volume 1
CIAOPRAGA
arte, cultura e lifestyle
Ciao Praga Magazine
Rivista bimestrale di arte, cultura e lifestyle
Volume 1 /// settembre - ottobre 2016 Redazione
Direttore Responsabile Stefania Del Monte Art Director Francesco Caponera Sales & Marketing Federica Parretta Collaboratori Maria Grazia Balbiano Marco Ciabatti Laura Di Nitto Andrea Rampini Silvia Succi Roberto Vinci Contatti ciaopraga.magazine@gmail.com Crediti fotografici Roman Boed Danilo De Rossi IIC: VinoDiVino Dal Web
copertina pagina 3, 13, 27, 63, 65, 67, 69 pagina 7, 9, 11 pagina 49, 51 pagina 17, 19, 21, 23, 25, 29, 31, 33, 34, 35, 37, 39, 41, 42, 43, 45, 47, 53, 55, 57, 58, 59, 61, 71, 73, 75, 77, 79, 80, 81, 83, 85, 86, 87, 89, 91, 93, 95, 97, 99
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REDMONT C O N S U L T I N G
LETTERA DEL DIRETTORE
Gentili Lettori, con grande piacere ed orgoglio, a nome di tutta la redazione desidero darvi il benvenuto sul primo numero di Ciao Praga, rivista bimestrale di arte, cultura e lifestyle in lingua italiana, rivolta a chiunque ami questa incredibile città. Viviamo in un’epoca in cui non soltanto le modalità ma anche il significato della comunicazione sono mutati profondamente. È un tempo segnato da reti sociali e nuovi media digitali e comunicare, oggi, significa sempre meno “informare”, o trasmettere notizie, e sempre più “condividere” la propria visione del mondo e le proprie idee. Ciò che Ciao Praga intende offrire ai propri lettori è proprio questo: la condivisione di esperienze intellettuali che siano espressione non solo della vita culturale praghese ma anche di quella indelebile italianità che ci rende unici al mondo. Le riviste culturali hanno sempre rappresentato un luogo di scambio culturale, di valori e di idee. Ciao Praga non intende venir meno a tale compito, cercando di avere e, allo stesso tempo, di stimolare una coscienza critica attiva, capace di aprire nuovi scenari. Gli argomenti proposti tengono conto del mondo odierno e delle sue aspirazioni. In un linguaggio chiaro e semplice si spazia dall’arte alla storia, dalla letteratura al cinema, dal costume alla musica, e non solo: ogni pagina è il risultato di un lavoro di squadra da parte di una redazione giovane, dinamica e innovativa. Nell’iniziare questa nuova avventura alla direzione di Ciao Praga, desidero quindi ringraziare immensamente tutti coloro che hanno dato il loro prezioso contributo alla realizzazione di questo primo numero. Ora ci affidiamo a voi lettori, nella speranza di potervi trasmettere tutta la nostra passione ed il nostro entusiasmo per questo bellissimo progetto e di poter conquistare presto la vostra fiducia. Vi invitiamo a contattarci, a proporci le vostre idee o a farci conoscere il vostro pensiero. Vi invitiamo ad essere parte integrante della nostra redazione, perché solo uniti possiamo crescere. Buona lettura! Stefania Del Monte
CONTEN UTI Giovanni Sciola
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Il Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura festeggia tre anni a Praga
Buon Compleanno Václav Havel!
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Il drammaturgo avrebbe compiuto ottant’anni il 5 ottobre
I 700 anni di Re Carlo IV
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Quando tutte le strade portavano a Praga
Carlo IV e l’Italia
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Da Parma a Roma, tutte le tappe del Re boemo nello stivale
L’arte alla corte di Re Carlo
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Da Peter Parler al Maestro Teodorico, una miscela eterogenea ante litteram
Il castello di Karlštejn
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Alle porte di Praga, il forziere di Carlo IV
Simona Maver Direttrice e Sommelier presso VINOdiVINO
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Il Prosecco, questo sconosciuto Come orientarsi nella degustazione di un Prosecco di qualità
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L’arte secolare delle marionette Botteghe artigiane e teatri di burattini in tutta la città
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Viaggiare in stile a Praga A spasso per la città con macchine d’epoca, carrozze e tram nostalgici
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Incontro con Babak Karimi Attore e sceneggiatore iraniano, fortemente legato a Praga e all’Italia
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Luca Vullo Ambasciatore della gestualità italiana e voce degli emigranti
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Storia, leggende e vino novello per la festa di San Venceslao Il 28 settembre si celebra a Praga e in Repubblica Ceca il Santo Patrono
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Il Signal Festival giunge alla quarta edizione Dal 13 al 16 ottobre, videomapping e spettacoli luminosi riaccendono la città
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L’INTERVISTA
Giovanni Sciola
Il Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura festeggia tre anni a Praga
A cura di Stefania Del Monte
Giovanni Sciola, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Praga dal 9 settembre 2013, è laureato in Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Bologna; ha insegnato materie letterarie e storia nella scuola media superiore in Italia; si è a lungo occupato di ricerche di storia contemporanea a Brescia presso la Fondazione “Luigi Micheletti” e a Milano presso l’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia; ha al proprio attivo numerose pubblicazioni sulla metodologia della ricerca storica, sull’Italia durante la Seconda guerra mondiale, sulla Repubblica Sociale Italiana e sul periodo Guerra-Resistenza-Ricostruzione. È, inoltre, autore di svariati interventi nel campo della promozione della cultura italiana all’estero. Dal 1995 al 2001 ha lavorato come Lettore di Italiano inviato dal Ministero degli Affari Esteri presso le Università di Pechino e di Aix-en-Provence. Dal 2001 è funzionario del MAE, addetto alla promozione della cultura italiana all’estero. Dall’aprile 2003 al settembre 2008 ha diretto come Addetto responsabile l’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia. Dal 2008 al 2011, Addetto e quindi Addetto reggente dell’Istituto Italiano di Cultura di Helsinki.
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Direttore, il prossimo 9 settembre saranno tre anni che dirige l’Istituto Italiano di Cultura a Praga. Qual è stata la sua prima impressione di questa città? Avevo già visto Praga subito dopo la caduta del muro di Berlino, ed ero immediatamente rimasto colpito dalla sua bellezza. La mia prima impressione, al mio arrivo, è però legata in maniera specifica alla sede dell’Istituto Italiano di Cultura: sapevo che struttura sarei venuto a dirigere ma, prima di allora, non l’avevo mai visitata. Vedere dal vivo sia l’edificio che i suoi annessi mi ha davvero impressionato. E dopo questi tre anni, invece, cosa ne pensa? Penso che Praga sia uno dei posti più belli dove ho vissuto finora. Da un punto di vista professionale, la sfida relativa alla promozione della cultura italiana è ancor più alta di quanto già immaginassi: il grado di conoscenza e raffinatezza culturale di questo Paese è tale che diventa sempre più impegnativo cercare di proporre iniziative o progetti che siano in grado di dialogare con i cultori dell’Italia, nei diversi ambiti: arte, design, musica, teatro e così via. Praga, e la Repubblica Ceca in generale, sono in grande crescita ma ancora attribuiscono alla cultura un valore altissimo: qui un artista o un musicista è riconosciuto come tale. È giunto a Praga dopo una serie di esperienze a livello globale: Pechino, Aix-en-Provence, Cracovia ed Helsinki. Pensa che Praga si differenzi dalle altre città dove ha vissuto e lavorato? Se sì, in che modo? Ovviamente vi sono grandi differenze culturali: Praga non è Pechino e la Cechia non è la Cina, o la Francia. A Pechino ed Aix-en-Provence anche il mio ruolo era diverso. Lì ero stato mandato dal Ministero degli Esteri come Lettore nelle rispettive Università e le iniziative da me organizzate, in collaborazione con l’Istituto, erano legate alla mia funzione di allora: convegni con italianisti, scambi di docenti, pubblicazione di volumi, assistenza alle traduzioni, ecc. A Cracovia ed Helsinki, invece, prima come Addetto e poi come Responsabile dell’Istituto Italiano di Cultura, le mie funzioni erano simili a quelle che ricopro oggi. Pur rimanendo nell’ambito della promozione della cultura italiana, tra tutti questi paesi esistono certamente delle differenze marcate. In Finlandia, ad esempio, vi è una grande attenzione verso il mondo della ricerca hi-tech e molte iniziative sono indirizzate in tal senso: quindi, rispetto a Praga, vi sono meno concerti o mostre ma più attività concentrate sul mondo della ricerca o delle nuove tecnologie. Praga, invece, dal punto di vista culturale è una città unica anche perché è profondamente legata all’Italia. Basta notare, ad esempio, la sua architettura, che presenta tracce italiane visibili nel suo barocco,
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L’Istituto Italiano di Cultura a Praga
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diverso dal nostro ma comunque realizzato anche da italiani, quattro secoli fa. Ecco, ciò che dopo tre anni riesce ancora a stupirmi è proprio questo: quanto l’influenza della cultura italiana valga in questo Paese. Ciò può dipendere, in parte, dalla comune appartenenza all’Impero Austro-Ungarico fino alla fine della Prima guerra mondiale ma, a mio avviso, esistono radici molto più profonde e molto più suggestive, in parte ancora da scoprire e valorizzare. Qual è la sua esperienza con la comunità italiana a Praga e in Repubblica Ceca? Spero di poter dire ottima, sia con la business community che, in generale, con i connazionali. Una cosa che noto da qualche tempo, è che la comunità italiana, sia a Praga che in Repubblica Ceca, si sta modificando molto rapidamente. Stanno arrivando molte persone tra i 30 e i 50 anni, altamente qualificate nei settori più disparati: medicina, ricerca, ingegneria, solo per citarne alcuni al di là di quelli tradizionali. Credo che questo sia caratteristico del mercato del lavoro dei nostri tempi, nel quale le persone si muovono più tranquillamente che in passato. Sicuramente conta il fatto che vivere a Praga è un’esperienza davvero molto piacevole, quindi sempre più persone, non solo dall’Italia ma anche da altri Paesi, scelgono di trasferirsi qui. Per tale ragione stiamo assistendo ad una rapida evoluzione di una comunità che presenta una qualificazione sempre più marcata. Ritiene ci sia interesse nei confronti della vostre proposte culturali? Direi proprio di sì: posso affermarlo con certezza, sia in base ai risultati ottenuti finora nell’ambito delle iniziative più disparate, sia a giudicare dalla forte presenza che ogni volta si registra ai nostri eventi. C’è una grande domanda di lingua e cultura italiana alle più diverse latitudini del mondo, ma a Praga forse ancora di più: qui il nostro Paese è apprezzato per la cultura raffinata, il turismo, il lifestyle. Mentre in passato il turismo ceco verso l’Italia era limitato soltanto ad alcune città, come ad esempio Roma, Napoli, Firenze o Venezia, oggi riguarda invece tutto il territorio e mi rendo conto che in Repubblica Ceca vi è una conoscenza approfondita del nostro Paese, oltre che l’esigenza di imparare sempre di più, e noi cerchiamo di rispondere al meglio a questa domanda. Quali sono gli obiettivi principali che si prefigge l’Istituto? L’obiettivo è di dialogare con tutti i possibili partner. Con alcuni di essi si dialoga in maniera naturale, poiché esistono rapporti consolidati nel tempo. In realtà, però, l’obiettivo è di trovarne altri, di sviluppare nuove partnership e
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promuovere il nostro Paese a 360 gradi come “sistema Paese”, quindi attraverso la lingua e i vari aspetti della nostra cultura, per far capire come l’Italia sia un Paese di grande ricchezza, non soltanto dal punto di vista storico e artistico ma anche nel quotidiano e nel contemporaneo. Collaborate con altre organizzazioni o istituzioni? Assolutamente sì: non sarebbe pensabile organizzare attività se non vi fosse una collaborazione diretta, innanzitutto, con l’Ambasciata d’Italia e con la Camera di Commercio. Tuttavia, ciò di cui vado particolarmente orgoglioso è la collaborazione con tutte le principali organizzazioni culturali, sia di Praga che del Paese. Per citarne alcune: l’Associazione Amici dell’Italia e gli istituti degli altri 27 Paesi dell’Unione Europea che qui sono presenti. Ovviamente i nostri principali contatti rimangono con enti, festival e istituzioni ceche, con i dipartimenti di Italianistica delle Università e in generale con tutti coloro che guardano all’Italia come un interlocutore possibile. I risultati più importanti raggiunti finora? Se posso citarne uno, ma qui forse c’è un elemento di vanto e qualcuno mi potrebbe smentire, è quello di aver aperto il più possibile le porte dell’Istituto ed essere riusciti a promuovere delle iniziative al di là della nostra sede che, pur bellissima, rappresentava in qualche modo un limite. La soddisfazione, invece, è quella di aver valicato quel confine ed essere riusciti ad organizzare eventi anche e soprattutto all’esterno. E gli obiettivi ancora da raggiungere? Il nostro lavoro non si può mai considerare concluso. Credo che ora la vera sfida sia di incrementare le attività fuori Praga. La Repubblica Ceca è un Paese fortemente centrato sulla sua capitale ma penso che riuscendo a coinvolgere, ad esempio, una comunità internazionale come quella presente a Brno, oppure i dipartimenti di Italianistica di Olomouc, Opava e Ceske Budejovice (per citarne alcuni), potremmo fare molto di più per promuovere la lingua e la cultura italiana. Pur tenendo presente le difficoltà logistiche legate all’organizzazione di iniziative lontane dalla nostra sede di Praga, per noi il vero obiettivo rimane questo. Con una ulteriore sottolineatura: direi che un obiettivo non rinunciabile è di far conoscere il nostro Paese e la sua cultura come sono oggi. Agli italiani nel corso del tempo è stata riconosciuta una grande capacità di coniugare in modo originale tradizione ed innovazione. Proseguire su questa strada e far conoscere meglio l’Italia come è oggi: questa è la linea su cui vorremmo muoverci anche nei mesi e anni a venire.
