziosismi architettonici del tutto sconosciuti in altre aree toscane. C’è da dire che la razionalità delle forme e dei volumi in rapporto alle funzioni di fulcri direzionali delle aziende poderali non impedì a molti di questi edifici di essere ampliati e ristrutturati – come si vedrà – secondo i canoni della seconda generazione delle dimore contadine di proCase coloniche di Poderi Medicei - Podere Romitorio
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gettazione che si affermò fra la seconda metà del XVIII e l’unità d’Italia per volontà dei Lorena. Un altro risultato inatteso scaturito dai lavori di Di Pietro è dato dal rinvenimento di non poche case che seguono l’impianto dell’edilizia pianificata lorenese dei secoli seconda metà XVIII-metà del XIX, anche se di regola semplificato (per la mancanza della torre colombaria e delle arcature del portico e della loggia), costruite però dai nuovi proprietari in età unitaria dopo la privatizzazione del 1863-64, e fino addirittura all’inizio del XX secolo. Nonostante tale specificità, alla metà del Settecento il patrimonio edilizio della campagna chianina, per quanto avesse in larga parte assunto quel “bell’aspetto che lusinga l’occhio degli stranieri”, presentava ancora non pochi esempi di case malsane e, in taluni casi, addirittura di dimore improprie, quali capanne in materiale vegetale e “case di terra” (in Toscana particolarmente diffuse proprio in Valdichiana), costruite cioè con argilla gettata e compressa entro armature fatte con tavole di legno fissate a pali piantati nel terreno. Il fenomeno era presente anche nelle “Possessioni Granducali”, tanto che il granduca Pietro Leopoldo, colpito dalle inumane condizioni di vita di tanti suoi “lavoratori”, emanò una normativa edilizia volta a risolvere i problemi abitativi dei mezzadri delle “Regie Fattorie”, provvedimento che dette il via alla questione delle case coloniche, per cui per oltre mezzo secolo si succederanno saggi, memorie e interventi da parte di scrittori di cose agrarie, architetti, amministratori pubblici e perfino uomini di chiesa, preoccupati questi ultimi dei risvolti morali del problema. Le direttive granducali ebbero modo di essere programmaticamente applicate proprio in Valdichiana, dove il granduca stesso era uno dei più rappresentativi proprietari con le “Tenute” della corona, in quegli stessi anni fatte oggetto, come tutta la vallata, di un’opera di bonifica di grandi proporzioni. Nell’Archivio delle “Regie Possessioni” (conservato nell’Archivio di Stato di Firenze) sono presenti diversi progetti per la costruzione di case coloniche delle fattorie granducali, tra i quali particolarmente interessanti sono quelli relativi alla Tenuta di Frassineto, realizzati intorno al 1780 a firma di Bernardino della Porta. I disegni confermano l’ingresso della cultura architettonica ufficiale nell’edilizia rurale, un fenomeno in atto almeno da un decennio, come testimonia l’opera di Ferdinando Morozzi (Delle Case de’ Contadini), edita a Firenze nel Undicesimo itinerario
Case coloniche di Poderi Medicei Podere Esse Secco III e IV
Case coloniche di Poderi Lorenesi Podere Il Gorgo
1770 per conto dell’Accademia dei Georgofili, da poco istituita, proprio su sollecitazione granducale. All’inizio del suo trattato il Morozzi, con illuministica fiducia nella ragione al fine del perseguimento della “felicità dei popoli” diceva: “…non poco si possono migliorare le Case de’ Contadini, non per il lusso, e per la magnificenza, ma affine di togliere alle medesime tanti errori, che sono molto funesti non solo alla vita de’ medesimi Contadini, quanto ancora di pregiudizio notabile all’interesse di chi possiede, che non ricava dalla sua possessione quel frutto compensativo, che si lusinga cavare da tante parti che devono somministrarglierlo”. Viene così prevista una razionale