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Rassegna stampa
INSERTO DEL GIORNALE DELL’UMBRIA –“IL SABATO” Intervista di Giovanna belardi all’ex vetraio Averardo Rossi - 10 luglio 1999.
A Piegaro praticamente metà della popolazione ha avuto a che fare con la vetreria, una tradizione che in questo comune lacustre si perde nel passato e che tuttora costituisce un’importante fonte di occupazione per l’intera Valnestore. Se gli uomini “creavano” il vetro, dall’altra parte le donne davano un contributo all’economia domestica ricoprendo i fiaschi che venivano prodotti in zona. “Sono entrato a 11 anni nella Vetreria di Piegaro e i primi tempi facevo le cose più semplici, per esempio chiudevo lo stampo del vetro e prendevo circa 5 lire al giorno. All’epoca i vetrai specializzati erano iscritti alla Federazione, una sorta di ufficio collocamento che assicurava l’impiego per tutto l’anno”. Averardo Rossi ha lavorato anche fuori: a Monopoli, Empoli, Pontassieve. “Ho girato un po’ tutta Italia. La regione dove mi sono trovato meglio è stata la Toscana dove venivano rispettati alla lettera i contratti di lavoro e gli operai erano tutelati come turni e come orari. Ma anche se in condizioni non proprio buone, lavorare in vetreria per i piegaresi era una grande risorsa, un’opportunità importante. I sacrifici si affrontavano, e a parte il calore dei forni noi si maneggiava gli acidi e dalle composizioni venivano i rifiuti tossici.
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Quando la produzione non presentava difetti era una grande soddisfazione. Se al contrario, l’infornata andava male e veniva fuori il
“vetro cattivo” allora voleva dire che avevi lavorato per niente.
Fino al 1958 ho lavorato a Pietrafitta.
Avevamo il forno che portava oltre 1500 calorie, più la “tempera” che mandavamo a lignite. Questa conteneva lo zolfo e così ogni volta che si infornava non si riusciva più a respirare. nel forno si mettevano i rottami di vetro, le composizioni di soda e poi la rena del lago. E da quel grande calore chimicamente si formava il vetro. Andavo a Pietrafitta con la bicicletta d’estate e d’inverno e mi toccava partire con largo anticipo. Poi mi sono fatto la vespa e allora è andato tutto meglio. nella vecchia vetreria di Pietrafitta si producevano articoli di utilità, nel senso che non c’era una produzione di oggetti artistici, ma di fiaschi, damigiane e, naturalmente di bottiglie, visto che all’epoca la plastica non aveva sostituito il vetro”. Il potenziale creativo dei maestri vetrai piegaresi è stato snobbato per anni anche per esigenze produttive dell’epoca. L’immagine del piccolo elefante realizzato da Fernando Patassini rende testimonianza ai potenziali artisti futuri. Ci piace includerlo in questa pubblicazione, a simbolo delle scorribande, specie degli elefanti, che avvenivano millenni oro sono, nella nostra vallata.
ARTICOLO DE “LA NAZIONE ITALIANA” del 2 GENNAIO 1951
In grandi assemblee popolari a Tavernelle, a Oro, a Castiglion Fosco, a Pietrafitta, Acqiuaiola si è riunita la popolazione per discutere i problemi della ricostruzione della Centrale termoelettrica, del proseguimento della ferrovia Tavernelle-Chiusi e della sistemazione e incatramazione della strada Perugia-Città della Pieve. In ogni assemblea sono stati nominati dei Comitati che dirigeranno la grande azione di protesta. I sindacati, gli operai,i proprietari, i disoccupati daranno tutto illoro appoggio alla grande manifestazione che sarà tenuta nella prima decade di gennaio”. La Società Mineraria del Trasimeno, che aveva avuto, sotto la gestione Moratti, una grande espansione sia in campo produttivo che occupazionale, nel 1950 entrò in grave crisi, anche a causa dell’arrivo sul mercato di metano e petrolio, il cui costo era minore e il rendimento maggiore. Tuttavia la crisi per Pietrafitta non divenne irrimediabile perché si dette corso ad una nuova fase di sviluppo partendo da due fattori: la miniera a cielo aperto – con un’ampia meccanizzazione sia nell’estrazione che nel trasporto, poteva ancora rendere conveniente l’escavazione del minerale; questo minerale – poteva essere utilizzato – con ulteriore vantaggio economico – a bocca di miniera.
nel territorio, inoltre, seppure con alti e bassi, vi era una buona occupazione femminile. I lavori erano faticosi ma garantivano una integrazione al salario degli uomini, e talvolta lo sostituivano, quando questi restavano senza lavoro. negli Anni Cinquanta - sessanta molte donne svolgevano attività nel proprio domicilio con
l’impagliatura dei fiaschi, mentre altre trovavano impiego in agricoltura nelle piantagioni di tabacco. Le tabacchine partivano al mattino presto in bicicletta, radunandosi sulla strada, quasi in allegria, chiacchierando ad alta voce o cantando, come cicliste in allenamento, per tornare a sera, alla fine di una dura giornata di lavoro.
