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Visioni
RACCONTI DI VITA, DI PR
Mostre e musei: come la moda si sa trasformare in un raccoglitore di culture
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Milan Knížák Destroyed Music, 1980. L’opera è esposta nella mostra Fluxus, arte per tutti. Edizioni italiane della collezione Luigi Bonotto al Museo del Novecento di Milano.
OGETTI E DI OSSESSIONI
di Michele Ciavarella
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CON MOLTA PROBABILITÀ, la mostra di moda di cui si parlerà molto nel 2023 sarà l’annunciata Bring no Clothes: Bloomsbury & Fashion curata dal giornalista di moda Charlie Porter che consegnerà all’editore Penguin il libro dallo stesso titolo. Della mostra non si sanno ancora le date (forse nella seconda metà dell’anno) e non si sa che cosa racconterà del rapporto tra gli intellettuali e gli artisti raccolti nel Gruppo di Bloomsbury e la moda. Si sa che si svolgerà nelle nuove gallerie costruite sul terreno della casa di Charleston, nel Sussex, dove abitava il pittore Duncan Grant, arrivato nel gruppo grazie al suo amante Lytton Strachey, e che proprio in quella casa viveva more uxorio con Vanessa Bell, la sorella di Virginia Wolf, con la quale ebbe una figlia pur senza mai interrompere la relazione con Strachey. La mostra, allora, racconterà proprio la vita che si svolgeva in quella casa dove confluivano contemporaneamente o a turno Virginia Woolf e il marito Leonard, l’economista John Maynard Keynes, il critico d’arte Clive Bell, lo scrittore E.M. Foster, i pittori Roger Frey e Dora Carrington che intrecciavano arte, vita e passioni amorose in totale libertà, con o senza pratiche sessuali pronte a qualificare generi e sentimenti. Che Porter, autore di What Artists Wear (Penguin), ora indaghi sul rapporto con la moda di quel gruppo spregiudicato che spinse la vita intellettuale verso un decisivo rinnovamento sociale (Strachey inventò l’obiezione di coscienza antimilitarista, Keynes rivoluzionò la macroeconomia, Bell definì il Significant form, il metodo per definire se qualcosa è una forma d’arte), mentre tutti intrecciavano amori o, più spesso, camere da letto (soltanto la poetessa Vita Sackville-West, sentimentalmente legata a Virginia Woolf, non amava frequentare il cottage). La curiosità per questa mostra suscita un’aspettativa che rischia di trasformarsi in delusione nel momento in cui il popolo della moda accorrerà a vederla nel Sussex ma la dice anche lunga sulla necessità che le mostre della moda non siano più fatte semplicemente di vestiti indossati dai manichini alternati a schermi interattivi o video d’epoca. I più avvertono la necessità che le mostre di moda raccontino la vita che è parte essenziale della moda stessa. E per farlo, le esposizioni che celebrano abiti, accessori e monili di epoche passate o di creativi viventi devono raccontare le culture che partecipano alla definizione stessa della moda.
Nella pagina accanto. In alto: dalla mostra Lee Alexander McQueen del museo LACMA di Los Angeles (da Style, maggio 2022). Al centro: dal libro The Fendi Set voluto da Kim Jones per raccontare la sua prima collezione per Fendi Couture con le foto di Nikolai von Bismark (da Style, aprile 2022). In basso: Shocking! Les mondes surréalistes d’Elsa Schiaparelli, la mostra dedicata alla couturier italiana dal Musée des Arts Décoratifs (da Style, luglio/ agosto 2022).