distribuzione degli ambienti e dei servizi delle case coloniche, distinguendo se esse si trovano ubicate in montagna, in pianura o in collina, e si danno nel contempo precise indicazioni funzionali, rimandando le soluzioni formali alla competenza dell’architetto progettista. Gli edifici rurali progettati per le fattorie granducali della Valdichiana contribuiranno a diffondere talune caratteristiche tipologiche e architettoniche del nuovo tipo di casa colonica, che sarà ora un edificio costruito globalmente e frutto di una rigorosa e razioTipico esempio di edificio colonico lorenese
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Modello semplificato di casa lorenese per due famiglie coloniche
nale progettazione architettonica nella quale si farà sentire il riferimento agli schemi compositivi degli edifici civili del Rinascimento maturo, data la formazione culturale degli architetti progettisti, i quali non potevano che riflettere i modelli della tradizione architettonica cinquecentesca, ancora imperante nella Toscana del XVIII secolo. Ciò significherà non rilevare sostanziali differenze formali tra le architetture delle ville-fattorie e quelle delle case coloniche, in una similitudine che non sarà solo d’impianto, ma anche di linguaggio: entrambe avranno spesso – ma con molte varianti, come si vedrà più oltre, e con qualche edificio che rifugge da tale modello per richiamarsi invece a quelli della casa unitaria d’età medicea – le stesse forme regolari e geometricamente definite, e consteranno di una massa compatta (cubo o parallelepipedo), spesso con loggiati ad uno o due ordini in facciata e con torrini angolari o al centro del tetto, che nelle case coloniche avranno funzioni di colombaie; separata, ai bordi dell’aia, per salvaguardare la ‘casa’ da eventuali incendi, l’immancabile ‘capanna’ a due piani con funzione di fienile (ovvero deposito di materie facilmente infiammabili) e di ricovero dei carri e degli attrezzi agricoli. Esempio di case lorenesi appaiate (poi unite tra di loro)
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Tipico modello pietroleopoldino a doppio orfine di arcature nel portico e nella loggia
La nuova edilizia rurale d’impianto leopoldino avrà in Valdichiana, come in genere nelle aree di più recente appoderamento, il suo campo di applicazione principale, interessando una parte non trascurabile del patrimonio edilizio della regione. Gli inconfondibili caratteri stilistici e la monumentalità delle nuove costruzioni rurali conferiranno infatti un’impronta particolarissima al paesaggio agrario della vallata, tanto da farne una chiave di comprensione di quel grande fenomeno di civiltà che fu la Toscana agricola nei secoli XVIII e XIX. I caratteri formali dell’edilizia colonica e aziendale, realizzata nei vari secoli dell’età moderna e fino alla metà o seconda metà del XIX, contestualmente al compimento delle operazioni di bonifica, ma con le frequenti stratificazioni dettate dagli adeguamenti funzionali a migliori condizioni abitative e produttive, hanno subito, soprattutto a partire dalla metà del XX secolo, con la disgregazione della mezzadria e in conseguenza dei cambiamenti delle destinazioni d’uso, modifiche radicali e spesso veri e propri stravolgimenti: come tamponamenti delle logge e dei portici, aggiunta di corpi di fabbrica con relativa compromissione della simmetria e, più in generale, delle configurazioni edilizie. Tanti vecchi edifici, soprattutto se localizzati in posizione collinare o di ripiano fluvio-lacustre o marino, sono stati trasformati in amene dimore di residenti extragricoli, o in seconde case di cittadini, oppure, più di recente, in veri e propri residence per l’agriturismo o il turismo rurale. Allo stesso tempo, molti antichi fabbricati colonici e qualche centro Tipico esempio di edificio colonico lorenese
