Š Robert Whitaker
DALĂ? EXPERIENCE a cura di Claudio Mazzanti
D al Í E xperience
a cura di Claudio Mazzanti ISBN 978-88-96427-80-4 © 2017 con-fine edizioni © 2017 The Dalí Universe Crediti fotografici © Gianni Coppola: p. 122-123, 125, 126-127, 129, 132-133, 135, 138-139, 140-141, 143, 144-145, 146-147, 148-149, 151, 152-153, 155, 156-157, 159, 162-163, 164-165, 166-167, 168-169, 170-171, 178-179, 181, 182-183, 184-185, 195. © Loop: p. 130-131, 136-137, 160-161, 172-173, 174-175, 176-177, 187, 190-191, 192-193. © Robert Whitaker Tutti i diritti riservati
con-fine edizioni Via G. Garibaldi, 48 - 40063 Monghidoro (BO) - Italy www.con-fine.com - info@con-fine.com Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore.
Prima edizione: Gennaio 2017
DALÍ EXPERIENCE Palazzo Belloni
25 Novembre 2016 > 07 Maggio 2017
Un progetto di Patrizio Ansaloni, Gino Fienga, Claudio Mazzanti Direzione artistica | Patrizio Ansaloni
Consulenza finanziaria | Stefano Fantoni
Contenuti e ricerche iconografiche | Claudio Mazzanti
Raccolta fondi e sponsorizzazioni | SpeeD Paolo Balboni, Giovanna Baldazzi, Oda Costa, Moreno Giacometti, Massimo Malfetti, Luca De Dominicis, Marco Baruzzi
Organizzazione generale | Gino Fienga, Eleonora Zodiaco Relazioni esterne | Stefania Dal Rio Coordinamento trasporti e prestiti | Nadia Lazzarini Coordinamento segreteria organizzativa | Mariangela Fratini Ufficio Stampa | Alessandra Zanchi Architettura allestimento | Bruna Di Palma Consulenza scenografia | Alessandro Vriz e Mauro Tinti Lighting design | Giuseppe Mestrangelo Installazioni multimediali e interattive | Loop Ideazione | Patrizio Ansaloni e Claudio Mazzanti Interaction | Design Andrea Nadalini Animazioni 3D | Vincenzo Coloccia Programmazione | Ivan Fanti Allestimento | Bologna Fiera Servizi Pitture | Elena Stanzani Stampe | Copygraf Impianti elettrici | Giuseppe e Luciano Maresca Hardware | Adcom, Centro Computer, Illumino Service, Sycomore Grafica | Rossella Dal Fiume Biglietteria e personale | Best Union Amministrazione | Studio Graziosi
APP Realtà aumentata Ideazione | Claudio Mazzanti Direzione artistica e animazioni 3D | Patrizio Ansaloni Programmazione | Massimo Sarzi Madidini, Luca Fortunato Comunicazione e Social media | con-fine edizioni - Debora Peroni Laboratori Didattici Cà la Ghironda ModernArtMuseum Coordinamento Serena Fini e Nadia Lazzarini Materiale d’archivio | Archivi QN Quotidiano Nazionale, il Resto del Carlino, La Nazione, Il Giorno; Ina - Institut national de l’audiovisuel; Cineteca di Bologna; Taschen; Perfetti Van Melle Italia (Chupa Chups); IAR; Olycom Assicurazione | Ciaccio Arte Ente prestatore | The Dalí Universe
Si ringraziano Michele Accursi, Luca Ariani , Cinzia Bacchilega, Paola Balestra, Thomas Francis Banchoff, Federica Baracco, Rossella Barbaro, Cinzia Barbieri, Chiara Barin, Valerio Baroncini, Anna Rita Benassi, Silvia Benvenuti, Alberto Bettini, Beppe Boni, Antonello Bonolis, Ezio Bosso, BPER Banca Ufficio Relazioni Esterne e Attività di RSI, Alice Brignani, Riccardo Brizzi, Silvio Broggi, Simone Brumali, Camilla Calò, Andrea Cangini, Francesca Cappellari, Lauretta Cappelletti, Claudia Cappelli, Giuseppe Casali, Francesco Casciari, Adriano Cavaliere, Eleonore Cavalli, Leo Cavalli, Valentina Cavalli, Roberto Ceccarelli, Luca Ceroni, Antonio Cocchini, Maurizio Collina, Claudio Conti, Gianni Coppola, David D’Alessandro, Stefano D’Aquino, Stefano De Maria, Alessandra De Paulis, Chiara Di Clemente, Davide Eusebi, Daniele Ferrari, Franca Ferri, Andrea Fienga, Maurizio Finucci, Silvano Fois, Maria Elena Francesconi, Mara Frontini, Lucia Gazzotti, Andrea Gentilini, Roberto Gervaso, Paolo Giacomin, Roberto Giraldi, Serhat Gok, Annalisa Gotti, Roberto Grandi, Rita Grassini, Sergio Graziosi, Valeria Gualandi, Laura Gullini, Fredérique Joseph-Lowery, Simona Larghetti, Federica Legnani, Matteo Lepore, Selwyn Lissack, Gianluca Lolli, Micol Maestrini, Francesco Mafaro, Andrea Maioli, Marinella Maleti, Flavia Mancino, Alice Manfredini, Marina Marchiori, Stefano Mariani, Donato Martelli, Massimo Martina, Pierluigi Masini, Antonio Mastrorocco, Vincenza Maugeri, Andrea Maurizzi, Andrea Meneghelli, Daniela Mennichelli, Jasmine Merli, Kerry Meroni, Luca Montebugnoli, Marco Morandini, Armando Nanni, Romina Noghiu, Flavia Olivieri, Michele Palma, Osvaldo Panaro, Luca Passarini, Alice Pazzi, Stefano Pesce, Annalisa Piccinelli, Maria Rosa Piovani, Alberto Pirazzoli, Federico Porzioli, Enrico Postacchini, Marco Raimondi, Andrea Ravagnan, Silvia Ribani, Federica Ricci, Luca Rocco, Patrick Romano, Solidea Rosati, Alessandro Rosina, Isabelle Roussel-Gillet, Luana Sabattini, Giovanni Saccone, Nicoletta Salvi, Tatti Sanguineti, Piero Scandellari, Gianni Schicchi, Vittorio Sgarbi, Gamze Sipahioglu, Lara Sorbini, Franco Staffolani, Elena Stanzani, Giancarla Strozzi, Matteo Tabaro, Franco Tesoro, Giancarlo Tonelli, Laura Verdi, Valerio Veronesi, Bruno Vicentini, Andrea Vidotto, Trilli Zambonelli, Patrizia Zanna, Cristiano Zecchi, Flavio Zuin. Un ringraziamento particolare a Beniamino Levi, Marisa Monti Riffeser, Andrea Riffeser Monti, Sara Riffeser Monti, Matteo Riffeser Monti, Bruno Riffeser Monti.
Matteo Lepore Assessore all’immaginazione civica - Comune di Bologna
C
ome Assessore del Comune di Bologna con delega a promuovere la città, quando mi è stato presentato il progetto ‘Dalí Experience’ ho pensato rappresentasse un’occasione. Misurarsi con le nuove frontiere nel campo dell’arte e delle tecnologie, esplodere al massimo i sensi e l’interazione tra i visitatori, offrire un’esperienza e un itinerario coinvolgente che attraversasse le strade e le piazze della città. A quanto ci è dato di sapere Dalí non ebbe rilevanti contatti con Bologna, si narra che a pochi chilometri da qui avesse inviato diverse opere ad una fonderia pronte per essere forgiate. La ‘Dalí Experience’ è per Bologna una porta aperta su un artista incredibile e conosciuto nel mondo. Una magia che parte da Palazzo Belloni e si diffonde in periferia, nei quartieri. Un prototipo creato da un’azienda nuova del territorio con una vocazione internazionale e l’ambizione di promuovere il campo della fruizione di beni e contenuti culturali. Si tratta di obiettivi in linea con quanto la nostra Amministrazione sta ricercando e quanto in occasione del trigesimo della morte di Umberto Eco, il Sindaco Virginio Merola disse che avremmo realizzato: un centro di sperimentazione e incubazione dedicato a progetti come questo. Bologna si è riscoperta in anni recenti una destinazione turistica amata per la sua autenticità e il coinvolgimento del visitatore. Un gioiello nascosto capace di portare con sé sorprese sempre nuove. L’esperienza di Dalí non significa visitare un museo ma intraprendere un viaggio, una doccia di percezioni. Conoscere una storia, interessarsi a un caso studio, interpretare un linguaggio. In questo spazio abbiamo il massimo dell’interazione tra il visitatore e gli oggetti esposti, tutto dev’essere toccato. Un paradosso che provoca i musei di pura conservazione, dove tutto quello che è in mostra viene precluso da una teca di vetro. Qui potete indossare baffi, soffiare a pieni polmoni in un quadro e chissà che un giorno non ci ricorderemo di questo primo progetto come del punto di partenza di un lungo ed entusiasmante percorso. Divertitevi! 11
Andrea Cangini Direttore QN Quotidiano Nazionale e Il Resto del Carlino
P
sullo stesso supporto senza sapere che cosa avesse fatto il predecessore. Un gioco collettivo a sorpresa che non poteva soddisfare l’ego individualista del pittore spagnolo, che peraltro riteneva di essere lui il surrealismo, il vero cantore dell’evasione psichica. Fu allontanato dal movimento senza troppi complimenti, anche perché giudicato scarsamente impegnato sul piano politico.
er Salvador Dalí esisteva una sola verità, la sua. Assiduo frequentatore del paradosso, considerava la realtà un optional onirico, qualcosa che frequentava tenendo occhi e mente in equilibrio sulla punta dei baffi. Baffi che, ben incerati, sembrava sondassero i dintorni e, in particolare, la sostanza dei sogni. Artista dall’ostinata fantasia al punto da trasformare il formaggio in materia di fluttuazione del tempo, registrava i passaggi della memoria su orologi penduli secondo una dimensione visionaria che doveva riflettere tematiche psicoanalitiche freudiane. La modestia non era il suo forte, sosteneva che le più grandi fortune di un artista erano due: primo, essere spagnolo, secondo, essere Dalí. E gli altri? Non aveva conoscenza di personaggi più fortunati di lui. Picasso e Mirò? “Beh, sí - ammetteva - spagnoli anche loro”. Concludeva però dicendo che a lui erano capitate entrambe le cose. “Mi riesce quindi difficile capire come possano vivere gli altri non essendo Dalí”. In campo pittorico l’estroso personaggio ha dimostrato sensibilità verso futurismo, metafisica e cubismo approdando poi nelle terre dell’irreale. La sua indole, autodefinita “paranoico-critica”, non poteva rimanere insensibile al surrealismo sebbene la categoricità di André Breton non lo convincesse troppo. Inoltre riteneva che alcuni personaggi del gruppo sviluppassero temi legati a sogni di seconda mano, tipo aspiranti dell’illusione alla ricerca di chissà cosa bazzicando l’outlet del banale. Amico di Garcìa Lorca e di Louis Buñuel, Dalí ha coltivato esperienze diverse. “La pittura è la parte minima della mia genialità”, diceva. In effetti, oltre a usare pennelli e colori, ha sceneggiato film (“Un chien andalou” e l’“Age d’or”), ha disegnato preziosi, creato scenografie, scritto testi e saggi a volte farneticanti, ha eseguito performance declamando versi in camicia da notte durante pranzi tenuti a mezzogiorno. Si dice che dalla Catalogna abbia raggiunto Parigi in taxi, voleva vedere il Louvre. A Parigi viveva anche Picasso, che non incontrò subito. “Il mondo è troppo piccolo per contenerci entrambi”, osservò con retorica da Ok Corral. Il surrealismo era l’habitat naturale della sua poetica. Non per molto. Breton accettava tutto tranne che essere contraddetto. A Dalí, ad esempio, l’esercizio del cadavere exquis non entusiasmava. A turno si doveva intervenire
Dalí ha dunque vissuto a lungo a Parigi, ha viaggiato molto raggiungendo anche gli Stati Uniti. La sua immaginazione metamorfizzante lo ha portato a rappresentare un’infinità di cose adatte solo all’uso della sua personale verità. Ha raccontato anche storie di un’Africa mai conosciuta. “Senza mai esserci mai stato, me ne ricordo molto bene”, celiò. Ma l’eden del proprio tempo era costituito dai luoghi dell’infanzia, da cui prelevava luce e ricordi da versare alla congiunzione dei sogni. Forme strane venivano trasposte in una sorta di imagerie quotidiana con rocce, sole e mare. Ecco allora visioni dalla spazialità immota pronte a fare da sfondo a improvvise invenzioni, a presenze che solo lui poteva immaginare mentre la persistenza della memoria scivolava lungo i bordi di un orologio fatto di Camembert, formaggio a pasta molle. Stanco di girare, ha deciso di chiudere i suoi giorni a Cadaques assieme a Gala, ex moglie di Paul éluard, più vecchia di lui di dieci anni, non propriamente bella, ma capace di fascinose esperienze d’arte. E d’amore. A lei Dalí donò un castello dove poteva raggiungerla solo su invito scritto. Madre, sorella, amante, infermiera, badante e soprattutto attenta agli affari, Gala lo riceveva per un tè, una cena, mai per dormire. Gala se ne è andata nel 1982, Salvador sette anni dopo, ma è come se l’ultimo segmento del proprio esistere il pittore l’avesse tracciato con la scomparsa della compagna, quasi un romantico colpo di pennello per dare colore al senso di una notte senza più sogni.
