Secondo itinerario
Il Casentino. Territorio, storia e viaggi
Santuari Mariani ed eremi della vallata casentinese
ambiente montano del Casentino, ammantato di foreste, come aveva suggerito a San Romualdo di fermarsi “ad radices Alpium dividentium Tusciam et Romaniam” per condurre vita eremitica, indurrà altri asceti a scegliere una qualche località della regione come “habitat optimum” per portare avanti la loro scelta di vita contemplativa. Così fu ad esempio per Torello da Poppi (1202-1282), patrono della cittadina casentinese, che condusse nel romitorio di Avellaneta, non lontano da Poppi, una lunga esistenza all’impronta della più rigorosa penitenza. Dell’asceterio del Beato Torello più niente oggi rimane, ma si sa che esso fu un luogo di pellegrinaggio assai frequentato a motivo delle virtù sanatrici dell’acqua che scaturiva da una fonte prossima all’oratorio edificato dove il Santo era stato seppellito. Una precisa testimonianza del pellegrinaggio alla tomba del Santo “ch’a tutto el Casentin fa sì gran doni” e delle virtù terapeutiche dell’acqua di Avellaneta si trova in un poemetto anepigrafo della seconda metà del Quattrocento , dove (vv. 200-206) si dice:
L’
“quel romitorio adacqua una fontana che guarisscie hogni uomo che martir fo forte; i’ dico di febbre continue e terzana, che chi la pilglia con divotione sie guarito inn una settimana”
Renato Stopani
Santa Maria del Sasso
Se quello del Beato Torello fu un culto (e un pellegrinaggio) di ambito presumibilmente locale, in altri casi, oltre ad attivare locali flussi di pellegrini, la fama degli eremi casentinesi valicò i confini della regione. Tipico esempio fu quello del romitorio di San Michele Arcangelo a Camenza, nel quale, come ci informa il ricordato poemetto quattrocentesco (vv. 230-239): “Grighorio papa et Arigo imperadore dall’ermo venendo con giente in quantitade fermarse quivi la giente di valore, con principi, duchi, marchesi e singniori”
A Camenza, infatti, operava un santo taumaturgo, tale Peruzzo Catano, che guarì addirittura l’imperatore dalle gravi affezioni che lo tormentavano. È ancora il nostro poemetto a parlarcene (vv. 235241): “Lo ‘nperrador, per levar suo’ dolori, fermossi quivi con pennone in asta, per liberar suo ghanbo dell’ardore di canchero e lupa horibilmente quasta, che mai si truovò meddico nisuno ch’el liberassi con suo’ honguenti o tasta, se non Peruzzo Catam…”
S. Maria del Sasso
Com’è risaputo nel XII secolo in tutto l’Occidente cristiano si diffuse il culto della Vergine, con la conseguente nascita di numerosi Santuari ad Essa dedicati, che si distinsero per il loro carattere prevalentemente popolare. La frequentazione dei Santuari mariani da parte della gente comune sarà da rapportare, da un lato alla possibilità di raggiungere quei luoghi sacri offerta a chiunque, anche ai tanti che non potevano permettersi lunghi e costosi viaggi; dall’altro al tema della misericordia mariana, che accentuò un dato presente in tutti i pellegrinaggi: il desiderio di purificarsi dal peccato con un atto rituale. A differenza degli altri pellegrinaggi, però, il culto della Vergine non fu
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legato alla presenza di reliquie, implicò invece sovente l’esistenza di immagini miracolose, che finirono per ricevere una venerazione eguale a quella dei “sacra corpora”. Attraverso le immagini collegate a una manifestazione soprannaturale, storica o leggendaria, i Santuari mariani riuscirono a sacralizzare i luoghi, che focalizzeranno il fervore delle folle. Il “populus simplex et rusticanus”, frequentatore per eccellenza dei Santuari della Vergine, porterà a una ragguardevole crescita della devozione alla Madonna in tutta la Cristianità. Ne è riprova anche il “successo” dei Santuari mariani del Casentino: ci riferiamo in primo luogo a quello di Santa Maria del Sasso, che acquistò larga fama in tutta la regione, spingendosi sino alla contermine Romagna. L’apparizione della Vergine a una fanciulla, avvenuta nel 1347 nei pressi di Bibbiena, portò alla costruzione di un luogo di preghiera intorno al macigno sul quale la Madonna era apparsa. Così narra il prodigio il monaco Massimo di Silvestro in una sorta di relazione scritta risalente alla seconda metà del Quattrocento riportata da B. Giordano (1984, pp. 19-24):
Santa Maria alle Grazie