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Programma settembre – ottobre 2016 Corsi di lingua italiana Fino al 23 settembre
Iscrizione ai corsi
Istituto Italiano di Cultura Praga
I corsi standard quadrimestrali di lingua italiana, con inizio a partire dal 3 ottobre 2016, consistono in 30 o 60 ore di insegnamento a vari livelli, in cicli di 15 settimane con lezioni di 60 minuti, una o due volte a settimana. Per informazioni: corsi.iicpraga@esteri.it, cell. 774 514 958.
Eventi Fino all’11 settembre
Giovanni Tomaselli: “OCTOECHOS - Circostanze visive” Cappella Barocca dell’Istituto Fino al 23 settembre
Nuvolari, Mostra dedicata al pilota Tazio Nuvolari Museo della Tecnica
Dal 5 al 24 settembre
La Praga di Dvořák, Festival Internazionale di Musica Sala Dvořák del Rudolfinum
Dal 6 settembre al 16 ottobre
Onore a Bořek, Mostra dedicata a Bořek Šípek Galerie Portheimka
Dal 16 settembre al 1 ottobre
Echi Italiani, Mostra di quattro artisti cechi dedicata all’Italia Cappella Barocca dell’Istituto 16 settembre
Primo, Spettacolo teatrale dedicato a Primo Levi Švandovo Divadlo
Dal 20 al 25 settembre
Basseurope, Festival internazionale dedicato al contrabbasso HAMU
21 settembre
Progetto “Fandango”, Concerto per cembali, danza e castagnette Cappella Barocca dell’Istituto 12 ottobre
L’aviazione Italiana negli anni Trenta, Mostra Cappella Barocca dell’Istituto 12 ottobre
L’italiano della creatività: costumi, moda, design, Conferenza Università Karlova, Dipartimento di Italianistica 12 ottobre
Introduzione all’italiano contemporaneo: struttura e variazioni, Conferenza Università Karlova, Dipartimento di Italianistica 17 ottobre
I profughi italiani nella Moravia del Sud, Presentazione libro Sala conferenze dell’Istituto 18 ottobre
Design e ridesign: i grandi marchi italiani e la loro influenza sull’iconografia e la progrettazione in Cecoslovacchia ed in Repubblica Ceca, Mostra Sala conferenze dell’Istituto 20 ottobre
La cultura italiana attraverso parole e musiche dei maggiori cantautori, Concerto Sede da confermare
Seconda metà di ottobre (data de definire)
Premio Franz Kafka a Claudio Magris, Premio letterario Municipio Città Vecchia
Seconda metà di ottobre (data da definire)
Claudio Magris, Incontro con l’autore Cappella Barocca dell’Istituto Ottobre (data da definire)
Concerto del Maestro Walter Attanasi Obecni dum
Il programma puo’ essere soggetto a variazioni e integrazioni Per informazioni e programma completo: Istituto Italiano di Cultura di Praga Šporkova 14, 118 00 Praga 1 CZ
Tel.+420 257 090 681 - Fax +420 257 531 284 www.iicpraga.esteri.it – iicpraga@esteri.it
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CULTURA
Buon Compleanno
VÁCLAV HAVEL! Il drammaturgo avrebbe compiuto ottant’anni il 5 ottobre
A cura di Stefania Del Monte
Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono felice l’uomo. L’individuo, che a prima vista è l’essere più impotente di fronte alle proporzioni dei meccanismi che governano la vita politica, ne è invece il protagonista necessario. - Václav Havel
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Il prossimo 5 ottobre Václav Havel avrebbe compiuto ottant’anni e, per l’occasione, la Biblioteca Havel di Praga ha annunciato la pubblicazione del diario che l’allora dissidente tenne nei primi mesi del 1977, durante la sua prigionia nel carcere giudiziario di Ruzyně, dove si trovava rinchiuso in quanto portavoce e firmatario del primo documento dell’iniziativa informale Charta 77. La storia della Repubblica Ceca è legata in maniera indissolubile a quella di Václav Havel. Drammaturgo e dissidente attivissimo, fu colui che organizzò le proteste che culminarono nella cosiddetta Rivoluzione di Velluto, una lunga rivolta non violenta che il 29 dicembre 1989 rovesciò il regime comunista cecoslovacco. Václav nasce a Praga da una famiglia di noti imprenditori, che subisce la nazionalizzazione dei beni dopo l’ascesa al potere dei comunisti. A causa della sua estrazione sociale non può iscriversi alle scuole superiori, così frequenta un ginnasio serale. All’università, non viene ammesso a nessuna facoltà umanistica e si iscrive a Economia. Nel 1964 sposa Olga Splichalova e l’anno successivo entra nella redazione del mensile dell’Associazione degli Scrittori Cecoslovacchi. In seguito, per il suo impegno contro la discriminazione di alcuni autori, viene cancellato dalla lista dei candidati al direttivo dell’Associazione.
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Nel marzo 1968 firma, con 150 intellettuali, una lettera aperta al Comitato Centrale del partito sostenendo il processo di democratizzazione e, in aprile, diventa presidente del Club degli Scrittori Indipendenti. Partecipa attivamente alle proteste contro l’invasione sovietica e per questo negli anni ’70 i suoi testi vengono messi all’indice e ritirati da tutte le biblioteche: Havel è perseguitato a più riprese dal regime. Nel 1975 firma la famosa Lettera al segretario generale del Partito comunista Gustav Husak, in cui descrive la Cecoslovacchia come una società governata dalla paura. Alla fine del 1975 fonda la rivista clandestina Expedice, che pubblica libri di autori cechi e stranieri. Nel 1976 inizia una collaborazione tra gli intellettuali della Primavera di Praga e gli ambienti cristiani, fino a quel momento isolati tra loro. Da questi nuovi legami nasce “Charta ’77”, una “comunità libera informale ed aperta di uomini di diverse convinzioni, diverse religioni e diverse professioni, legati dalla volontà di operare individualmente e insieme per il rispetto dei diritti civili ed umani”. Il 1 gennaio 1977 viene resa pubblica la Dichiarazione di Charta ’77. I primi portavoce della Charta sono Václav Havel, Jiri Hajek e Jan Patocka, che muore il 13 marzo 1977 dopo estenuanti interrogatori. Anche Havel è arrestato e accusato di crimini contro lo stato. Rilasciato a maggio, viene messo al centro di una campagna diffamatoria che lo costringe a dimettersi dalla carica di portavoce. Nell’ottobre 1977 viene condannato a 14 mesi di prigione e a tre anni di condizionale per aver leso gli interessi dello Stato all’estero. Il 27 aprile 1978 è tra i fondatori del Comitato di Difesa degli Ingiustamente Perseguitati (VONS). In ottobre scrive il suo saggio più famoso, “Il potere dei senza potere”, e lo spettacolo teatrale “La firma”, mentre dal 6 novembre torna a ricoprire l’incarico di portavoce di Charta ‘77. Il 29 aprile 1979 è arrestato per attività sovversiva e condannato a 4 anni e mezzo di carcere senza condizionale. Ottiene la libertà nel gennaio 1983 per una grave malattia ai polmoni. Negli anni seguenti Havel non smette di battersi per difendere i cittadini perseguitati e non abbandona la vocazione teatrale. Nel 1986 riceve il Premio Erasmo “per il suo contributo alla cultura europea”. Il 16 gennaio 1989, anniversario del suicidio di Jan Palach, viene arrestato e condannato a 9 mesi di carcere per aver deposto fiori presso il suo monumento di piazza san Venceslao. Il 19 novembre 1989 è tra i fondatori del Forum Civico, la principale struttura della Rivoluzione di Velluto. Il 29 dicembre diventa
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Presidente della Federazione Cecoslovacca, carica da cui si dimette nel 1992, dopo la scissione dalla Slovacchia. Il 26 gennaio 1993, il nuovo parlamento ceco lo elegge primo Presidente della Repubblica Ceca. Nel gennaio 1996 muore la moglie Olga, amatissima in Patria. Il 20 gennaio 1998, il Parlamento lo elegge nuovamente presidente della Repubblica: rimarrà in carica fino al 2003. Muore il 18 dicembre 2011. Il ritrovamento casuale del diario da parte di David Dušek, nipote di Zdeněk Urbánek, traduttore e saggista nonché vecchio amico di Havel, ci regala del nuovo, prezioso materiale, di questo incredibile personaggio, legato a doppio filo con la storia della Repubblica Ceca. Dušek vi si è imbattuto mentre riordinava dei vecchi scatoloni e, inizialmente, pensava si trattasse di scritti del nonno; la grafia però gli ricordava altri testi di Havel, perciò ha sottoposto il diario all’esame dei collaboratori della Biblioteca Havel, che ne hanno confermato l’autenticità. Nessuno degli amici e familiari del drammaturgo era a conoscenza di questi appunti e lui stesso non ne aveva mai parlato. La mattina del 6 gennaio del 1977, nel quartiere di Dejvice a Praga, come in un film, un’auto della polizia si era lanciata all’inseguimento di una Saab con a bordo lo scrittore Ludvík Vaculík, il drammaturgo Václav Havel e l’attore Pavel Landovský, che intendevano spedire alle autorità il documento n.1 della neonata Charta, un manifesto in cui si chiedeva al regime comunista il rispetto dei diritti umani sulla base degli accordi internazionali sottoscritti a Helsinki. Uno di loro aveva appena fatto in tempo a scendere dall’auto e a imbucare una quarantina di lettere prima di essere arrestato dagli agenti insieme agli altri due. Il primo documento di Charta 77, quindi, oltre ad arrivare al Castello, finì nella redazione di Le Monde che ne diede per primo la notizia in Occidente. Seguirono una serie di arresti e lo stesso Havel, il 14 gennaio, fu accusato di «sovversione» e rinchiuso per la prima volta nel carcere giudiziario di Ruzyně, dove rimase fino al 20 maggio. Proprio a quei mesi risale il diario appena ritrovato. Il volume, che uscirà in ceco col titolo “Václav Havel: diario di un imputato”, sarà accompagnato da alcuni saggi che contestualizzano l’epoca e l’autore.
