L’A L T R O PENSIERO
QUALITÀ, NATURALITÀ, SEMPLICITÀ L’ETICHETTA PULITA IN GELATERIA Secondo la visione attuale, l’adozione dell’etichetta pulita (clean label) è una delle più grandi conquiste in fatto di cibo, anche se il concetto non è nuovo. Anni fa l’Unesco aveva lanciato il programma “Decennio dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile” (DESS) 2005-2014, campagna promossa dalle Nazioni Unite per sensibilizzare giovani e adulti di tutto il mondo verso la necessità di un futuro più equo ed armonioso, rispettoso del prossimo e delle risorse del pianeta. Avendo ovvie ricadute anche in ambito alimentare, ricollegandoci a tale programma che prevede un impegno che continuerà sino al 2030, con i miei collaboratori dell’epoca, a Sydney, avevamo realizzato una serie di interventi mirati. A questo link cnesagenda2030.it/uploads/1/2/0/9/12092833/ programma_nazionale_delle_iniziative_unesco_ sess_2012.pdf trovate il programma di allora, per vedere esempi di iniziative e quali organizzazioni avessero già lavorato nel 2012. Ma ritorniamo al concetto di partenza: cosa significa etichetta pulita? Ed è sempre garanzia di cibo “pulito”? L’indicazione si riferisce a prodotti alimentari o bevande realizzati con un numero limitato di ingredienti naturali, genuini e riconoscibili. Oggi i consumatori sono sempre più alla ricerca di prodotti di questo tipo, privi di sostanze trasformate, e in un mondo ideale potrebbero prendere alla lettera le etichette senza troppi problemi. In realtà esse non garantiscono che un gelato (o qualsiasi altro cibo) sia più sano di altri. Questo perché ci sono produttori che si limitano a “giocare” sull’etichettatura per accordare i loro prodotti alle preferenze dei consumatori. Per esempio utilizzando nomi di ingredienti alternativi, per creare aspettative positive sulla sa56
lute, o addirittura manipolando le liste della materie prime. Quindi, per guadagnare, piuttosto che riformulare un prodotto per renderlo “più pulito” (rimuovendo gli additivi artificiali per sostituirli con un’alternativa naturale), si sceglie di essere “intelligenti” con l’etichettatura, in modo che sappia attirare sfruttando il desiderio di cibi naturali. Per anni, il consiglio dato a coloro che volevano scegliere alimenti più sani e meno elaborati è stato quello di cercare prodotti che elencassero materie prime integrali come primi ingredienti della lista, oltre ad essere scettici nei confronti di alimenti con lunghe liste di ingredienti, specie se non riconoscibili. Oggi dobbiamo imparare ad individuare le etichette meno pulite di quanto sembrano prendendo confidenza con quelli che, a volte, sono solo trucchi di marketing. Cosa fare dunque per non essere tratti in inganno? Ecco cinque punti da valutare quando si ordinano semilavorati e articoli di supporto alla produzione.
Utilizzo di parole con “alone salutistico” I termini “naturale”, “biologico” e “a base vegetale” sono considerati attributi positivi. Quindi non sorprende che queste indicazioni siano utilizzate dai produttori anche per il loro “effetto alone”, cioè per persuadere che un prodotto così definito sia più sano o migliore di altri simili. Tuttavia, lo zucchero “biologico” da un punto di vista nutrizionale è ancora solo zucchero. E gli hamburger “a base vegetale” possono essere salati e avere poco in comune con le piante da cui derivano. Il discorso è simile quando pensiamo di aver acquistato il meglio della panna