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L’alimentare cresce, ma inflazione e costi delle materie prime minacciano la crescita

I dati dell’8ª edizione del Food Industry Monitor (FIM) dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e Ceresio Investors – il più ampio studio sull’agroalimentare italiano – parlano di una crescita record del 6,8%, superiore a quella del Pil (6,6%). La crescita si protrarrà anche nel 2022 e nel 2023, con tassi intorno al 4% annuo, più del doppio del Pil. L’Osservatorio è dedicato quest’anno all’analisi del rapporto tra innovazione e crescita sostenibile delle aziende alimentari, con un focus sulle aziende familiari e le specificità dei loro modelli di business. La redditività commerciale (ROS) ha raggiunto il 6,5% nel 2021, e le proiezioni indicano una sostanziale tenuta anche per 2022, nonostante le forti tensioni sui prezzi delle materie prime. La struttura finanziaria delle aziende del settore resta solida, con una lieve crescita del tasso di indebitamento. Nel 2021 le esportazioni hanno ripreso a crescere con un tasso superiore al 10%, in forte rimbalzo rispetto al -0,4% del 2020. Le esportazioni continueranno a crescere, ma a tassi molto più contenuti fino al 2023.

Per quanto riguarda le previsioni 2022-2023, I comparti delle farine e del caffè saranno interessati quest’anno da una crescita a due cifre, questo anche per effetto dell’aumento dei costi delle materie prime. Faranno bene anche i comparti dell’o-

lio, dei surgelai e del latte, mentre il vino crescerà del 4,8%, appena al di sotto della media settoriale. I comparti più dinamici per le esportazioni nel 2022 saranno: distillati, birra, latte e soft drink, ma anche vino e pasta fanno bene nell’export.

L’analisi delle performance di sostenibilità evidenzia che il 98% delle aziende utilizza del tutto o in parte materie prime a ridotto impatto ambientale e che circa l’88% delle aziende usa in via esclusiva o prevalente packaging sostenibili. Circa il 57% ha ottenuto una o più certificazioni inerenti alla sostenibilità ambientale e il 30% circa pubblica un bilancio di sostenibilità, mediamente da almeno tre anni, dove materie prime a ridotto impatto ambientale significa che sono state prodotte secondo criteri quali il km zero o l’agricoltura biologica, con fonti di energia rinnovabile e/o packaging da materie prime riciclate. Si tratta di una tendenza molto diffusa, anche se utilizzata in modo non esclusivo. Se dunque il 98% delle aziende utilizza del tutto o in parte materie prime sostenibili, solo un 22% le utilizza in modo prevalente. Rispetto ai dati dello scorso anno, le imprese stanno comunque incrementando in modo significativo gli investimenti in sostenibilità.

I dati dell’Osservatorio mettono anche in luce che le società familiari hanno un ruolo preponderante nel settore del food, dove il 78% del campione di aziende analizzato è controllato da una o più famiglie. L’86% ha un Consiglio d’Amministrazione interamente composto da membri della famiglia, l’11% è caratterizzato da una composizione del CdA mista, che comprende membri esterni e interni alla famiglia; il 3% ha un CdA composto interamente da membri esterni. Solo l’8% delle imprese analizzate ha un CEO esterno alla famiglia, ed è questo un elemento su cui riflettere se si considera che circa il 65% delle aziende è attualmente gestito dalla prima generazione di imprenditori, il 30% dalla seconda e poco più del 4,5% riesce a giungere alla terza e quarta generazione. In generale, le aziende familiari che riescono a mantenere una guida solida e stabile hanno performance di redditività e produttività superiori a quelle con un CEO non familiare. I dati dimostrano che la scelta vincente è un management team con membri della famiglia affiancati da manager professionisti, cosa che consentirebbe alle aziende di ottenere migliori performance di redditività (ROS) e soprattutto di costruire un profilo di sostenibilità più solido.