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“Havel per sempre”
Fonti: reteccp.org tempi.it vaclavhavel.cz vaclavhavel-library.org/en/
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SPECIALE CARLO IV
I 700 anni di Re Carlo IV
Quando tutte le strade portavano a Praga
Re Carlo compie 700 anni e Praga lo ricorda con tutti gli onori. Il Castello, un tempo residenza del monarca, è divenuto la principale sede delle celebrazioni a lui dedicate con 6 mostre che, inaugurate a maggio in occasione dell’anniversario della sua nascita, rimarranno aperte al pubblico fino al prossimo 28 settembre. Carlo IV Re di Boemia, Imperatore del Sacro Romano Impero e Conte di Lussemburgo, nacque il 14 maggio 1316.
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Sovrano ambizioso e dalla personalità apparentemente contraddittoria, eccellente diplomatico, mecenate d’arte e realista rigidamente pragmatico, in un’epoca in cui si credeva che l’Europa fosse al centro del mondo Carlo fu un vero europeo, in grado di fare propria la cultura tedesca, francese ed italiana. La sua figura, oltre ad essere una delle più importanti della storia europea, fu assolutamente fondamentale per la città di Praga. Fu proprio durante il suo regno che iniziò la costruzione della Città Nuova (Nové Město), adiacente alla Città Vecchia, e che venne realizzato un ponte di pietra sulla Moldava (poi rinominato Ponte Carlo), necessario per collegare il nuovo distretto a Malá Strana (Piccolo Quartiere). A quel tempo Praga era la terza città per grandezza in Europa; con Carlo IV, divenne capitale del Sacro Romano Impero e fu elevata al grado di arcivescovato, diventando formalmente il luogo più potente del mondo di allora. Sotto la sapiente guida di Carlo, Praga si trasformò in una fiorente città commerciale: vi si trovava, ad esempio, una zecca, ed era abitata da mercanti e banchieri tedeschi e italiani. Ospitava, inoltre, un’ampia e attiva comunità ebraica di circa 15mila persone, vale a dire un terzo dell’intera popolazione urbana dell’epoca. Malgrado siano trascorsi 700 anni, la città odierna offre ancora l’opportunità di visitare molti luoghi legati a Carlo IV. Ad esempio, è possibile vedere la Casa alla Campana di Pietra, situata in pieno centro storico, nella parte orientale della piazza della Città Vecchia. Si tratta di uno splendido edificio gotico, risalente al XIII secolo. I genitori di Carlo, Giovanni di Lussemburgo ed Elisabetta di Boemia, vissero qui perché all’epoca il Castello di Praga era inagibile a seguito di un incendio e si pensa che, proprio qui, sia nato il sovrano. All’estremità del Ponte Carlo, adiacente alla Città Vecchia, si trova inoltre la Torre, completata prima del 1380, che ospita oggi la galleria della Casata del Lussemburgo, mentre a pochi passi da lì si può vedere il monumento a Carlo IV, costruito nel 1848, in occasione del cinquecentesimo anniversario della fondazione dell’Università. Chiamata inizialmente Alta Scuola di Praga, la prima università dell’Europa centrale porta oggi il nome del suo fondatore: Università Carolina. Il cuore dell’esteso complesso situato nella Città Vecchia è il Carolinum, la casa dello studente più antica che si sia conservata. Nell’aula magna si tengono gli esami di laurea e le cerimonie, e, più raramente, vi si ospitano esposizioni e concerti. Anche il rinnovamento del vecchio palazzo reale del Castello di Praga fu merito di Carlo IV, a cui dobbiamo inoltre la costruzione della Cattedrale di San Vito, che simboleggia il periodo più alto del gotico nella storia edile di Praga.
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Carlo IV e l’Italia
Da Parma a Roma, tutte le tappe del Re boemo nello stivale
A cura di Marco Ciabatti
Chiunque abbia un minimo di confidenza con la storia di Praga e della Boemia in generale non può non conoscere Carlo IV di Lussemburgo, il re (poi imperatore) che più di ogni altro ha rivoluzionato la città dal punto di vista sia architettonico che culturale, rendendola di fatto molto simile a come la possiamo ammirare ancora oggi. In pochi, però, sanno dei rapporti costanti e dell’influenza che questo straordinario sovrano ha avuto nei confronti dell’Italia, questo perché, del tutto inspiegabilmente, nel nostro paese alla figura di Carlo IV non viene data l’importanza che meriterebbe: basti pensare che solo poche righe (e nessuna realmente interessante) sono state scritte da alcune testate giornalistiche italiane per ricordare che quest’anno ricorre il settecentenario della sua nascita.
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Eppure sarebbe già di per sé straordinario pensare che nel 1331, a soli 15 anni, il giovane Carlo fu inviato per la prima volta dal padre Jan Lucemburský (ovvero Giovanni I di Boemia) a Parma, per aiutarlo ad amministrare le tante signorie che la famiglia dei Lussemburgo aveva nel nostro territorio, alcune ereditate e altre conquistate mediante accordi politici. E non stiamo parlando di località minori o luoghi sconosciuti, ma di città di primaria importanza; oltre a Parma c’erano infatti: Como, Pavia, Novara, Vercelli, Cremona, Bergamo, Modena, Bologna, Verona, Mantova, Brescia e Lucca (quest’ultima era stata aiutata proprio da Giovanni I di Boemia in una battaglia contro Firenze). Durante quel primo viaggio, inoltre, il giovane Carlo, che si era fermato a Pavia per la notte con il suo seguito al completo, subì un tentativo di avvelenamento (probabilmente ordito dalla famiglia Visconti di Milano, avversaria dei Lussemburgo), al quale sfuggì fortunosamente solo perché stava digiunando in vista della funzione religiosa della mattina dopo. Molti dei suoi uomini non ebbero, però, una sorte altrettanto fortunata. Questo episodio, poco conosciuto, non è certo l’unica difficoltà che Carlo dovette affrontare durante quel soggiorno di tre anni in Italia: l’anno dopo il suo arrivo a Parma molte potenti famiglie nobili, tra cui quella dei Visconti, si unirono in una lega contro i Lussemburgo e, in occasione di una grande manifestazione a Brescia, Carlo venne tradito proprio dal suo principale consigliere, Lodovico di Savoia, che era legato da un rapporto di parentela proprio alla famiglia Visconti. Montecarlo di Lucca è oggi un piccolo comune toscano che conta poco meno di cinquemila abitanti, ma all’epoca in cui Carlo IV si trovava in Italia era ancora unicamente una fortezza edificata sulla sommità del Colle del Cerruglio, dopo che i fiorentini avevano devastato il borgo originario, che si trovava ai piedi della collina. Il paesino fu ribattezzato Montecarlo proprio in onore di Carlo IV nel 1333, in quanto nella battaglia di San Felice il suo esercito aveva aiutato Lucca a liberarsi dell’occupazione pisana. Nel corso degli anni le spedizioni di Carlo IV in Italia furono molteplici (nel 1351 ad esempio ci fu un’altra battaglia contro la famiglia Visconti), ma la data più significativa è certamente quella del 28 settembre 1354 (giorno del patrono della Boemia, San Venceslao) che il sovrano scelse per dare finalmente inizio al suo viaggio alla volta di Roma. A causa di un’iniziale opposizione del Papa, che non voleva concedere il proprio permesso, il viaggio procedette molto lentamente e durò quasi un anno (nel corso del quale fu anche incoronato re di Lombardia): Carlo IV arrivò infatti a Roma soltanto nel periodo di Pasqua dell’anno
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Lucca, Torre Guinigi 33
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successivo, e ricevette la corona di imperatore il 5 di aprile 1355. Una curiosità interessante riguarda il fatto che il Papa concesse a Carlo IV l’autorizzazione a trattenersi in città solamente per la giornata dell’incoronazione, ma il sovrano aveva il grande desiderio di visitare Roma, pertanto si trattenne più a lungo di quanto gli fosse consentito, travestito da mendicante. Durante quel breve periodo fu ospite di Benedetto Orsini. Durante i suoi soggiorni in Italia, Carlo conobbe anche Francesco Petrarca, con cui mantenne una fitta corrispondenza per il resto della sua vita. (versione integrale disponibile sul blog Bighellonando in Cechia)
La Bolla d’oro dell’imperatore Carlo IV
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Francesco Petrrca, opera di Andrea del Castagno 35
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L’arte alla corte di Re Carlo
Da Peter Parler al Maestro Teodorico, una miscela eterogenea ante litteram
A cura di Laura Di Nitto
Carlo IV di Lussemburgo, Re di Boemia e Imperatore del Sacro Romano Impero, pietra miliare di un periodo riconosciuto come “età dell’oro” della cultura e dell’arte della Boemia, fondò l’Università omonima di Praga nel 1348: la prima del Centro Europa; e rese la città una delle più apprezzate in Europa dal punto di vista architettonico. Alla sua corte lavorarono grandi artisti che hanno lasciato testimonianze eccellenti, ancora oggi patrimonio della capitale ceca e gioia dei suoi visitatori. Tra questi, Peter Parler, architetto tedesco e maestro muratore progettista della Città Nuova di Praga, nonché realizzatore del ponte sulla Moldava – oggi chiamato Ponte Carlo – che unisce appunto la zona della città nuova a quella della città vecchia oltre il fiume, verso il castello.
