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Convegni Sviluppo sostenibile tra sfide e iniziative (R. Contato

Sviluppo sostenibile tra sfide e iniziative

È urgente intraprendere un percorso di cambiamento verso sistemi agroalimentari sostenibili, e ognuno è chiamato a fare la sua parte: istituzioni, organizzazioni, ricercatori e cittadini. Questo il leitmotiv del 10° Forum Internazionale su Alimentazione e Nutrizione, organizzato dal

la Fondazione Barilla in collaborazione con World Food Programme Italia, National Geographic Italia, United Nations Sustainable Development Solutions Network (UN SDSN), Center for European Policy Studies (CEPS), il Columbia Center for Sustainable Investment (CCSI), il Santa Chiara Lab – University of Siena (SCL) e la Global Alliance for the Future of Food (GAFF). L’evento, che si è svolto a dicembre al The Mall di Milano, ha toccato diversi aspetti inerenti alla relazione tra cibo e sostenibilità, primo fra tutti il ruolo dell’industria alimentare nel raggiungimento degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (SDGs, Sustainable Development Goals) sottoscritti dai 193 Paesi membri dell’ONU con l’impegno di raggiungerli entro il 2030, quindi fra soli 10 anni. “L’urgenza di intervenire sugli attuali sistemi agroalimentari appare evidente – ha sottolineato Guido Barilla – perché quell’idea di sviluppo e progresso, basata sulla convinzione che le risorse del pianeta fossero illimitate, non è più perseguibile. Serve guardare al cibo nella sua dimensione economica, sociale e ambientale, ponendo al centro dell’Agenda di sviluppo tutti gli attori interessati, dal settore privato ai cittadini, per gettare le basi verso un futuro inclusivo, duraturo e prospero”. Secondo il Presidente di Fondazione Barilla bisogna fare cultura ed educazione, senza terrorismi, ma con la volontà collettiva di impegnarci. Occorrono, inoltre, regole imposte dalla legge, in modo che tutti gli operatori si trovino nelle stesse condizioni di concorrenza.

Approccio olistico

Secondo Donatella Bianchi, presidente di WWF Italia, per affrontare un problema tanto complesso ci vuole un approccio oli-

stico, che tenga in considerazione anche il valore economico del cibo, un aspetto che spesso si perde di vista. “Ascoltiamo la scienza, che da tempo ci mette in guardia sui cambiamenti climatici”, ha aggiunto, per poi soffermarsi in particolare su quelle che sono le minacce per gli oceani, come la presenza ormai ubiquitaria di plastiche e microplastiche (sono state rinvenute persino nella Fossa delle Marianne!) e il cosiddetto “ocean grabbing”, ossia la depredazione dei mari, un problema sia quantitativo (pesca intensiva) sia qualitativo, dato che mangiamo solamente una decina delle quasi 200 specie ittiche commestibili.

La relatrice ha, infine, evidenziato l’importanza della pesca locale, che bisogna promuovere: “Modificare i nostri piccoli gesti quotidiani è importante. Quando acquistiamo cibo dobbiamo pensare che siamo parte del pianeta”. Dobbiamo anche imparare ad essere meno antropocentrici e ad avere più considerazione degli altri esseri che popolano il pianeta, fra cui le piante, che sottovalutiamo nonostante rappresentino l’85% della biomassa globale (contro lo 0,3% degli animali). Stefano Mancuso, professore associato dell’università di Firenze e direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale (Linv) ha osservato come le capacità dei vegetali vengano generalmente ignorate, eppure è dimostrato che possiedono una forma di intelligenza e riescono a compiere movimenti, soltanto in modo differente da quello umano. “Piantando 1.000 miliardi di piante possiamo contrastare il riscaldamento globale – ha affermato lo scienziato –. Le piante possono insegnarci come sopravvivere”.

Transizioni critiche

Secondo lo studio “Growing Better: Ten Critical Transitions to Transform Food and Land Use”, realizzato da The Food and Land Use Coalition e presentato al Forum da Jeremy Oppenheim (Systemiq), cambiare approccio e spostarsi verso sistemi più sostenibili si tradurrebbe anche in vantaggi economici, quantificati in 5.700 miliardi di dollari a fronte di un investimento di 300-350 miliardi di dollari l’anno (meno dello 0,3% del PIL globale), con ulteriori riflessi positivi in termini di nuove opportunità commerciali.

Il carismatico Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, ha posto l’accento sul ruolo centrale che le comunità locali rivestono nel cambiamento del paradigma. “Bisogna iniziare a capire le loro potenzialità, perché dalla moltitudine di piccole comunità può nascere il cambiamento”, ha detto. Soprattutto è l’economia che deve cambiare perché, secondo lui, con il modello di economia attuale lo sviluppo sostenibile è una chimera. “Tutti dobbiamo lavorare dal basso per generare un nuovo tipo di economia attenta alla circolarità, alle comunità locali e al bene comune – ha affermato –. Una visionarietà non lavora sull’utile immediato ma deve guardare più avanti. La sfida del secolo è il cambio dell’economia”.