Benessere, salutismo, naturalità, sicurezza e italianità nel carrello della spesa

Sono oltre 128 mila i prodotti del maxi-carrello della spesa monitorato da GS1 Italy nell’11ª edizione dell’Osservatorio Immagino che, incrociando claim e vendite, racconta i nuovi trend dei consumi degli italiani, accanto al Barometro Sostenibilità, che misura e racconta come le aziende comunicano sulle etichette il loro impegno nel migliorare l’impatto ambientale in quattro aree tematiche (management sostenibile delle risorse, agricoltura e allevamento sostenibili, responsabilità sociale, rispetto degli animali), e all’osservatorio sull’evoluzione della comunicazione sulla riciclabilità dei packaging.

Lo studio – che racconta l’evoluzione del carrello della spesa attraverso le informazioni presenti sulle etichette e sulle confezioni dei prodotti (ben oltre 100 variabili tra valori nutrizionali, claim, loghi, certificazioni, ecc.) incrociate con i dati elaborati da NielsenIQ su venduto in ipermercati e supermercati su tutto il territorio nazionale, consumo e fruizione dei media – adotta un approccio innovativo, capace di resistere anche alla destrutturazione delle classiche categorie di analisi dei consumi.

I prodotti monitorati (alimentari e non alimentari) per 39 miliardi di euro di vendite (83% del sell-out totale di ipermercati e supermercati), sono raccolti in 11 fenomeni di consumo che esprimono altrettanti universi valoriali: dall’italianità al free from, dai metodi di produzione al lifestyle, dal non food green alle intolleranze alimentari, da cui discendono 88 pagine di analisi che scandagliano l’evoluzione e le dinamiche che hanno caratterizzato il largo consumo in Italia nel corso del 2021. Ad arricchire lo studio, infine, il dossier dedicato alle occasioni di consumo che, introducendo una nuova tipologia di analisi, accende i riflettori sulle tendenze più dinamiche dell’evoluzione del mercato alimentare di largo consumo scomponendole però tra colazione, primi piatti, secondi piatti e fuoripasto. In questa edizione dello studio si è verificata, per la prima volta, l’esistenza di trend trasversali che accomunano o distinguono i prodotti a seconda della loro occasione di consumo: benessere, salutismo, naturalità, sicurezza o italianità.

Come evolvono i consumi fuori casa dei prodotti da forno

CSM Ingredients – leader nella ricerca e produzione di ingredienti alimentari che contribuiscono all’evoluzione dell’ecosistema del food – ha presentato i risultati della ricerca commissionata a NielsenIQ per indagare i consumi fuori casa, con un particolare focus sull’andamento del consumo e dell’acquisto di prodotti da forno per colazione, pranzo, merenda, aperitivo e sulle tendenze future.

La ricerca rivela una ripresa dei consumi “out of home” (OOH), con il 2022 iniziato con circa 1 consumatore su 2 che dichiara di essere tornato a consumare pasti fuori casa con la stessa frequenza del 2019.

L’impatto della pandemia si fa sentire in maniera sempre meno importante, in particolare è il timore del contagio a figurare ancora tra le cause che hanno portato una parte dei consumatori a ridurre leggermente la frequenza dei consumi fuori casa, soprattutto della colazione, ma è evidente il trend positivo di ripresa e di fiducia nel futuro.

Soffermandosi sulla colazione, la protagonista indiscussa dei consumi OOH rimane la croissanteria, scelta dal 77% di chi fa colazione fuori casa con una statistica di frequenza di mediamente 1-2 volte alla settimana: in questo caso, la scelta prevalente di chi consuma fuori rimane il bar, tuttavia risultano in crescita anche i canali alternativi come la pasticceria, soprattutto tra chi prevede di aumentare la frequenza di colazioni fuori casa (in particolare la fascia giovane).