LA NAZIONE, CRONACA DI PERUGIA, 11 SETTEMBRE 1953.
“Si chiede la riapertura delle vetrerie Alto Trasimeno di Pietrafitta”. “Quando nell’autunno del 1947 fu decisa la chiusura delle Miniere di Pietrafitta, oltre 700 operai e impiegati si trovarono sul lastrico. Le attività artigiane, commerciali ed agricole e professionali dell’Alta Valle del nestore subirono un colpo durissimo. Successivamente la messa in funzione delle Veterie Alto Trasimeno e la parziale ripresa delle miniere, ridiede un po’ di vita alla martoriata Valle. non era tanto il numero degli occupati nella vetreria e nell’escavazione della lignite necessaria ad alimentare i forni che risolveva il problema dell’enorme disoccupazione creata dalla crisi del 1947, ma la rivestizione dei fiaschi effettuato dalle mogli, dalle madri e dalle sorelle dei disoccupati di Piegaro, Pietrafitta, Collebaldo, Castiglion Fosco, Macereto, Mongiovino, Missiano ecc. serviva in parte ad alleviare il bisogno delle famiglie dei lavoratori, quindi a ridare un po’ di vita ai commerci ed alle attività artigiane della Valle del nestore. Dal 31 maggio le Vetrerie del Trasimeno sono state chiuse e di conseguenza anche l’attività estrattiva di lignite è venuta a cessare.
Al momento della chiusura la direzione dell’azienda rassicurò i dirigenti della Camera Confederale del Lavoro e il rappresentante della Prefettura, che la riapertura sarebbe avvenuta non oltre il corrente mese di settembre.
Oggi la direzione delle Vetrerie Alto Trasimeno ha esplicitamente dichiarato che non sarà ripresa l’attività produttiva, come a suo tempo assicurato. La ragione della mancata riapertura sarebbe il persistere della crisi del vetro che non renderebbe conveniente l’attività della vetreria.
Le osservazioni dell’azienda non sono convincenti, perché l’eventuale aggravio del trasporto dei fiaschi da vendere in Toscana rispetto alle vetrerie di Empoli, Pontassieve, Certaldo ecc. è largamente compensato dal risparmio dei salari che nella nostra provincia sono, in media, inferiori di oltre lire 200 al giorno, senza contare il conseguente risparmio sui contributi assicurativi. I lavoratori e le popolazioni della Valle del nestore sono fermamente decisi a salvare quest’ultima fonte di lavoro e chiedono che la Direzione mantenga l’impegno preso. L’azione unitaria per la riapertura delle vetrerie, quindi con la conseguente riattivazione delle miniere, si lega alla soluzione di alcuni problemi che rappresentano la vita e l’avvenire del comprensorio. In particolar modo si pongono la ricostruzione della Centrale Termoelettrica, la creazione della zona industriale di Pietrafitta, l’incatramatura della strada Perugia-Tavernelle-Città della Pieve, rimasta sospesa a Capanne, nonché il prolungamento della Ferrovia Ellera-Tavernelle fino a Chiusi alfine di darle una funzione veramente utile e attiva.
Allo scopo di coordinare le iniziative da promuovere in tutta la zona, domenica 13 si terrà nei locali della Camera del Lavoro di Tavernelle una riunione di attivisti sindacali dei vetrai, rivestitrici di fiaschi e disoccupati”.
LA SOCIETÀ MINERARIA DEL TRASIMENO
Detta popolarmente “So-Min-Tra”, servì anche a dare sfogo alla passione per il pallone della famiglia Moratti, poi mecenate dell’Inter. Si diceva che venissero assunti con la qualifica di operai alcuni calciatori con il solo compito di formare una combattiva squadra. Famoso lo slogan coniato dai tifosi che riecheggiava nei campi di calcio:
-“Olio, petrolio, benzina minerale, per battere la Somintra ci vuole la nazionale”.