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Sommario 19
Dalí Experience
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Su! Realismo! (aumentato)
Claudio Mazzanti
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Ricordo di Dalí Roberto Gervaso
Dalí e il cinema: le frustrazioni di un occhio di bue. Un dialogo paranoico-critico
Tatti Sanguineti, Claudio Mazzanti, Salvador Dalí
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Centrifuga: l’imbianchino, la nuova oggettività e l’Asse Caligari - Hitler
Tatti Sanguineti
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Catastroficamente creativo: Salvador Dalí e la matematica
Silvia Benvenuti
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62 Dalí nello spazio olografico, Una collaborazione fra arte e scienza
Selwyn Lissack
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Thomas Francis Banchoff
84
Dalí, pas de danse Isabelle Roussel-Gillet
98
Salvador Dalí e la quarta dimensione
Dalí nudo Frédérique Joseph-Lowery
104 Quando Sigmund Freud incontrò il suo ammiratore Salvador Dalí
Giovanna Disabato
110 Salvador Dalí fra storia e politica
Riccardo Brizzi
116 Dalí Experience
253 Dalí AR Experience
Beniamino Levi
121 Dalí Experience. La Mostra
257 Experience.
Prodromi e paralipomeni 258 L’Experience e la profanazione dell’arte
Claudio Mazzanti
262 La cultura con le porte aperte. Il meraviglioso luogo dell’incontro
Gino Fienga
266 Il gomitolo 197 Opere 199 Grandi sculture museali
Roberto Grandi
270 L’allestimento come teatro di narrazioni. Dalí Experience stage set
Bruna Di Palma
203 Piccole sculture museali 207 Sculture in Pasta di Vetro 211 Dalí d’Or 215 Libri illustrati 239 Sculture monumentali
245 Installazioni Multimediali
275 Biografie
DalĂ Experience Proposte per viaggi paranoico-critici nel mondo di DalĂ
Su! Realismo! (aumentato) Claudio Mazzanti
S
alvador Dalí ha attraversato le principali correnti culturali del suo tempo, proponendosi come un artista totale, capace di esprimersi in molti campi. I risultati non sono sempre eccelsi, ma fanno parte del continuo tentativo di sperimentazione con mezzi diversi, che diventerà uno dei tratti principali dell’arte a lui successiva. E forse oggi questa varietà di mezzi, questa ricerca sperimentale, questa continua attenzione alle più rilevanti tendenze culturali e scientifiche del proprio tempo, è l’eredità più stimolante e viva di Dalí. Con questo non si vuole certo sottovalutare quell’aspetto per cui Dalí è universalmente noto, il suo essere protagonista - e a suo dire pure incarnazione completa - del movimento surrealista. Ma questa identificazione che lo stesso Dalí ha stimolato e di cui la sua fama ha notevolmente beneficiato, rischia di diventare un’etichetta tanto comoda quanto restrittiva, che non rende giustizia all’ampiezza degli interessi e di stimoli che Dalí può fornire anche oggi. Quella rivoluzione iniziata da Freud, che facendo emergere l’inconscio, la sua logica simbolica, i suoi complessi e le sue pulsioni, ha minato alle basi la sicurezza razionale del soggetto moderno, è oggi ormai un fatto acquisito. E quello spirito provocatorio e scandalizzante con cui il surrealismo si proponeva di liberare la creatività dell’inconscio dal controllo esercitato dalla ragione, oggi non scandalizza più nessuno. Alla moltiplicazione delle dimensioni del reale che il Novecento ci ha lasciato in eredità, non può che corrispondere una moltiplicazione delle surrealtà, non più ed esclusivamente legate ai temi cari al movimento surrealista. Nel percorso di Dalí ci pare di poter cogliere questa ricerca continua di nuove surrealtà, ad esempio nel suo interesse per le ricerche scientifiche volte ad esplorare realtà non percepibili ai sensi comuni (le illusioni percettive, le particelle subatomiche, le rappresentazioni della quarta dimensione), o nelle sperimentazioni sulle potenzialità dei nuovi media e delle nuove realtà da essi create (cinema, fotografia, ologrammi, stereoscopia, ecc.). E crediamo che le più recenti forme di surrealtà, che utilizziamo in questa mostra (realtà aumentata, realtà virtuale), sarebbero state esplorate da Dalí con grande interesse. L’uso delle parole è peraltro significativo: a proposito di
queste nuove forme, il termine “surreale” non funziona più, abbiamo bisogno del termine “realtà” da aggettivare ed arricchire. Il “surreale” sembra ormai relegato ad una specie di immaginario fantastico, magari un po’ bizzarro ed eccentrico, mentre la pulsione creativa del sogno viene ammaestrata dai (psico)sacerdoti dell’inconscio. Quasi che la proliferazione delle dimensioni non sensibili della realtà, ci abbia ormai costretto ad accettare un realismo al di là dei confini della nostra percezione. Non è solo una semplice questione semantica: è molto diverso vivere in un’epoca di surrealismo o in un’epoca di realtà aumentata o di realtà virtuale. Si tratta sempre di un reale che deborda dai confini in cui lo abbiamo rinchiuso, ma mentre in un caso sembra potersi aprire a dimensioni altre, ignote e tutte da scoprire (sur-reali), nell’altro pare piuttosto che le nuove dimensioni della realtà siano sottoposte ad un processo creativo che, pur ampliandone i confini, ne mantiene il totale controllo. Quello che si perde è la logica simbolica che consentiva al surrealismo di proporre un processo interpretativo aperto e pressoché infinito, proprio perché radicato su una dimensione inaccessibile alla ragione quale quella dell’inconscio. Nelle realtà aumentate e virtuali non c’è più nulla di inaccessibile, e la logica simbolica perde buona parte della sua potenza evocativa. Se Dalí fosse stato soltanto un surrealista, oggi vedremmo probabilmente in lui l’esponente emblematico di un movimento fondamentale nella storia dell’arte e della cultura del Novecento, ma che ha finito da tempo la sua spinta propulsiva. Non ci sarebbe niente di male e ciò non toglierebbe nulla alla grandezza dell’artista. Ma è provocatoriamente possibile pensare ad un Dalí... aumentato? La nostra proposta è diretta a cogliere cosa possano ancora oggi ispirare il metodo e il percorso di Dalí, cercando di capire se possono essere considerate valide per lui stesso queste sue parole: “un vero artista non è quello che è ispirato, ma quello che ispira altri”. Abbiamo quindi cercato di fare una mostra che sia non solo “su” Dalí, ma anche “a partire da” Dalí, dove le sue opere dialogano con le nostre installazioni multimediali e interattive, in un gioco di continui rimandi e ri-creazioni. Abbiamo cercato, se non proprio di... aumentare Dalí, almeno di aumentare le esperienze e gli stimoli, moltiplicando le possibili percezioni e i livelli di lettura. 21
Ne risulta un percorso che non si attiene ad una struttura prettamente logica (e tanto meno cronologica), ma che si ispira piuttosto ad una logica paranoica, fatta di associazioni e analogie, di simboli e di emozioni. Con l’intento di stimolare nel visitatore un atteggiamento simile, analogico ed emozionale, di curiosità e di scoperta, di partecipazione ed apertura. Invitandolo a farsi coinvolgere in questo corto circuito fra esperienze reali, surreali, aumentate.
esperienze sono alla base della sua logica simbolica e del suo metodo paranoico-critico (“oggettivazione critica e sistematica di associazioni e interpretazioni deliranti” come lui stesso lo definì). Non è un caso che entrambe queste parole, sperimentale ed esperienziale, abbiano la stessa radice etimologica dal latino experīrī, provare, fare esperienza. Un’esperienza che però, per Dalí, non deve mai chiudersi nei ristretti ambiti dei terreni conosciuti, deve aprirsi all’irrazionale, alla confusione, alla esagerazione, perché solo così si attivano nuove possibilità e si aprono nuovi orizzonti. La razionalizzazione, la comprensione critica di queste esperienze, è un passo successivo, non il punto di partenza. Questa stessa logica abbiamo cercato di proporre in questa mostra, sollecitando i visitatori a esplorare e a scoprire, a volte provocando, a volte esagerando, sempre provando a fomentare un atteggiamento sperimentale. Perché una mostra sia anche un luogo di sperimentazione e di esperienze che diventino il punto di partenza per possibili percorsi di approfondimento, e non un punto di arrivo rassicurante con una spiegazione preconfezionata da un sacerdote curatore. E con la stessa logica abbiamo cercato di impostare questo volume, che si pone come uno stimolatore di percorsi e di possibili esperienze. Abbiamo perciò raccolto una serie di contributi che vogliono gettare luce su diversi aspetti dell’attività di Dalí. Si tratta di squarci che illuminano parzialmente alcuni degli ambiti più significativi, come degli occhi di bue che mettono in evidenza una parte della scena. Non abbiamo la pretesa di essere esaustivi, troppi sono i diversi ambiti in cui Dalí si è cimentato, ma il panorama che emerge crediamo sia comunque ricco e fecondo. Dal personaggio Dalí evocato da chi lo ha personalmente incontrato (Roberto Gervaso), ai suoi contributi, fondamentali all’inizio e frustrati poi, al cinema sperimentale e hollywoodiano (Tatti Sanguineti). I rapporti fra Dalí e la matematica e la geometria vengono raccontati con dovizia di esempi e proposte stimolanti (Silvia Benvenuti), le sue ricerche sugli ologrammi da chi li ha realizzati con lui negli anni ’70 (Selwyn Lissack), così come i suoi interessi per
Nel pensare a questa mostra e a questo Catalogo, ci siamo accorti che il dialogo con Dalí era più fecondo proprio laddove si mettevano a confronto il lavoro di Dalí con le correnti culturali che lo hanno ispirato e che rappresentano alcuni dei più importanti aspetti della cultura del Novecento. La capacità di assorbire e reinterpretare le principali tendenze culturali del proprio tempo, con un’attenzione particolare alle principali correnti scientifiche, è un tratto fondamentale che attraversa tutta l’opera di Dalí. In fondo anche l’avvicinamento al surrealismo è in buona parte figlio dell’interesse per una scienza: la psicoanalisi. Così come molte sue opere si richiamano in maniera più o meno diretta a correnti scientifiche centrali del Novecento: la relatività dello spazio-tempo di Einstein, la scoperta dell’atomo e delle particelle sub-atomiche, il dna, la teoria delle catastrofi di René Thom. E costante è anche la sperimentazione di nuove tecnologie e nuove forme espressive: dal cinema alla televisione, dall’uso dei pixel nella scomposizione di un’immagine alle immagini stereoscopiche, dagli ologrammi alle rappresentazioni degli oggetti matematici della quarta dimensione. Inoltre, per molti versi Dalí può essere considerato uno dei primi - se non il primo in assoluto - a sperimentare forme artistiche innovative quali l’happening, la performance, la videoarte. E in tutti questi settori, ci è parso di cogliere un atteggiamento che è sempre sia sperimentale che esperienziale. Le sperimentazioni di nuovi linguaggi, nuovi media, nuove realtà, vanno di pari passo con il racconto delle esperienze personali, nel senso che in psicologia assume il termine “memoria esperienziale”. Dalí parla in fondo sempre delle sue esperienze personali, paranoiche maniacali oniriche, e i sentimenti e le emozioni da lui provati durante queste 22
la visualizzazione della quarta dimensione e dell’ipercubo vengono raccontati dallo scienziato a cui Dalí si rivolgeva per discutere questi argomenti (Thomas Banchoff). Il rapporto con la danza viene approfondito non solo nelle scenografie dei balletti da lui disegnate, ma come metafora e paradosso di un passo che non passa (Isabelle RousselGillet), mentre il rapporto con l’eros si interseca con le nudità ambivalenti con cui Dalí rappresenta il (proprio) corpo nudo (Frédérique Joseph-Lowery). Il suo incontro con Freud viene rievocato in un delizioso schizzo surreale su una panchina (Giovanna Disabato), mentre è reale il suo distacco, a volte fastidioso e supponente, spesso di comodo e opportunista, dagli eventi storici del suo tempo (Riccardo Brizzi). Ma i testi presenti in questo Catalogo sono solo una parte dei contenuti. Vi troverete le immagini delle opere, sia di quelle di Dalí sia delle installazioni multimediali e interattive che nella mostra dialogano con le sue opere. Troverete immagini stereoscopiche, un App di realtà aumentata da scaricare, un manifesto che illustra lo schema progettuale della mostra, e un giornale allegato con articoli della stampa italiana su Dalí quando era ancora in vita. Per ogni articolo e tematica affrontata, troverete degli approfondimenti da esplorare con il vostro smartphone, con dei QR code che rimandano ad immagini, video, articoli sul web, in modo che l’esperienza della lettura si apra in sollecitazioni multimediali ed in percorsi di possibile approfondimento. Perché la realtà del libro che avete in mano, si moltiplichi in realtà diverse, multimediali virtuali aumentate, da scoprire ed esperire. Infine, la sezione conclusiva traccia alcuni elementi di un possibile approccio all’esposizione di opere d’arte, in cui centrali sono il concetto di “experience” e l’apertura al rapporto col territorio, di cui questa Dalí Experience vuole essere un primo possibile esempio.
