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Afghanistan, le donne coraggiose 2021

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PANTERE GRIGIE

PANTERE GRIGIE

SPAZIO DONNA

MARIA ROSA BATTAN

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Credo, e mi auguro, che tutte noi, a partire dalla caduta di Kabul, avvenuta a metà agosto, abbiamo sottoscritto almeno una delle tante richieste di raccolta di firme che arrivano a cura di donne illustri, rappresentanti di associazioni, di realtà associative economiche (CNA Impresa Donna), accademiche, artistiche. Firme di denuncia circa la gravissima situazione di soprusi e limitazione della libertà che subiscono le donne Afghane. Proibire il diritto allo studio, al lavoro, alla partecipazione sociale e politica credo siano le più significative tra le limitazioni imposte dai Talebani alle donne Afghane che considerano non persone ma soggetti per i quali decidere come, quando e perché dare o non dare compiti e significato. Questo atteggiamento di repressione e oppressione ha portato molte giovani, giovanissime e meno giovani a scendere in piazza per manifestare a salvaguardia dei diritti acquisiti nel ventennio di un governo di apertura, governo, alternamente ma continuamente contrastato dai talebani e recentemente dagli stessi sostituito. Le manifestanti si dichiarano impaurite ma assolutamente decise a continuare nel loro intento senza delegare o attendere. Attenzione, comunque, deve essere prestata anche all’altissima percentuale di Afghane che vivono in luoghi rurali, lontane dalla città, lontane da Kabul. Alcune di queste donne, intervistate, hanno indicato un percorso nettamente diverso.

Non avendo in pratica mai conosciuto la stagione dei diritti, vivono soprattutto dentro casa, molto spesso a volto coperto, non parlano volentieri con estranei e la loro vita sociale è praticamente inesistente. Secondo l’Osservatorio Afghanistan del 2020, il tasso di analfabetismo femminile si aggira ancora tra l’84/87%. Nella capitale Kabul va meglio, ma nei villaggi rurali le madri non si fidano di mandare i figli a scuola, soprattutto le bambine, per paura di diverse situazioni violente. Pertanto il 66% delle ragazzine tra i 12 e i 15 anni non studia. Il 60/80% delle ragazze è costretta dalla famiglia a sposarsi giovanissima e contro il proprio volere. Sempre dall’Osservatorio risulta che le donne, a causa anche della loro scarsa scolarizzazione, trovano lavoro solo in ambito del cucito o pulizie. Il 50% delle donne continua a partorire in casa con il solo ausilio della famiglia, con un tasso elevato di mortalità da maternità. Un dato estremamente raccapricciante risulta essere quello che denuncia il 95% dei suicidi al femminile. Incredibilmente, qualche tempo fa, l’11 settembre 2021, per le strade di Kabul 300 donne afghane hanno marciato completamente velate a sostegno del governo Talebano, per sostenere l’opportunità di studiare in situazioni che le vedano divise dagli uomini, che pensino prima alla maternità (una donna Afghana procrea in media 5,88 bambini) e lascino in secondo piano la scelta di lavoro, cariche istituzionali e altro. Dichiarano di essere contente di indossare il niqab. Questa posizione ci deve far riflettere su quando e come diventi indispensabile essere solidali con le donne di Kabul, con il loro desiderio di emancipazione e bisogno di conferma dei diritti acquisiti. Nessuna di noi, fortunata per essere nata in un paese libero, può e deve girarsi dall’altra parte o fare finta di niente. L’universalità che ci unisce, che unisce ogni donna del pianeta attraverso la naturale specificità della maternità, deve rispondere a tutte le donne, comprese le afghane, confortandole non solo con il sentimento di condivisione e partecipazione ma, anche e dove possibile, con azioni. Sono onorata, quindi, di poter dare un piccolissimo contributo in proposito attraverso l’ospitalità di questo giornale e, nella speranza di poter essere utile a quante da noi si aspettano ascolto, ringrazio tutte e quante di noi/voi si adopereranno per fare da divulgatrici attente.

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