Pagine da: PIEGARO - CENT’ANNI DI VITA FRA CRONACA E STORIA
Senofonte Pistelli – Pierpaolo Mariani All’inizio del XX secolo la maggioranza degli italiani attivi erano dediti alle attività agricole, anche se queste non erano sufficienti a soddisfare i bisogni di una popolazione in costante aumento. Vari i motivi, derivanti principalmente da metodi di coltivazione arretrati e la difforme ripartizione dei terreni che andavano da estensioni di migliaia di ettari, malcurati se non addirittura incolti, alla piccolo proprietà, il cui scarso rendimento non consentiva di tenere il passo con i progressi della scienza e della tecnica.
Mancava poi una legislazione capace di regolare i rapporti fra i datori di lavoro e lavoratori, per cui gli abusi erano frequenti e gravi. Questa diagnosi calza anche per l’Umbria, che negli ultimo decennio dell’800 era infatti regione a larga prevalenza agricola, con un insediamento sparso dovuto al persistere del contratto di mezzadria. La giornata lavorativa era di 12-14 ore e la remunerazione assai scarsa.
La situazione cominciò a mutare nei primi anni del novecento, quando il governo Giolitti varò alcune leggi per l’incremento e la difesa dell’agricoltura, che ricevette un notevole impulso sia dall’impiego di concimi chimici che dall’introduzione di macchine agricole, capaci di alleviare il lavoro dei contadini e degli operai, aumentando la resa dei terreni.
notevolmente aumentata fu la produzione di vino, olio e prodotti ortofrutticoli. Fra le piante industriali ebbe un grande impulso il Tabacco, pianta aromatica, originaria dell’America tropicale-temperata, coltivata per la sua foglia che, variamente trattata e ridotta, costruiva la materia base per sigari, sigarette, trinciati, polveri da fiuto, che in farmacia.
non meno critica era la situazione industriale. Mentre si riorganizzavano i primi nuclei artigiani, eredi delle antiche corporazioni che si tramandavano il patrimonio professionale, spesso si usavano ancora rudimentali macchine tornitrici, sistemi idraulici antiquati, in netto ritardo rispetto al resto d’Europa.
A seguito di agitazioni salariali e scioperi si fondarono le prime Società di Mutuo Soccorso; se ne menzionano: quella Artistico vetraria di Altare del 1859, in provincia di Savona, quella di Torino formata da compositori tipografi, anch’essa cooperativa di produzione. In Umbria nel 1861 se ne contavano cinque: fra le quali è da ricordare la Società di Mutuo soccorso fra gli artisti ed operai di Perugia. In seguito si formarono le prime organizzazioni sindacali che ponevano le questioni della retribuzione, dell’orario di lavoro, della tutela del lavoro dei fanciulli e degli alloggi. Accanto all’ammodernamento delle attività produttive, al nord sorgevano le prime grandi industrie. La raggiunta unità d’Italia, offrì nuove possibilità di slancio al movimento produttivo in seguito alla caduta delle barriere doganali. Così all’inizio del ‘900, si attuò in Italia il vero e proprio decollo industriale, al termine del quale, anche se il settore dell’agricoltura continuava ad assorbire la maggior parte della mano d’opera, la nostra economia non poteva più dirsi semplicemente agricola, ma quanto meno agricolo - industriale. La produzione di beni strumentali, non adibiti al consumo, ricevette un forte impulso, provocando un netto spostamento in favore dell’industria pesante. Con il passaggio a quella idroelettrica notevole fu l’aumento delle fonti di energia. Il prezzo del processo di industtrializzazione fu pagato dal Meridione o, più esattamente dalle plebi del Sud, costrette alla miseria ad incrementare l’emigrazione verso i paesi più sviluppati dell’occidente d’Europa e verso le Americhe. Le dimensioni del fenomeno si
possono riassumere nelle seguenti cifre: - Circa centomila persone nel 1880. Era quintuplicato nel 1901 e sfiorava le 900.000 persone nel 1913. - In tanti tentarono la fortuna, senza conoscenza della lingua straniera, adattandosi a lavori umili, spesso dovendo sopportare vessazioni per sopravvivere e finalmente integrarsi nei paesi di accoglienza. non molto dissimile era la situazione economico - sociale nella Valle del nestore all’inzio del ventesimo secolo. L’attività Agricola costituiva ancora il settore primario. ben poco era cambiato per operai e contadini dall’immissione sul mercato delle macchine agricole e dall’uso dei concimi, perché a trarne beneficio furono all’inzio soltanto le grandi aziende agricole dei marchesi Misciattelli e del comm. Militone Moretti, che furono in grado di sostenere le spese per l’acquisto delle moderne attrezzature. Le altre aziende più piccole esistenti nel territorio, generalmente costituite da tre-sei poderi, come quelli di blasi a Macereto, di Rosei e Giorgi a Castiglion Fosco, di Peltristo a Pietrafitta, si aggiornarono solo dopo aver constatato i reali vantaggi derivanti dall’uso delle moderne tecnologie. Per tutti gli altri contadini la vita continuo ad essere dura, perché il lavoro era estenuante e il salario misero, le case erano per lo più in pessime condizioni e prive di servizi igienici, di illuminazione elettrica e di acqua corrente.. Una svolta si ebbe all’inizio del secolo con la riapertura dell’ “antico fornacino” di Via degli orti, dietro palazzo Cocchi.