“Quello che conta e’ diffondere la confusione, non eliminarla”. “Quelli che non vogliono imitare qualcosa, non producono nulla”. “Gli errori sono quasi sempre di una natura sacra. Non cercare mai di correggerli. Al contrario: razionalizzali, comprendili completamente. Dopo di che, ti sara’ possibile sublimarli”. “Non e’ necessario per il pubblico sapere se sto giocando o se sono serio, cosi come non e’ necessario che lo sappia io”. Salvador Dali
Se poi, alla fine di questo percorso, avrete trovato confusioni, imitazioni, errori, noi non ce ne scusiamo affatto. Potrebbero essere dalinianamente voluti, o forse no, ma questo voi non lo saprete mai! E forse neanche noi.
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Approfondimenti multimediali (a cura di Claudio Mazzanti) Tutti i dipinti di Salvador Dalí https://www.wikiart.org/en/salvador-dali/all-works
Catalogo ragionato delle opere pittoriche di Dalí http://www.salvador-dali.org/cataleg_raonat/index.php?lang=en
Sito della Fondazione Gala - Salvador Dalí http://www.salvador-dali.org/en_index/ Comprende le informazioni sui luoghi da visitare: Teatro-Museo Dalí, Plaça Gala-Salvador Dalí, 5 - Figueres, Spagna. Castello di Gala Dalí, Púbol, Girona, Spagna. Casa-Museo Salvador Dalí, Platja Portlligat, Cadaqués, Girona, Spagna.
Sito della Fondazione I.A.R. Proprietaria della collezione esposta in Mostra. http://www.thedaliuniverse.com/it
Espace Dalí - Parigi https://www.daliparis.com/
The Dalí Museum St. Petersburg, FL, USA. http://thedali.org/
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Ricordo di DalĂ Roberto Gervaso
I
l giudizio sul pittore lo lascio ai critici. Quello sull’uomo mi è più facile, ma non così facile perché l’artista spagnolo non solo ama mettersi in vetrina, ma anche stupire e scandalizzare. È un grande istrione, un funambolico narcisista imprevedibile e inesauribile. Nelle sue pose c’è l’ostentazione di un Io ipertrofico e bizzarro, il gusto di andare controcorrente, di farsi beffa dei luoghi comuni e d’infrangere i tabù più coriacei. Dalí non risparmia nessuno: nemmeno se stesso.
cristiano: in quello maomettano». Mi anticipa il suo epitaffio: “Genio y figura hasta sepoltura”, che in soldoni significa: “Fu sempre se stesso”. L’ultima domanda, stravagante come quelle che l’hanno preceduta, gli piace molto: «Si sentiva più grande quando aveva la prostata o oggi che non ce l’ha più?» «Oggi». Nel tardo pomeriggio, dopo il tramonto, e prima del congedo, ci offre una coppa di champagne rosé e un concertino nel piccolo parco della villa. Io, seduto accanto a Paloma; lui, a Gala. Forse la sola donna che ha amato. Fra le cui braccia sarebbe stato meno casto che fra quelle di Garcìa Lorca.
Pronuba la mia vecchia amica Paloma Gomez Borrero, corrispondente della televisione spagnola in Italia, Salvador ci dà udienza nella villa di Cadaqués, a un tiro di schioppo da Barcellona, dove vive con la moglie Gala, la sua padrona. Mi accoglie nel patio al suono di violini. La cosa che più mi colpisce è l’aspetto ieratico e, al tempo stesso, ironico. C’invita a seguirlo sotto un porticato e a sedere su una panca su cui incombe la testa imbalsamata di un rinoceronte anti-iella.
Gli chiedo infine quale sia il suo massimo piacere. «Essere Salvador Dalí». Salvador Dalí è sessualmente svogliato. Prima di conoscere Gala, cui è sempre stato fedelissimo, amava baciare con voluttà le scarpe delle concubine. A differenza di D’Annunzio, che posava le labbra, e non solo le labbra, molto più su. 26 luglio 1978
Gli domando quando si accorse di essere un genio. Mi risponde: «Cominciai dicendolo e, a furia di dirlo, lo sono diventato». Mi confida che a sei anni voleva diventare cuoco e a dieci condottiero, come Napoleone. Si avvia fra di noi un dialogo surreale e stralunato. «Meglio» gli domando «Il cretino intelligente o l’intelligente cretino?» «Meglio l’intelligente cretino perché il cretino è più vicino a Dio dell’intelligente. Io, poi, per i cretini, ho sempre avuto un debole». «Il suo tallone d’Achille?» incalzo «Quello sessuale. Sono impotente. Ma non ne soffro perché l’impotenza, è arte di per se stessa. È una malattia». Sto tornando alla carica quando, a bruciapelo, mi chiede: «Secondo lei, lo sfintere anale quante pieghe ha?». Colto di sorpresa, gli rispondo, e non mento, di non aver mai fatto un simile inventario. M’illumina: «Trentacinque; forse, trentasei. Solo le lumache ne hanno altrettante». In quel momento e in quel contesto ogni verifica mi sarebbe impossibile. Mi confida di essere superstiziosissimo e di avere il terrore della morte. Gli chiedo se creda nell’inferno. «Nell’inferno, no; solo nel paradiso. Ma non in quello 27
DalĂ e il cinema: le frustrazioni di un occhio di bue. Un dialogo paranoico-critico Tatti Sanguineti, Claudio Mazzanti, Salvador DalĂ
C.M. Buñuel raccontava che Un Chien Andalou venne scritto in sei giorni, in quello che oggi chiameremmo brain-storming, e che allora era il processo di scrittura automatica teorizzato dai surrealisti. Però sembra che Dalí abbia poi presenziato poco alle riprese, preoccupandosi soprattutto di mettere a posto gli asini che dovevano stare dentro ai pianoforti.
C.M. Tatti, dobbiamo parlare di surrealismo, sei pronto? T.S. Certo, dove mi devo mettere? C.M. Lì, dentro alla lavatrice. Sulla poltrona c’è Dalí, ogni tanto interverrà pure lui. Attento che ogni tanto rischia di partire la centrifuga.
T.S. Quando girano, Dalí non si presenta nemmeno a casa. Affida il papà, il vecchio notaio Dalí, al suo amico Luis Buñuel, e tra le riprese più antiche disponibili c’è questo padre di Dalí nel suo giardino a mangiare ricci di mare, filmato come avevano fatto i fratelli Lumiére col vecchio padre di Louis Auguste, in un giardino mediterraneo soleggiato in un tavolo a mangiare e a bere pieni della consapevolezza e dell’importanza dell’azienda.
T.S. Dai, dai, cominciamo, che sono in forma. C.M. Non possiamo non cominciare da Un Chien Andalou e L’Âge d’Or. Ricordi la prima volta che li hai visti? T.S. Siamo all’inizio degli anni ’60, 50 anni fa in una città di provincia in un’epoca in cui la percezione che si aveva del cinema era molto vaga, fatta di leggende inverificabili, i film che circolavano erano pochi, non c’era questo profluvio di offerte, non si trovava tutta la storia del cinema inscatolata in un video shop. Un Chien Andalou rappresentava, assieme a L’Âge d’Or, una soglia accessibile di un mondo inaccessibile che era la storia del cinema. Il film veniva noleggiato dal famoso Walter Alberti della Cineteca Italiana che se ne era procurato misteriosamente una copia da qualche fantomatico erede dei fantomatici produttori Visconti di Noailles, e con grandi difficoltà, trattative, telefonate estenuanti, perché quest’uomo era sempre al telefono con gente importantissima, alla quinta volta gli si riusciva a parlare, e riuscivamo a far sbarcare la pizza nel nostro circolo del cinema della città di Savona; e quindi questa frangia, questa costola, questo pezzettino mangiabile della torta che c’era proibita che era la storia del cinema, accendeva in noi dibattiti interminabili, serate spese intelligentemente a elucubrare, a meditare questi misteri cosmogonici, queste immagini illeggibili, provocatorie ma segrete, gli enigmi che queste pellicole emanavano, ti facevano sentire questo prurito di formiche, questo formicolio che si comunicava ai nostri cervellini di studenti liceali di provincia, ed eravamo felici di consumare queste serate, a dibattere di questi uomini che trascinano questi asini, questi pianoforti, queste formiche che grattano, questi occhi tagliati... Questo ci dava un senso, una gratificazione, l’accesso a questi enigmi ci riempiva di gioia e di curiosità.
S.D. La fuerza y la poesia del cine, como de la fotografia, es precisamente esta naturalidad en la captaciòn maravillada del pàjaro desnudo de la objetividad màs estricta con su continua e insolita manera de fantasia. C.M. L’Âge d’Or fece anche più scandalo, fu proiettato per solo sei giorni allo Studio 28 di Parigi, immediatamente scelto come bersaglio di squadristi di destra che lo devastarono, distruggendo anche le opere di altri artisti lì esposte, sicché venne proibito fino al 1950 e il produttore, il Visconte di Noailles, cacciato addirittura dal Jockey Club e minacciato di scomunica. Tutto ciò ovviamente con grandissimo piacere dei surrealisti, che videro nello scandalo il segno del loro trionfo. T.S. Io questi film li ho rivisti poi in diverse fasi della mia vita, e questi cristi, questi ciechi, questi olvidadi, questi preti, queste spagnolerie, hanno attraversato la storia del cinema, il cinema gronda buñuelismo e salvador-dalismo. Rivisti adesso conservano intatto il fascino di quelle esperienze puberali, di quelle scoperte del mistero del corpo, al cinema tutto è passato sulla scoperta del corpo delle donne, le prime seghe che ci facevamo al cinema, la scoperta della politica, siamo diventati comunisti, siamo diventati grandi, siamo diventati... Il Cane Andaluso e L’Âge d’Or fanno parte di questo sverginamento giovanile.
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siano quelli raggiunti con Buñuel, in una produzione totalmente indipendente, lontana anni luce dall’industria cinematografica e da problematiche commerciali e di profitto.
C.M. Ma proprio a questo punto Dalí e Buñuel litigarono. E mentre il suo vecchio compagno Buñuel segue in qualche modo i passi della storia, si fa comunista, emigra in America e poi in Messico, accetta di fare film commerciali, per poi tornare, solo negli anni ’50, a film più impegnati apprezzati dall’intellighenzia anti-borghese e anti-cattolica che lo faranno diventare un punto di riferimento internazionale del cinema d’autore, Dalí si chiude nel suo splendido isolamento solitario, fedele solo al suo personaggio, regista sceneggiatore e attore di se stesso.
C.M. A proposito, sai che i due, Buñuel e Dalí, si incontrarono di nuovo a New York, nel 1944. Buñuel era furioso, aveva perso la possibilità di avere la cittadinanza americana perché era uscito il libro La vita segreta di Salvador Dalí in cui Dalí raccontava che si era separato da Buñuel perché era comunista e ateo. Quando la notizia si diffuse, Buñuel perse l’opportunità di continuare a lavorare al MoMA, e quando incontrò Dalí aveva progettato di sparargli alle gambe. Non lo fece, forse anche per la risposta letteralmente disarmante di Dalí
T.S. Sì, ma resta una lezione di Dalí: l’educazione alla creatività. È la parte buona, non egolatrica di Dalí, che possiamo trovare anche oggi stimolante, è l’imagination au pouvoir, stimolare e non accontentarsi, ma provocare. S.D. L’unique chose dont le monde n’aura jamais assez est l’exagération.
S.D. I did not write my book to put YOU on a pedestal. I wrote it to put ME on a pedestal.
C.M. Però tutta questa esagerazione lo rende poco digeribile dalla produzione cinematografica. Negli anni ’30 Dalí scrive tutta una serie di sceneggiature che non saranno mai realizzate, e che forse non erano nemmeno pensate per essere realizzate. Dai Cinque minuti a proposito del Surrealismo (che doveva spiegare i fondamenti teorici del movimento) fino a Babaouo, il progetto forse più elaborato, di cui esiste una versione moderna realizzata nel 2000 dal regista spagnolo Manuel Cussó-Ferrer. Anche coi Fratelli Marx, Dalí fece di tutto per proporre un copione, senza riuscirci, nonostante l’amicizia e potremmo dire la comunione surreale soprattutto con Harpo: Giraffes on Horseback Salad, fu bocciato probabilmente dalla stessa MGM (produttrice dei film dei Fratelli Marx) perché troppo surreale. Si dice che prevedesse giraffe in fiamme che indossavano maschere antigas e Harpo che con una rete per farfalle cerca di catturare i diciotto nani più piccoli della città.
C.M. E infatti, dopo le folgorazioni surreali dei primi film con Buñuel, il tentativo di entrare nel cinema hollywoodiano sostanzialmente fallisce. Dalí può al massimo essere utile per rappresentare i sogni. T.S. L’onirismo di Dalí, il suo simbolismo, la sua continua provocazione, i suoi scarti semantici e paranoici, non sono in alcun modo assimilabili a quel cinema che, soprattutto in America e soprattutto ad Hollywood, diventa sempre più industria. Selznick, il produttore di Hitchcock, non poteva certo accettare le surreali ambientazioni e le incontrollabili proliferazioni semantiche di Dalí, così come non le poté accettare Disney. Guarda i bozzetti fatti per Spellbound. Hitchcock gli chiede di chiarire, di trasportare l’onirismo, il sogno, l’incubo, la paura, il terrore, in un terreno chiaro come un quadro di Dalí sulla neve di St. Moritz, e lui cosa ci mette? Pinze da dentista, oggetti non identificabili, arte astratta, animali misteriosi, popola di improbabili giraffe St. Moritz. Sapeva benissimo che Selznick gli avrebbe dato un calcio nel sedere e lo avrebbe rimandato in Catalogna.