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Santa Caterina, opera del Maestro Teodorico 37
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Interno della cattedrale di San Vito 39
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Parler fu anche il successore di Mattias di Arras nella realizzazione della splendida Cattedrale di San Vito in cui, con l’aiuto dei suoi due figli, elevò il coro e la corona di cappelle attorno ad esso e costruì la cappella di San Venceslao e la Porta d’Oro. Una curiosità che ci porta direttamente in territorio italiano, nella storia recente, è che la Cattedrale compare in un francobollo da 0,85 euro emesso dalle Poste Vaticane il 15 novembre 2010 per celebrare il viaggio di Papa Benedetto XVI in Repubblica Ceca nel settembre 2009. Fu il pittore Maestro Teodorico ad eseguire la decorazione a pannelli lignei, dipinti a tempera su fondo dorato, nella cappella del castello di Karlštejn: un complesso pittorico di centoventiquattro figure (ovvero, la più grande quantità di dipinti realizzati da un unico artista nell’area dell’Europa centrale) di angeli, profeti e santi, di cui oggi alcuni esposti alla Galleria nazionale di Praga; raffigurazione della realtà futura in forma di visione mistica del paradiso, della città d’oro, dell’utopica comunità dei giusti e soprattutto del fine e del senso della vita cristiana medievale. La cappella, nella quale erano state portate le insegne dell’incoronazione, infatti, doveva essere un’opera straordinaria e tale fu creata. Per le decorazioni della cappella della Santa Croce, il Maestro ebbe grande onore e un elevato compenso, come attesta un documento del tempo da cui si evince che nel 1367 Carlo IV gli fece dono di una tenuta in Mořina. Aggiornato sui modi del gotico internazionale, lo stile di Teodorico si richiama anche, nel naturalismo più dolce, nella tenerezza e semplicità del modellato, alle scuole italiane del Trecento. Si crede, infatti, che l’artista abbia accompagnato Carlo IV durante il viaggio in Italia in occasione dell’incoronazione a Roma e che, durante il soggiorno, abbia conosciuto importanti opere e grandi maestri, tra cui Vitale da Bologna, Tomaso da Modena e Pacino di Bonaguida. Le raffigurazioni di Teodorico sono caratterizzate da un ritmo geometrico, che regola il ripetersi dei gesti e la loro stabilità nella frontalità delle immagini. Gli elementi profani si bilanciano con quelli spirituali, in un armonico equilibrio generale. Nella raffigurazione dell’Adorazione dei Magi, nella cappella della Santa Croce, Teodorico rappresenta Carlo IV nelle vesti di uno dei protagonisti del racconto biblico, Baldassarre. Di grande significato e ispirazione per i dipinti su tavola di Teodorico furono i coevi polittici d’altare italiani, in particolare le opere di Paolo Veneziano. Nelle pareti interne della cappella della Santa Croce sono state utilizzate grandi pietre semipreziose levigate (calcedonio, diaspro, agata, onice, corniola e ametista) e dischi di vetro bombati nella cupola e nelle nicchie delle finestre con doratura, a formare i motivi del Sole e della Luna, di modo che la luminosi-
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San Luca, opera del Maestro Teodorico 41
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tà dell’ambiente venisse ravvivata da effetti di luce. Mecenate di numerosi artisti e pioniere di un progetto unico, Carlo IV ebbe non solo l’ambizione, ma anche il grande merito di collocare Praga al centro della produzione artistica europea del XIV secolo. Alla sua morte, avvenuta nel 1378, seguì la scia praghese di un’incredibile tradizione di “melting pot” artistico ante litteram che sfociò poi, di lì a poco, in una riconoscibile estetica boema, caratterizzata dall’eleganza dello stile figurativo e da scelte di colori particolarmente vivaci e intensi.
San Gregorio Magno, opera del Maestro Teodorico 42
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Pannello votivo dell’Arcivescovo Jan Očlo di Vlašim, attribuito al Maestro Teodorico, circa 1370
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Il castello di Karlštejn Alle porte di Praga, il forziere di Carlo IV
A cura di Marco Ciabatti
Durante il suo periodo a capo del Regno di Boemia, Carlo IV di Lussemburgo fece realizzare numerosissime opere, tra le quali spicca l’edificazione, a una trentina di chilometri dal centro di Praga, dell’imponente castello di Karlštejn, una vera e propria fortezza medioevale le cui mura raggiungono in alcuni punti anche i sei metri di spessore, e che fu realizzato allo scopo primario di avere un luogo sicuro dove custodire i gioielli della corona, gli archivi di Stato e la biblioteca, che vi rimasero infatti per quasi duecento anni.
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Il 10 giugno del 1348 fu posata la prima pietra e l’edificio fu terminato attorno al 1365. Nello stesso periodo venne inaugurata la cappella della Santa Croce, nella torre maggiore, progettata come uno scrigno per conservare i gioielli della corona del Regno di Boemia (oggi custoditi all’interno della Cattedrale di San Vito, che si trova entro il perimetro del castello di Praga). Vi si trovano inoltre le reliquie più preziose raccolte da Carlo IV, alle quali si accede mediante una scala a chiocciola, le cui pareti sono decorate con scene di vita dei Santi Venceslao e Ludmila, a cui il sovrano era notoriamente molto devoto. Le finestre sono realizzate in pietra traslucida semipreziosa, mentre lo zoccolo è decorato con più di duecento pietre semipreziose, incastonate in una superficie di stucco dorato alta più di un metro e stampigliata in modo continuo con l’iniziale del Re (K), l’aquila e la corona imperiali. Questo zoccolo è sormontato da una serie di 137 tavole raffiguranti busti a grandezza umana di santi, martiri e angeli, la maggior parte dei quali è ritratta in modo da apparire come se stesse guardando in basso, verso l’interno della cappella. Esistono due leggende legate al castello: entrambe vedono protagoniste delle fantomatiche “dame bianche”, una particolarità non da poco se si considera che questo luogo, per moltissimi anni, fu totalmente precluso alle donne. Secondo la prima leggenda (quella più famosa) la prima moglie di Carlo IV, Bianca di Valois, dopo la sua morte ha continuato per secoli ad aggirarsi di notte nei dintorni del castello, facendo visita di tanto in tanto alle famiglie che vivevano nel paese sottostante e che avevano un loro caro gravemente ammalato. La “dama bianca” entrava senza preavviso e aveva il potere di decretare se il moribondo sarebbe sopravvissuto o se, invece, la malattia lo avrebbe ucciso: inutile dire che tutti ne avevano una gran paura e di notte si barricavano in casa, sprangando meglio che potevano tutte le entrate. La seconda leggenda racconta invece che il castello sarebbe stato abitato, nel sedicesimo secolo, da una donna di nome Kateřina Bechyňová, una sadica che avrebbe ucciso ben quattordici persone, di cui dodici erano delle giovani fanciulle. Le poverette continuarono ad aggirarsi per il castello anche dopo la morte, anch’esse vestite completamente di bianco, finché un gruppo di dodici soldati non decise di liberarle dalla loro maledizione: in cambio, sarebbero dovuti restare un anno intero al castello. Solo uno di loro mantenne però la parola, mentre gli altri undici, che avevano cercato di lasciare l’edificio, furono ritrovati con la testa tagliata. Per maggiori informazioni, visitare il sito www.vivipraga.eu
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ITALIANI A PRAGA
Simona Maver
Direttrice e Sommelier presso VINOdiVINO, si racconta a Ciao Praga
L’enogastronomia è la mia passione. Un mondo vario e stimolante in cui non si finisce mai di imparare nuove tecniche, metodi, sperimentazione, profumi, sapori, abbinamenti: la cucina è cultura. Dopo aver finito gli studi e l’AIS a Bergamo, iniziavo a sentire la mia città natale un po’ stretta. Mio padre gestiva in società il ristorante VINOdiVINO a Praga, nel centro storico. Quando visitai la città per la prima volta, nel 2012, me ne innamorai; così, dopo essermi trasferita definitivamente, nel 2014, lo convinsi a rilevare insieme il ristorante, che ora è di famiglia.
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Praga ha sicuramente cambiato la mia vita in positivo, rendendomi più sicura di me stessa e facendomi apprezzare di più la semplicità. Inoltre, qui ho incontrato il mio attuale compagno. Le difficoltà iniziali, oltre alla lingua - che credo sia scontato, ma di rilevante importanza - sono state l’alimentazione e l’indifferenza delle persone. Abituata, in Italia, a fare la spesa nei mercati ortofrutticoli con il mio papà, all’inizio mi assaliva una tristezza per i banchi dei supermercati e dei potraviny con pochissima scelta di frutta, verdura, carne, prodotti freschi; la situazione, per fortuna, sta migliorando velocemente e ammetto che il cibo ceco mi piace, sebbene manchi di varietà. Con l’indifferenza delle persone non voglio rimarcare un luogo comune ma devo dire che molti dei cechi che ho incontrato mi sono apparsi abbastanza freddi e poco socievoli; soprattutto, si fanno i fatti loro. Diversa è la gente che abita nei paesi fuori Praga: direi più sorridente e, anche se conosce meno l’inglese, più disponibile. Una delle prime soddisfazioni che ho ottenuto, al mio arrivo, è stata imparare il ceco, o meglio provare a parlarlo. È una lingua difficile e ci vuole costanza ma so di aver fatto molti progressi. La seconda è la mia sfida a VINOdiVINO, un’attività che toglie un sacco di energie ma, allo stesso tempo, appagante. Praga è tutta bella. Un posto che mi piace in particolare, a parte la zona di Náměstí Míru dove ho vissuto il primo anno, è Vyšehrad che con le mura e la vista panoramica mi ricorda la città alta a Bergamo. Dell’Italia non ho molta nostalgia... da buona forchetta direi che mi manca il cibo... Ho più nostalgia della mia famiglia. Certo, le persone care le porti con te nel cuore ma a volte mi mancano alcuni aspetti della quotidianità. Quando sei lontano da casa apprezzi di più le piccole cose. Ad un italiano che desidera trasferirsi qui consiglierei di adattarsi in fretta al clima e viversi appieno le tante sfaccettature di Praga. Per ora voglio continuare il progetto iniziato a VINOdiVINO e quindi rimarrò a Praga ancora per un po’. La cosa strana è che ancora non mi sento completamente integrata; passeggio per la città ammirandola ancora oggi più da turista che da abitante, ma è affascinante e stimolante, direi. Non penso di tornare in Italia se la situazione economico-politica non dovesse cambiare ma vorrei sicuramente continuare a viaggiare, fare esperienza di altre cucine, di altre culture. Per maggiori informazioni, visitare il sito www.vinodivino.cz
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VINI
Il Prosecco, questo sconosciuto
Come orientarsi nella degustazione di un Prosecco di qualità
A cura di Roberto Vinci
In questi ultimi anni, non si fa altro che parlare di Prosecco. In ogni locale che si rispetti o che voglia essere minimamente alla moda agli occhi degli avventori, in tutti i winebar, le vinoteche più fashion, in bocca a tutti gli appassionati della movida preserale e serale, la parola d’ordine di chi voglia essere a tutti i costi trendy è Prosecco. Il motivo? È fin troppo facile. Nel 2014 sono state prodotte 380 milioni di bottiglie fra Prosecco Doc, Docg Conegliano-Valdobbiadene, Prosecco e Docg Asolo, Prosecco. Numeri, quindi, da primato assoluto, che hanno visto per la prima volta il Prosecco superare lo Champagne nelle vendite oltreconfine, grazie ad un aumento del 20% dell’export.
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Un dato che ha portato il Prosecco a rappresentare il 61% delle “bollicine” italiane vendute negli Usa, il 26% sul totale dell’import e il 13% di quello venduto nei supermercati e liquor store. Ancora migliore la sua performance in Gran Bretagna, primo mercato in assoluto per il Prosecco, dove le vendite nel 2014 sono cresciute del 75% per un valore stimato di circa un miliardo di sterline. Nel 2015 si sono raggiunti i 485 milioni di bottiglie. Qui a Praga, la situazione non è dissimile dal resto del mondo. Negli ultimi tempi, è un fiorire di “proseccherie”. Si chiama “prosekarna”, da queste parti, il winebar dedicato al Prosecco. Ne spuntano continuamente, come
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funghi, ad ogni angolo di strada. Del resto, il merito è tutto del Prosecco: una bollicina accattivante, fresca, divertente, che ti accompagna in una discussione fra amici o ti aiuta con le sue frizzanti bollicine nell’approccio col gentil sesso, altrimenti ben più problematico. Non tutti, però, sanno che in questo “mare magnum” del Prosecco c’è un po’ di tutto e quindi bisognerebbe avere una minima conoscenza di ciò che si assaggia e si sceglie di degustare, da soli o con gli amici. Quando si parla di Prosecco, è necessario innanzitutto distinguere fra denominazioni, territori, tipologie e metodi di produzione diversi, senza dimenticare che quanto più c’è business, tanto più numerose sono le frodi.