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direttivo di fattoria (specialmente se ubicati nelle aree meno interessanti per valori paesistici, come quelle pianeggianti) sono stati abbandonati e non più riutilizzati per funzioni abitative o di altro tipo, versando oggi in condizioni di vistoso degrado. Addirittura, non pochi fabbricati sono stati abbattuti. Sempre considerando il campione studiato da Di Pietro relativamente alle fattorie granducali, infatti, relativamente allo stato di conservazione risulta che solo 98 edifici risultano in buono stato, 79 in cattivo stato, 53 evidenziano il crollo parziale del tetto e 12 il crollo parziale dei muri, mentre 17 sono stati demoliti. Tra i fabbricati che mostrano recenti interventi di recupero e adattamento, ben 83 sono risultati ristrutturati anche con alterazioni pesanti, contro appena 13 che rivelano un corretto uso del restauro. Riguardo poi all’utilizzazione attuale, appena 29 delle antiche case sono ancora residenze agricole e 3 servono da rustici o annessi agricoli; 38 sono inutilizzate (cioè tenute vuote seppure in buone condizioni) e 135 abbandonate con rischi evidenti di degrado. Un numero relativamente alto esprime ormai funzioni extragricole, vale a dire utilizzazioni del tipo residenze civili o altre destinazioni. In conclusione, scrive Di Pietro che “la ricognizione delle case coloniche ha messo in luce una situazione molto grave nel patrimonio edilizio; la quale, se associata ai problemi di radicale semplificazione del paesaggio agrario (eliminazione pressoché totale del promiscuo, del disegno dei campi e della minuta rete scolante e conseguente accorpamento a formare estensioni smisurate di seminativi), compone un quadro drammatico che fa temere la cancellazione, non improbabile, di un patrimonio culturale architettura e paesaggio rilevantissimo per l’identità storica della Toscana” (Di Pietro, 2009, pp. 11-12). Di sicuro, non è possibile fermare le trasformazioni che stanno avvenendo nell’assetto territoriale delle campagne non solo chianine: occorre però creare nuove compatibilità tra la memoria storica e le manifestazioni della vita che avanzano. Da qualche anno a questa parte una sempre più forte domanda di ambienti e ritmi di vita alternativi rispetto a quelli urbani sta rivalorizzando quanto è ancora ‘disponibile’ dell’antico sistema insediativo sparso, anche delle finora trascurate abitazioni della pianura che presentano spesso i caratteri architettonici e volumetrici ‘monumentali’ propri delle realizzazioni pianificate lorenesi e destinate – questa è una Undicesimo itinerario
Casa diacronica con impianto mediceo a destra e corpo lorenese a sinistra
Case coloniche di Poderi Lorenesi Podere Vado di Sopra
delle specificità dei fabbricati rurali chianini – non solo per una famiglia mezzadrile ma non di rado anche per due o addirittura tre famiglie di agricoltori: caratteri che dovrebbero essere consapevolmente considerati e salvaguardati dai ‘recuperi’, più o meno ‘selvaggi’, a fini non solo insediativi, che sono stati effettuati nel recente passato. Qualsiasi itinerario si possa tracciare per scoprire i caratteri dell’edilizia chianina – con lo stato di conservazione e le funzioni svolte attualmente – non potrà che mettere in luce la grande varietà e la speciale ricchezza delle architetture rurali legate al lungo periodo nel quale si realizzò la storia della bonifica e della colonizzazione della valle. A puro titolo di esempio si presenta un tracciato ‘ideale’, da nord a sud, per evidenziare taluni degli aspetti più interessanti che riguardano i fabbricati del sistema delle fattorie granducali e stefaniane. Nella fattoria del Bastardo (la più vicina ad Arezzo, nell’area di Chiani-San Zeno), l’unica ad essere stata alienata alla fine del XVIII secolo, si rinvengono le coloniche più antiche, già presenti nella