I maestri vetrai piegaresi erano nati e crescuti in loco,
dove avevano appreso il mestiere, prima come garzoni, poi come apprendisti, portantini, vetrai. Dopo la morte del marchese Geremia Misciattelli che l’aveva riportata ai fasti del XVI secolo, la direzione della vetreria passò a Cesare Pesciarelli, poi a Giacomo Cordoni, quindi a Pietro Cordoni ed infine all’ing. Giuseppe Zannini, il quale fu costretto a chiuderla per una grave crisi di superproduzione. Il marchese Mario Misciattelli, figlio di Geremia, non potendo gestire personalmente la vetreria l’affittò a Severino Rossi, che la tenne fino al 1932.
Costui la diresse in modo famigliare, ottenendo un significativo risveglio produttivo avendo il merito di assicurare lavoro diretto e indiretto (con la rivestizione dei fiaschi) a oltre 250 persone. I fiaschi prodotti erano “toscanelle” da l. 1,750 e pulcianelle da 500 cc.. Le prime erano fasciate, le seconde rivestite a giro. Purtroppo questa fase durò poco, perché non si ebbe il coraggio di abbandonare vecchi e sorpassati sistemi di lavorazione, come invece avevano fatto altre vetrerie.
Dal 1915, la Società Terni iniziò a sfruttare i giacimenti lignitiferi situati sul fondo dell’antico lago Tiberino nei pressi di Pietrafitta, ma con scarsi risultati malgrado la disponibilità di grandi mezzi finanziari. La situazione migliorò nel 1917, quando la banca Conti di Firenze entrò nella Società.
Aumentò allora notevolmente la produzione e di conseguenza l’occupazione, tanto da dover ricorrere all’impiego di donne e prigionieri di guerra. Il primo conflitto mondiale incise profondamente
sull’economia nazionale, rendendo assai duri gli anni del dopoguerra. Molte industrie, che si erano ingrandite lavorando per l’esercito dovettero ridimensionarsi; molti operai furono licenziati ed anche molte donne che avevano sostituito nelle fabbriche gli uomini chiamati alle armi. Di difficile soluzione fu, infine, la sistemazione di migliaia di reduci tornati a casa dopo gli anni di guerra. Alcune spettacolari realizzazioni, quali le bonifiche delle paludi Pontine, delle terre depresse e malsane del Veneto e della Maremma e la cosiddetta “battaglia del grano” non bastarono a far decollare l’agricoltura italiana, dove la maggioranza delle abitazioni erano ancora prive di acqua corrente ne di luce elettrica. Solo alcune industrie come la FIAT a livello nazionale e, a livello regionale, SAI di Passignano, Cementerie d Magione e Terni, poterono salvarsi, grazie al beneficio di aiuti governativi. Un discreto aiuto all’economia della Valle del nestore fu data dalle due principali aziende agricole, Misciattelli e Moretti con la coltivazione del grano e del tabacco, anche attraverso la realizzazione di moderni essiccatoi.
