Secondo itinerario
Val di Chiana Toscana. Territorio, storia e viaggi
La Val di Chiana tra tarda antichità e alto Medioevo L’inizio dell’impaludamento, l’obliterazione della via Cassia, la formazione del limes longobardo-bizantino
lla fine dell’Ottocento Giovan Battista Del Corto, nella sua Renato Stopani Storia della Val di Chiana, si chiedeva se la Chiana fosse stata sempre una palude o un fiume, e portava a sostegno delle due tesi puntuali citazioni antiche e moderne per lo più inoppugnabili. Riteniamo che la questione non possa essere risolta con una risposta netta, dati i caratteri del bacino idografico chianino, la cui modestissima pendenza anche nell’antichità dovette rendere necessari tutta una serie di correttivi per impedire che l’eccesso di precipitazioni atmosferiche determinasse esondazioni e conseguenti allagamenti variabili per durata ed estensione nelle aree contermini al letto del fiume. Certo è che l’altitudine media del fondovalle, che si mantiene Le zone della Val di Chiana attorno ai 230-250 m s.l.m., e i dolci pendii dei rilievi collinari che sommerse racchiudono la vallata separandola, rispettivamente, dalla Val Tibe- dall’alluvione rina e dal bacino dell’Ombrone, dovevano fare della Val di Chiana, del 1966 nell’antichità, come oggi del resto, un’area particolarmente adatta all’agricoltura. Al di là delle testimonianze storicoletterarie e dei ritrovamenti archeologici, l’intenso sfruttamento agricolo e la densità di popolamento di tutta la zona in età tardo-repubblicana e imperiale è attestato in primo luogo dalla toponomastica. Forse in tutta la Toscana non vi è sub-regione nella quale siano sopravvissuti tanti toponimi prediali come in Val di Chiana. Ci riferiamo a quei nomi di luogo frutto della pratica fiscale-amministrativa di età imperiale di imporre ai fondi il nome del proprietario aggettivato. Con l’iscrizione ai ruoli censuari la denominazione si legava poi durevolmente al fondo connotandolo nei secoli. Diverse decine sono i toponimi chianini che si richia-
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Lago di Chiusi
mano a un personale latino che, a suo tempo, fu aggettivato con l’aggiunta del suffisso “-anus”, in quanto concordato al sostantivo fundus. Dagli esempi più conosciuti perché ad essi corrisponde oggi un grosso abitato (vedi ad esempio Lucignano, da Lucinius, e Marciano, da Marcius), ai toponimi che sono rimasti a caratterizzare modesti insediamenti rurali (vedi Argiano, da Argius, Gabbiano, da Gavius, Fontiano, da Fonteius, Larniano, da Larnius, Magliano, da Mallius, Metelliano, da Metilius, ecc.). A meno che non si tratti di un topos letterario, ma anche in tal caso l’affermazione sarebbe egualmente significativa, ancora nel 410 d.C. la fertilità della Val di Chiana veniva esaltata da Rutilio Namaziano che, rivolgendosi a Decio, governatore della Tuscia, così si esprime: “Coriti (Cortona) per arva beata populos regis” (Cantarelli, 1901, p. 122). Ma nel passaggio dalla tarda antichità all’alto medioevo, l’ubertosa vallata cominciò a impaludarsi, tanto che nei secoli che seguirono, con l’aggravarsi del fenomeno, la regione divenne sinonimo di luogo malsano; basti pensare al riferimento che ne fa Dante (Inferno, XXIX, 46-47): “Qual dolor fora, se delli spedali / di val di Chiana tra ’l luglio e ’l settembre…”. Molteplici furono le ragioni che portarono al progressivo deterioramento ambientale della valle, che ebbe certamente come causa prima la diminuzione della pendenza del bacino idrografico verso sud, a seguito degli alluvionamenti operati dai torrenti laterali. Ma dovette avere il suo peso anche la grave crisi economica e demografica dei secoli V-VI, che incise negativamente sul sistema di canalizzazioni che facilitava il deflusso delle acque della Chiana, impedendo la stagnazione delle stesse. Come in gran parte dell’Italia centrale, la situazione si aggravò poi all’epoca della disastrosa guerra greco-gota, cui fece immedia-