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La zona di produzione del Prosecco Doc si trova nell’area nord-orientale dell’Italia e più precisamente nei territori di 5 province del Veneto (Treviso, Venezia, Vicenza, Padova, Belluno) e di 4 nel Friuli Venezia Giulia (Gorizia, Pordenone, Trieste e Udine). Quando la raccolta delle uve, la vinificazione e l’imbottigliamento avvengono completamente nelle province di Treviso e Trieste, si può usare le menzione speciale Treviso o Trieste a sottolineare il valore particolare che queste due province hanno nell’ambito della denominazione Prosecco Doc. All’interno della zona di produzione del Prosecco Doc, l’area della Docg Conegliano Valdobbiane - Prosecco e quella della Docg Asolo - Prosecco sono invece più limitate. La Docg Conegliano Valdobbiane - Prosecco rappresenta il cuore storico e naturalmente vocato alla produzione di Prosecco di qualità. I suoli di questa area hanno un’origine molto antica e diversificata. Alcuni sono stati originati dai sedimenti portati a valle dai ghiacciai delle Dolomiti, altri sono di origine marina, composti da marne ed arenarie. La diversa origine geologica, le differenze di esposizione e pendenza, rendono ogni area diversa dalle altre e contribuiscono a regalare al Prosecco profili estremamente variegati. Infine, la Docg Asolo – Prosecco, che occupa un’area situata a nord ovest della città di Treviso, con sue proprie caratteristiche pedoclimatiche che rendono il Prosecco Asolo Superiore Docg sensibilmente diverso dal Conegliano Valdobbiadene Superiore Docg. Bisogna sottolineare che, sia nel caso di Docg Conegliano Valdobbiadene - Prosecco spumante che nel caso di Docg Asolo - Prosecco spumante, il termine Prosecco è seguito dall’aggettivo Superiore. Il vitigno utilizzato per il Prosecco è il Glera, vitigno vigoroso a bacca bianca che ha saputo trovare nei vari territori delle Denominazioni, seppur interpretandoli in modi diversi, le condizioni ideali per un buon accumulo di zuccheri mantenendo sempre un appropriato corredo di acido malico e di sostanze aromatiche. Generalmente, la quantità minima della varietà Glera, prevista nelle tre diverse denominazioni, è dell’85%. Possono poi essere utilizzate storicamente, fino ad un massimo del 15%, altre varietà come Verdisio, Bianchetta trevigiana, Perera, Glera Lunga (nel caso della Docg Conegliano Valdobbiadene - Prosecco e della Docg Asolo - Prosecco) alle quali si aggiungono Chardonnay, Pinot Bianco, Pinot Nero vinificato in bianco, nel caso della Doc Prosecco. Le tipologie possono essere sintetizzate in tranquilla, frizzante (1 - 2,5 BAR) e spumante (> 3 BAR). La spumantizzazione è effettuata secondo il metodo Charmat o Martinotti – poi perfezionato e codificato nella seconda metà del ‘900 a Conegliano dal Prof. De Rosa – cioè attraverso rifermentazione del vino base in autoclave. Ciò permette di avere un prodotto con costi sensibilmente più bassi
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rispetto a quelli che si avrebbero con l’utilizzo del metodo Champenoise, caratterizzato invece dalla rifermentazione in bottiglia. Il fine è quello di ottenere un Prosecco dalla buona intensità olfattiva, con profumi delicati, caratterizzati da intense note di fiori bianchi, di grande freschezza e di buona sapidità. La tipologia frizzante è prodotta solitamente con la tecnica della rifermentazione in bottiglia, tecnica tradizionale di fine ‘800. In questo caso, l’etichetta dovrà riportare la dicitura “Rifermentazione in bottiglia”. Vertice qualitativo della Docg Conegliano Valdobbiadene è rappresentato dal Superiore di Cartizze, proveniente da una sottozona, disciplinata nel 1969, di circa 107 ettari. Il profilo visivo è contraddistinto da un perlage fine e persistente, mentre quello olfattivo è segnato da una decisa complessità nella quale dominano le note fruttate e floreali. In bocca, grande freschezza, eleganza e finezza. Da ricordare, sempre nella Docg Conegliano Valdobbiadene - Prosecco, la tipologia spumante Superiore Rive, menzione che distingue i vigneti posti in singoli comuni o frazioni: qui la vendemmia manuale è obbligatoria. Nella denominazione sono presenti 43 Rive ed ognuna di esse esprime diverse peculiarità di suolo e microclima. Nella tipologia Rive deve essere indicato in etichetta il millesimo. Interessante è anche il dato relativo alla resa per ettaro nelle tre diverse denomi-
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nazioni: 180 q. per ettaro per la Doc Prosecco, 135 q. per la Docg Asolo - Prosecco e Docg Conegliano Valdobbiadene - Prosecco che scendono a 130 q. per la tipologia Rive ed a 120 q. per il Superiore di Cartizze. È di per sé evidente come la resa per ettaro sia un parametro già indicativo della qualità di un Prosecco. In base al residuo zuccherino, il Conegliano Valdobbiadene – Prosecco, nella versione spumante, ammette le tipologie Brut, Extra Dry e Dry; l’Asolo – Prosecco, sempre nella versione spumante, ammette le tipologie che vanno da Extra Brut a Demi-sec; infine, il Prosecco Doc spumante le tipologie Brut, Extra Dry, Dry, Demi-sec. Al di là, però, delle disposizioni normative e di quanto dettato dai singoli disciplinari, non è facile orientarsi nella scelta tra tipologie diverse per origine, metodo di produzione, residuo zuccherino, ecc. Come fare allora ad individuare un Prosecco di qualità? Innanzitutto imparare a conoscere un vino, in questo caso un Prosecco, significa saper leggere l’etichetta e la retroetichetta. In esse possiamo trovare indicati il nome del produttore, il nome della denominazione (es. Asolo–Prosecco o Conegliano Valdobbiadene– Prosecco), la denominazione (Doc o Docg), il millesimo laddove previsto, la tipologia per residuo zuccherino (brut, dry, ecc.), il contenuto alcolico, ed altre utili informazioni. Conoscere il territorio di produzione e la denominazione è essenziale poiché, come brevemente sottolineato, le rese per ettaro delle uve sono diverse, le tecniche di vinificazione possono essere diverse, le caratteristiche geologiche e pedoclimatiche dei vigneti sono diverse. Tutte queste differenze incidono profondamente sul risultato finale. Importantissima, poi, è sia l’indicazione del millesimo che del residuo zuccherino. Ogni annata è diversa dall’altra ed ogni Prosecco è figlio di quella stessa annata che può essere stata più o meno propizia, siccitosa, eccessivamente piovosa, favorevole o perfino pessima. Il residuo zuccherino incide profondamente sul profilo sensoriale del vino, dando vita a prodotti totalmente diversi l’uno dall’altro anche in vista di possibili abbinamenti con il cibo. Lo zucchero rappresenta una componente morbida del vino ed influenza, durante la degustazione, la nostra percezione dell’acidità e della sapidità che sono caratteristiche di estrema importanza nel Prosecco. Infine c’è la degustazione, l’analisi organolettica del Prosecco. È chiaro che bisogna avere la preparazione tecnica adeguata per essere in grado di valutare correttamente un vino ma è possibile indicare alcuni elementi, da osservare con attenzione durante una degustazione, che possono aiutare anche i meno esperti a farsi un’idea seppur sommaria del Prosecco che stanno assaggiando. Le bollicine (il perlage) dovrebbero essere numerose, vivaci, di una certa persi-
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stenza, di grana fine. Il profilo visivo dovrebbe mostrare un Prosecco luminoso, con una limpidezza cristallina che può virare, nelle migliori interpretazioni, su toni brillanti, di un bel giallo paglierino intenso. Ricordiamo che è ammessa la presenza di una velatura nelle tipologie con rifermentazione in bottiglia. All’olfatto, dovremmo individuare delicate note floreali e di frutta a polpa bianca, profumi minerali. Sempre nella tipologia con rifermentazione in bottiglia sarà facile individuare note di lieviti, di crosta di pane, burrose. L’intensità dei profumi dovrebbe essere tanto maggiore quanto maggiore è la qualità del Prosecco in esame, così come anche la complessità dei profumi e la loro finezza. In bocca, nel corso dell’assaggio, dovremmo individuare una intensa e vivace freschezza, una vibrante acidità accompagnata da una buona struttura sapida. La qualità di un Prosecco si evidenzierà nella sua persistenza, nel suo non svanire, restando ben presente nel cavo orale con il passare dei secondi. Tutto ciò, solo per dare piccoli suggerimenti generali ma una seria analisi deve essere mirata alla singola etichetta e tener conto di molteplici variabili. Generalmente, scegliendo di degustare un Prosecco, ciò che si ricerca non sono tanto i toni di una matura complessità gusto-olfattiva ma più una intensa piacevolezza e freschezza di beva, caratteristiche queste che sono proprio esaltate dalla spumantizzazione con il metodo Martinotti. Suggeriamo infine, soprattutto a chi è interessato ad approfondire la conoscenza di questa “bollicina” italiana, di andare a scoprire personalmente il territorio dove nasce il Prosecco. Infatti, solo parlando con i produttori, passeggiando tra i filari dei vigneti, raccogliendo con le mani la terra che nutre le viti, osservando come le uve vengono lavorate e curate amorevolmente in cantina, si riuscirà a comprendere la vera anima di questo vino e tutte le sue profonde diversità e peculiarità che differenziano le varie tipologie, generate da territori, usi e uomini diversi.
Roberto Vinci è sommelier professionista e fotografo. Nato a Roma e residente a Praga, nel 2015 ha curato “Dalla vigna al bicchiere”, un corso introduttivo alla degustazione del vino, in 10 lezioni, tenutosi presso l’Istituto Italiano di Cultura di Praga. http://www.robertovinci.viewbook.com
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CURIOSITÀ
L’arte secolare delle marionette
Botteghe artigiane e teatri di burattini in tutta la città
Gli spettacoli di marionette, o teatri di burattini, sono un’attività molto diffusa a Praga. I maestri burattinai imparano quest’arte in una scuola speciale, chiamata Damu: la Scuola per il Teatro Alternativo e delle Marionette, che si trova presso l’Accademia delle Arti e dello Spettacolo di Praga. Le storie raccontate sono, in genere, dei classici quali il Don Giovanni di Mozart, il Faust, oppure dei drammi storici cechi. Al Teatro Nazionale delle Marionette, fondato nel 1991, il Don Giovanni è stato messo in scena più di mille volte. Il Teatro Magico del Mondo Barocco, invece, fin dal 1993 offre spettacoli utilizzando scenografie e tecnologie interamente barocche. Le marionette sono una parte importante della storia popolare di Praga e della Repubblica Ceca.