“… la Vergine Maria apparve ad una fanciulla, che aveva nome Cattherina, la quale credo era d’età di 6 o vero 7 anni (…). Questa fanciulla essendo discosto dalla madre et presso a questo sasso vide sopra ’l detto saxo o veramente allato al saxo una donna vestita di biancho…”
La crescente fortuna dell’oratorio, sempre più visitato nel corso del Quattrocento, dopo che ne presero possesso i frati domenicani del convento fiorentino di San Marco, porterà alla realizzazione, nell’ultimo quarto del secolo, di un ampio edificio in puro stile rinascimentale, con pianta a croce latina, coperto da una volta a botte e sormontato da una cupoletta. Lo edificò il fiesolano Bartolomeo Bozzolini, che si rifece chiaramente al gusto di Giuliano da Sangallo, come denunzia anche l’elegante tempietto con tabernacolo all’interno, ornato di un nobile fregio robbiano. Il Santuario sarà arredato e arricchito nel corso dei secoli con numerose opere d’arte: tra esse sono almeno da ricordare una statua lignea della Madonna (la cosiddetta “Madonna del Buio”) della prima metà del Quattrocento, un’Assunzione di Fra’ Bartolomeo, una terracotta invetriata di Santi Buglioni raffigurante Gesù e il Battista, il bel coro ligneo cinquecentesco intagliato e intarsiato. Secondo itinerario
La grande affluenza dei devoti fu richiamata anche dal ripetersi di tutta una serie di prodigi operati dalla Madonna, come quello accaduto nel 1444 al podestà di Bibbiena, Ilarione di Conte Compagni, che “tornando la sera presso la detta Chiesa quasi due balestrate sopra un poggetto che v’è, volgendosi verso la chiesa vidde lui co’ compagni suoi un globbo di grossezza quanto era un torchio”. Per accogliere convenientemente i pellegrini si rese quindi necessaria la costruzione di un porticato, di due ariosi chiostri, nonché di uno spedale per ospitarvi coloro che venivano da lontano: il tutto venne realizzato lateralmente alla chiesa. Come la Madonna del Sasso venne appellata “la gratiosa” poiché ad essa si ricorreva nella speranza di essere esauditi nelle proprie richieste, così sarà chiamato Santa Maria delle Grazie un altro Santuario dedicato alla Vergine, che sorse tra i declivi boscosi del monte Falterona, non lontano da Stia. Così ci ricorda la nascita del sacro luogo l’anonimo autore del poemetto quattrocentesco, cui più volte abbiamo fatto riferimento (vv. 158-165):
Santa Maria delle Grazie
“… Maria Vergine ad una vecchirella apparve a llei conn amor divino, di grano cierte spighe dando quella a mezzo marzo sì mirabil dono et disse manifestasse tal novella, che in questo logho là dove io sono, sì sse murasse un santo oratoro, poi sparendo con mirabil tono”
La località dove si verificò la miracolosa apparizione era un piccolo abitato rurale chiamato Casalino, di proprietà dello Spedale fiorentino di Santa Maria Nuova; assunse in seguito la denominazione che tuttora la distingue, in virtù del flusso di pellegrinaggio che alimentò (“per divotione molta giente corse”), che impose la realizzazione di quanto la Vergine aveva richiesto alla vecchiarella. Sorse così l’attuale edificio: una costruzione quattrocentesca ad un’unica navata precedu
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ta da un piccolo porticato e conclusa da una cappella terminale riccamente decorata di affreschi e di terrecotte smaltate di bottega di Giovanni della Robbia, ove è ospitata una immagine della Madonna, opera di Lorenzo Gerini (fine XIV secolo). Il santuario divenne poi un cenobio monastico sotto la regola dell’ordine vallombrosano, per questa ragione fu chiamato anche “Vallombrosella” e vide crescere, attigui alla chiesa, i locali di un monastero, di pertinenza del quale era il semplice ed elegante chiostrino, con portico terreno su colonne adorne di colonne finemente scolpite. In quanto terra di Santuari mariani e luogo eletto a loro dimora da esponenti dell’ascetismo monastico medievale, anche quando si affievolirono le correnti di transito per Roma o per la Terrasanta, che facevano del Casentino un ganglio del sistema delle vie di pellegrinaggio, la regione continuò a essere percorsa dai pellegrini, anche se nel quadro delle mutate espressioni della spiritualità che indirizzavano verso i pellegrinaggi locali, dissuadendo dall’intraprendere lunghi e pericolosi viaggi per luoghi remoti.
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