T.S. Ma Dalí era oltre il limite di ciò che l’industria cinematografica americana poteva accettare; nel genere del surreale e del nonsense i film dei Fratelli Marx ed Helzapoppin (1941) avevano sostanzialmente segnato il confine, le colonne d’Ercole oltre le quali non si poteva andare. Non è un caso che i risultati migliori di Dalí 30
C.M. Infatti il progetto di Dalí per la scena del sogno in Spellbound era molto più ambizioso. Pare che avessero girato circa 30 minuti di questa scena, poi ridotta a pochi minuti. Sembra anche che Hitchcock, fra le prime cose che ha dovuto spiegare a Dalí era che non poteva versare formiche vive sul corpo di Ingrid Bergman. Mi sembra che ne parli nella famosa intervista con Truffaut, aspetta che lo trovo... ecco... era nel 1962... “I wanted Dalí because of the architectural sharpness of his work. De Chirico has the same quality, you know, the long shadows, the infinity of distance and the converging lines of perspective. But Dalí had some strange ideas. He wanted a statue to crack like a shell falling apart, with ants crawling all over it. And underneath, there would be Ingrid Bergman, covered by ants! It just wasn’t possible”, Non si sa come l’abbia presa Dalí. Gli capitò ancora di lavorare a Hollywood con Vicente Minelli, nel 1950, sempre per illustrare un sogno/incubo in Father of the Bride (Il Padre della sposa), con Spencer Tracy. Anche in questo caso una breve scena onirica, certo avrebbe dovuto accettare di limitare le sue paranoiche immaginazioni per entrare nella macchina dell’industria cinematografica.
T.S. Sì sì, diceva che avrebbe potuto fare tre film all’anno, ma non ci ha mai veramente provato. Perché? Perché era un grandissimo contaballe, non ci provò mai seriamente. Subito dopo aver detto che voleva fare tre film all’anno, aggiungeva “On me payaient très bien”, mi pagavano molto bene, perché Dalí è uno straordinario commercialista di se stesso, uno straordinario promoter del proprio ego, uno straordinario venditore di fuffa e di fumo, e di schizzo e di mano, e di arte e di disegno. Un performer del proprio ego formidabile, il primo grande eccentrico che non ci provò mai veramente sul serio. S.D. Eccentricity is the more important and the more tragical part of my life. T.S. Vedi, Dalí nella postura, nella vendita di sé stesso, rappresenta la macchietta di un mondo tramontante, un mondo aristocratico, magro segaligno, elegante, ma impettito. In Italia mi viene in mente un suo simile, una specie di imitazione, il Professor Gianluigi Marianini, un concorrente di Lascia o Raddoppia a cui alla fine del ciclo delle trasmissioni del quiz venne chiesto di rimanere a far parte dell’immaginario della televisione, perché è un dotto di altri tempi, un eccentrico col suo farfallino demodé e il suo piglio aristocratico, affascina e seduce la gente che non capisce le sue locuzioni troppo dotte - ad esempio lui chiamava la sua signora “la pitonessa”. Anche Dalí aveva questo portamento antico, come un nobile cavaliere d’altri tempi, assomiglia un po’ a Don Chisciotte, come lui anche Dalí in certe sue performance si camuffa, si mette un elmo, corre con l’asta in resta, combatte contro i mulini a vento della civilizzazione e della barbarie del mondo troppo chiaro per lui, uomo del sogno e dell’enigma.
T.S. Ma lui non ci prova nemmeno, è appagato così, o comunque gli preme di dire “mi si pagava molto bene”, datemi ancora dei soldi perché io me li guadagno, e invece non se li guadagnò, non era commestibile, non compatibile il suo segno, la sua proposta, il suo astrattismo, la sua radicalità figurativa, col cinema così essenziale, così cosale, così materico come quello di Hitchcock; lui doveva sbiancare gli incubi di Hitchcock, doveva fare un film che fosse netto come l’orma degli sci sulla neve di St. Moritz, invece si mette a disegnare un uomo che precipita da un tetto. Certamente Hitchcock era così intelligente che poi riprende questi incubi, ritorneranno forse in Vertigo, La donna che visse due volte, dove la scena in cui James Stewart cade da un campanile e si appende ad una grondaia è nata forse anche un pochettino da questo disegno di Salvador Dalí.
C.M. C’è poi questa immagine dell’occhio, che nel cinema di Dalí torna continuamente, in Spellbound come già nel Cane Andaluso... T.S. Certamente nella fase dell’esplosione surrealista è centrale il ruolo dell’occhio. L’occhio tagliato, il monocolo, l’occhiale, la visione, l’insistenza della penetrazione dello sguardo. Hai presente la Storia dell’occhio di Bataille?
S.D. A Hollywood je pourrais faire trois films par an. On me payaient très bien. 31
Spellbound derivano direttamente gli occhi che sempre Fritz Lang userà nel suo terzo e ultimo film sul Dr. Mabuse, Die 1.000 Augen des Doktors Mabuse, (Il diabolico Dottor Mabuse), del 1960.
C.M. Già, il libro di Bataille è del 1928, appena un anno prima de Un Chien Andalou, anche se all’epoca venne pubblicato sotto pseudonimo, verrà ristampato col nome dell’autore solo nel 1962, dopo la sua morte. Era un romanzo di bizzarre perversioni sessuali, che non a caso si ritrovano anche in Buñuel e Dalí, e pieno di simboli più o meno consapevoli. Non si può non ricordare l’interpretazione datane poi da Roland Barthes più di trent’anni dopo, nel saggio Metafora dell’Occhio: le catene associative che il semiologo francese ritrova nel romanzo di Bataille richiamano simbologie che si presentano frequentemente anche in Dalí (dalle uova al matador). In fondo l’esercizio interpretativo che Barthes fa sull’Histoire de l’oeil, si potrebbe fare allo stesso modo sui quadri di Dalí. Proviamo: anche solo con le associazioni legate all’occhio, mi vengono in mente, restando nello stesso periodo ma qualche anno prima di Dalí, il cine-occhio e L’uomo con la macchina da presa di Dziga Vertov (1925), Filmstudie di Hans Richter (1926) e gli occhi nella scena della danza in Metropolis (Fritz Lang, 1927). Poi arriva il taglio dell’occhio all’inizio di Un Chien Andalou, che è l’occhio che guarda ma anche il taglio del montaggio, si potrebbe chiamare the first cut, mentre col final cut Dalí viene sempre ridotto e alla fin fine eliminato.
S.D. Quelle chose miraculeuse que l’œil! Le mien, je finis par le considérer comme un véritable appareil photo-graphique mou qui prenait des clichés non du monde extérieur, mais de ma pensée la plus dure et de la pensée en général. J’en déduisis que l’on peut photographier la pensée, et posai les bases théoriques de mon invention. Ma machine permet en effet d’obtenir ce miracle: la visualisation objective des images virtuelles de la pensée et de l’imagination de n’importe quel individu. C.M. In fondo sembra che a Dalí interessi solo il suo di occhio, la sua visualizzazione di un immaginario virtuale che sta dentro il suo sguardo, raccontare storie non gli interessa. E in effetti, Dalí rimane la traccia del suo immaginario, delle sue visioni, ma lui si ferma sempre sulla soglia del cinema che si fa industria... T.S. E infatti Dalí non entra mai nella macchina del sogno hollywoodiano, della narrazione classica, non ci può entrare con Hichcock nel ’45, e non ci entrerà nel ’46 quando incontra Disney. Disney era un uomo che nel ’46 deve riconsiderare un po’ tutta la propria attività, non è ancora rientrato dei debiti che ha contratto con le banche per produrre Biancaneve e i Sette Nani, ma è anche appena uscito dal cinema di guerra, ha portato a casa la paga per la sua industria disegnando cartoni animati per soldati analfabeti a cui si insegna a usare lo Sten, un fucile non a caso usato dai gangster, un’arma molto molto semplice e rudimentale. Ma di nuovo, è incompatibile questa mediazione, questo tentativo di ingresso di Dalí nella macchina disneyana. Certamente Disney ha in mente un compito che gli ha assegnato Roosvelt, il governo, Truman, cioè riconquistare il mercato latino-americano, sono gli anni in cui Disney pensa al film Saludos Amigos, a un film che attraversi il continente sudamericano dalla Cordigliera su per la Pampa fino al Messico, e gli spagnolismi di Dalí si inseriscono in questo filone. Ma ancora una volta Dalí si rivela incompatibile, i film progettati con Disney non verranno girati mai.
T.S. E sai di chi cacchio era l’occhio tagliato di Un Chien Andalou? Studiammo, e ci fu detto, per tranquillizzare il nostro orrore, che era inequivocabilmente l’occhio di un bovino, un occhio di bue. Lavorando sulle parole, mi viene da dire che l’occhio di bue a cui si richiama lo sguardo zoomante del malizioso e perverso Dalí, questo occhio di bue nel linguaggio della rivista ancora prima che del cinema, è l’illuminazione dell’oggetto oscuro del desiderio (cfr. Buñuel). È quello che mette in luce ciò che la rivista fa vedere e non vedere, la sagoma della donna, la soubrette, è l’illuminazione di ciò che toglie il fiato in gola e arrapa. E di occhi in qualche modo collegabili a Dalí, è piena la storia del cinema: l’occhio di bue di Un Chien Andalou richiama l’occhio dell’ipertiroideo, con le orbite che escono fuori, permeate di desiderio e di bava, di voglia e di erotismo, di Peter Lorre (protagonista de M. Il Mostro di Dusseldorf di Fritz Lang del 1931, e poi de L’uomo che sapeva troppo di Hitchcock del 1956). E dagli occhi di 32
C.M. Infatti Destino, il progetto a cui Dalí lavorò con Disney nel ’46, verrà prodotto poi solo nel 2003 da Roy Disney, il nipote di Walt, riprendendo i disegni Dalí, in una salsa tutta disneyana. È possibile che ci sia lo zampino di Dalí anche nella scena di Dumbo (1941) in cui gli elefanti rosa escono danzando dalle bolle di champagne prodotte dalla proboscide di Dumbo ubriaco. A quell’epoca Dalí era sotto contratto con Disney, e gli elefanti sono un tema ricorrente in Dalí, come peraltro molti altri animali simbolici.
Dalí, ma efficiente, ragionatore, un grafico, specializzato nel disegnare pompe di benzina, che aveva già fatto delle cose mirabili, tra cui tutto il finale de Il Giro del mondo in ottanta giorni prodotto da Mike Todd, aveva girato i titoli di testa de L’uomo dal braccio d’oro di Otto Preminger, un grafico prestato al cinema ma omologato ai valori dell’industria hollywoodiana, che si chiama Saul Bass, che gira la famosa sequenza della doccia. Si sa che la sequenza, l’assassinio di Janet Leigh nella doccia, il sipario, il sangue, le coltellate, la penombra, la sfocatura, lo scarico dell’acqua, non sono di Hitchcock ma di Saul Bass, che esegue perfettamente e coerentemente quello che gli chiede Hitchcock, seguendo precisamente lo storyboard. Dalí invece era troppo presuntuoso per usare lo storyboard, che implicherebbe una meditazione, un piano, una progettazione, un adeguarsi alle richieste del committente. Dalí invece vuole vendere se stesso a l’improptu, vuole vendersi come un enigma incompiuto e indecifrabile. Invece il cinema ha bisogno della riflessione, dello storyboard, della pianificazione, e per questo Dalí non entra mai nella macchina del cinema hollywoodiano.
T.S. Sono rimasto molto colpito da questo uso ripetuto in Dalí di animali esotici (giraffe, elefanti), delle specie più eccentriche e repellenti (lumache, formiche, cavallette), e soprattutto il ritornare di elementi che richiamano una specie di preistoria (ricci di mare, rinoceronti), quasi una cosgomonia millenaria, resti di un mondo tramontato. In particolare mi ha colpito questo esperimento col rinoceronte... l’animale più pericoloso, cornuto, fallico... un animale dalla grande simbologia, che tornerà in Hatari di Howard Hawks, e che poi si trova nella pancia de La nave va di Fellini. Dalí lo va a trovare in uno zoo, lo dipinge standogli accanto, quasi a creare una complicità fisica, che si concretizza poi nel far fare al rinoceronte una specie di performance di action painting alla Pollock. Il rinoceronte non è soltanto il dinosauro prima di Spielberg, l’essere zooforme sopravvissuto al paleozoico, ma è anche col suo corno il simbolo della poderosa capacità alzatoria ed erettile, di questo Viagra animale.
C.M. Dagli anni ’50 infatti le sue collaborazioni col cinema mainstream sostanzialmente cessano. T.S. Invece fa molto brillantemente della televisione, le sue performance si adattano benissimo al linguaggio televisivo.
S.D. Le cinéma attrape des êtres et des objets insolites, plus invisible et éthérés que les apparitions des mousselines spirites. Chaque image du cinéma est la capture d’une spiritualité incontestable.
C.M. Già, lo si trova ospite nelle più diverse trasmissioni, dalle interviste più seriose ai quiz da prima serata, ed anche in diversi spot pubblicitari, in cui riesce benissimo. Celebri sono le pubblicità dell’Alka-Seltzer e soprattutto quella del cioccolato Lanvin.
C.M. Forse i suoi fallimenti sono anche una questione di... metodo. Il metodo paranoico-critico di Dalí non poteva accordarsi con la strutturazione della macchina produttiva del cinema, non poteva che essere un solitario, il cui l’immaginario onirico non si piegava alle esigenze del plot e dei generi.