seconda metà del XVI secolo: quelle dei poderi Gambini già Podere I di San Zeno (che si presenta come casa in pietra con scala esterna e con loggia nella facciata principale per accedere all’abitazione), Doni già Podere IV di San Zeno (che invece evidenzia uno sviluppo orizzontale con portico a tre archi al terreno e loggia a due archi tamponata al piano superiore) e Podere Quarto II già Podere II di San Zeno (il fabbricato è a sviluppo orizzontale e dispone di una grande torre colombaia al centro a due piani con ben 4 finestre ciascuno, con due delle aperture superiori per i piccioni – che evidenziano soluzioni raffinate per gli archi ribassati e i pilastri – tamponate) (Di Pietro, 2009, pp. 33 e 39). Nella successiva fattoria, quella di Tegoleto, spicca il complesso d’agenzia (costituito da un corpo principale a tre piani e due corpi paralleli simmetrici a due piani posti su due lati a formare una corte centrale, con portico e loggia che, rispetto alle rappresentazioni del primo Ottocento, risultano chiusi) (Di Pietro, 2009, p. 43); non pochi sono i fabbricati colonici diacronici, come i poderi Dorna Rotta di Sotto e Spoiano di Sotto (già presenti al 1823: il primo con scala esterna coperta per accesso al piano superiore e formato
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da più corpi in linea e il secondo con conformazione lineare con portali e altre ornamentazioni architettoniche), ma non manca il tipo leopoldino sette-ottocentesco, rappresentato ad esempio dal podere Via Larga (con torretta a due finestrine e facciata restaurata e rinnovata) (Di Pietro, 2009, p. 44). A Fonte a Ronco, la villa fattoria mostra la facciata con primo piano rialzato e con tre archi, cui si accede da doppia scalinata e con due torri simmetriche ai lati, con corredo di cappella e giardino formale (Di Pietro, 2009, p. 73). Le case coloniche coprono il lungo arco cronologico dell’età moderna e contemporanea, anche se spesso gli edifici cinque-secenteschi si conformano attualmente con i caratteri delle case leopoldine in seguito a ristrutturazioni effettuate nella seconda metà del XVIII o nel corso del XIX secolo, come è agevole riscontrare alla cinquecentesca La Querciola sulla Via del Confine (casa con torre al centro del tetto, ma allungata e dotata di tre finestre, quasi un terzo piano, con portico a tre archi e in simmetria loggia a tre luci), o a Brancoleta I già esistente al 1724 (che presenta un arco sia al portico che alla loggia pur senza torre). Porto I o del Porto è un edificio del secolo XVI con forma in linea ma costituito da corpi diversi (e quindi diacronico), così come Bosco Scopeta e Poderina, esistenti al 1724, che si qualificano per la scala esterna coperta da loggia nel corpo centrale. Il coevo Pozzale si presenta con un corpo quadrato con torretta e con scala esterna coperta (Di Pietro, 2009, pp. 76-77). San Luciano, esistente al 1724, rivela – come altri – preziosismi architettonici rari al di fuori della Valdichiana: è un fabbricato con vari corpi in linea (e quindi diacronico), con scala esterna e con al piano superiore la copertura ad archi nel corpo centrale, con l’arcatura continua a livello un po’ più basso nel corpo a sinistra (Di Pietro, 2009, p. 78). Le tipiche case leopoldine sette-ottocentesche originarie si presentano sempre con l’ampia capanna per fienile separata, ora senza torretta centrale ma con aperture di portico e loggia (Brancoleta I); oppure con la torretta centrale senza aperture di portico e loggia (Giardino), oppure con archi solo al portico (Isabella, Via Nuova, Fonte a Ronco
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Frassineto