A proposito di cambiamenti dal basso, se tutti adottassimo quotidianamente una dieta sostenibile a trarne vantaggio non sarebbe solo la nostra salute, ma anche quella del Pianeta. È il presupposto su cui si fonda il progetto europeo triennale Su-Eatable Life, che coinvolge mense universitarie e aziendali in Italia e nel Regno Unito dove, da gennaio, sono in fase di test menu “healthy” studiati per ridurre le

emissioni di CO 2 e il consumo di acqua. Fondazione Barilla è ente capofila dell’iniziativa, alla quale collaborano greenApes, che fornisce la piattaforma digitale utilizzata per ingaggiare gli utenti nelle mense, la Wageninen University, responsabile dell’elaborazione dei dati raccolti, e la Sustainable Restaurant Association, il partner che supporta lo sviluppo dell’iniziativa nel Regno Unito.

SDGs per l’agroalimentare: luci e ombre

“Per promuovere la trasformazione verso sistemi alimentari sostenibili, è necessario un cambiamento nelle pratiche aziendali e negli standard di monitoraggio e rendicontazione, che devono essere più armonizzati, sistematici e comparabili”, ha affermato Angelo Riccaboni, professore di Management Control Systems presso la Richard Goodwin School of Economics e di Management all’Università di Siena, oltre ad essere membro del Consiglio diretti-

vo della Rete di soluzioni per lo sviluppo sostenibile (SDSN) dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. La sua ricerca è incentrata sui temi della governance e del controllo, nonché sul ruolo di organizzazioni e università nel promuovere l’attuazione dell’Agenda 2030 degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Al congresso Riccaboni ha presentato i risultati dell’indagine “Fixing the Business of Food: Il settore alimentare e gli obiettivi di sviluppo sostenibile” la quale, prendendo in esame che adottati nello stabilire gli obiettivi per il futuro. Lo studio mette in evidenza anche le azioni che le imprese agroalimentari devono adottare per allinearsi agli SDGs: formulazione di prodotti che contribuiscano a modelli alimentari sani e sostenibili; elaborazione di pratiche di produzione sostenibili; creazione di filiere globali sostenibili; buona “cittadinanza d’impresa”.

A che punto è il sistema agroalimentare italiano rispetto al raggiungimento degli SDGs? Nello stu

le aziende con la maggiore reputazione in termini di sostenibilità per capire cosa fanno, ha rilevato alcune criticità: linguaggio eterogeneo per esprimere i risultati, dei quali vengono evidenziati solo quelli che mettono in luce i punti di forza delle aziende; l’impatto che il prodotto ha su salute e benessere non è sempre adeguatamente specificato; la cittadinanza d’impresa è comunicata per lo più in forma narrativa, senza dare informazioni specifiche o dati quantitativi; differenti criteri e tempisti

dio “L’Italia e il Cibo”, sempre presentato al Forum, sono emerse luci e ombre: il nostro Paese è sotto la media UE relativamente alle sfide nutrizionali per via dell’elevato numero di persone sovrappeso e sedentarie, però rappresenta un’eccellenza sul fronte dell’agricoltura, grazie all’avvio di numerosi progetti di ricerca e alla presenza di coperture assicurative legate al cambiamento climatico. La lotta allo spreco di cibo ha ancora ampi margini di miglioramento: in Italia costa ol- tre 15 miliardi di euro (circa l’1% del nostro Pil), ma istituzioni, enti pubblici e aziende si sono attivate per invertire la tendenza.

Nuove tecnologie e digitalizzazione

Al forum è intervenuto, fra i numerosi relatori, Andrea Renda, Membro del Centro per gli Studi Politici Europei (CEPS), l’Ente che ha collaborato con Fondazione Barilla alla realizzazione dello studio “Digitising AgriFood”, un’analisi sulle possibili applicazioni delle nuove tecnologie digitali al sistema agroalimentare, basate sull’Internet delle cose, intelligenza artificiale, blockchain, raccolta e gestione di dati. Tali tecnologie sono un’enorme opportunità per la filiera agroalimentare: promettono di aumentare le rese in agricoltura, ridurre gli sprechi alimentari e favorire il cambiamento di modelli di consumo verso diete più sane e sostenibili. Il rovescio della medaglia sono gli aspetti negativi di cui tenere conto, dall’energia per alimentare i server ai rifiuti elettronici, dalla riduzione della manodopera conseguente all’automazione alle difficoltà economiche per i piccoli agricoltori nell’adottare attrezzature digitali. Bisogna conoscere queste sfide per prendere decisioni ponderate anche a livello normativo. Questi rischi, come ha sottolineato il relatore, richiedono un approccio sistemico alla filiera, nonché una leadership credibile a livello globale. “Siamo convinti che solo l’Unione Europea può esercitare questa leadership – ha dichiarato Renda – ed è per questo che nel nostro rapporto dedichiamo molte delle nostre raccomandazioni proprio alla UE e ai suoi stati membri”.

Rossella Contato

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