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PANTERE GRIGIE

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I SOCIAL CHIUDONO LE PORTE ALL’EX PRESIDENTE TRUMP ATTO DI LIBERTÀ O PERICOLOSO PRECEDENTE?

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PAOLA TOSCANI

L’opinione pubblica si è divisa sulla decisione dei social network di silenziare, e poi chiudere definitivamente, il profilo dell’ex presidente americano, Donald Trump.

Facebook, Twitter, Snapchat e YouTube lo hanno accusato di incitamento alla violenza scatenata lo scorso sei gennaio a Capitall Hill dai suoi sostenitori. Il dibattito si è aperto tra favorevoli, che considerano sacrosanta la decisione dei colossi social, e contrari. Questi ultimi riconoscono la responsabilità di Trump negli episodi di violenza inaudita cui tutti abbiamo assistito interdetti. Tuttavia ritengono irrituale e inopportuno che un privato si autolegittimi arbitro del bene comune. Perché agire in nome di un presunto interesse collettivo è un compito che spetta allo Stato. Oggi è toccato a Trump, e mezzo mondo (e forse di più) ha tirato un sospiro di sollievo. Ma domani? Non è un pericoloso precedente? Sospendere Trump è sacrosanto, è d’altro canto la tesi dei favorevoli, perché si sono applicate all’uomo più potente della terra le stesse regole previste per i cittadini comuni. Trump ha radicalizzato la sua base. Con discorsi incendiari ha spinto ad azioni violente,

è il responsabile di un attacco gravissimo al cuore della democrazia americana.

Il sipario si è abbassato sulla vicenda, ma lascia aperti tanti interrogativi, e qualche paradosso, nella misura in cui il Tycoon ostenta i panni del liberale, di fronte alla censura dei social. Proprio loro che dovrebbero essere l’agorà per eccellenza. Sinonimo di apertura di idee e libero dibattito.

Insomma, chi ha la regia dei social dispone anche di tutti gli strumenti per monitorarne le anomalie. Ma a chi spetta l’ultima parola per assicurare che la cassetta degli attrezzi sia usata correttamente? Ne va della garanzia di pluralismo, considerando che le piattaforme sono utilizzate anche come strumenti di informazione. Secondo una ricerca del Censis, Facebook è il secondo strumento di diffusione delle notizie, dopo i tg. Tre italiani su dieci lo utilizzano per informarsi. Ma gli over 65 preferiscono ancora i telegiornali: sette su dieci mettono da parte il cellulare e prendono in mano il telecomando per aggiornarsi. Più che una scelta, per quasi sei anziani su dieci, è una questione di deficit di competenze digitali, rileva l’istituto di ricerca. Ma la tendenza è utile per comprendere l’importanza del fenomeno. Perché i mezzi di informazione sono le sentinelle di ogni democrazia, dove idee e opinioni possono circolare, libere da condizionamenti. Il pluralismo è il baluardo di ogni sistema democratico. Siamo ancora in tempo per difenderlo, e affidarne le chiavi alle nuove generazioni.

CONTRARIO SE UNA BUGIA FA PIÙ NOTIZIA DI UNA NOIOSA VERITÀ

Beniamino Pagliaro

Intervista a Beniamino Pagliaro, giornalista di Repubblica e fondatore di Good Morning Italia e State of the Net

Domanda. Come si spiega che un gestore privato agisca unilateralmente, senza alcun mandato da parte di un’autorità pubblica? Risposta. La decisione dei social di chiudere i profili dell’ex presidente americano, Donald Trump, è una soluzione tampone e non risolve nulla. Interviene nell’emergenza, ma in altre cento occasioni non potrà funzionare. Serve un metodo, degli strumenti per decidere se i contenuti debbano essere tolti dal discorso pubblico. Non che così si risolverà interamente il problema della manipolazione delle informazioni, ma lo si ridurrà di molto.

D. Capitol Hill è stata la punta dell’iceberg. Ma la misura non era già colma da tempo? R. È stato comodo per Twitter e gli altri agire così: Trump era alla fine del suo mandato e intervenire in questo contesto è stata una prova di opportunismo. regole, soprattutto in tema di privacy.