Brancoleta II) o in simmetria sia al portico che al loggiato superiore (Vado di Sopra e di Sotto, Alberoro, Salciaia III) (Di Pietro, 2005, pp. 43 e 74, e 2009, pp. 75-77). Al riguardo, le varianti sono molteplici. Ad esempio, i poderi Vado di Sopra e di Sotto hanno entrambi un solo arco al portico che si ripete in simmetria alla loggia, ma si differenziano fra di loro per numero delle finestre: 2 sole al piano superiore Vado di Sopra, 4 al piano superiore e al piano terreno Vado di Sotto che ha anche una finestrella nella torre contro ben tre finestre di Vado di Sopra. Il podere della Viallese mostra un complesso molto allungato con doppia torretta, come se fosse il prodotto di due case a pianta quadrata saldate fra loro (Di Pietro, 2009, p. 78). A Frassineto, con la villa fattoria che si presenta come un fabbricato massiccio circondato da annessi più bassi e da parco alberato (Di Pietro, 2005, p. 42), prevalgono – poderi del Santo, Pigli I, Pigli II, L’Orto, Il Toppo, Il Pero – le case leopoldine sette-ottocentesche, ora prive di torre e archi per il portico-loggia (talora, come al Santo, con ampliamento successivo mediante raddoppio con corpo in linea, oppure costruita in linea ad altro edificio unitario più antico con tetto a due spioventi, come a Il Pero), e ora con la classica torretta centrale e due archi in simmetria al portico e alla loggia, come a Il Toppo (Di Pietro, 2005, pp. 39 e 41). Non mancano case gemelle, come quelle del Podere Palazzola, due case leopoldine costruite unite l’una all’altra (Di Pietro, 2005, p. 42). Al Pozzo, la fattoria appare come un complesso edilizio formato dall’innesto di due corpi massicci di diversa altezza a 2 e 3 piani, con porticato ad archi al terreno di quello più basso, e con annessi minori separati (Di Pietro, 2009, pp. 97-98). I fabbricati poderali offrono in genere i tipici connotati della casa leopoldina più o meno elaborata quanto alla torre colombaria e alle arcature del portico e del loggiato, e talora alla presenza di ornamentazioni in forma di portali e incorniciature di tipo urbano, persino di cornici marcapiano e marcadavanzale (San Leopoldo, Porto a Brolio, ecc.). Da sottolineare i casi originali di Terchio II e Vignacce, costruite rispettivamente prima e dopo il 1823 con scala esterna coperta, la seconda con due eleganti arcature; della casa binata con due torrette dei poderi San Marino Viaggio Lungo I e II (nella facciata principale c’è un lungo porticato sorretto da colonne, le due torri sono in linea con i fronti laterali mentre compare una più piccola e bassa torretta in posizione centrale) (Di Pietro,
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Montecchio
2009, pp. 98-102). Riguardo agli edifici preesistenti alla fase leopoldina, sono presenti case con scala esterna e torretta al centro (ad esempio, Anitraia dell’inizio del XVIII secolo), non prive di preziosismi come dimostra la coeva Gaggiolo (con la scala che dà accesso alla loggia con tre archi) (Di Pietro, 2009, pp. 101-102). Anche al Pozzo non mancano gli adeguamenti formali. Infatti, Romitorio I e II si presentano come casa binata con due torri del secolo XVII, con scala esterna scoperta per la facciata principale e con corpo aggiunto tra Sette e Ottocento, a squadra, con la tipica conformazione leopoldina ma con la facciata disposta lateralmente e con tanto di ingresso ad arco e torre colombaria a filo facciata; l’altra casa binata dei poderi Ponte al Ramo I e II, presente nella prima metà secolo XVIII, evidenzia una ristrutturazione dei primi decenni del XIX secolo (con costruzione di una doppia torre ai lati della facciata principale e con aggiunta di un altro corpo disposto a destra a squadra), così come la coeva casa binata con torrette dei poderi Castellare I e II trasformata in doppia leopoldina (Di Pietro, 2009, pp. 100101). A Montecchio, la villa fattoria è un fabbricato signorile con doppia scala di accesso e con intorno annessi più bassi e piccolo parco murato, con altri annessi separati ubicati in località Le Capannacce (Di Pietro, 2005, p. 49). Tra le case coloniche, la tipologia dominante è quella leopoldina (costruita ex novo o ristrutturata fra Sette e Ottocento) con torre e spesso con arcature al portico e al loggiato, oltre che con il fienile distinto intorno all’aia (ad esempio, San Francesco, Casa Rossa, La Vena, ecc.) (Di Pietro, 2005, p. 50). A Foiano, la fattoria si presenta come complesso massiccio dalla conformazione di casamento urbano con vari annessi; anche la dipendente tenuta di Brolio appare come un fabbricato massiccio con torretta circondato da annessi più bassi (Di Pietro, 2009, p. 122 e 2005, p. 47). Tra i poderi prevalgono al solito i modelli d’età lorenese (poderi Nuovo ai Ponti di Cortona, Il Gorgo, Esse Secco I e II) (Di Pietro, 2009, pp. 123 e 128-129). I fabbricati più antichi esprimono bene i caratteri diacronici – ad esempio, i poderi di Via del Duca, esistente al 1736 (casa diacronica con tre o quattro corpi di diversa altezza in linea), e Pieve di Fuori, più o meno della stessa epoca (complesso articolato di edifici a scala esterna scoperta ma con in adiacenza una nuova casa leoUndicesimo itinerario
Bettolle
poldina con torre) (Di Pietro, 2009, pp. 123 e 131) – ma non mancano realizzazioni pianificate nel XVII secolo, come dimostra la casa binata con torrette dei poderi della Via Larga I e II (della fine del XVII secolo, dalla tipologia invero peculiare, costituita da due corpi di fabbrica turriti con scala seminterna che si sviluppano in profondità, uniti fra di loro; rappresentano “uno dei primi tipi edilizi progettati” e ripetuti in altri luoghi della valle, come per la vicina casa binata dei Poderi della Via del Duca I e II e della Via del Duca V); o dei poderi Esse Secco III e IV presenti al 1736 (grande complesso di edifici accorpati a squadra con quello centrale dotato di torretta, di due archi al portico e con elegante loggia a sei luci); o del Porto Vecchio già Poderi del Gorgo di fine XVII-inizio XVIII secolo (edificio dotato di due torri laterali con elegante loggia a tre archi di collegamento, con notevole sviluppo in profondità) (Di Pietro, 2009, pp. 124-126 e 128-129). A Via del Duca III e IV compare un complesso vasto e articolato della fine del XVII secolo di edifici e annessi (Di Pietro, 2009, p. 127), mentre, con una certa sorpresa, a La Chiana e a Il Colmatone, si trovano edifici costruiti dopo il 1823 che si qualificano come strutture di progettazione, con l’aspetto ora di casa in linea formata da tre corpi simmetrici e della stessa altezza, con scala esterna coperta all’inizio del corpo di sinistra, e con annessi nel retro, e ora di massiccio edificio sempre dotato di scala esterna scoperta e con sviluppo in profondità (forma rettangolare), e con ampi annessi separati (Di Pietro, 2009, pp. 123 e 130). A Bettolle, la fattoria esprime il consueto massiccio complesso di corpi di fabbrica costruiti in mattoni, con il parco, con tanto di alte muraglie a recinzione (Di Pietro, 2009, p. 153). Gli edifici colonici mostrano la consueta diversità. Tra i più antichi, la Pannellina del 1684 almeno (semplice edificio a pianta rettangolare a scala esterna, con successivi interventi di copertura e ampliamento); il Greppo e Greppo I del 1684 almeno (case unitarie di forma rettangolare); il Molinaccio del 1736 almeno (casa diacronica costituita da più corpi con doppia torretta, in parte chiaramente ristrutturata in età leopoldina); la Foennella del 1684 almeno (casa costituita
