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IL RACCONTO

FABIO MASSIMO

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Appena acceso il computer portatile, lo vidi, era il suo primo messaggio mail. Era passato un anno e da molti mesi avevo ripreso a lavorare ed alle 9 ogni mattina accendevo il computer. C. mio marito, mi mandava gli auguri, quasi me ne stavo dimenticando, era il mio compleanno! “Ciao!, auguroni! Come stai? Una ruga in più? Ma dai, non si vede quasi e poi che ti importa? Il tuo spirito è sempre quello e gli acciacchi o le rughe non lo possono modificare. Buona giornata e, mi raccomando, abbi cura di te! Un bacio” Più tardi, in mattinata, suonarono al cancello, il fiorista mi consegnò in dono un’orchidea rosata, sui toni caldi e screziata di rosso. Grande e piena di boccioli. Ho sempre amato le orchidee e C. mio marito se ne è sempre ricordato. Ammetto che rimasi sorpresa, non mi aspettavo né la mail né l’orchidea. Nei fui turbata. Quel giorno non riuscii a lavorare. Tutti quei ricordi dei lunghi anni trascorsi insieme. Non potei resistere alla tentazione e per la prima volta riaprii i vecchi file con le fotografie dei viaggi, degli incontri, degli amici comuni di un tempo. Mi aprii ai ricordi che nell’ultimo anno avevo respinto ed escluso dalla memoria, non dico negandoli, questo no, ma solo per evitare il dolore che mi avrebbero procurato. Ci eravamo conosciuti all’università , poi persi di vista. Dopo un paio di esperienze desolanti con due fidanzati, lo rincontrai per caso su un autobus. Riprendemmo a parlare come se ci fossimo salutati la sera prima, il filo della nostra amicizia non si era mai interrotto. La cosa mi colpì, forse era un segno e pensai che avevo sottovalutato la sua presenza nella mia vita. Forse non era un amico qualuque, un qualunque compagno d’univeristà. L’ultima relazione si era interrotta da poco in modo devastante ed ipotizzare l’inizio di una nuova non era proprio nelle mie idee, ma dovevo scendere alla prossima fermata e così, malgrado le mie paure, ci demmo appuntamento per il giorno successivo per terminare la nostra chiaccherata. Era solo un vecchio amico. Dopo sei mesi vivevamo già assieme ed allo scadere del primo anniversario dell’incontro sul bus ci sposammo. Era il mio compagno. La comunanza d’interessi per l’arte e per i viaggi, la curiosità per la vita ci teneva legati e ci trascinava in tutte le attività; ci davamo consigli per il lavoro ed il tempo libero non era mai abbastanza per tutte le nostre idee ed I nostri interessi. Quante foto e quanti ricordi! Quanti anni. Arrivò la seconda mail, sempre inaspettata: diceva che di lì a poco sarebbe scaduto un titolo di stato. C. me lo rammenatava e mi dava dei consigli su come reinvestire la cifra in scadenza. Il suggerimento era sensato ed anche utile, non ne avevo voglia ma avrei dovuto comunque pensarci. In genere era lui che si occupava di questi aspetti, io ero più concentrata sugli aspetti pratici della casa, lui invece si occupava della cucina, gli piaceva cucinare aveva imparato da una sua zia e si era appassionato, piatti tradizionali accoppiati ad invenzioni moderne. Era un suo modo per esprimersi ed io ero il suo pubblico, attento e critico. Dopo quelle prime due, le mail continuarono ad arrivare, regolari e distribuite nel tempo, per gli anniversari, per rammentarmi compleanni di parenti, puntualmente per i miei compleanni accompagnate sempre da una pianta, orchidee spesso, ma anche ortensie o ciclamini, mai fiori