La Vetreria, nei diversi periodi di attività ampliò la tipologia dei contenitori destinati ai settori oleario e vinicolo, sia con fiaschette schiacciate che venivano rivestite di vinco, sia con bottiglioni e fiaschi soffiati a bocca rivestiti con la scarcia tagliata al Lago Trasimeno. Come combustibile veniva usata la lignite di Pietrafitta che si trasportava di notte con carri trainati da buoi. La miniera di Pietrafitta, che alla fine del primo conflitto mondiale aveva raggiunto la massima produttività, andò incontro, come altre consorelle umbre, ad irreversibile
crisi che portò al blocco della produzione nel 1930. nel 1931 anche la vetreria entrò in crisi sempre più grave, per cui Severino Rossi che la gestiva insieme ai figli riconsegnò la fornace alla proprietaria, la marchesa Maria Carolina Misciattelli.
nel 1934 una società anonima, costituita da Domenico Lampani, bruno Cagiotti, Augusto Peltristo, Guido Guidarelli e Silvio Fiorentini, riaprì la vetreria per un estremo tentativo di risollevare l’economia paesana. Si pensò anche di trasferirne l’attività in località Lucerno. Ma il proposito non sortì l’effetto sperato e fu nuovamente crisi e con essa disoccupazione e miseria per molti. Lo attestavano in quel periodo le molte persone iscritte nell’elenco dei poveri e le delibere comunali relative a concessioni di sussidi caritativi ai bisognosi. Il Comune rilasciava il libretto sul quale il medico condotto annotava le visite e prescriveva i medicinali forniti dalle farmacie. La Miniera di lignite che aveva cessato l’attività nel 1930 rientrò in funzione anche se lentamente, sotto la spinta dell’autarchia e della guerra d’Etiopia. nell’anno 1941, per iniziativa della principessa Pallavicini, iniziarono i lavori per la costruzione della nuova vetreria, ubicata dietro il palazzo Misciattelli, al centro del paese, e per tale motivo già limitata nelle strutture, anche se i locali erano più ampi e funzionali della vecchia fornace.
I lavori per la costruzione del forno e della ciminiera avvennero con la supervisione del maestro vetraio Realini, fatto venire da Savona. nel riprendere la produzione di fiaschi e pulcianelle, venne introdotta anche la produzione di bottiglie bordolesi. La fornace
a pieno regime sfornava circa 20.000 fiaschi al giorno o 15.000 bottiglie. Salvo un breve periodo, in concomitanza con gli eventi bellici del 1944, la vetreria funzionò pressoché ininterrottamente fino al 1960.
Durante il 1942 l’imprenditore Angelo Moratti rilevò la Società Mineraria del Trasimeno, riportandola nel giro di pochi mesi alla massima efficienza. nel periodo della sua direzione vi fu infatti un notevole incremento della produzione e un consistente aumento degli addetti. nella zona di Pietrafitta era funzionante anche una fornace tipo Hoffman che produceva laterizi: mattoni, forati, tavelloni e blocchi “impero”, che restò in funzione fino al 1958.
In Umbria la guerra era passata distruggendo quasi totalmente le fonti produttive. Particolarmente colpita la provincia di Terni; la città aveva subito oltre cento bombardamenti aerei: officine, opifici, centrali elettriche, quasi tutte erano state messe fuori produzione; oltre il 25% dell’edilizia abitativa era crollata sotto lo scoppio delle bombe o resa inabitabile, l’erogazione della luce elettrica, del gas e dell’acqua sospesa. La provincia di Perugia aveva subito la stessa sorte anche se l’edilizia era stata risparmiata, ma distrutte erano le più importanti fonti di lavoro come la Perugina, la Lana d’Angora, la Valigeria Italiana a Perugia, lo stabilimento Macchi e lo Zuccherificio di Foligno, l’officina SAI di Passignano, la SAFIMA di Città di Castello ecc.
Una vivace e capillare azione fu svolta nel dopoguerra, da un Comitato cittadino per la costituzione del comune di Tavernelle. La vertenza si protrasse per qualche anno
prima di esaurirsi completamente. nel corso del 1947 una parte di vetrai che non erano stati riassunti nella vetreria di Piegaro, vennero chiamati a prestare la loro opera a Pietrafitta non lontano dalla zona mineraria dei Moratti. La vetreria era dotata di macchine semiautomatiche e di una automatica che però al momento non si riuscì a far decollare.
Vi fu un lungo periodo di tensione che sfociò nell’occupazione della fabbrica da parte dei lavoratori che si trovavano con la minaccia della disoccupazione. La vetreria di Pietrafitta non venne smantellata e tutte le macchine e gli stampi rimasero sul posto circa 2 anni in attesa di poter rientrare in produzione, cosa che avvenne nel 1949 sotto la direzione di Mantelli. Così fu assicurato il lavoro per circa 5 anni producendo fiaschi e damigiane, fino alla chiusura definitiva nel 1955.
La solidarietà della popolazione con i vetrai di Pietrafitta in sciopero.