T.S. Quello che è importante in Dalí è l’accelerazione che contribuisce a dare. Dalí è uno schizzo, è un piano sequenza, è un segno solo. Quando dice “Je suis fous du chocolat Lanvin” è un anticipatore non del carosello, ma del telecomunicato, della comunicazione pubblicitaria che deve accorciare, deve dimezzare, deve dimagrire e velocizzare i suoi tempi. Dalí è un acceleratore.
T.S. Per tornare ad Hitchcock, vent’anni dopo Spellbound gira Psycho, e per Psycho si trova un fac-simile di Salvador 33
C.M. E invece in Italia? Ti viene in mente qualche traccia di Dalí in Italia e nel cinema italiano?
di aver preso dalle due tipologie contrastanti di rocce presenti presso il capo marino in cui ha trascorso l’infanzia, l’ispirazione per il contrasto fra strutture molli ed informi - orologi, illusioni ottiche, ecc. - ed elementi concreti stabilizzanti - cassetti, stampelle, ecc. vabbè... continua.
T.S. Dalí resta un uomo lontano dal piccolo mondo del cinema italiano. Ma ho incontrato, studiando il personaggio di Walter Chiari, un imitatore italiano di Dalí, si chiamava Arnaldo Casoni, in arte Cavour, che faceva spettacoli di rivista negli anni ’44-’45 con Walter Chiari, di lui si trova una bellissima foto del ’59 negli archivi dell’Istituto Luce. Era un trasformista, da una parte aveva un baffo solo e dall’altra una ciocca bionda di capelli alla Veronica Lake, aveva una gamba irsuta e pelosa, maschile, e l’altra femminile completamente glabra, elegante e sinuosa come una soubrette della Maresca.
T.S. Una povera ragazza di un paese minerario clandestino del nord della Cina sposa un milionario rifiutando il suo altro innamorato, un poveretto sfigato. Da questo matrimonio nasce un figlio che il padre, banchiere della ricca Cina emergente, chiama Dollar. Ironia della storia, AvidaDollars era l’epiteto figlio dell’anagramma che Breton, comunista e anticapitalista, aveva affibbiato a Dalí, il quale invece lo fece suo quasi vantandosene.
C.M. Il doppio sarebbe sicuramente piaciuto a Dalí, così come la figura androgina. In effetti una delle sue opere meglio riuscite è stata... Amanda Lear.
S.D. Mon éthique personnelle est infaillible. J’habite là où il y a le plus d’argent. T.S. Ed oggi ritroviamo lo stesso nome, Dollar, che diventa ora un nome proprio dei nouveaux riches di quel continente che ha ormai abbandonato il comunismo e sembra voler prendere in eredità le magnifiche sorti e progressive del capitalismo.
T.S. Ah certo che mi ricordo quando è sbarcata Amanda in Italia. Era l’epoca delle prime tv commerciali, la prima tv di Berlusconi con quei continui effetti speciali, chroma key in continuazione, e questo donnone dalle fattezze maschili che metteva soggezione, faceva quasi paura, e per questo ci attirava come attira il mistero.
C.M. Certo che è emblematico, dalle provocazioni surrealiste scandalizzanti agli immaginari onirici e paranoici... quello che resta alla fine sembrano solo i dollari. Che Dalí sia stato un precursore anche in questo? Mi fai venire in mente che, fra i tanti progetti falliti, c’era quello di realizzare un film sul libro della propria autobiografia The secret life of Salvador Dalí (che è poi una biografia ricostruita per creare il mito di se stesso). Pare che Dalí avesse pensato a Fellini per girare questo film. Ma forse non c’era bisogno di girare un film, la vita di Dalí era già tutto un cinema, con un personaggio accuratamente sceneggiato, perfettamente diretto e magistralmente interpretato da Dalí stesso.
C.M. E nel cinema di oggi? Trovi qualche cosa che faccia pensare a Dalí? T.S. Potrei dirti che rivedo l’occhio di Dalí trasformarsi nel tubo della lavatrice da cui esce il Dio di Jaco Van Dormael in Dio esiste e vive a Bruxelles. C.M. Che è peraltro uno dei film più surreali degli ultimi tempi. T.S. Poi c’è uno dei più bei film che ho visto ultimamente, Al di là delle montagne, del 2015 di un regista cinese che si chiama Jia Zhangke, un melodramma in cui le modifiche della società cinese si incastrano con le modifiche geologiche del paesaggio...
T.S. Beh, te l’ho detto, era il miglior commercialista, e potrei aggiungere produttore, di se stesso. C.M. Già, ma ciò non toglie che abbia aperto strade che oggi altri percorrono senza nemmeno sapere che lui le ha sperimentate, se non per primo, certo fra i primissimi.
C.M. Mi fai venire in mente che tra l’altro la morfologia geologica di Cap Creus è un tema caro a Dalí, che dice 34
T.S. E non è un caso che Warhol in realtà crea una ditta, un insieme, un condominio, una fattoria, una Factory, mentre Dalí lavora sempre nella più gloriosa e pericolosa delle solitudini.
Dalla fotografia alla sperimentazione con le nuove tecnologie (stereoscopia, ologrammi), dalle performance alla videoarte. Per alcuni Chaos and Creation, del 1960, girato col fotografo Philippe Halsmann, in cui si trova una performance che deride Mondrian, è da considerarsi il primo esempio di videoarte.
C.M. Un eroe solitario, ma ben poco romantico, avido di denaro, ma incapace di piegarsi alle regole dell’industria cinematografica che lo pagava bene, prolifico di progetti ambiziosi irrealizzati e irrealizzabili, fecondo produttore di immagini e di immaginari, che riappaiono continuamente in tutta la storia del cinema, ma quasi mai in questa storia si trovano riferimenti diretti a Dalí.
S.D. Le monde du cinéma et de la peinture sont très différentes: les possibilités de la photographie et du cinéma résident précisément dans cet imaginaire illimité qui naît des choses elles-mêmes… un morceau de sucre, sur l’écran peut devenir plus grand que la perspective infinie d’édifices gigantesques.
T.S. È difficile riutilizzare questo monumento all’inutile che è Salvador Dalí.
C.M. I rapporti fra cinema e pittura sono qualcosa di difficilmente afferrabile, i linguaggi sono solo apparentemente simili. Sì è vero, si tratta di visione in entrambi i casi, ma nel cinema la narrazione, il tempo, il ritmo, il punto di vista, e da un certo punto in poi il sonoro, scandiscono in modo essenziale il motivo espressivo. Tant’è che non si trovano poi tanti artisti pittori che hanno collaborato col cinema. In questo Dalí con la sua poliedricità, la sua continua sperimentazione, fa un po’ storia a sé, ma il suo sostanziale fallimento nel mondo del cinema ribadisce la distanza fra due mondi che hanno logiche troppo diverse.
C.M. Pur sempre un monumento, no? Comunque, mi sorge il dubbio se da questo dialogo abbiamo cavato fuori qualcosa di sensato o abbiamo generato solo inutile confusione? S.D. What is important is to spread confusion, not eliminate it! C.M. ! T.S. !
T.S. Se fossi un critico d’arte - cosa che non sono - dovrei magari sbilanciarmi a fare un paragone con Andy Warhol. Ma non è un caso che sia un artista pop che riesce a maneggiare in modo efficace anche l’arte cinematografica. C.M. Beh, Warhol fece uno dei suoi famosi Screen Test proprio con Dalí, che riconosceva come uno degli artisti più vicini a lui. Se Dalí è un artista del sogno, dell’enigma, del simbolo onirico, la cui continua provocazione si basa più che altro su ciò che non si può capire fino in fondo perché sta sotto il livello della coscienza - Warhol è invece l’artista di ciò che è fin troppo palese, di ciò che è popolare e che è immediatamente identificabile dal pubblico, dove la provocazione sta proprio nel proporre possibili interpretazioni diverse a qualcosa che appare normalmente fin troppo comune.
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Dalí, cinema, video, tv: guida per un viaggio nell’immaginario (a cura di Claudio Mazzanti) Le sceneggiature dei progetti non realizzati sono di Dalí, salvo laddove indicato. La maggioranza dei filmati è conservata alla Fundació Gala Salvador Dalí, Figueres (abbreviata in FGSD).
Un Chien andalou 1929, FRA, 16 min., regia Luis Buñuel; sceneggiatura Buñuel and Dalí; produzione Buñuel. https://www.youtube.com/watch?v=054OIVlmjUM
L’Âge d’or 1930, FRA, 63 min., regia Luis Buñuel; sceneggiatura Buñuel and Dalí; produzione Vicomte Charles de Noailles. Dalí partecipò all’ideazione, ma venne poi escluso da Buñuel dai credits. Dalí rivendicò per molto tempo il suo ruolo essenziale nel film, mentre Buñuel sosteneva che Dalí avesse proposto solo alcune idee. https://www.youtube.com/watch?v=RDbav8hcl5U
La Chèvre sanitaire c. 1930, FGSD. Progetto non realizzato, la sceneggiatura trae spunto dal quadro omonimo di Dalí del 1930, e racconta una specie di storia d’amore che si perde in un immaginario surreale.
Babaouo 1932 Progetto non realizzato, che venne pubblicato come libro, Parigi Éditions des Cahiers Libres, 1932 (ripubblicato da Labor Editorial, Barcelona, 1978). Un uomo innamorato, dopo aver ricevuto una lettera dalla sua amata, intraprende un viaggio alla sua ricerca in un paese in guerra, imbattendosi in incontri bizzarri, con orologi molli, formiche, filoni di pane sulle teste di ciclisti, e un autista di taxi che si arrampica gridando su un albero con delle piume in testa. Nelle intenzioni di Dalí doveva essere il terzo film della trilogia surrealista, ma dopo la rottura con Buñuel non se ne fece nulla. Video che presenta il progetto del film di Dalí, tratto da Blow Up, l’actualité du cinéma (ou presque) ARTE (FRA) http://cinema.arte.tv/fr/article/vous-connaissez-babaouo-de-salvador-dali Poster 1932 https://www.wikiart. org/en/salvador-dali/ babaouo-publicityannouncement-forthe-publication-of-thescenario-of-the-film
Diorama per Babaouo 1932 https://www.salvadordali.org/obra/ conservation-andrestoration/2/babaouorecuperation-of-thelight
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Nel 1997 viene realizzato un film a partire dalla sceneggiatura di Dalí, per la regia di Manuel Cussó-Ferrer, 66 min. https://letterboxd.com/ film/babaouo/
Contre la famille 1932, FGSD. Progetto non realizzato, la sceneggiatura tratta della psicanalisi, dal trauma della nascita al complesso di Edipo, alla ribellione nei confronti dei genitori
Cinq Minutes a propos du surréalisme 1931-4 Progetto non realizzato, esiste lo script originale in francese, conservato presso la Scottish National Gallery of Modern Art, Edinburgh. Il film, forse pensato inizialmente come un cortometraggio che accompagnasse L’Age d’or, doveva spiegare i fondamenti teorici del movimento surrealista.
Les Mystères surréalists de New York 1935, FGSD. Progetto non realizzato. De Figueras à New York, les Bandes Dessinées de Salvador Dalí di Antoine Sausverd, 2012 (FRA) con gli Studi per Les Mystères surréalists de New York, 1935. http://www.topfferiana.fr/2012/11/de-figueras-a-new-york-les-bande-dessinees-de-salvador-dali/ Poster 1935 https://uploads0. wikiart.org/images/ salvador-dali/thesurrealist-mysteryof-new-york. jpg!PinterestLarge.jpg
Giraffes on Horseback Salad 1936-7, FGSD and Bibliothèque Kandinsky, Centre Georges Pompidou, Paris. Progetto non realizzato, Dalí aveva scritto una sceneggiatura proposta ai Fratelli Marx (era grande estimatore e amico di Harpo), fu probabilmente la MGM (produttrice dei film dei Fratelli Marx) a rifiutarla perché.... troppo surreale. È stata ritrovata una bozza della sceneggiatura. https://www.miskatonic.org/dali-marx.html
Moontide 1941, regia Archie Mayo; produzione Mark Hellinger, FGSD. (titolo italiano Ondata d’amore). Progetto di Dalí non realizzato per la sequenza del sogno.
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Spellbound 1945, USA, 107 min., regia Alfred Hitchcock; produzione David O. Selznick (titolo italiano Io ti salverò). La sequenza del sogno è basata sui disegni di Dalí. Inizialmente progettata molto più lunga, venne alla fine ridotta a pochi minuti. https://www.youtube.com/watch?v=Qku4jtvtay8
Studi per le scene della sequenza del sogno in Spellbound, 1945. https://www.wikiart. org/en/salvador-dali/ design-for-the-filmspellbound-1
https://www.wikiart. org/en/salvador-dali/ design-for-the-filmspellbound-2
https://www.wikiart. org/en/salvador-dali/ spellbound
Testimonianza di Hitchcock sulla collaborazione con Dalí. http://www.openculture. com/2011/07/alfred_hitchcock_ recalls_working_with_salvador_ dali_on_ispellboundi.html)
https://www.wikiart. org/en/salvador-dali/ design-for-the-set-ofthe-film-spellbound
Destino Progetto del 1946, produzione Walt Disney. progetto e animazioni non completate da Dalí. Poi realizzato nel 2003, regia Dominic Manfrey; produzione Baker Bloodworth and Roy Disney, USA, 7 min. Film https://www.youtube. com/watch?v=1GF kN4deuZU
Disegni per Destino 1946-47 https://www.wikiart. org/en/salvador-dali/ double-image-fordestino
El Cid 1948. Progetto non realizzato proposto da Errol Flynn.