Dalla ricerca emergono spunti interessanti sulla percezione della qualità dei prodotti: se nelle pasticcerie la percezione di freschezza dei prodotti è allineata alla realtà, nei bar tende ad essere sopravvalutata, a significare che il consumatore di questo canale spesso non distingue tra prodotto artigianale e prodotto industriale. Ciò indica da un lato come l’assortimento garantito oggi dall’industria tenga il

passo con i gusti e le tendenze e come il lavoro di personalizzazione in-store dei prodotti frozen (filling, glassatura, topping) si sia dimostrato efficace a “mimare” un prodotto fresco. Dall’altro suggerisce una direzione di evoluzione e sviluppo per il canale artigianale sia in termine di comunicazione, per far meglio percepire la qualità artigianale della propria offerta/prodotto), sia strutturali con la possibilità di inserire al proprio interno la caffetteria garantendo così l’offerta “colazione completa”.

Per quanto riguarda Pranzo, Merenda e Aperitivo, la pizza risulta essere il prodotto più consumato per un break fuori casa, anche se pane, panini e focacce vengono comunque scelti da circa 1 consumatore su 2. L’acquisto dei prodotti da forno rimane trainato dal canale tradizionale offline, ma è il canale online a mostrare la crescita più alta, con un trend del +138%.

Considerando poi come l’età e la frequenza di consumo influenzino le preferenze, dalla ricerca emerge come i giovani e gli heavy consumers siano più aperti ai prodotti surgelati, mentre le persone più adulte e chi effettua pochi pasti fuori casa «pretende» il fresco. La Distribuzione Moderna, inoltre, riesce sempre più a soddisfare i bisogni di chi oggi non consuma più fuori casa, attraverso un’offerta ampia e variegata di prodotti sostitutivi.

La ricerca CSM Ingredients analizza anche i driver di consumo più determinanti per consumare pasti fuori casa, che risultano essere: la voglia di coccolarsi, la convenienza, la volontà di uscire dalla routine casalinga e i viaggi, soprattutto per i light consumers.

Un altro dato messo in luce dalla ricerca è come il rapporto qualità/prezzo sia il key driver nell’acquisto di ogni prodotto, seguito da bontà/gusto dei prodotti. Per il prodotto frozen, risulta cruciale, oltre che la lunga conservazione, la buona qualità percepita (qualità che, nei prodotti freschi, è intrinseca).

Considerazioni finali

Cercando di trarre le conclusioni, per il canale Industria si evidenzia un risultato particolarmente efficace nel mondo della colazione con prodotti Frozen che assottigliano sempre di più il confine con il mondo Artisanal, riuscendo a “mimare” il prodotto fresco. Questo anche grazie ad un’offerta sempre più variegata ed innovativa, in grado di intercettare rapidamente ed efficacemente trend e microtrend. L’attività di personalizzazione in-store dei prodotti frozen da parte del canale industriale si rivela corretta ed efficace.

Riguardo al canale artigiano, il prodotto fresco, se percepito come tale, è preferito al frozen e va a soddisfare bisogni funzionali ed emozionali. Una direzione percorribile dal canale artigianale può essere quindi quella di migliorare la comunicazione sulla qualità e artigianalità dei prodotti, valorizzandone le caratteristiche distintive e valutare l’inserimento del servizio caffetteria garantendo così l’offerta “colazione completa”.

Anche il Canale Distribuzione funziona bene per assortimento e offerta, andando a compensare il calo dei consumi fuori casa, soprattutto della colazione. Differenzia in modo efficace i diversi prodotti da forno per comparto, incontrando così le esigenze dei consumatori e semplificando la loro esperienza di spesa. Una possibile evoluzione per il canale distribuzione vede quindi un maggiore utilizzo del canale online come leva di crescita.

Semestrale sui prodotti lattiero-caseari

Il Dipartimento statunitense dell’Agricoltura (USDA) ha dedicato un suo report alla situazione del mercato europeo dei prodotti lattiero-caseari, da cui si evince che il numero di vacche nell’UE27 è diminuito di oltre 1,4 milioni di capi dal 2016, di cui 800.000 dal 2019. Un calo che, nonostante il continuo aumento della produttività degli animali, si ripercuote sulla produzione di latte, prevista nel 2022 in 144,6 milioni di tonnellate (MMT), vale a dire 434.000 tonnellate in meno rispetto al 2021 e -836.000 t rispetto al 2020. Secondo gli esperti è probabile un ulteriore calo della produzione di latte dell’UE nel 2023 e negli anni successivi, dal momento che la nuova politica agricola comune (PAC) e le condizionalità relative alla strategia “Farm to Fork” (F2F) impongono ai produttori europei di adeguare i propri sistemi di produzione. L’aumento della produzione di latte non vaccino rimane forte grazie all’apprezzamento, in continuo aumento, dimostrato dai consumatori per i prodotti di capra e pecora, soprattutto formaggi.