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Il termine marionetta deriva dal francese Mariolette, un diminutivo di Mariole, nome che anticamente veniva attribuito, in Francia, alle piccole figure della Vergine Maria. Si tratta di bambole mobili, o pupazzi, dalla forma generalmente umana, mossi da corde o fili ed utilizzati per spettacoli in teatrini fissi o ambulanti. Il primo uso documentato di queste figure meccaniche, nei teatri di burattini della Repubblica Ceca, risale al 1563. A quel tempo la maggior parte dei burattinai si era formata in altre parti d’Europa. Alla fine del sedicesimo secolo i cechi venivano infatti intrattenuti da burattinai inglesi, olandesi o tedeschi. Ma già nel 1750, il teatro dei burattini era diventato una professione indipendente nelle terre ceche. Nel 1782 qui venne anche allestito il primo spettacolo di marionette, ispirato al Don Giovanni. Nel diciottesimo secolo, alcuni burattinai cechi viaggiarono intensamente attraverso tutta l’Europa centrale, raccontando storie ed intrattenendo il pubblico. In questo periodo l’arte della fabbricazione delle marionette si sviluppò moltissimo, riservando un’attenzione sempre maggiore ai dettagli: per questa ragione, ad esempio, le creazioni di epoca barocca presentano dei volti molto curati. Le marionette vengono dapprima intagliate a mano su legno di tiglio, poi lucidate con cera d’api ed infine dipinte. I personaggi realizzati variano notevolmente: maghi, streghe, pagliacci, re e regine, personaggi famosi cechi e così via. A metà del diciannovesimo secolo, gli spettacoli erano ormai in declino. Fu solo all’inizio del ventesimo secolo che il teatro delle marionette rinacque, grazie ad una forte volontà di preservare la cultura popolare, che permise agli spettacoli di burattini di essere elevati al livello del teatro tradizionale. I burattinai non dovettero più viaggiare con i loro spettacoli; furono aperti teatri di marionette permanenti e ciò contribuì all’ulteriore sviluppo di questa forma d’arte, oltre che alla creazione di numerosi gruppi amatoriali. Ad oggi, se ne contano ancora oltre 200 in tutta la Repubblica Ceca. L’Unione Internazionale della Marionetta (www.unima.org), ad esempio, fondata a Praga nel 1929, si è ormai trasformata in una prestigiosa organizzazione internazionale. I suoi soci sono sparsi in tutto il mondo e, oltre al teatro delle marionette, sono coinvolti nelle terapie con i burattini e nell’istruzione superiore. Le botteghe artigiane di marionette si trovano un po’ ovunque, sia a Praga che nel resto del territorio ceco. Tuttavia, proprio a causa della loro pregiata manifattura, tali creazioni non sono economiche, con prezzi medi a partire dai 100 euro in su. Una delle botteghe più famose, con vari punti vendita a Praga, è Loutki (http://www.loutky.cz/en/home/).
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LIFESTYLE
Viaggiare in stile a Praga
A spasso per la città con macchine d’epoca, carrozze e tram nostalgici
La Belle Époque a Praga è decisamente di casa: qui palazzi, alberghi e moltissimi angoli della città rendono omaggio a quel periodo in cui, dalla seconda metà dell’Ottocento fino alla prima guerra mondiale, un nuovo vento iniziò a soffiare in tutta Europa, portando pace e prosperità. Per fare un salto nel passato ed immergersi di nuovo in quell’atmosfera effervescente, si può fare un giro a bordo di un’auto d’epoca, con tanto di guida/ autista personale.
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Si tratta di un percorso di un’ora in cui, rimanendo comodamente seduti su un’originale automobile vintage, si potranno ammirare alcuni dei siti più belli di Praga: Piazza della Città Vecchia con il magnifico Orologio Astronomico, il Quartiere Ebraico di Josefov, Malá Strana e lo storico Ponte Carlo, fino a raggiungere l’ingresso del Castello. Un altro modo per rivivere gli splendori della vecchia Praga è quello di salire a bordo del tram nostalgico n. 91 (nostalgická linka c. 91), un tram storico che circola durante i fine settimana e nei giorni festivi, dalla fine di marzo fino alla metà di novembre. Partendo da Vozovna Strešovice ogni ora, da mezzogiorno fino alle sei del pomeriggio una musica nostalgica, suonata da un uomo con la fisarmonica, accompagna i viaggiatori, disposti in fila sui sedili in legno della carrozza, che conserva ancora il suo arredamento originale. Mentre il guidatore, in divisa grigia e cravatta rossa, si dirige verso il centro, un cameriere in cabina offre champagne ai passeggeri. Il tram fu il primo mezzo di trasporto pubblico della capitale ceca: introdotto intorno al 1875, era inizialmente trainato da cavalli. E a proposito di cavalli, si può anche esplorare la parte antica della città come se fosse un museo a cielo aperto, viaggiando a bordo di una comodissima carrozza trainata da cavalli e ascoltando il conducente descrivere i luoghi storici incontrati lungo il tragitto, accompagnati dal rumore degli zoccoli sulle strade lastricate. Per godere di una deliziosa vista sui tetti rossi della città, si può invece raggiungere la cima della vicina collina di Petřín, usando la funicolare in partenza dalla fermata del tram di Újezd, a Malá Strana. La capitale ceca offre anche l’opportunità di essere vista dall’acqua. Per ammirare le bellezze dislocate lungo le sponde della Moldava rimanendo immersi in un’atmosfera vintage, si può optare per una crociera sul battello Vyšehrad, il più grande e il più antico di Praga ed uno degli ultimi due battelli storici sulla Moldava ad essere ancora in uso. Inaugurato nel 1938, il Vyšehrad ospita anche un ristorante, una pasticceria e un’enoteca/bar. Il secondo battello storico è il Vltava (Moldava in ceco): varato nel 1940 e convertito in ristorante nel 1991, ha anche partecipato, nel 2011 e nel 2014, alla parata dei battelli a Dresda.
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CINEMA
Incontro con Babak Karimi
Attore e sceneggiatore iraniano, fortemente legato a Praga e all’Italia
A cura di Stefania Del Monte
Reduce
da un grande successo a
dei protagonisti,
Cannes
con il film
Forushande,
di cui è uno
Babak Karimi, attore e sceneggiatore iraniano legatissimo sia a Praga che all’Italia, ci dà subito l’impressione di essere un professionista entusiasta e instancabile. Lo incontriamo al Café Slavia, uno dei ritrovi storici di Praga, situato vicino alla sede della Film and TV Academy of Performing Arts (FAMU), dove l’attore sta lavorando al suo ultimo progetto, e in maniera semplice ed informale ci racconta la sua storia.
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Nato a Praga da genitori iraniani, cresciuto in Italia e residente a Teheran: insomma, un cittadino del mondo! Sì, ho vissuto in Italia per quarant’anni e da sei sono tornato in Iran. Cosa porta con sé di tutte queste culture? Bella domanda! Queste tre culture hanno in comune una grande umanità, l’amore per l’arte, per la poesia. Insomma, un grande calore umano in cui mi rispecchio molto. Come mai ha scelto di vivere in Italia? Più che scegliere, direi che sono stato scelto. Ho una storia familiare che parte da lontano. Mia madre arrivò a Roma nel 1949 per studiare canto a Santa Cecilia, come soprano alto. Poi rientrò in Iran, dove iniziò a fare teatro e lì conobbe mio padre. Insieme, tornarono prima in Italia e poi si trasferirono a Praga, dove mia madre studiava regia teatrale alla DAMU e mio padre regia cinematografica alla FAMU, con specializzazione in film di animazione. Nel 1960 nacqui io e tutti insieme tornammo a Roma. Dopo quattro anni decisero di separarsi. Mio padre tornò in Iran e mia madre rimase in Italia. Io frequentai le scuole elementari in Iran ma, volendo stare con mia madre, tornai in Italia, dove alla fine ho vissuto dall’età di undici anni fino ai cinquantuno. Lei è figlio d’arte. Suo padre, Nosrat Karimi, si può definire un artista a 360 gradi: attore, regista, make-up artist, scultore, professore universitario e drammaturgo, mentre sua madre, Alam Danai, è attrice teatrale e regista. Quanto pensa che le Sue scelte professionali siano state influenzate dal successo dei suoi genitori? Indubbiamente sono stato influenzato in maniera notevole dalla carriera dei miei genitori. In un certo senso, mi sento come quei ragazzini che sono cresciuti nel circo, e che sono abituati ad essere circondati dai leoni, dal domatore, dal trapezista: per loro è normale camminare sulla fune, o fare giochi di prestigio, e per me è lo stesso. Dico sempre che se mio padre fosse stato un falegname forse io, oggi, avrei un negozio di mobili. Quindi per me è stato un percorso naturale, non come quelle persone lontane dal mondo della cinematografia che un giorno, guardando un film di Orson Wells o Antonioni, si innamorano e decidono di intraprendere quella strada. Nel mio caso, fin da bambino, se mi si chiedeva cosa volevo fare, rispondevo di voler lavorare nel cinema: era l’unica cosa che conoscevo profondamente e che mi affascinava davvero.