Une vie de Goya Senza data (dopo il 1948), FGSD. Progetto non realizzato. 38
https://www.wikiart. org/en/salvador-dali/ design-for-destino
Fifty Secrets of Magic Craftsmanship 1948 Progetto non realizzato proposto a Jack Warner.
La Carretilla de Carne / La brouette de chair / The Wheelbarrow of Flesh (The Story of the Wheelbarrow), 1948-52, FGSD. Progetto non realizzato di cui Dalí avrebbe dovuto essere regista, sceneggiatore e scenografo. Il soggetto consisteva nella storia di una donna che si innamorava di una carriola; nel ruolo di attrice principale Dalí aveva pensato ad Anna Magnani.
L’Ame, L’Alma 1948-52 Luis Marquina Archive. Progetto non realizzato.
Le Sang catalan 1950, FGSD. Progetto non realizzato.
Father of the Bride 1950, USA, 92 min., regia Vincente Minnelli; prod. Loew’s International Corporation, New York (titolo italiano Il padre della sposa). La sequenza del sogno è basata su disegni di Dalí. http://www.openculture. com/2015/08/salvador-daligoes-to-hollywood-creates-wilddream-sequences-for-hitchcockvincente-minnelli.html
L’Histoire prodigieuse de la Dentellière et du rhinocéros 1954-62, girato da Dalí e Robert Descharnes, Archives Descharnes, Azay-le-Rideau. Esistono circa 5 ore di girato e 60.000 negativi mai montati, che documentano la performance di Dalí che prima al Louvre studia il quadro di Vermeer e dipinge un suo quadro fatto di corna di rinoceronte, e prosegue poi nello zoo di Vicennes dove Dalí dipinge dentro alla gabbia del rinoceronte François, per poi coinvolgerlo in una specie di performance di action painting. https://www.youtube.com/watch?v=Hk9-EPPr9Js 39
Chaos and Creation 1960, FRA, 18 min., produzione Dalí and Philippe Halsman. Performance in cui Dalí comincia con una specie di lezione e finisce creando un’opera d’arte, il tema è il metodo paranoico-critico, con una critica al razionalismo dell’arte moderna e in particolare a Mondrian. È da alcuni considerata la prima opera di video-arte. https://www.youtube.com/watch?v=HBbypEDU7kc
Dalí in New York 1965, USA, 57 min., regia di Jack Bond Documentario su Dalí a New York con una serie di performance. https://www.youtube.com/watch?v=tUAI0jfoyJc
Dalí’s Fantastic Dream 1966, USA, 6 min. regia Albert e David Maysles, produzione 20th Century Fox. Per il lancio del film Fantastic Voyage (cfr. sotto), Dalí gira per New York per promuovere il film. http://www.webofstories.com/play/albert.maysles/52;jsessionid=8C75C5653215F48D93555BEEE74 7DD9C
Fantastic Voyage 1966 Regia Richard Fleischer; produzione Saul David (titolo italiano Viaggio allucinante). Poster di Dalí 1965 http://www.artfair. co.uk/salvador-dalifantastic-voyage. php Screen Test - Salvador Dalí 1966, USA, 1 min., di Andy Warhol Uno dei celebri Screen Test che Andy Warhol girava con i personaggi che frequentavano la sua Factory. https://www.youtube.com/watch?v=MYrPJozmSdg
L’Autoportrait mou de Salvador Dalí 1967, FRA, 70 min., regia Jean-Christophe Averty and Robert Descharnes; produzione Coty Television and Seven Arts Ltd., FGSD. Documentario su vita e opere di Dalí girato a Port Lligat, nella versione americana è narrato da Orson Welles. http://www.dailymotion.com/video/xodmwz_dali-salvador-a-soft-self-portrait_webcam 40
Live and Let Die 1973, USA, 121 min., regia Guy Hamilton; produzione Albert Broccoli. (titolo italiano Agente 007 - Vivi e lascia morire). Film della serie James Bond. Il mazzo di tarocchi commissionato a Dalí non venne poi usato per questioni contrattuali. In seguito Dalí pubblicò comunque i suoi tarocchi in un libro, Dalí Tarot Universal. https://www.youtube.com/watch?v=kpF1z0xYwDI
Dune 1974, di Alejandro Jodorowsky Progetto non realizzato che prevedeva la partecipazione di Dalí nel ruolo dell’Imperatore pazzo. http://www.duneinfo.com/unseen/jodorowsky
Impressions de la Haute Mongolie - Hommage à Raymond Roussel 1975, FRA, 50 min., regia José Montes-Baquer; prod. Westdeutsches Fernsehen. Film surrealista progettato, diretto e interpretato da Dalí. Il titolo richiama quello di un romanzo di Raymond Roussel, Impressions d’Afrique. https://www.youtube.com/watch?v=ZbYxgRmsw_w
Salò o le 120 giornate di Sodoma 1975, ITA, di Pier Paolo Pasolini A Dalí venne inizialmente commissionato il poster che non venne poi realizzato.
The Little Demon 1982 Progetto non realizzato proposto a Buñuel, esiste un frammento con regia di Luis Revenga.
Documentari su Dalí e il Cinema Cinema Dalí 2004, FRA, 52 min., regia di Josep Rovira, produzione Televisiò de Catalunya et ARTICLEZ. https://www.youtube.com/watch?v=PdlzG04uZbs
Le Cinéma selon Dalí 2009, FRA, 52 min. Marie-Dominique Montel et Christopher Jones, produzione CinéCinéma/PBS Australia. https://www.youtube.com/watch?v=DPu2-7Cpj0E
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Pubblicità Licor Veterano Sabor de Osborne, 1965 Cioccolato Lanvin, 1968 Braniff International, 1968 AlkaSeltzer, 1974 https://www.youtube.com/watch?v=Pa2rwk-SlCo
https://www.youtube.com/watch?v=UFc00I2asSc
Video di performance e happening di Dalí Monologo Surrealista https://www.youtube.com/watch?v=KiqG8lfC_XE
Aphrodisiac Dinner Jacket https://www.youtube.com/watch?v=yhdzlJTcejg
Dizzy Dalí Dinner https://www.youtube.com/watch?v=vg6i4E0Woak
Salvador Dalí at Work, una serie di Happening a New York 1963-64 https://www.youtube.com/watch?v=Simm38wZp60
La foire et le Trône, 1966 http://www.ina.fr/video/CPF07010578/la-foire-et-le-trone-video.html
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Happening in Studio 1967 http://www.ina.fr/video/CPF88004673/salvador-dali-video.html
Happening performance 1972 http://www.ina.fr/video/CPF86607650/du-tac-au-tac-emission-du-30-decembre-1972-video.html
Perfomance di Dalí a Granollers (España) - Pintura Pluvial 1974 https://www.youtube.com/watch?v=xxM6lX9iyDU
Riferimenti presenti nel dialogo Il Dottor Mabuse 1922, DEU, 270 min., regia Fritz Lang (tit. or. Dr. Mabuse, der Spieler). https://www.youtube.com/watch?v=i2LN_P_KRuM
Filmstudie 1926, DEU, 4 min., regia di Hans Richter. https://www.youtube.com/watch?v=ZXrjrr6ifME
Metropolis 1927, DEU, 117 min., regia di Fritz Lang. https://www.youtube.com/watch?v=A0D4fHieW8o
L’uomo con la macchina da presa 1929, RUS, 65 min., regia di Dziga Vertov. (tit. or. Человек с киноаппаратом). https://www.youtube.com/watch?v=xzr_pw6kMi0
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M - Il Mostro di Düsseldorf, 1931, DEU, 117 min., regia di Fritz Lang. (tit. or. M - Eine Stadt sucht einen Mörder). https://www.youtube.com/watch?v=JAgGx_PP_1I
Dumbo 1941, USA, 64 min., prodotto da Walt Disney. https://www.youtube.com/watch?v=Pl3YXl_m0uk
L’uomo dal braccio d’oro 1955, USA, 119 min, regia di Otto Preminger. (tit. or. The Man with the Golden Arm). https://www.youtube.com/watch?v=MkkhOWB-H7E
L’uomo che sapeva troppo 1956, USA, 120 min., regia di Alfred Hitchcock (tit. or. The Man Who Knew Too Much) https://www.youtube.com/watch?v=zO4xmS8l4PI
Il Giro del mondo in ottanta giorni 1956, USA, 167 min., regia di Michael Anderson, prodotto da Mike Todd (tit. or. Around the World in 80 Days) http://annyas.com/screenshots/updates/saul-bass-around-the-world-ineighty-days-title-sequence-1956/
Il diabolico dottor Mabuse 1960, DEU, 98 min., regia di Fritz Lang (tit. or. Die 1000 Augen des Dr. Mabuse). https://www.youtube.com/watch?v=KW65eIVzRWc
Psycho 1960, USA, 109 min., regia di Alfred Hitchcock https://www.youtube.com/watch?v=0WtDmbr9xyY
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Hatari 1962, USA, 157 min., regia di Howard Hawks https://www.youtube.com/watch?v=XzaQI6_h07I
E la nave va 1983, ITA, 132 min., regia di Federico Fellini https://youtu.be/STXjXv_ID3A?t=7453
Al di là delle montagne 2015, CHI, 131 min., regia di Jia Zhangke http://www.mymovies.it/film/2015/mountainsmaydepart/news/iltrailerufficiale/
Documentari Dalí, (doc) 1986, UK, 75 min., regia di Adam Low Breve estratto https://youtu.be/qi3d03KaVw8
Dalí, (film), 1990, ESP, 106 min., regia di Antoni Ribas
La collection secrète de Salvador Dalí, (film) 1991, DEU, 68 min., regia di Otto Kelmer, prod. Journal Film https://www.youtube.com/watch?v=f5XImqZYvkI
Pigment, (short film) 1997, UK, 23 min., regia di Henry Coleman https://youtu.be/RAhqapkuIbc
Salvador Dalí - La persistence de la mémoire (short film) 2000, NED, 10 min., regia di Maarten Koopman
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Buñuel e la tavola di Re Salomone, (film) 2001, ESP, 105 min., regia di Carlos Saura (premio Goya per gli effetti speciali) https://www.youtube.com/watch?v=YBq8VKXCCro
Dalí, être Dieu, (film) 2002, ESP, Sergi Schaaff http://www.rtve.es/alacarta/videos/el-cine-de-la-2/cine-2-dali-etre-dieu/665423/
Surrealissimo: The Trial of Salvador Dalí, (film) 2002, UK, 60 min., regia di Richard Curson Smith https://youtu.be/qrOuBZlyr2c
Dimensión Dalí - Salvador Dalí y la ciencia, (doc) 2004, ESP, 53 min., regia di Joan Ubeda, Eli Pons, Susi Marquès, prod. Media 3.14 (Mediapro) https://www.youtube.com/watch?v=5CoeI5K57nU
Salvador Dalí: Live to Not Die, (doc) 2004, ESP, regia di Carmen Páez
Dalí Maestro de Sueños, (doc) 2004, ESP, 55 min., regia di Manuel Palacios, prod. Canal+ https://www.youtube.com/watch?v=eV3f_QUq8oU
The Death of Salvador Dalí, (short film) 2005, ENG, 18 min., regia di Delaney Bishop. https://vimeo.com/55922388
Dirty Dalí: A Private View, (doc) 2007, UK, 48 min., regia di Guy Evans. https://www.youtube.com/watch?v=HEbLJ75GiV4
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Little Ashes, (film) 2008, UK, 107 min., regia di Paul Morrison. https://www.youtube.com/watch?v=AP6Er0tnUjg
Midnight in Paris, (film) 2011, ENG, 100 min., regia di Woody Allen. https://www.youtube.com/watch?v=_q1V_xjHhLM
Bibliografia su Dalí e il Cinema Elliott H. King, Dalí, Surrealism and Cinema, Kamera Books, 2007. Dawn Ades, et al., Dalí & Film (Edited by Matthew Gale), Tate Publishing, 2007. Alfred Hitchcock et l’art. Coincidences fatales. Mazzotta, Milano, 2000. Robert Short, The Age of Gold: Dalí, Brunuel, Artaud: Surrealist Cinema, Solar Books, 2008. 47
Centrifuga: l’imbianchino, la nuova oggettività e l’A sse Caligari - Hitler Tatti Sanguineti
C
hiacchierando nella nostra lavatrice con Claudio Mazzanti e con Salvador Dalí, non mi sono ricordato che nel dopoguerra circolava la diceria che Adolf Hitler fosse stato un imbianchino. In Liguria noi abbiamo la parola giusta: “spegassin”. Corro a consultare la mia Bibbia, il dizionario etimologico Devoto-Oli che registra, fra i significati collaterali, lo spregiativo “pessimo pittore”. “Imbiancare” e “imbiancato” sono databili, risalgono addirittura al primo Trecento e l’aggettivo piacque anche al paesaggista Giacomo Leopardi.