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da due corpi in linea con ingressi formati da alti ed eleganti archi). Di grande interesse i complessi secenteschi nati su progetto, come la casa binata dei poderi del Porto I e III del 1684 almeno (con i corpi laterali interessati da scale esterne coperte da eleganti arcature che caratterizzavano, oggi sono tamponate, anche il corpo centrale che presenta nel tetto una grande meridiana); della Bandita del 1684 almeno (casa unitaria di forma rettangolare con arco nel portico e con ampio annesso separato); del Porto II e di Salciaie, rispettivamente del 1684 almeno e ante 1736 (case unitarie ristrutturate in età leopoldina allorché furono dotate della torre e di due arcature, poi tamponate, per accesso al portico e alla loggia) (Di Pietro, 2009, pp. 154-158). Chiaramente lorenesi le case del Butarone, del Capannone con relativo arsenale e del Belvedere (Di Pietro, 2009, pp. 155-156 e 158). Alle Chianacce, spicca per originalità il podere Paterno (complesso articolato di edifici con il principale dalla tipica forma di casa leopoldina con torre ma dotata di un’inconsueta scala esterna scoperta per accedere al piano superiore) (Di Pietro, 2005, p. 52). Ad Abbadia, la villa fattoria poi Bastogi si presenta come un complesso articolato di corpi edilizi riuniti da un circuito murario, con il giardino, e con nel piazzale antistante le bocche degli antichi depositi di grano (Di Pietro, 2005, p. 58 e 2009, p. 180). Per le case poderali, non mancano case dell’età medicea (come Giovacchino o dell’Ajola I o Podere Vecchio della Ferriera dell’inizio del XVII secolo, casa unitaria di forma rettangolare con torre, probabilmente ristrutturata secondo il modello leopoldino tra Sette e Ottocento), ma straordinario appare il numero degli edifici (quasi 20) costruiti sullo scenografico vialone gelsato della Fuga, tutti evidenzianti gli inconfondibili caratteri della dimora pianificata leopoldina, pur con presenza o meno di colombaria e di archi: a San Francesco o Podere I, Fuga I e II, Sant’Elisabetta o Vaccaio alla Fuga, San Pietro Nuovo, San Carlo o Podere II, San Ferdinando o Podere III, San Leopoldo, San Vittorio, Ferretti; ovviamente belle case leopoldine si trovano anche in altre aree della fattoria (ad esempio Sagginali, Porticciolo I e II, Le Stringaje con il fronte principale che mostra elevata qualità architettonica, anche per la presenza di finestre al piano primo con arco ribassato). San Pietro Vecchio presente al 1808 esprime una particolare tipologia edilizia con torre colombaia in posizione frontale in linea con la facciata principale, anziché in posizione Abbadia poi Villa Bastogi
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centrale, e accesso alla parte abitativa situata al piano superiore con scala esterna terminante in una loggia; il fabbricato presenta anche volumi giustapposti successivamente sul fronte. Sciarti II e I Gelsi (erette rispettivamente prima e dopo il 1823) hanno la soluzione della scala esterna scoperta per accedere all’abitazione al primo piano. Sciarti I presente al 1736 si presenta come una casa simmetrica a blocco con tetto a padiglione e con torre colombaia centrale, pur con allungamento della facciata e con soluzione della scala esterna scoperta per accedere all’abitazione al primo piano: è evidente l’avvenuto rifacimento nella seconda metà del XVIII secolo o all’inizio del successivo, secondo i canoni dell’edilizia leopoldina. Tornando alla Fuga, San Giovanni presente al 1858 costituisce un complesso edilizio “di qualità eccezionale”: la conformazione planimetrica è davvero singolare, “vagamente a croce greca che esalta l’articolazione volumetrica, con i singoli bracci coperti a capanna” e con un’alta torre colombaria “che riproduce larghezza e fronte timpanato del prospetto principale, con piccoli volumi soprastanti con carattere di attico”; pure Sciarti II presente al 1823: si avvicina a San Giovanni (ha particolare risalto la torre colombaia per le singolari dimensioni, corrispondenti al volume frontale della casa, e per la elaborazione architettonica, soluzione e distribuzione delle aperture”). Non mancano case binate, da quella dei poderi Ajola II e III o Poderi