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Quali sono state le difficoltà più grandi che ha dovuto affrontare nella Sua carriera? In Iran, all’inizio ho avuto delle difficoltà proprio legate al fatto di essere figlio d’arte. Mi facevano pesare tantissimo il successo raggiunto da mio padre e la convinzione generale era che in qualche modo potessi avere la vita più facile, nel cinema, proprio grazie a questa connessione. In Italia, invece, ho dovuto affrontare altri problemi, poiché mi ero trasferito lì come studente, ero un extracomunitario e quindi non avevo un permesso per lavorare, quindi lì sono dovuto ripartire da zero (anzi, da sottozero!), senza alcuna parentela o raccomandazioni. Riuscire ad entrare nel circuito, è stato un percorso lungo e faticoso. All’inizio accettavo qualunque lavoro, pur di esserci. Poi gradualmente ho iniziato a farmi conoscere e ad essere sempre più richiesto, grazie esclusivamente alla qualità del mio lavoro. Questo mi ha formato professionalmente (anch’io, come mio padre, nel cinema ho fatto di tutto), mi ha fatto conoscere meglio la società italiana ma, soprattutto, mi ha aiutato a comprendere la mia misura e il mio valore. Pertanto, le difficoltà iniziali non sono mancate ma adesso sono contento perché, ritornando in Iran, nessuno osa contestare la mia preparazione e, a differenza di alcuni miei amici, anch’essi figli d’arte, che non riescono a dimostrare quanto i successi ottenuti siano effettivamente frutto del loro lavoro o delle circostanze familiari, nel mio caso questi dubbi sono stati completamente spazzati via. È un po’ difficile trovare se stessi avendo questo peso addosso ma per me, grazie all’esperienza guadagnata in Italia, quello che in un primo momento poteva rappresentare un problema alla fine si è rivelato una fortuna: adesso so bene che tutto quello che ho ottenuto, nella mia carriera, è solo farina del mio sacco. C’è un progetto al quale, invece, Le è piaciuto particolarmente lavorare? Nella mia carriera ho avuto l’opportunità di dedicarmi a molte cose, anche diverse tra loro e, ognuna di queste, mi ha lasciato qualcosa di positivo. Ho iniziato studiando come operatore poi, strada facendo, ho scoperto il montaggio. Per anni mi sono occupato di reportage e documentari allo stesso tempo e in quel periodo ho viaggiato davvero molto, avendo l’opportunità di visitare anche luoghi remoti e sperduti, come ad esempio molte zone africane in Congo o in Sierra Leone, prima delle rispettive guerre. A tale proposito mi viene in mente una volta in cui, poco prima del mio arrivo in una di queste località quasi dimenticate da Dio, era stato arrestato un uomo del posto per cannibalismo. Insomma, zone sicuramente difficili e non turistiche, ma che mi hanno arricchito moltissimo sia dal punto di
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vista personale che professionale. Anche in Italia ho avuto modo di girare in lungo e in largo, poiché mi occupavo di una trasmissione dedicata alla provincia: una grande opportunità per conoscere il Paese in maniera più approfondita. Grazie ad una collaborazione con la pittrice Mahshid Mussavi è riuscito, nel 1991, a far distribuire in Italia, per la prima volta in assoluto, un film iraniano: Bashu il piccolo straniero, di Bahram Beyzai. Com’è stato accolto dal pubblico italiano? Devo dire, molto bene! Anche quello è stato uno di quegli episodi della vita che, in qualche modo, ti vengono incontro. Mai avrei immaginato, e neanche lo desideravo, di fare una cosa così. Nel 1990 il Festival di Pesaro organizzò una retrospettiva sul cinema iraniano e, al suo interno, la retrospettiva di un autore in particolare, offrendo la visione di 24 film: si trattava di una nuova ondata di cinema iraniano di cui avevo sentito parlare ma che, fino ad allora, non avevo mai visto. Capii subito la potenzialità di questo cinema e, tornato a Roma, mi rivolsi a vari amici distributori, segnalando questa serie di film straordinari. In quella occasione scoprii però una chiusura mentale sorprendente, con persone che mi dicevano che i film iraniani non avrebbero potuto avere successo in Italia pur non avendone mai visto uno. Dopo moltissimi tentativi andati a vuoto un mio amico sceneggiatore, Domenico Saverni, che non smetterò mai di ringraziare, mi disse: “Se non lo fai tu, non lo fa nessuno, perché sei l’unico ad avere una visione completa della situazione”. Invogliato da queste sue parole, con la collaborazione di Mahshid Mussavi (con la quale – tra l’altro – poi ci sposammo e, in seguito, separammo), distribuimmo questo film che andò davvero molto bene e rimase per tre mesi sugli schermi. Ovviamente, parliamo di schermi d’essai, ma quello fu solo l’inizio di un ciclo che poi vide arrivare in Italia i film di Kiarostami, di Makhmalbaf, e così via. A quel punto i distributori si erano accorti che il cinema iraniano in Italia funzionava e cominciarono ad essere sempre più disponibili ad accoglierli. Io ebbi così la possibilità di tornare a collaborare con i distributori per la scrittura dei dialoghi, le promozioni, o seguire i registi quando venivano a Roma. Pensa che ora l’Italia sia più preparata ad accogliere lavori di culture differenti oppure, a suo parere, ci sono altri paesi (in Europa, o nel mondo) in tal senso più ricettivi? Questa, purtroppo, è una nota dolente per l’Italia dove, a mio avviso, a parte una piccola élite, esiste una pigrizia diffusa nel non volersi aprire agli
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altri. Ad esempio i francesi, in questo senso, sono molto più curiosi. Il loro interesse per le altre culture è spontaneo. Non so, forse è un atteggiamento che deriva dall’esperienza del colonialismo e dal cercare di scoprire cose delle culture altrui che potessero rivelarsi utili anche per loro. In Italia, invece, non è così e devo dire che, personalmente, ho sempre sofferto questa pigrizia da parte degli italiani. Ad esempio, quando nel 1971 arrivai in Italia nessuno sapeva dove si trovasse l’Iran. Al massimo conoscevano lo Shah di Persia, o Soraya, e pensavano che l’Iran si trovasse in Sudamerica, oppure in Africa. Durante la Sua carriera ha lavorato con molti registi di prestigio. C’è qualcuno in particolare con cui si è trovato meglio? Posso dire, senza alcun dubbio, che tutti quanti per me sono stati importanti. Da grosse personalità c’è sempre tanto da imparare e quindi, a stargli accanto, non ci si rimette mai. Una persona con la quale ho lavorato tantissimo, per oltre sette anni, è Kiarostami. Per lui ho scritto i dialoghi italiani di tutti i suoi film, lo seguivo nei workshop, nei vari viaggi, nei seminari: insomma, per me è stato un secondo padre, un fratello maggiore, ma soprattutto un amico. È stato anche colui che mi ha lanciato nella recitazione a livello professionale, offrendomi una piccola parte in Tickets, mentre prima di allora mi venivano offerti solo ruoli da “macchietta mediorientale”. Fu proprio grazie a quel ruolo che Ashgar Farhadi mi chiamò, offrendomi di lavorare in Una Separazione (vincitore, nel 2011, del Premio Oscar come miglior film straniero, ndr). Devo moltissimo a Farhadi perché mi ha formato come attore. Fino ad allora lo avevo fatto per divertimento, attingendo un po’ dalle esperienze fatte da bambino, osservando mio padre, o i suoi amici, ma non avevo una coscienza della mia misura come attore. Con Farhadi questa coscienza l’ho trovata. Il 2016 per Lei è un grande anno dal punto di vista professionale. È infatti reduce da Cannes, dove il film Forushande (in persiano, Il Venditore), di cui Lei è uno dei protagonisti, ha ottenuto diversi premi e riconoscimenti. Qual è il suo ruolo nel film? Forushande racconta la storia di un gruppo teatrale di cui faccio parte e dove, in qualche modo, interpreto me stesso: infatti il nome del mio personaggio è Babak. Senza entrare troppo nei dettagli, posso solo dire che a due componenti del gruppo capita un evento importante, che darà poi vita a tutta la storia.
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Questo ritorno a Praga è casuale o La vedremo lavorare a qualche progetto in città? La mia presenza a Praga non è casuale: sono nato qui e, all’età di nove mesi, l’ho lasciata, quindi il desiderio di tornarci c’è sempre stato. Per anni ho pensato a questo viaggio ma, per qualche motivo, non c’era mai una vera e propria urgenza. Secondo me i viaggi vanno fatti nel momento in cui ci sentiamo di farli e, alla fine, è stato così anche per Praga. In questo momento sto lavorando a un documentario sulla vita di mio padre, e questa città per lui è stato un crocevia importante, quindi Praga sarà un capitolo fondamentale di questo documentario. Non potevo non tornarci, ed è una bellissima occasione per ripercorrere alcune tappe della vita di mio padre. Piani per il futuro? Oltre a lavorare in maniera intensa a questo documentario, sto leggendo moltissime sceneggiature. La priorità, comunque, rimane quella di concludere il progetto su mio padre, che per anni ho rimandato, poi vedremo. Sicuramente tornerò presto a Praga, una città che mi ha colpito moltissimo non solo per la sua bellezza, ma per il grande fermento giovanile che vi si respira. In un certo senso l’atmosfera è simile a quella di Teheran, con l’unica differenza che a Praga si vive in una dimensione più internazionale che in Iran. Entrambi i luoghi sono accomunati da una specie di fuoco, da una grande passione per l’arte, ed hanno lo sguardo rivolto verso il mondo. Spero quindi, in futuro, di poter lavorare a progetti che possano favorire la collaborazione tra i due Paesi.
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ITALIANI NEL MONDO
Luca Vullo
Ambasciatore della gestualità italiana e voce degli emigranti
A cura di Stefania Del Monte
Luca Vullo
è uno scrittore, regista e produttore che ha realizzato potenti
documentari, riconosciuti a livello internazionale.
Carbone,
nel
2008,
Ad esempio Dallo Zolfo al
è un film antropologico-sociale che racconta le conse-
guenze del patto italo-belga del
1946 e la vita dei minatori siciliani in Belgio, dopo la seconda guerra mondiale. In qualità di esperto di lingua siciliana e italiana, linguaggio del corpo e comunicazione non verbale, il regista ha inoltre scritto e diretto, nel 2011, un breve documentario dal titolo La Voce del Corpo, che ha vinto diversi premi a livello internazionale: da allora, il regista è spesso ospite di università o istituzioni italiane in giro per il mondo, che lo invitano per tenere seminari, lezioni, screening o per dibattiti sul linguaggio del corpo e la gestualità italiana. Più di recente, Vullo ha realizzato a Londra un documentario dal titolo INFLUX, sul tema dell’immigrazione italiana in Gran Bretagna: lavoro che ha già presentato presso molti centri culturali e università sia in Europa che negli Stati Uniti.
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È scrittore, regista e produttore ma, soprattutto, documentarista. Com’è nata questa passione? La passione di raccontare storie si vedeva sin da bambino. Il cinema documentario è stato il mio primo amore, e si sa che il primo amore non si scorda mai. Il primo lavoro interamente ideato, scritto, girato, montato e prodotto è stato proprio un documentario e dopo averne visto i riscontri molto positivi ho capito che era la mia strada da seguire. Amo osservare la realtà, analizzarla con la mia sensibilità e poi raccontarla agli altri. È siciliano ma ormai da anni risiede in Inghilterra. Come mai ha deciso di trasferirsi? In Italia stavo soffrendo molto, lavoravo tantissimo con progetti di vario tipo in scuole, carceri e con privati ma purtroppo non guadagnavo nulla perché nessuno mi pagava. La frase ricorrente che mi ossessionava era: per ora è tutto bloccato. Avevo in progetto la partenza ma non avevo ancora deciso dove. Poi ho conosciuto una ragazza che viveva a Londra ed è scattata la scintilla. A quel punto ho deciso di seguire il flusso della vita e mi sono trasferito a Londra, che non era tra le mie mete. Fin dal 2008, con “Dallo Zolfo al Carbone”, pur analizzando tematiche che partivano dalla Sicilia, il suo lavoro ha assunto una dimensione internazionale che la distingue dai suoi colleghi italiani. Cosa ha ispirato questo percorso? Quando ho scoperto il patto segreto Italo-Belga del ‘46 ho sentito immediatamente l’esigenza di raccontare questa storia importante per il nostro paese, che purtroppo non è mai stata inserita nei libri di storia ed è stata dimenticata da molti. Nello stesso momento a Lampedusa esplodeva il fenomeno degli sbarchi e ho pensato che forse, ricordare la storia vissuta dai nostri connazionali all’estero, avrebbe permesso di comprendere e accettare empaticamente molto meglio la storia contemporanea, che ci vedeva come Paese ospitante. In questi casi non pensi alle strategie di distribuzione internazionale o al tuo pubblico: quello che ti spinge è la necessità di raccontare la verità.