“nuova oggettività” e la copertina color grigio topo. Questo libro pluriristampato e ritenuto basilare, analizzava la contiguità/continuità fra le ombre deformi del cinema di Weimar e l’irresistibile ascesa del Terzo Reich. Prima di essere escluso dalla lavatrice per manifesta indegnità, faccio notare che la teoria del caligarismo hitleriano dovette sembrare approssimativa e generalista e che qualcuno si sarebbe preso la briga di verificare che Siegfried Kracauer non aveva più rivisto Das kabinett des Dr. Caligari (Robert Wiene,1920) da più di vent’anni. Faccio notare però che questa teoria postbellica non è finita totalmente in soffitta. Credo anzi, che stia per tornare di moda e appare probabile che sia alla base di un film presentato a Roma nell’ottobre 2016 e che non ho ancora avuto la possibilità di vedere. La pellicola, un biofilm, si intitola Fritz Lang, diretto da un certo Gordian Maugg e girato naturalmente in bianco e nero e col formato degli anni ’20, il 4:3. Maugg fruga nella vita privata di Lang e, di fatto, la inserisce nell’Asse (A maiuscola) Caligari - Hitler. Il plot nasce dalla misteriosa morte di una prima dimenticatissima moglie del regista e dall’entrata in scena di Thea von Harbou, musa di Metropolis e di M. il mostro di Düsseldorf, dove non posso non far notare che la produzione del film di Lang si chiamava Nero Film. Perché vi ho ammannito questo prologo? Perché ho la vaga sensazione che Alfred Hitchcock, dopo un ventennio di caligarismo strisciante, di nero filmico imperante, di dittatura dell’ombra avesse elaborato il bisogno psicopercettivo e drammaturgico di schiarire, di chiarificare la rappresentazione dell’inconscio troppo smarrita nell’oscurità, di cercarsi un datore luci, uno sbiancatore del cauchemar, uno sbianchettatore dell’incubo cinematografico. Sì, insomma, di un suo personalissimo “imbianchino”: Salvador Dalí. Ho esagerato? Mi sono scappate delle scemenze? Mi si è sbrigliata una fantasia paranoide? La suggestione dell’ombra minacciosa dell’aereo di Hitler che sorvola i tetti gotici di Düsseldorf? O è il bianco, che più bianco non si può, della neve di Saint Moritz in Spellbound? O il lucore inquietante di quel bicchiere di latte atomico nucleare che Ingrid Bergman, salendo una scala, tiene in mano in Notorius?
Scopro che il francese e l’inglese non possiedono un analogo di “imbianchino”, perché in “peintre” o in ”house painter” manca proprio quel bianco di cui si era discettato in lavatrice. Faccio controlli collaterali. Nel dossier straordinario su Tempi moderni custodito in Cineteca a Bologna, (risulta che Chaplin era evidentemente documentatissimo sull’ ascesa di Hitler), si mostra che tutt’al più Hitler aveva, ai tempi della Prima Guerra Mondiale, disegnato l’insegna di una sala cinematografica per soldati al fronte come lui. Poi le lesioni da gas agli occhi, il ricovero e quella mancata ammissione alle Belle Arti che contribuì notevolmente a mutare il corso della sua vita e quello di tutto il mondo. Ma continua a mancare l’oggetto della ricerca: il maledetto “bianco”. Alla fine ci arrivo: è Brecht che in una poesia: Brutti tempi per la Poesia, che trovo tradotta e di cui non ho voglia di cercare l’originale, scodella, evidentemente in tedesco, la frase: I discorsi dell’imbianchino, proprio nell’accezione più offensiva e derisoria: pittore fallito, imbratta tele. L’ho presa larga perché blaterando sull’eroismo della nostra gioventù di cinefili di provincia, avevo dimenticato herr Kracauer, costretti dall’inesistenza dei film a supplire diventando dei nerd, a sorbirci tomi indigeribili che afflissero e marchiarono la nostra giovinezza. In cima a quella fila di volumi stava un libro pubblicato dal Museum of Modern Art di New York nel 1947, scritto da un altro tedesco: Siegfried Kracauer, From Caligari to Hitler, un libro che mi sono preoccupato di perdere presto e che non ho mai più avuto il coraggio di prendere in mano, ma di cui adesso rivedo bene lo spessore. Il concetto centrale di 49
Non cercate il latte H nella colorimetria del pantone: non c’è ancora. Per ciò che concerne Notorius, girato dopo, penso che Hitchcock, perso l’imbianchino surrealista, il suo De Chirico da cui si aspettava una piazza pulita e chiara, si fosse preso uno sbianchettatore illuminatore molto più a buon prezzo di Dalí: un filo di tungsteno, una mini lampadina nascosta sotto (o affogata dentro) il bicchiere di miss Bergman. Dalí, in quei minutini di test di Spellbound si era limitato a trasformare le chele dello scorpione de L’âge d’or in pinze da dentista. Aveva ingigantito un oggetto anziché inondarlo di luce sbiancante. Detto altrimenti, dopo l’ombra storta di Caligari, dopo Fritz Lang che ora scopriamo essere un mezzo assassino anche lui, dopo le camicie nere di Hitler, Hitchcock e cioè il cinema in prima persona, uno che aveva filmato l’orrore infinito dei lager, sentì il bisogno di luce bianca, di rovesciare la coppia binaria di base, il nerobianco che aveva prevalso sino ad allora sul bianconero. Parentesi. E non si dice d’altronde che Stalin avrebbe fatto volare ovunque la paloma bianca di Picasso col ramoscello d’ulivo della pace? E non si legge su Internet la condivisa opinione che la cosa più importante girata da Steven Spielberg sarebbe stato quel cappottino rosso e quella macchia di colore dentro Schindler’s List? Come se il problema del nero contro il bianco non fosse stato solo un problema di Hitchcock e di Spellbound, ma un problema ciclico e ritornante del cinema tutto. Chiusa parentesi. Tanto più che Selznick incombe con il technicolor, che per bruciare Atlanta non c’è nulla di meglio di fiamme rosse e gialle.
ma una dicesi una, sulla coscia di una sconosciutissima protagonista di un film intitolato in italiano Violenza per una giovane proprio perché si trattava di una ragazza sconosciutissima e subito desaparecida, tal Kay Meersman. Dalí, insomma, oltre che sul nero bianco inciampò anche sullo Stardom. Non era che gli fosse sfuggita la centralità del divismo, era che lui ab imo si credeva più star di tutti. Si collocava su un piedistallo alto almeno quanto la colonna di Simon del deserto. Se non siete convinti di questa mia opinione guardate nella mostra Dalí Experience la sua ospitata all’ Ed Sullivan Show: quanto e come gigioneggia in mezzo a piccoli e grandi divi bendati che dovrebbero indovinare chi è lui solo sentendone la voce. In quanto all’altra metafora sputata dalla lavatrice, la prima immagine di Un chien andalou, il famoso “occhio di bue”, scopro che non solo l’espressione “oeil de boeuf ” vale per l’uovo in padella, con il tuorlo centrale intatto, ma indica anche una celeberrima finestrella ovale vetrata che introduceva nella camera da letto nientemeno che di Luigi XIV a Versailles. L’“occhio di bue” va inteso come proiettore di scena che pedina la soubrette (secondo un’estetica del tampinare che con Zavattini non c’entra) mentre esce con un perizoma di ventisei banane, o mentre nel finalissimo si esibisce in uno strip in controluce dietro una parete o un lenzuolo nell’ultimo quadro di finestre e ombre notturne. Quest’occhio di bue è un coadiuvante del binocolo di sala, un afrodisiaco alla Dalí e che certo non vale meno di quella sua polvere tritata di corno di rinoceronte. La paroletta inglese per “occhio di bue”, spot light, è certo più povera e meno immaginifica, ci rimanda direttamente ad un territorio, la pubblicità, in cui Dalí, fuori da ogni dubbio, eccelse. La réclame dell’Alka Seltzer è strepitosa. Non ci sono parole per descrivere queste mille bolle degne della voce di Mina. Guardando altre immagini del guru catalano, Salvador Dalí si manifesta come la sigla televisiva di se stesso, pronto a infilarsi a tempo con uno stacchetto dentro lo schizzo della sua sagoma: “Salvador Dalí presents”. E, a proposito ancora di pubblicità, la parte più stimolante
Secondo il più sottile degli esegeti italiani di Hitchcock, lo sceneggiatore spezzino Franco Ferrini, che ci ha scritto sopra una pièce: Agapornis, anche la psicoanalista personale di Selznick, un’ebrea ucraina finita a Hollywood come strizzacervelli del produttore, avrebbe captato i latenti problemi del “re del brivido” con le donne bionde, il fuoco sotto la cenere. E quello che finirà per combinare Hitchcock a Tippi Hedren in Marnie ma soprattutto in Birds non assomiglia un pochettino a quanto immaginato da Dalí con Ingrid Bergman? Non aveva immaginato di coprirla di formiche e di seppellirla di mosche? Il suo ex socio Buñuel si permise di piazzare una bavosa lumaca, 50
e durevole della maestria di Dalí, mi pare il suo elogio al brainstorming ininterruptus, il suo sforzarsi, il suo incoraggiarci al parto di un’idea, una battuta, uno slogan, un’immagine. Dire, dire, dire! E poi? E poi? E poi? Come, seduto su un bidet, Vittorio Metz esortava Marcello Marchesi il quale, si aggirava per un appartamento, prenotato appositamente all’hotel Moderno di Roma (piazza di Spagna), per accogliere “i negri” e assemblare, su un letto a due piazze, i blocchi di un film di Totò da consegnare in tre giorni. Se invece si trattava di un lassativo, bastava una parola e ci pensava Tino Scotti. Strizzato a dovere, mi rituffo nel Web. Forse cercavo non so più cosa cercavo... ma a Natale mi appare L’âge d’or che sicuro non cercavo e mi fulmina. Avevo intanto dimenticato che si trattava di un film di un’ora e passa. Che al centro del film ci fosse uno sfottò inconcepibile in quell’anno, 1930, di invenzione del cinema europeo sonoro (andate a vedere La canzone dell’amore il primo film sonoro italiano, così capirete la differenza). E non ricordavo che l’ultima immagine è una croce in fiamme. Mi sovvenivano soltanto bene le smanie, gli strappi, le fughe dell’inafferrabile Gaston Modot, posseduto dal desiderio. E nemmeno ricordavo che a fare Cristo ci fosse uno specialista, uno che nella vita fece quasi solo quel personaggio. Una imitatio perenne, di film in film, tante furono le vite e le passioni di Gesù del cinema muto. Il vecchio amico Buñuel girerà trent’anni dopo, in Messico, il film più blasfemo, più anticristiano di tutta l’Histoire du Cinema, Nazarin. Han provato a cristianizzarlo al doppiaggio italiano ma non ci sono riusciti. Non fatelo vedere in giro, soprattutto in Lombardia o in Calabria. L’âge d’or e se non bastasse, Nazarin, ci spiegano bene perché il duo si sciolse. Dalí si defila, sceglie altrimenti. Se ne stette all’ombra di Francisco Franco ma, soprattutto, in riva al mare, con la sua berrettina catalana in testa, ad un tiro di schioppo da Parigi. Dentro la sua bolla di sapone negli occhi.
P.S. Mentre scribacchio non ho sotto gli occhi il cruciale catalogo di Montreal, Hitchcock et l’Art edito da Gabriele Mazzotta, 2000, da cui saltan fuori scacchiere a gogò, neri contro bianchi. Verifico, ora non rinnego nulla, anzi. L’imbianchino di Hitchcock si era concentrato soprattutto sugli occhi con o senza forbici, incassò quattromila dollari del contratto, si tenne gli originali degli schizzi, cercò di farseli firmare dagli interessati, la svedese in primis, per farli salire di valore. La sua quotazione americana era, allora, soltanto di cinquecento dollari al pezzo.
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Catastroficamente creativo: Salvador DalĂ e la matematica Silvia Benvenuti
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ecisamente è un divano. Ma certo non uno qualunque, con quel colore, rosso carminio, e soprattutto con quella forma. [Fig. 1] Del resto, visto che l’ha disegnato Lui, Salvador Felipe Jacinto Dalí i Domènech, difficile aspettarsi un oggetto banale. Nel mio salotto starebbe benissimo, accanto alla porta finestra, anche se nessuna collocazione può eguagliare quella in cui il nostro uomo l’ha concepito, nella sua casamuseo di Figueres, a fare da bocca al volto un po’ serio dell’attrice Mae West. Ma la cosa che più sorprende è che questo oggetto, con la sua comoda sensualità, non si ispira (forse) alle labbra carnose di Gala né a quelle della stessa Mae West, bensì alla sensualità un po’ criptica di un... concetto matematico! Concetto, tra l’altro, di quelli non proprio banali: quello di “singolarità”, o “biforcazione”, o “catastrofe”. A spiegarlo a Dalí possiamo immaginare sia il matematico René Thom, suo amico nonché medaglia Fields, autore del libro Stabilità strutturale e morfogenesi, la Bibbia delle catastrofi. Immaginiamo di avere un oggetto matematico, per esempio la curva di figura 2a, descritta da un’equazione contenente uno o più parametri. Facendoli variare con gradualità, i parametri possono essere usati come “manopole” per regolare la posizione e la forma della curva: talvolta piccole variazioni provocano altrettanto piccoli cambiamenti, come si può osservare passando dalla situazione di figura 2a a quella di figura 2b; in altri casi variazioni anche minime provocano la transizione fra due situazioni qualitativamente diverse, come il passaggio dalla curva fatta da un solo pezzo di figura 2b a quella composta di due pezzi di figura 2d. Si dice allora che è avvenuta una biforcazione, una catastrofe. Precisamente, la curva corrispondente alla catastrofe è quella di figura 2c, a partire dalla quale ogni minima perturbazione del parametro porta alle due situazioni qualitativamente diverse raffigurate nelle figure adiacenti. Thom nel suo libro classifica un numero finito di “catastrofi elementari”, dai nomi suggestivi quali coda di rondine, farfalla, piega, ombelico, che generano tutte le altre, tra cui la labbra di cui sopra. Ora: se il libro di Thom presidia il comodino del nostro uomo a partire dal 1984, mentre il divano Mae West è del ’35, effettivamente è difficile che il secondo sia davvero
1. Divano Mae West (1935) - in mostra.
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3. Formazione della singolarità a labbra (da Tito Tonietti - in alto), stessa singolarità nel libro di Thom (in basso).