Il consumo di latte liquido nell’UE potrebbe ancora diminuire nel 2022 perché se ne beve meno mentre si lavora, dopo il picco del 2020 e 2021, quando il COVID-19 ha tenuto le persone a casa, e questo dovrebbe consentire un incremento della quantità di latte destinata alla trasformazione dopo la riduzione registrata nel 2021 a causa della ridotta produzione di materia prima.

La produzione casearia è la principale destinataria del latte dell’Unione europea e si prevede che

questa tendenza continuerà. Negli ultimi anni, infatti, sono nati numerosi nuovi caseifici, soprattutto per la produzione di mozzarella destinata all’industria alimentare. Secondo gli esperti dell’USDA la produzione di formaggio dell’UE dei 27 per il 2022 aumenterà a 10,6 milioni di tonnellate, con un incremento di 50.000 tonnellate rispetto al 2021 e quasi 240.000 tonnellate rispetto al 2020. I consumi caseari europei sono in costante aumento, anno su anno, e questa tendenza dovrebbe proseguire anche nel 2022, anche se con un rallentamento dovuto all’aumento dei prezzi. L’apprezzamento dei consumatori per l’indicazione geografica (IG) dei prodotti e i formaggi locali, fra cui quelli di capra, è in forte crescita, con rendimenti più elevati sia per i produttori che per i trasformatori di latte. Il rallentamento del ritmo della produzione di formaggio ha portato a una riduzione delle esportazioni di formaggio dell’UE27 nel 2021, ma si pensa che esse dovrebbero riprendersi nel 2022.

Il mercato del burro dell’UE sta vivendo una crescita più lenta e potrebbe iniziare a calare nel 2022, in ragione del fatto che una popolazione che invecchia cerca modelli alimentari più sani. La produzione di burro è diminuita del 2% nel 2021 rispetto al 2020 e dovrebbe ridursi ulteriormente nel 2022. Dopo una diminuzione all’inizio della crisi del Covid-19 nel 2020, il consumo interno dell’UE27 ha avuto un parziale rimbalzo nel 2021, per riprendere la sua tendenza al ribasso nel 2022. Le esportazioni di quest’anno dovrebbero diminuire ulteriormente in risposta all’impennata dei prezzi, dopo una riduzione del 16% nel 2021 rispetto all’anno precedente.

La produzione di latte in polvere senza grassi (NFDM) o di latte scremato in polvere (SMP) nell’UE è residuale alla produzione di burro e panna dell’UE. Di conseguenza, il suo andamento segue quello del burro. Pertanto, la produzione di NFDM dell’UE27 diminuirà ulteriormente quest’anno dopo il calo del 4% del 2021, rispetto al 2020. Più della metà della produzione di NFDM dell’UE viene esportata. La vicinanza del Nord Africa e del Medio Oriente rende questa regione la principale destinazione di esportazione per l’NFDM europeo, ma nel 2021 sono aumentate in modo significativo le esportazioni verso i Paesi dell’Asia meridionale grazie all’elevata domanda e alla diminuzione delle esportazioni dell’Oceania. Il consumo interno è trainato dal consumo di mangimi per i vitelli, anche se le scorte commerciali potrebbero nascondere i consumi effettivi.

