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Cosa fare per spegnere le bollette infuocate

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PANTERE GRIGIE

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LA FINESTRA SUL CAVEAU

CLAUDIO DI DONATO

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L’impennata del costo delle bollette per energia elettrica e gas non ha precedenti e pesa soprattutto sulle fasce più deboli. Il sensibile aumento, in parte sterilizzato dall’intervento del governo con oltre 4 miliardi, è l’effetto di una tempesta perfetta alla quale contribuiscono diversi agenti: speculazione sulle materie prime, transizione green, mix energetico, condizioni climatiche e questioni geopolitiche. Pensionati e famiglie tuttavia più che comprendere le ragioni del balzo dei prezzi vogliono sapere se nel prossimo futuro il costo

dell’energia tornerà a livelli sopportabili e quali contromisure si possono adottare. A leggere le quotazioni sui mercati finanziari e delle materie prime, il ritorno alla normalità energetica in Europa è previsto nella seconda metà del prossimo anno, ma nuove sorprese non possono escludersi. Una buona notizia considerando che i prezzi medi del gas nei primi 10 mesi dell’anno sono oltre tre volte superiori a quelli del 2019. Nei prossimi mesi dovrebbero trovare soluzione alcuni fattori contingenti come le strozzature per le manutenzioni in Norvegia e problemi alle reti in Francia e Gran Bretagna. Tuttavia la discesa dei prezzi in Italia si annuncia più complicata che nel resto d’Europa a causa del mix energetico. L’energia elettrica nel nostro paese è prodotta con il gas per il 33% e altrettanta dalle fonti rinnovabili (che per definizione sono discontinue in quanto generate da sole e vento). Solo il 16% dal petrolio, 1% dal carbone e zero dal nucleare che sono molto più economici del gas. In Francia invece il 71% arriva dal nucleare, le rinnovabili incidono solo per l’8% e il gas per un misero 7%. La Germania è decisamente più green con il 46% di rinnovabili ma il 13% arriva dal nucleare e il 19% dal carbone. Pertanto dal punto di vista energetico l’Italia è un paese già molto efficiente anche se nell’attuale congiuntura paga un prezzo più elevato a causa della elevata incidenza del gas. Inoltre ci sono gli effetti della transizione verde. Sarebbe bello se il processo di decarbonizzazione avvenisse a saldo zero ma le rinnovabili sono più costose delle fonti fossili e per riequilibrare la differenza sarà necessario un costante aumento del costo per produrre anidride carbonica con gli ormai famosi ETS (sistema di scambio di quote di emissione di gas serra). In tale contesto emergono due problemi, squisitamente politici. Il primo è che ogni cittadino tocca con mano quanto costa la transizione energetica ma non ha la percezione del costo, ancor più rilevante, di non contrastare i cambiamenti climatici. La Banca centrale europea stima che una transizione disordinata e a singhiozzo costerà oltre il doppio rispetto a una transizione costante. Un gruppo di esperti della Casa Bianca ha calcolato che iniziando ora la decarbonizzazione il taglio di una tonnellata di CO2 costerà 47 dollari fino al 2050, ma avviando il processo nel 2030 serviranno 95 dollari a tonnellata. Oneri crescenti significa che gli effetti distributivi saranno rilevanti soprattutto sulle fasce di popolazione a più basso reddito. E qui si arriva al secondo problema. La politica ed i governi devono urgentemente intervenire per una equa e proporzionale distribuzione degli oneri della carbonizzazione. Il sistema attuale delle bollette alla fine premia chi consuma di più e produce maggiori emissioni. E’ tempo che i prezzi dell’energia siano trattati come un pezzo del welfare.

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