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Pietrafitta e i fossili di Gilda Zucchetta
PIETRAFITTA E I FOSSILI di Gilda Zucchetta
non si può comprendere il presente se non si dà almeno un’occhiata al passato. Se la storia degli uomini è anche storia dei luoghi dove questi hanno vissuto e se una ricerca sociale della civiltà umana, a qualsiasi epoca si faccia risalire, non può prescindere dal contemplare anche l’aspetto morfologico e geologico del territorio insediato; vale la pena tentare in questa sede il viaggio a ritroso, nella protostoria del nostro Pianeta, per ritrovare ragioni e matrici atte a dar senso al successivo intervento umano. Ricordando che l’orogenesi appenninica, cioè la nascita delle nostre montagne umbre è iniziata pochi milioni di anni fa, portiamoci a due milioni di anni da oggi e vediamo quale era la situazione palegeografica dell’area dove oggi si trova Pietrafitta. Alla fine del Pliocene, ultimo periodo dell’era terziaria, nelle grandi valli risultanti fra dorsale e dorsale del Paleoappennino, si accumularono rapidamente grandi masse di acque continentali che determinarono la presenza di ampi bacini stagnali o lacustri, presenti in gran parte dell’Italia centrale, ma particolarmente
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sviluppati nell’area umbra, dove un vastissimo specchio d’acqua si estendeva da Città di Castello fino all’attuale conca ternana. Questo grande bacino, al quale i geologi del passato hanno dato il nome di “Lago Tiberino”, aveva una lunghezza di circa 120 km e una larghezza di circa 30; il Lago era costituito da più rami che si estendevano fino a Spoleto e Terni. Uno di questi rami occupava l’attuale Valle del nestore ed era chiamato “Lago di Pietrafitta”. Col passare del tempo, le plaghe collinari che delimitavano il vasto specchio d’acqua, cominciarono a poco a poco ad ammantarsi di verde. Tale vegetazione comprendente fiori, erbe ed alberi di ogni specie, divenne folta e lussureggiante, finendo per propagarsi in numerose foreste, che ben presto echeggiarono delle strida di animali selvatici e di ruggiti di bestie feroci, mentre le rive del lago costituirono per molti secoli un habitat ideale per miriadi di specie favoriti dal clima caldo-umido; gli alberi di questi boschi, le cui radici si sprofondavano nelle acque calde del lago o di qualche pantana, crebbero giganteschi ed intricati (vedi le piante fossili di Dunarobba dello stesso periodo). nella lotta per contendersi l’aria e il sole, si aggredivano, si sopraffacevano e si uccidevano, cadendo nel terreno acquitrinoso dove rimasero sommersi. Sulla loro putredine crebbero altri alberi, caddero altri rami, altre foglie, altri detriti. Queste sostanze organiche, essenzialmente vegetali, andarono incontro ad un processo di carbonificazione, che dovette consistere in una macerazione e fermentazione prolungata, per cui si impoverirono di ossigeno, idrogeno e altri elementi, mentre si arricchirono sempre più di carbonio. Si trasformarono
così da vegetali in minerali, dando origine a numerosi banchi di lignite. Intanto il lago cominciava a svuotarsi, in conseguenza di terremoti, maremoti e altre catastrofi naturali, e del vasto bacino lacustre rimanevano qua e là soltanto piccoli specchi d’acqua, paludi e fiumi (vedi Tevere). In queste grandi paludi gli animali in cerca di refrigerio, rimanevano intrappolati e, a causa della loro gran mole, molti non riuscivano a salvarsi. Questi esemplari di animali insieme ai resti vegetaliminerali, restarono così per migliaia e migliaia di anni compressi da strati e strati di lignite, subendo anche loro lo stesso processo di carbonificazione, mentre i fenomeni naturali di spostamento continuavano a mutare il paesaggio circostante. Veniva così a costituirsi a Pietrafitta una dei più grandi giacimenti di lignite di tutta Italia. L’uso che la popolazione del luogo ne ha fatto, dall’inizio del 1600 e per tutto il 1800, è stato essenzialmente di tipo domestico. Agli inizi del ‘900, si iniziò a studiare l’utilizzo della lignite come materia prima per la produzione di energia per le centrali termoelettriche.
La miniera di Pietrafitta e le vicende relative al suo sfruttamento, costituirono un caso emblematico dei passaggi e delle difficoltà affrontate dal settore lignitifero umbro tra le due guerre. Si è certi che la realizzazione di un Museo paleontologico è di fondamentale importanza, anche per lo sviluppo turistico ed economico del nostro territorio. Il signor boldrini, “Gigino” per la più parte degli abitanti della Valle del nestore, ha avuto negli anni qualche riconoscimento e citazioni giornalistiche e finalmente, nel 2011, l’inaugurazione, l’intestazione del Museo paleontologico tanto agognato.
Mio nonno ne sarebbe orgoglioso, ma purtroppo non è arrivato a quel giorno. Mio nonno, il signor Luigi boldrini, soffrirebbe, come noi soffriamo per le alterne vicende di questa nostra vallata.
attI deL ConVeGno - MoStranazIonaLe deLLe LIGnItI
Perugia 1959 – Sala dei notari Stralci dalla relazione dell’Ing. Franz Rettig, consulente tecnico della Miniera di Pietrafitta.
“Il settore degno di coltivazione si estende a sud del tronco ferroviario Tavernelle-Perugia. Il maggior ostacolo per lo sfruttamento è dato dalla presenza del fiume nestore e dai suoi affluenti, che attraversano la zona nella parte più settentrionale da Ovest a Est. Alcune case coloniche distribuite nella zona, una vetreria e una fornace sono state o debbono essere demolite per lo sviluppo della coltivazione. Per lo sviluppo futuro della Miniera sarà probabile una deviazione parziale o totale del nestore, e di conseguenza esisterà anche la necessità di deviare affluenti del nestore stesso. Malgrado questi affluenti in genere portino poca acqua, e durante molti mesi siano asciutti, possono aumentare, in caso di molta pioggia, la portata in modo tale da creare un pericolo notevole, per una miniera a cielo aperto. nel passato la vecchia miniera fu due volte inondata. La ricchezza dei fossili, che possono essere ritrovati, è tale per cui un preciso studio paleontologico potrà portare in seguito anche a stabilire un’esatta età di sedimentazione lacustre nell’antico Lago Tiberino”.