In Europa la produzione di latte intero in polvere (WMP) è solitamente ciò che rimane dalla trasformazione del latte e si prevede che la carenza di materia prima la ridurrà ulteriormente nel 2022, dopo il calo del 10% già registrato nel 2021 rispetto al 2020. La diminuzione della produzione ha portato a una riduzione del consumo nell’industria alimentare dell’Unione nel 2021, che dovrebbe continuare nel 2022. Allo stesso modo, le esportazioni europee di WMP sono diminuite nel 2021, con un’ulteriore calo previsto quest’anno.

Da un punto di vista politico, dato che l’impatto della Brexit e del Covid-19 sui mercati lattiero-caseari europei è per lo più alle spalle, l’attuazione delle nuove iniziative PAC e F2F nel 2023 sarà al centro dei timori del settore lattiero-caseario del Vecchio Continente. Timori che il rafforzamento delle politiche ambientali e climatiche dell’UE non farà che amplificare ulteriormente. Mentre gli esperti del mercato lattiero-caseario anticipano una nuova ondata di abbandoni del comparto da parte di diversi produttori, gli attori principali continuano ad adattare piani e strategie aziendali al nuovo contesto, reindirizzando la produzione verso i comparti più redditizi, sia a livello interno che delle esportazioni.

Continua la diffusione del bio

Secondo i dati diffusi dall’Osservatorio Sana 2022, l’Italia si conferma leader nel settore biologico per quota di superficie agricola, operatori ed export. Molte, invece, le trasformazioni che riguardano i consumi interni che complessivamente si dimostrano in crescita grazie al traino dei consumi extra-domestici (ristorazione commerciale e collettiva segnano un +53%) a fronte di un segno meno della componente domestica (-0,8%) e un’incidenza dei consumi bio sul totale dei consumi alimentari ancora più bassa rispetto a quanto accade nei principali Paesi europei.

Il momento che il biologico sta vivendo è cruciale; da una parte vi sono gli impatti collegati prima alla pandemia, dall’altra il conflitto russo-ucraino e l’inflazione che contribuiscono a delineare uno scenario evolutivo che sta producendo effetti sul modello di consumo degli italiani.

Superfici e operatori

L’Italia, con quasi 2,2 milioni di ettari, è leader del settore biologico: vanta la più alta percentuale di superfici bio sul totale (17%), a fronte di quota media UE ancora ferma al 9% e ben lontana dall’obiettivo del 25% inseriti nella strategia Farm to Fork per il 2030.

Il mercato bio in italia

Nel 2022 le vendite alimentari bio nel mercato interno (consumi domestici e consumi fuori casa) hanno raggiunto 5 miliardi di euro e rappresentano il 3,5% delle vendite al dettaglio biologiche mondiali. A trainare la crescita del mercato sono i consumi fuori casa che hanno superato il miliardo di euro, segnando una crescita del +53% rispetto al 2021 grazie alla dinamica sia della componente legata alla ristorazione collettiva (+20%) che a quella della ristorazione commerciale (+79%).

In controtendenza i consumi domestici che segnano dopo anni una leggera flessione (-0,8% a valore rispetto allo stesso periodo 2021). Questo l’esito di

trend molto differenti legati ai canali: a soffrire è soprattutto la rete di negozi specializzati che segna una battuta di arresto (-8% rispetto allo stesso periodo del 2021); la Distribuzione Moderna di fatto mantiene a valore le dimensioni del 2021 (+0,8% a valore) mentre crescono del 5% gli altri canali (vendita diretta realizzata in mercatini e aziende, gruppi di acquisto solidale, farmacie, parafarmacie ed erboristerie).

Continua la crescita dell’export bio Made in Italy che continua la sua corsa: +16% rispetto allo scorso anno, raggiungendo i 3,4 miliardi di euro di vendite sui mercati internazionali. Dal 2012 ad oggi il mercato interno legato al biologico è cresciuto del 131%, ancor più brillante la crescita dell’export e (+181% rispetto al 2008).