Nuovi della Ferriera della metà del XVII secolo (casa unitaria di forma rettangolare), a quella dei poderi Santa Cristina e Santa Luisa presente al 1858 (un fabbricato con torre colombaria dal lungo sviluppo orizzontale per la disposizione in linea delle due abitazioni e dei rispettivi annessi laterali) (Di Pietro, 2005, p. 60, e 2009, pp. 182-183, 185, 187-191, 193-196 e 198-200). Alla fase tra Otto e Novecento e fino alla seconda guerra mondiale appartengono Riccardo, Adele, Sant’Anna, Santa Clementina e Catena (case unitarie di forma quadrata prive però di torre), Avanguardia (casa unitaria di due corpi in linea di forma rettangolare), Santa Maddalena e San Maurizio (casa unitaria con facciate in laterizio a vista e aperture seriali non gerarchizzate) (Di Pietro, 2009, p. 182, 185-186, 190-192). Ad Acquaviva, la villa fattoria poi Volpi è un fabbricato massiccio e turrito (Di Pietro, 2005, p. 63), da cui dipendevano case poderali come quelle classiche leopoldine di Rialto I e II (addossate in linea), de I Maggesoni (due corpi di case quadrate addossate a squadra) e di Cinacchio ora in abbandono (Di Pietro, 2005, p. 63). L’itinerario dà modo di riconoscere molte altre componenti del paesaggio agrario storico legato alla bonifica e alla colonizzazione, come la rete delle vie e strade rurali che legavano (e per certi aspetti continuano a legare) i centri aziendali tra di loro e ai rispettivi poderi, oltre che ai borghi e paesi della valle. Spesso trattasi di stradoni dall’andamento eccezionalmente rettifilo, come quelli che uniscono le fattorie di Fonte a Ronco e Frassineto, le sedi rurali di Montecchio-Le Capannacce (Di Pietro, 2005, pp. 42, 49 e 59) e come lo stradone gelsato della Fuga o dei Poderi Nuovi dell’Abbadia, con ben 19 case coloniche edificate in tempi diversi: in effetti, la Fuga rappresenta un “formidabile” sistema viario e insediativo, quale “stradone rettilineo bordato di gelsi [monumentali] e di case coloniche dal disegno, in diversi casi, raffinatissimo”, e con in fon
Val di Chiana Toscana. Territorio, storia e viaggi
Piantate tradizionali (filari alberati con viti) sotto Villa Lazzeri
do il complesso edilizio produttivo del Torrione, “che termina, o ha inizio, sulla via Lauretana, di collegamento Siena-Cortona, all’altezza del Ponte di Valiano” (Di Pietro, 2005, pp. 28 e 54). Non di rado vie e stradoni sono ancora delimitati da filari di alberi o comunque fasce alberate, come gelsi (viottole di Brolio, del Podere San Francesco di Montecchio, via della Ferriera delle Chianacce), aceri (di Porto Basso di Creti), pioppi (strada di Frassineto). Particolarmente suggestivi sono anche i paesaggi della via di mezzo (Frassineto), della strada della bonifica di Fonte a Ronco (Di Pietro, 2005, pp. 39, 43, 49, 50, 52 e 56). Relitti di coltivazioni tradizionali (filari dell’alberata e di gelsi) compaiono in più luoghi: ad esempio, a di Montallese di Dolciano, tra la strada parallela al vialone della Fuga, “verso ovest, e la grande curva del Salarco, il grande appezzamento triangolare degli Sciarti, bonificato tra gli ultimi a causa degli ostacoli promossi dalla Comunità di Montepulciano […], il quale, anche per via di diverse cessioni di poderi ai mezzadri poi diventati coltivatori diretti negli anni ’50, mantiene ancora molti tratti del paesaggio agrario tradizionale (piantate, filari di gelsi, campi non accorpati)”; all’Abbadia o tra i Poderi San Ferdinando e Riccarda dell’Acquaviva (Di Pietro, 2005, pp. 28, 60, 65 e 67). Viceversa, esempi di recente riconversione agraria con estensivizzazione (monocolture cerealicole), effettuata previa cancellazione della trama delle colture promiscue, sono particolarmente percepibili nell’area di Rialto (con la casa poderale rimasta abbandonata) (Di Pietro, 2005, p. 63).
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