recisi, sapeva che non mi piacevano, sfiorivano subito dopo pochi giorni. Mi ero abituata, le attendevo, se passava lungo tempo senza che mi arrivasse aprivo nervosamente la posta al mattino sperando di vederla, le leggevo e rileggevo, tornavo a leggere quelle passate. Un giorno aprii la mail , la lessi ed il passato si riversò su di me. Mi ricordava il giorno in cui mi aveva dovuto dire che non potevamo avere figli. Gli anni erano volati, tra mille impegni come in un incantesimo, ma alfine il mio orologio biologico si era fatto sentire sentire, non potevo più attendere, la vita di coppia era stata gioiosa ma sentivo dentro di me il cambiamento ed una sottile insoddisfazione, era giunto il tempo. Volevo avere un figlio. Ne avevamo parlato spesso, ma avevamo sempre rimandato, c’erano troppe cose da fare, la vita era una sinfonia di interessi e di attività che ci avvogeva e ci stordiva. Prendavamo tutte le precauzioni necessarie. Quel giorno ridendo e felice gli dissi che volevo avere un figlio, da lui, nel mio ventre e che avrei smesso la pillola. Eravamo a colazione, sorrise e non mi rispose subito, dovevamo uscire, era tardi. La sera mi parlò, mi spiegò la situazione. In modo pacato, ragionevole, razionale, era tardi, questo tempo era passato mi spiegò che per proteggermi non me ne aveva mai parlato ma non c’era più la possibilità di avere un figlio per noi. Quella sera e le successive piansi, a lungo e lui mi fu sempre accanto, tenero ed affettuoso. Alla fine dovetti prendere atto della realtà. Avrei dovuto farlo prima, c’erano tutte le possibilità ma non lo avevo fatto. Ormai era tardi. Tardi. Nella mail mi ricordava quanto mi aveva detto, si scusava, sperava mi rendessi conto che non era colpa sua e che non c’erano altre soluzioni. Nella mail non ci possono essere le lagrime ma io le vedevo, le sue. Scrivendo stava piangendo. Ci misi alcuni giorni per riprendermi ma poi superai anche quella mail. Il giorno dopo, la sua mail si scusava ancora e con un abbraccio mi chiedeva di non pensarci più. E così feci. Sono passati anni dalla prima mail, qundici per l’esattezza e ne sono passati sedici dalla morte di mio marito. Un tumore lo aveva colpito non avrebbe potuto avere figli ma anche se fosse stato possibile non avrebbe potuto prendersene cura. Lottò a lungo con la sua malattia ma alla fine dovette arrendersi, il male era più astuto della nostra scienza medica ed il suo fisico s’indeboliva giorno dopo giorno. Gli tenevo la mano quando spirò. Ma aveva avuto il tempo di prepararsi di preoccuparsi per me e per la mia vecchiaia. Aveva deciso di accompagnarmi anche dopo la sua morte, di starmi vicino e di continuare a vivere nella mia mente per tutti questi anni. Stamani sono andata dal fiorista che mi ha sempre consegnato I fiori al mio compleanno, mi ha detto che aveva stipulato un regolare contratto di fornitura e che era stato pagato in anticipo per le consegne che avrebbe fatto nei decenni successivi. Aveva un’elenco delle piante che anno dopo anno avrebbe dovuto inviarmi. Tutte scelte con cura in base ai miei gusti per le piante ed I colori. L’ho ringraziato per la sua serietà e gli ho detto che poteva interrompere le spedizioni. Il contratto terminava, sarei morta prima del prossimo compleanno, la malattia aveva colpito anche me ed anche il mio tempo volgeva al termine. C’è rimasto molto male, lui era il figlio, suo padre aveva ricevuto l’ordine e fatto il contratto, lui non ne conosceva il motivo ma solo le condizioni e ne aveva fatto una questione di professionalità rispettarlo puntualmente, ha insistito per restituirmi il denaro per le mancate consegne. Non ho accettato, l’ho ringraziato e sono uscita, avrebbe potuto essere mio figlio. Quante mail dovranno ancora arrivare? Messaggi , parole che mi avrebbe voluto dire e che non conoscerò mai. In quale gorgo digitale sono disperse e si disperderanno senza più nessuno che possa riceverle e leggerle? Non lo so. Ma so che sino all’ultimo istante lui ed io siamo rimasti insieme.

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