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tamente seguito l’invasione longobarda. Quest’ultimo evento interessò la Val di Chiana tra la fine del VI secolo e il primo decennio del VII, quando la città di Arezzo cadde definitivamente in mano dei longobardi. Tra la Val di Chiana e la Val Tiberina si formarono così diverse, successive linee di resistenza bizantina, che possono essere ricostruite sulla base di indizi, toponomastici, archeologici e religiosi. La penetrazione longobarda, utilizzando la rete viaria romana, che consentiva spostamenti rapidi, avvenne da nord-ovest e si diresse verso sud-est. È stato osservato (Fatucchi, 1973-75, pp. 385) che in Val di Chiana esiste tutta una serie di località che con i loro toponimi si richiamano a presidi difensivi bizantini (Camporomano, Val Romana, Fonte Romana) o a insediamenti militari longobardi (Centena). Ai primi è riferibile anche un interessantissimo toponimo nelle colline immediatamente a sud di Arezzo (Stoppedarca), un vero e proprio relittto storico che ha tramandato la denominazione di un alto ufficiale bizantino (lo “stratopedarca”). Mentre all’organizzazione militare longobarda sono da collegare anche le alture che hanno conservato il nome “Civitella”, vocabolo formatosi nella lingua romanza. Oltre all’importante abitato che si eleva sui poggi che fanno da spartiacque con la Val d’Ambra (Civitella in Val di Chiana), troviamo sul versante destro della vallata un significativo allineamento di toponimi (Monte Civitella, Poggio Civitella, Monte Le Civitelle) relativi a località con identici caratteri ambientali. Dovettero essere i caposaldi di un esercito (il longobardo) attestato su posizioni salde, ma non permanenti, perfettamente rispondenti alla dinamica dell’avanzata longobarda, che si espresse con una lenta erosione delle forze imperiali. Nella Val di Chiana bizantini e longobardi si fronteggiarono quindi per più decenni e solo verso la metà del VII secolo l’egemonia longobarda trovò una linea di arresto più duratura nella Val Tiberina. Ciò dovette avere riflessi pesantemente negativi sul popolaSecondo itinerario
Lago di Montepulciano
Lago di Montepulciano
mento della vallata, ed è presumibile che abbia implicato una accentuazione dell’impaludamento. Entro questo quadro di flessione demografica, di contrazione dello spazio coltivato e di espansione delle aree palustri, è da collocare il venir meno della funzione stradale della Val di Chiana, essendo divenuto materialmente impossibile utilizzare per l’intero loro tracciato sia la via Cassia che gli altri percorsi che facevano della vallata, si è visto, una “area di strada”. L’estendersi della palude dovette infatti obliterare i tracciati interrompendone i percorsi, il che determinò il venir meno dei transiti a orizzonti sovraregionali, decretando la marginalizzazione della valle. Il collegamento di Roma con l’Etruria e col mondo oltrappenninico, funzione primaria della via Cassia, non poté più attuarsi, e non solo a motivo delle interruzioni causate dall’impaludamento, ma anche perché il percorso dell’antica consolare, dopo l’assestarsi della dominazione longobarda nell’Italia centrale, veniva a svolgersi per un’area (la Val di Chiana) troppo vicina al territorio della Pentapoli, rimasto a Bisanzio. A nord del lago di Bolsena fu quindi giocoforza per i longobardi cercare un itinerario alternativo a quello della via Cassia, un percorso che si svolgesse al sicuro da eventuali colpi di mano bizantini. Fu individuato nella via, probabilmente preesistente, che risaliva la valle del fiume Paglia sino allo spartiacque con la Val d’Orcia, proseguiva per Siena, attraversava l’Arno a San Genesio, puntava poi su Lucca e valicava l’Appennino al passo di Monte Bardone (la Cisa). Nascerà così la via che sarà poi chiamata “Francigena”, la strada che per buona parte del medioevo incanalerà il grosso dei transiti per Roma, in specie quelli dei pellegrini che sempre più numerosi, a partire dal VII secolo, si recavano ad limina Beati Petri.
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La marginalizzazione della Val di Chiana per quanto attiene ai transiti ad ampio orizzonte si protrarrà almeno sino al XII secolo. Per il cambiamento delle zone di provenienza dei pellegrini, il cui flusso, a cominciare da tale epoca, verrà alimentato in misura via via crescente dai paesi delle regioni dell’Europa centrale e settentrionale, a latere della via Francigena venne a porsi la via Romea che discendeva dal passo del Brennero, superava la dorsale appenninica al valico dell’Alpe di Serra, digradava poi per il Casentino puntando verso Arezzo. Il prosieguo dell’itinerario verso Roma si svolgerà allora proprio per la Val di Chiana, snodandosi per il versante est della valle sulle pendici collinari ai margini delle aree impaludate. Quando poi, nel basso medioevo, si svilupperà il pellegrinaggio alla Santa Casa di Loreto, la Val di Chiana diverrà anche un crocevia di percorsi lauretani, e nonostante l’impaludamento, tornerà ad essere a tutti gli effetti una “area di strada”.
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Lucignano, Torre delle Monache