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UN ESEMPIO DEL METODO con cui procedere potrebbe arrivare da alcune mostre d’arte che si mettono al riparo dal correre il rischio dell’autoreferenzialità. Al Museo del Novecento di Milano è in corso Fluxus, arte per tutti. Edizioni italiane della collezione Luigi Bonotto (fino al 16 aprile). Al di là dei pezzi esposti, la mostra, a cura di Patrizio Peterlini e Martina Corgnati, riesce a raccontare la vita che prendeva forma in quella fine degli anni Cinquanta - inizio anni Sessanta quando l’organizzatore culturale George Maciunas fonda Fluxus, il movimento che provoca una rivoluzione estetica, sociale e di mercato, inventando le «edizioni» e rende democratico l’elitarismo dell’arte. Così, come succedeva in quegli anni nella moda che vedeva nascere nello stesso tempo il prêt-à-porter e i cataloghi di vendita per corrispondenza, le edizioni delle opere di Joseph Beuys, Nam June Paik, Dieter Roth, George Brecht si spedivano per posta dando vita a quel Revolutionary Flood, l’alluvione nella vita quotidiana che la mostra allestita con le opere del più grande collezionista italiano del movimento, Luigi Bonotto, sa raccontare come se fosse
La sala che racconta il «rosso Valentino» nella mostra Forever Valentino a Doha, Qatar, curata da Massimiliano Gioni e Alexander Fury. 200 abiti che, secondo il direttore creativo Pierpaolo Piccioli, «rappresentano una prospettiva e non si pongono come elementi di una retrospettiva» (da Style, dicembre 2022).
MODA E ARTE INSIEME PER DESCRIVERE IL MONDO MISTO DELLE CREATIVITÀ
UNA MOSTRA SULLA MODA DEVE RESTITUIRE UNA VISIONE DEL DESIDERIO
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un video-documentario con un metodo che la moda potrebbe mutuare con facilità.
DURANTE LO SCORSO ANNO, su Style abbiamo documentato molti episodi di questo percorso culturale che sembra procedere verso il racconto di un ambiente culturale e non di semplici abiti esposti. È quello il significato che abbiamo individuato in Virgil Abloh: «Figures of Speech» al Brooklyn Museum di New York (fino al 29 gennaio) che racconta non gli abiti ma la formazione culturale del loro autore, oppure in Shocking! Les Mondes surréalistes d’Elsa Schiaparelli (fino al 22 gennaio al Musée des Arts Décoratifs di Parigi) che mette insieme abiti e opere d’arte per descrivere il mondo misto di creatività degli artisti surrealisti che hanno contribuito a disegnare gli abiti della «italienne». Ma è stata così anche Lee Alexander McQueen: Mind, Mythos, Muse che, fino allo scorso ottobre, al LACMA di Los Angeles, ha messo a confronto 70 abiti del designer inglese con 200 opere d’arte per visualizzare i suoi riferimenti. Una missione che ha svolto bene anche Yves Saint Laurent aux Musées che all’inizio dello scorso anno ha tenuto impegnati sei musei (Louvre, Pompidou, Picasso, d’Orsay, Art Moderne e Saint Laurent) per cinque mesi per spiegare da dove nasceva la moda fatta di arte, letteratura e ossessioni del genio del Novecento. In questi e altri casi è stata superata l’impasse che deriva dal manichino figurativo e utilizzato quel «manichino astratto» che, secondo la curatrice Maria Luisa Frisa, è necessario a una mostra per rendere «una visione del mondo, del corpo e del desiderio. Solo così si può raccontare una moda che restituisce un momento perché, oltre al talento e alla visione, una mostra deve raccontare il punto di vista e l’ossessione che servono all’autore del vestito per costruire il suo progetto». E tutto allora rimanda alla più evidente espressione di una mostra di moda che ha saputo raccontare la vita: Savage Beauty, il tributo ad Alexander McQueen partito al Met di New York nel 2011 e aggiornato al V&A di Londra nel 2015. È quella la base da cui partire perché una mostra possa raccontare «che cos’è il vestito» e non il voyeristico senso del «dietro il vestito». Che è un appunto da tener presente per un eventuale Museo della Moda che voglia nascere come un raccoglitore di culture e non soltanto come un archivio ben ordinato di bellissimi vestiti.
Nella pagina accanto. In alto: un abito di Craig Green, la scutura L’Age d’Airain di Auguste Rodin e un abito di Wales Bonner S-S 2015 dalla mostra Fashioning Masculinities: The Art of Menswear al Victoria and Albert Museum di Londra (da Style Fashion Issue, novembre 2021). Al centro: tre oggetti esposti nella mostra Virgil Abloh: «Figures of Speech» al Brooklyn Museum di New York (da Style, dicembre 2022). In basso: il famoso ritratto nudo di Yves Saint Laurent di Jean Loup Sieff e uno schizzo dello stesso designer esposti nella mostra Yves Saint Laurent aux Musées che a Parigi ha coinvolto sei musei, dal Louvre al Centre Pompidou fino al museo Saint Laurent (da Style, gennaio/febbraio 2022).
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