Esaminando le categorie di prodotti bio a peso imposto maggiormente vendute all’interno della Distribuzione Moderna troviamo al primo posto la Drogheria Alimentare (pasta, prodotti da forno, conserve, sughi) con un peso del 57% sul totale delle vendite a valore, seguono il Fresco (20%) – formaggi, salumi, yogurt, uova – e l’Ortofrutta (13%). Guardando ai singoli prodotti, come per il 2021, anche nel 2022 i prodotti maggiormente venduti rimangono le uova, le confetture e spalmabili base di frutta, e i sostitutivi del latte.

Analizzando le vendite a valore per comparti emerge come siano i prodotti Pet Care e le Carni bio a mostrare l’andamento più brillante, rispettivamente +19 e +15% rispetto all’anno precedente. In leggera crescita anche l’Ortofrutta bio (+3%), anche se con tassi minori rispetto al comparto nel totale agroalimentare (+6%). Stabili le vendite nel Fresco Bio, dove invece risultano in leggera crescita nel totale agroalimentare (+3%). Di segno negativo invece le vendite del Freddo Bio, che registrano un calo del -6%, e delle Bevande Bio (-3%), comparti che invece mostrano segno positivo nel totale agroalimentare.

La stabilità delle vendite dei prodotti biologici si riflette sulla percentuale di users bio: nel 2022, come nel 2021, l’89% delle famiglie italiane ha acquistato bio almeno una volta nell’ultimo anno. Gli users bio confermano l’andamento delle vendite nei singoli canali, per gli acquisti di prodotti biologici i due canali più frequentati sono proprio Iper & supermercati (il 68% degli users vi acquista prodotti bio) e Discount.

Il bio tricolore vola all’estero

I dati che emergono dall’ultima analisi condotta nell’ambito di ITA.BIO, la piattaforma online di dati e informazioni per l’internazionalizzazione del biologico Made in Italy curata da Nomisma e promossa da ICE Agenzia e FederBio evidenziano una performance dell’export bio tricolore molto positiva, con un valore di 3,4 miliardi di euro nel 2022, pari al 16% in più rispetto all’anno precedente. Il riconoscimento del bio Made in Italy sui mercati internazionali è testimoniato anche della crescita di lungo periodo (+181% rispetto al 2012, un valore quasi triplicato) e dalla quota di export sul paniere Made in Italy (peso del 6% sull’export agroalimentare italiano totale nel 2022 a fronte di un 4% di dieci anni fa).

La gran parte delle esportazioni (81% del totale) riguarda il food per un valore di 2,7 miliardi di euro, ma è rilevante anche il ruolo del vino, che pesa per il restante 19% dell’export bio. In termini assoluti parliamo di 626 milioni di euro di vino bio Made in Italy venduto sui mercati internazionali, +18% rispetto al 2021 ed una quota sul totale dell’export vitivinicolo italiano dell’8%.

A decretare il successo del bio italiano sul mercato estero sono la qualità dei prodotti e il generale in-

teresse del consumatore straniero per il Made in Italy (indicati rispettivamente dal 66 e dal 60% delle imprese), l’equivalenza del marchio bio europeo (34%), l’elevata spesa media pro-capite per i prodotti bio (33%) e le garanzie associate ai prodotti agroalimentari bio (24%).

Secondo le aziende italiane, gli aspetti che rappresentano i maggiori ostacoli alla vendita dei propri prodotti bio all’estero sono invece i costi legati alle attività di promozione sui mercati internazionali (percepiti come ostacolo dal 42% delle imprese esportatrici bio), le normative/burocrazie locali e la concorrenza di prezzo da parte delle imprese locali (fattori indicati entrambi dal 37%).

Per quanto riguarda il futuro, le tensioni e le incertezze che caratterizzano lo scenario globale e che si sono inasprite con il conflitto in Ucraina – come, ad esempio, i crescenti prezzi delle materie prime – stanno impattando anche sulle imprese italiane bio del food&wine. Dall’indagine di Nomisma emerge come la gran parte delle aziende (8 su 10) stiano affrontando l’aumento del costo delle materie prime e dell’energia. 4 su 10 inoltre stanno riscontrando difficoltà di approvvigionamento delle materie prime, mentre 1 su 3 ha problemi dal lato della logistica.