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Nel suo campo lavorativo, ha notato delle differenze tra il modo di lavorare in Italia e quello di altri Paesi? In Italia non si valorizzano le risorse, non esiste la meritocrazia, si fa fatica a fare squadra, siamo schiacciati dal giudizio e dell’invidia ed è più importante avere le conoscenze giuste piuttosto che dimostrare le tue vere qualità. Da quando mi sono trasferito a Londra e ho cominciato a lavorare all’estero, mi sono disintossicato da tutto questo. Con “La Voce del Corpo” è diventato ambasciatore della gestualità italiana nel mondo. Da cosa nasce questa idea? L’idea era quello di presentare al mondo un aspetto positivo e affascinante della nostra cultura che spesso viene visto solo come stereotipo e folklore. L’obiettivo era trasmettere che in realtà la gestualità italiana, una delle più
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ricche e straordinarie al mondo, racchiude in sé aspetti linguistici, di comunicazione, culturali, storici, socio-antropologici, di intelligenza emotiva, di grandi doti istrioniche e teatrali e senza dubbio aiuta a comprendere meglio la mentalità di questo popolo, che comunica tantissimo con il corpo e con il viso. Come è stata accolta nei vari Paesi in cui l’ha esportata finora? Con grande successo ed entusiasmo ad ogni incontro. La curiosità e il fascino per i gesti italiani è indiscutibile. Spesso vengo richiamato dalla stessa università più volte, perché richiesto dagli studenti. Oramai è diventato anche un vero e proprio spettacolo che sto esportando in tutto il mondo anche in contesti extra-universitari, presso gli Istituti di Cultura Italiana, le associazioni culturali, i teatri ed altri locali. In un anno in cui il tema dell’emigrazione è divenuto centrale, sia in Europa che in altre parti del mondo (ad esempio negli Stati Uniti), come si colloca INFLUX? INFLUX è un’autoanalisi collettiva del popolo italiano realizzata a Londra, una delle città più influenti al mondo, per comprendere chi siamo, come stiamo, perché partiamo e cosa cerchiamo, come ci adattiamo e cosa diamo al mondo. Il film in fondo parla di gran parte degli italiani emigrati, a prescindere dalla località scelta, ma di certo viene presentato il confronto tra la cultura italiana e quella inglese e londinese nello specifico. Credo che dopo il BREXIT il film acquisisca un’importanza anche di carattere storico perché è la voce della comunità italiana in UK, una delle comunità più numerose che ha deciso di vivere in Inghilterra e che adesso si ritrova ad essere in un paese non più comunitario. A quale progetto sta lavorando, ora? Mi sto dedicando alla distribuzione di INFLUX e alla diffusione della mia attività didattica e di spettacolo con la gestualità italiana in giro per il mondo; sto anche iniziando a scrivere il mio primo film lungometraggio, oltre che lavorare ad altri progetti, dei quali sentirete parlare presto. Sogni nel cassetto? Tanti, e il mio obiettivo è renderli concreti al più presto. La vedremo anche a Praga? Credo proprio di sì! Cominciate a riscaldare i muscoli!
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www.lucavullo.com www.lavocedelcorpo.com www.influxlondon.com
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EVENTI
Storia, leggende e vino novello per la festa di San Venceslao Il 28 settembre si celebra a Praga e in Repubblica Ceca il Santo Patrono
A cura di Marco Ciabatti
Il 28 settembre si festeggia San Venceslao, patrono della Repubblica Ceca e protettore della Boemia. Venceslao I è uno dei personaggi più importanti e universalmente conosciuti della storia del Paese, tuttavia ci sono pochissimi documenti storici che riguardano la sua vita e molto di quello che sappiamo si basa su quanto ci è stato tramandato dalla tradizione: nato all’incirca nel 907 d.C. (molto probabilmente a Praga, anche se non ci sono dati certi a riguardo) era il figlio primogenito dell’allora duca di Boemia Vratislao I e della sua consorte Drahomirá.
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Cresciuto in un territorio dalle radici fortemente pagane, dove la religione cristiana era a quei tempi poco diffusa se non addirittura osteggiata Venceslao, in seguito alla prematura scomparsa del padre e mentre la madre aveva assunto la reggenza temporanea del governo boemo, fu tuttavia educato al cristianesimo dalla nonna paterna Ludmilla (anch’essa poi divenuta santa) che si occupò di lui e del fratello durante l’infanzia e che seguì anche la sua formazione culturale, decisamente sopra la media per l’epoca e comprendente lo studio di numerosissimi testi latini e slavi. Secondo la tradizione, Ludmilla fu fatta uccidere da Drahomirá, gelosa e fortemente contrariata dell’influenza che la suocera aveva sul suo primogenito. Divenuto duca di Boemia ancora adolescente intorno al 921 d.C., nel corso della sua reggenza il giovane Venceslao I prodigò tutte le sue energie allo scopo di mettere in atto un’estesa e capillare cristianizzazione del paese, grazie anche all’aiuto ricevuto dai missionari della chiesa tedesca. Le leggende giunte fino a noi dipingono il giovane Venceslao quasi come un monaco sul trono, un sovrano virtuoso che liberava gli schiavi, distruggeva i monumenti pagani e coltivava personalmente addirittura una vigna nei pressi del castello di Praga (vigna che esiste ancora oggi), dove produceva il vino da utilizzare durante le funzioni religiose. Ciò che è certo è che Venceslao fece costruire internamente al castello la rotonda di San Vito, un edificio religioso monumentale in stile romanico divenuto poi la base di costruzione dell’attuale cattedrale gotica e, molto probabilmente, a lui si deve anche la coniazione della prima moneta boema, oggi conosciuta come “denaro di San Venceslao”. Oltre alla propaganda religiosa avvicinò la Boemia all’occidente anche dal punto di vista politico, riconoscendo nel 929 la sovranità del re di Germania Enrico I. Le sue azioni scatenarono però un forte sentimento di insofferenza in quella parte della borghesia fortemente nazionalista e per di più rimasta fedele alla tradizione pagana del paese, tra cui vi era la sua stessa madre e, soprattutto, il fratello Boleslao, che tentò più volte di ucciderlo, riuscendoci poi il 28 settembre 935 a Stará Boleslav, grazie ad alcuni sicari da lui assoldati. A seguito dell’assassinio del fratello lo stesso Boleslao (detto “il crudele”) ereditò il titolo di duca di Boemia, che mantenne fino alla sua morte nel 972 d.C. Il corpo di Venceslao fu sepolto nella splendida cattedrale gotica di San Vito presso il Castello di Praga, dove tutt’ora si trova, e divenne subito meta del pellegrinaggio e della venerazione di migliaia di fedeli, che iniziarono a considerarlo universalmente come un martire della fede, facendo sì che Venceslao divenisse ben presto il primo Santo della storia della Boemia.
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Il vigneto di San Venceslao 93
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A Venceslao I è anche dedicata una delle principali e più famose piazze di Praga: piazza San Venceslao (in ceco Václavské náměstí) che si trova nel quartiere della città nuova e che ospita, di fronte al meraviglioso palazzo del Museo Nazionale, un’imponente statua equestre in bronzo del Santo: una delle attrazioni principali della piazza stessa. È importante citare anche la corona di San Venceslao, realizzata in onore del Santo nel 1347 su commissione di Carlo IV per la propria incoronazione ufficiale presso il castello di Praga e che è stata successivamente utilizzata per l’incoronazione di tutti i sovrani del regno di Boemia fino al 1836. La corona (che viene esposta al pubblico molto raramente e solo in occasioni davvero speciali, anche se è possibile ammirarne una copia custodita all’interno del castello) è uno dei gioielli più preziosi al mondo: è realizzata completamente in oro a 21 e 22 carati e decorata con pietre preziose e perle che in alcuni casi detengono il primato mondiale per la loro grandezza, vi sono incastonati un totale di 19 zaffiri, 44 spinelli, un rubino, 30 smeraldi e 20 perle. Per volere dello stesso Carlo IV la corona, insieme agli altri gioielli reali, è conservata in modo permanente in una stanza inaccessibile situata all’interno della cattedrale di San Vito e protetta da ben sette serrature, le cui chiavi sono in possesso (una per ciascuno) del presidente della Repubblica Ceca, dei presidenti delle due camere del parlamento, del primo ministro, del sindaco di Praga, dell’arcivescovo di Praga e del decano del capitolo di Vyšehrad. Secondo una leggenda ampiamente diffusa a Praga, chi indossa la corona di San Venceslao senza essere il re legittimo muore di morte violenta entro l’anno. Praga è ancora oggi legatissima al culto di San Venceslao. Sono molte le iniziative che si svolgono ogni anno nella capitale ceca durante la sua festa, ma la più caratteristica è sicuramente la tradizionale vendemmia nella “Vigna di San Venceslao” che si svolge il 27 e 28 settembre sul pendio meridionale del castello praghese, un’ottima occasione per assistere alla spremitura dell’uva con un autentico torchio a mano, magari sorseggiando un buon bicchiere di vino! Fonti: Wikipedia czechtourism.com myczechrepublic.com prague.eu treccani.it
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Il Cardinale Miloslav Vlk con il teschio di San Venceslao 95
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EVENTI
Il Signal Festival giunge alla quarta edizione
Dal 13 al 16 ottobre, videomapping e spettacoli luminosi riaccendono la città
A cura di Andrea Rampini
Dal 13 al 16 ottobre le notti praghesi torneranno ad essere illuminate dal Signal Festival. L’evento, giunto alla sua quarta edizione, animerà alcuni dei luoghi più importanti della città, tra i quali: la Piazza della Città Vecchia, il palazzo U Hybernů, la piazza di Ovocný Trh, l’isola ed il museo di Kampa, la Casa Danzante, la Chiesa di S. Ludmila, il Ponte Carlo, la torre panoramica di Petřín, il Metronomo, Střelecký Ustrov (l’Isola dei Tiratori), il Klementinum e Náměstí Míru (la Piazza della Pace).
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In soli quattro anni, il festival si è trasformato nel più grande evento culturale della Repubblica Ceca, connettendo arte moderna e nuove tecnologie per offrire al grande pubblico e agli esperti del settore uno spettacolo impareggiabile. Ogni anno la manifestazione attira, infatti, un numero enorme di spettatori, offrendo spettacoli di illuminazione e videomapping. Nel corso delle quattro serate in programma, sotto la direzione di personalità ceche e mondiali del design della luce, le strade e gli spazi pubblici di Praga si trasformano in oggetti e spazi artistici che, utilizzando forme d’arte poco tradizionali, colgono i vari aspetti, storici e contemporanei, della città. Nelle edizioni passate il festival ha attratto più di un milione di visitatori, sia cechi che stranieri i quali, nell’ambito di installazioni interattive, hanno contribuito a determinare il carattere di ogni edizione. L’arte audiovisiva contemporanea riporterà quindi un po’ di movimento nel centro storico di Praga ed il Signal Festival trasformerà gli spazi pubblici della capitale in una splendente galleria d’arte, offerta ancora una volta a tutti gli spettatori a titolo gratuito. Nel 2015 il festival, oltre ai più importanti artisti cechi come David Černý e Petr Nikl, ha ospitato anche molti artisti stranieri. Ad esempio l’ungherese Laszlo Zsolt Bordos, che ha preparato il suo spettacolo per più di un anno e la sua proiezione, Escape, ha raccolto grande successo. Anche il gruppo di artisti turchi OUCHHH ha colpito molto il pubblico, offrendo uno spettacolo di videomapping tridimensionale proiettato sulla residenza estiva Kinských e trasformando il monumento in un’architettura parametrica. Un’atmosfera affascinante è stata inoltre offerta da Nimbes, una proiezione sferica a 360 gradi a cura dell’artista francese Joanie Lemercier. Lo spettacolo audiovisivo di quindici minuti è stato proiettato sulla parte interna del Signal Dome a Klarov. Una grande accoglienza è stata infine riservata all’installazione interattiva del gruppo artistico 3dsense, chiamata Faces che, utilizzando la tecnologia RealSense, offriva l’opportunità ai visitatori di creare un modello 3D del proprio viso e proiettarlo sulla torre Šítkovská, a Manes. Una miriade di nuove esperienze ci attendono anche in questa nuova edizione del Festival. Gli artisti sono, infatti, pronti a regalare al pubblico di Praga spettacoli ed emozioni indimenticabili. Per maggiori informazioni: signalfestival.com perpragatour.com
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