D. Il GDPR è una risposta? R. Il GDPR nasce per garantire una tutela, ma in verità non sempre ha centrato gli obiettivi. Come quando ha messo le piccole imprese sullo stesso piano dei colossi.

D. Le regole del gioco dei media tradizionali non ammettono violazioni del principio cardine del pluralismo. E sui social media? Si può evitare che una cattiva o distorta informazione manipoli il consenso, mettendo anche in discussione i fondamenti delle democrazie occidentali? R. In questo contesto la Commissione europea sta varando due pacchetti di riforme: sul mercato e la concorrenza e sui servizi digitali e lotta alle fake news. In quest’ultima cornice legislativa rientra la definizione di “grande piattaforma”, che deve sottostare ad alcune regole.

D. La circolazione delle informazioni non conosce barriere fisiche. Ma così non si pone un problema di asimmetria normativa, tra paesi che si ispirano a sistemi e giurisprudenze diverse? R. È il momento di stabilire delle regole per prevenire questi fenomeni. Meglio una regia ex ante, piuttosto che un arbitro che sistemi le cose ex post. In particolare per il legislatore comunitario la sfida è importante. Perché l’Europa ha subìto questa trasformazione. Diversamente dai territori in cui le piattaforme hanno messo le radici, non ha beneficiato di alcun valore economico. Ci si è trovati così di fronte alla necessità di darsi delle D. E questo servirà per arginare il fenomeno delle fake news? R. Nel momento in cui si fissano degli standard al di sotto dei quali non si può più giocare, i grandi attori sono chiamati a garantire la moderazione e il controllo dei contenuti.

D. Dove nascono le fake news? R. Nascono nelle nicchie, all’interno delle quali si moltiplicano, generando degli spazi inespugnabili. Sono bugie, ma vendono più delle noiose verità.

Giuliano Ferrara

FAVOREVOLE SILENZIARE L’EX PRESIDENTE TRUMP È STATO UN ATTO DI LIBERTÀ

Intervista a Giuliano Ferrara, fondatore de Il Foglio

D. Un colosso, privato, ha agito in nome di un presunto interesse collettivo. Senza alcun mandato da una pubblica autorità. Non è un pericoloso precedente? R. No, nessun pericoloso precedente. È un episodio circoscritto, delimitato al perimetro del fatto. È successo che un bandito, da presidente degli Stati Uniti, sia stato oscurato da un social network che si è avvalso dei poteri che la legge gli ha concesso per farlo.

D. Un’eccezione, dunque? R. Una grande eccezione. Gli editori sono privati e decidono cosa pubblicare e cosa no. Chi ha titolarità di un mezzo di comunicazione decide del suo destino. Se invece la questione viene affidata a autorità terze, di tipo statale, allora lì sì, si può arrivare a forme di censura.

D. Lei mette sullo stesso piano i social con la stampa tradizionale, che però ha codici deontologici, carte e regole ben precise. R. Certo non si può mettere sullo stesso piano Twitter del XXI secondo con lo Spectator di Londra del ‘700. Ovvio che i pericoli autoritari sono aumentati con la globalizzazione della comunicazione e l’invenzione dei social network, ma alla fine la questione è sempre la stessa. Libertà di stampa è competere attraverso soggetti editoriali. E questa libertà è stata rispettata. Tanto è vero che Trump ha traslocato su un’altra piattaforma.

D. Twitter ha però silenziato Trump a pochi giorni dal passaggio del testimone. Perché proprio allora? Non è stata una scelta opportunistica? R. Avrebbe dovuto agire prima e con più durezza, ma Trump ha fatto strali della costituzione americana, facendo leva su un margine di indeterminatezza dovuto ai poteri esorbitanti che quella carta gli riservava come presidente. Ma quando Trump ha invitato all’insurrezione ci siamo trovati davanti a quel che gli americani chiamano “Clear and present danger”. E poi c’è da dire che con la sua decisione Jack Dorsey (fondatore di Twitter ndr) ha eliminato dalla sua piattaforma un profilo da 88 milioni di follower. Prima di parlare di opportunismo bisognerebbe valutare anche questo aspetto.

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