Per le strategie future, le parole chiave sono internazionalizzazione, sostenibilità e diversificazione dei canali. Innanzitutto, a conferma della centralità ricoperta dall’export, le aziende intendono aumentare la loro esposizione sui mercati esteri, sia individuando nuovi mercati di destinazione (strategia indicata come “molto importante/importante” dall’80% delle aziende), sia aumentando la quota di fatturato da realizzare all’estero (76%). Fondamentale anche investire sulla sostenibilità dell’azienda (segnalata dal 76%) così come diversificare i canali di vendita dei propri prodotti in modo da intercettare una più ampia e diversificata platea di consumatori (75%).

A trainare le vendite del prossimo anno saranno ancora una volta i mercati esteri, un’ulteriore conferma sulla strategicità rivestita dall’export per il bio made in Italy. Nello specifico, il 50% delle aziende food bio intervistate prevede di aumentare nei prossimi 12 mesi il fatturato legato all’export, quota che sale al 75% con riferimento al vino. Più “contenute” le previsioni di crescita sul mercato interno (almeno per il food): nel caso delle aziende alimentari il 23% si aspetta un aumento delle vendite di prodotti alimentari bio nel canale della ristorazione (il 26% nel caso della GDO). Di contro ben 4 aziende vitivinicole su 10 prevedono una crescita del fatturato in Horeca – canale fondamentale per questo prodotto – mentre 3 su 10 si attendono un incremento delle vendite in GDO.

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Il mercato della carne suina

La carne di maiale è considerata un alimento base in molte regioni del mondo e, sebbene in alcune religioni come l’Islam e l’ebraismo esista il divieto di consumarla, essa rappresenta ancora la carne rossa più consumata in tutto il mondo, grazie ai suoi valori nutritivi che la rendono idonea ad entrare in una dieta sana.

La carne di maiale è infatti una buona fonte di proteine di alta qualità e vitamine essenziali, come la B6 e B12, utili per migliorare la produzione di globuli rossi e il funzionamento del cervello, mentre la loro carenza può causare anemia. Contiene inoltre minerali, tra cui ferro, zinco e fosforo.

Le proteine di alta qualità sono il principale elemento nutritivo della carne di maiale: contengono tutti e nove gli aminoacidi essenziali e sono quindi perfette per migliorare la funzionalità, la crescita e il mantenimento dei tessuti muscolari.

Il maiale contiene anche grassi saturi e monoinsaturi, oltre ad una serie di composti bioattivi della carne come taurina e glutatione che possono giovare alla salute in più modi.

Considerato che in alcune regioni le carni suine sono disponibili solo in particolari stagioni per motivi climatici, il loro congelamento può rappresentare una soluzione, dal momento che consente di conservarla per periodi da quattro e dieci mesi. Fattori importanti come l’aumento della popolazione attiva, dei redditi pro capite, il cambiamento degli stili di vita e la domanda di carne congelata stanno accelerando la crescita di questo mercato.

Secondo un recente rapporto pubblicato da Allied Market Research, si prevede che la dimensione del mercato globale della carne suina raggiungerà i 257.874,5 milioni di dollari, con un CAGR considerevole, dal 2021 al 2027. Attualmente, la regione Asia-Pacifico detiene la quota di mercato maggiore, grazie alla presenza di grossi centri di allevamento di suini nello Xinjiang, in Cina. Il governo cinese promuoverà e amplierà il progetto di allevamento di suini fino a un’area di 25.000 m2. L’imposizione del consumo della carne di maiale a minoranze come gli uiguri, musulmani nel Paese asiatico, anche il venerdì, viene utilizzata dal partito comunista cinese come strumento nella sua strategia di secolarizzazione.

Inoltre, la buona disponibilità di prodotti a base di carne di maiale attraverso molteplici canali di vendita e negozi al dettaglio rende semplice l’acquisto di carne di maiale confezionata da parte dei consumatori, il che, a sua volta, aumenta le vendite e contribuisce alla crescita del mercato mondiale della carne suina.

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