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ispirato al primo - anche se, essendo Dalí un visionario, non si sa mai. Immaginatevi però la soddisfazione di Dalí nel vedere il suo sofà emergere dalle pagine originali di Thom come “sezione della superficie continua di due cuspidi contenuta nell’immagine di catastrofe della coda di rondine”. Sembra uno scioglilingua, in effetti. Ma la figura 3 lo spiega con maggiore chiarezza. Se quella della singolarità a labbra è un’interpretazione a posteriori, non c’è dubbio che Dalí si ispiri esplicitamente alla teoria di Thom nelle sue ultime opere: la catastrofe nota come coda di rondine, per esempio, è protagonista sia del suo ultimo quadro, Coda di rondine e violoncelli che de Il ratto topologico di Europa. Omaggio a René Thom [Fig. 4]. D’altra parte, ormai anziano, l’artista definiva la Teoria delle Catastrofi «la più bella teoria estetica al mondo». E non si tratta di rincoglionimento senile: come peraltro appare credibile guardandone i baffi nella figura 5, Dalí è stato profondamente affascinato dalla matematica durante tutta la sua vita, e le sue opere riflettono in modo molto profondo questa passione. Ma c’è molto di più: Salvador Dalí non solo della matematica capiva l’importanza, tanto da usarla rigorosamente nei suoi quadri, ma la studiava e ne conosceva un bel po’, grazie anche alla frequentazione di matematici importanti come René Thom, Matila Ghyka, Thomas Banchoff, Martin Gardner. Come del resto era irresistibilmente attratto da molte altre scienze: conosceva personalmente Einstein, aveva studiato teoria della relatività e fisica quantistica, la
4. Coda di rondine e violoncelli, 1983 (in alto), e Il ratto topologico di Europa 1983 (in basso).
5. Forme matematiche nei baffi di Salvador Dalí.
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sua casa-museo pullula di modellini dell’atomo di idrogeno; la sua biblioteca conteneva centinaia di libri di scienza, con le sue annotazioni a margine a testimoniare la fervida lettura; fu fino alla sua morte abbonato a numerose riviste scientifiche; ormai anziano, non perse neppure una delle sei conferenze magistrali, di altrettanti importanti fisici, matematici, astrofisici e chimici, del simposio “Cultura y ciencia: determinismo e liberdad”, celebrato nel 1985 presso il suo museo; un suo quadro, in omaggio a Crick e Watson, si intitola Galacidalacidesoxiribonucleicacid... servono altre prove della sua fascinazione per QUALUNQUE scienza? Ma limitiamoci alla mia (e vostra, sicuramente) disciplina preferita: ammettiamo di voler sostenere che la matematica può essere, oltre che un valido supporto tecnico per gli artisti, anche un eccezionale stimolo creativo. L’opinione comune tende a essere piuttosto ostile al riguardo di un’affermazione di questo tipo. Analizzare l’opera di Salvador Dalí, invece, è un ottimo modo per dare supporto a una tesi tanto spinta. A partire dalla sua affermazione, contenuta in Cinquanta segreti dell’artigianato magico, secondo la quale «Devi, soprattutto da giovane, usare la geometria come guida alla simmetria nella composizione delle tue opere. So che i pittori più o meno romantici sostengono che queste impalcature matematiche uccidono l’ispirazione dell’artista, dandogli troppo su cui pensare e riflettere. Non esitare un attimo a rispondere loro prontamente che, al contrario, è proprio per non aver da pensare e riflettere su certe cose, che tu le usi». Parafrasando, Dalí suggerisce al giovane artista una ricetta per la bellezza: fissa le proporzioni geometriche e poi lasciati andare, certo che il risultato sarà bello a vedersi. Questa “ricetta” è resa esplicita dai bozzetti preparatori di Dalí, uno tra tutti quello della Leda Atomica [Fig. 6]. Analizzando il dipinto con a fianco il bozzetto, ci accorgiamo infatti che nel quadro niente è lasciato al caso: il piede destro di Gala-Leda finisce in una delle cinque punte della stella pitagorica descritta dalle diagonali di un pentagono, inscritto nella circonferenza il cui diametro delimita la larghezza del quadro; la circonferenza è tangente in basso al basamento dello sgabello su cui è seduta Leda, e la testa della donna è interamente contenuta nella punta centrale della stella. «Certi giorni ho l’impressione che morirò di un’overdose di soddisfazione», diceva di sé. Deve
6. Leda atomica (1949 - in alto) e suo studio preparatorio (in basso).
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averlo pensato a quadro finito: come contraddirlo? La Leda è uno degli esempi di quadri basati sul concetto di sezione aurea, che soggiace alla costruzione del pentagono: in un pentagono regolare, infatti, il rapporto tra ogni diagonale e il lato è uguale proprio a questo numero, Φ, noto nei secoli come numero aureo, numero d’oro, sezione aurea. Tutti gli artisti ne sono stati affascinati, e Dalí in questo è conformista: di rettangoli aurei e oggetti collegati la sua opera è infarcita anche quando non sembra. È del tutto chiaro, se ne prendiamo le misure, che il rettangolo aureo governa le proporzioni de L’ultima cena [Fig. 7]: la tavola si posiziona in modo da dividere l’altezza totale in due parti che stanno tra loro nel rapporto aureo; i discepoli alla destra e sinistra di Cristo dividono entrambi il quadro in due strisce verticali di ampiezze in rapporto aureo tra loro. Sullo sfondo compare poi il dodecaedro, che con le sue dodici facce pentagonali è un’incarnazione vivente del numero più elegante che esista. Altrettanto esplicita è la presenza del numero Φ nella figura 8, di cui soprattutto ci pare irresistibile il titolo, col suo riferimento al pendaglio che serve solo per far tornare le dimensioni del quadro.
7. Sezione aurea ne L’ultima cena (1955).
Ma quella della sezione aurea, se mi permettete, è una matematica di natura anche troppo popolare per uno come Dalí, che infatti estende il suo interesse a rami della matematica molto più elitari. Per esempio, in mostra potrete sicuramente apprezzare i daliniani orologi molli, resi celebri dal quadro La persistenza della memoria [Fig. 10 - in alto]. Si tratta di una raffigurazione della realtà che possiamo definire a pieno titolo topologica, con riferimento a una disciplina, la topologia, relativamente moderna. Si tratta di un tipo di geometria un po’ diverso da quello che si studia a scuola, quando tutti gli oggetti hanno le proprie misure, con contorni rigidi e indeformabili. Un topologo pensa invece agli oggetti come se fossero fatti di pongo (o Didò, o plastilina, a seconda del suo anno di nascita): due oggetti sono cioè topologicamente equivalenti se, pensandoli come fatti di plastilina, siamo in grado di deformare uno nell’altro senza effettuare tagli né incollamenti. Sono equivalenti, per esempio, un piatto
8. Spirale aurea in Mezza tazza gigante sospesa a un inesplicable pendaglio alto cinque metri.
Nature by numbers: numeri di Fibonacci e sezione area in natura. https://www.youtube.com/watch?v=kkGeOWYOFoA
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piano, un piatto fondo e un bicchiere, mentre una tazzina con un manico non è equivalente ai primi, e una zuppiera con due manici non è equivalente né ai primi né alla seconda. La tazzina con un manico, invece, è equivalente a una ciambella, o a un donut (rigorosamente pronunciato come si scrive), come l’avrebbe forse chiamata Dalí, da bravo catalano. I suoi orologi “colano” come se fossero fatti di plastilina, in una realtà in cui gli oggetti hanno contorni mutevoli, ma la loro memoria persiste e tiene traccia in qualche modo della forma. Sono topologiche, anche nel titolo, molte delle opere dell’ultimo periodo [Fig. 9]. Sarebbe imbarazzante, ancorché matematicamente significativo, entrare nei dettagli del conto del genere topologico della figura femminile rappresentata in questi due quadri, e forse qualcuno di voi invocherebbe un ricorso a Freud, peraltro ben presente in altre pagine di questo catalogo. Per questo mi autocensuro, e faccio invece un passo avanti, dalla topologia alla meccanica quantistica, destinato a farci lasciare Freud per Heisenberg, e gli orologi molli per la loro disintegrazione: come scrive Dalí nel suo Manifesto antimaterico, «durante il periodo surrealista volevo creare l’iconografia del mondo interiore e del mondo del meraviglioso concepiti da mio padre Freud. Oggi, invece, il mondo esteriore e quello della fisica hanno superato quello della psicologia. Oggi mio padre è il Dottor Heisenberg». Di conseguenza, la persistenza del 1931 si disintegra nel 1954, scomponendosi in tasselli a riassumere il riconoscimento dell’autore per le nuove frontiere della scienza [Fig. 10 - in basso].
9. Contorsione topologica di una figura famminile (1983, fig. 9 - in alto) e Contorsione topologica di una figura femminile che diventa un violoncello (1983, fig. 9 - in basso)
Prima di abbandonare il concetto di topologia, guardatevi intorno nella mostra e riflettete sulle modalità dell’esposizione stessa: possiamo definirla in un certo senso “intrinsecamente topologica”, perché “cola” sulla città, in percorsi che esondano da Palazzo Belloni per investire tutta la città, in un’esperienza volutamente interattiva che ammorbidisce i confini, deformando e contaminando. Il che sicuramente a Dalí sarebbe piaciuto un sacco.
Dalla tazzina al donut https://it.wikipedia.org/wiki/Topologia#/media/
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Ma andiamo oltre: se si parla del rapporto di Dalí con la matematica, non si può far a meno di accennare alla sua passione per la quarta dimensione, concretizzatesi nella bellissima rappresentazione dell’ipercubo che fa da scomoda croce al Cristo di Corpus Hypercubicus (1954). Così come la croce rappresenta lo sviluppo piano di un cubo, la figura alla quale è inchiodato il Cristo dalinano rappresenta lo sviluppo tridimensionale del suo analogo in dimensione 4, che noi matematici chiamiamo appunto ipercubo: ciò serve all’artista per comunicare l’idea della trascendenza del Cristo, che vive in una dimensione superiore a quella che noi umani siamo capaci di concepire. Vediamo di spiegare un pochino di che si tratta: tutti possiamo immaginare un quadrato. Se “stacchiamo” i due lati che convergono in uno dei suoi vertici, possiamo “aprire” il quadrato, fino a stenderlo lungo una retta, di cui occupa 4 segmenti consecutivi: questa figura rappresenta lo sviluppo 1-dimensionale di un quadrato, che di suo vive nel piano, ovvero in 2 dimensioni. Adesso prendiamo un cubo: tutti possiamo immaginarcelo, ma le cose sono ancora più facili se lo teniamo in mano, per esempio sotto forma di scatola cubica di cartone. Se tagliamo lungo tre lati consecutivi il tappo della scatola, e poi tagliamo accuratamente lungo altri lati possiamo, analogamente con quanto fatto prima con il quadrato, “aprire” il cubo e spalmarlo sul piano di un tavolo: la figura a croce che otteniamo rappresenta lo sviluppo 2-dimensionale del cubo, che di suo vive invece nello spazio, ovvero in 3 dimensioni [Fi. 11 - in basso]. Per finire, prendiamo un
10. La persistenza della memoria (in alto) vs La disintegrazione della persistenza della memoria (in basso).
Sviluppo del cubo https://it.wikipedia.org/wiki/Sviluppo_piano_di_un_poliedro#/media/
Sviluppo dell’ipercubo https://www.youtube.com/watch?v=BVo2igbFSPE&feature=youtu.be
http://www.loopmm.com/benvenuti/
Amcora quatro dimensioni! https://www.youtube.com/watch?v=MFXRRW9goTs&feature=youtu.be
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ipercubo: nessuno di noi se lo può immaginare (almeno credo, con gli artisti meglio non essere categorici) perché si tratta di un oggetto che vive in 4 dimensioni, dove la nostra percezione non ci consente di arrivare. Tuttavia possiamo pensare di fare l’analogo di quanto fatto prima col quadrato e poi col cubo, ovvero “tagliare” l’ipercubo lungo ...lungo cosa?... pensateci, e concluderete che è lungo un insieme di quadrati, che fanno da bordo a cubi, che a loro volta fanno da bordo all’ipercubo. Se tagliate nel modo giusto, potete “aprire” il vostro ipercubo e “spalmarlo” ...dove?... nello spazio ordinario, ovvero nello spazio a 3 dimensioni, dove tutti possiamo vederlo. Quello che vedremo è in realtà lo sviluppo 3-dimensionale dell’ipercubo, che di suo vive nello spazio 4 dimensionale, ma ci fa il piacere di lasciarsi spiaccicare in una dimensione inferiore, in modo che Dalí lo possa disegnare! [Fig. 11 - in alto]. Una menzione sarebbe dovuta a mille altri temi, tra cui gli anamorfismi, la stereoscopia, le illusioni ottiche, gli ologrammi. Ma il campo degli argomenti matematici toccati da Dalí è talmente vasto che è inevitabile operare una selezione, democraticamente effettuata in base alle preferenze di chi scrive. E quindi lasciatemi concludere con un argomento forse un po’ meno gettonato, ma di cui non potete non esservi accorti: l’ubiquità dell’uovo. Le uova in Dalí si trovano davvero ovunque: la cinta muraria della sua casa di Figueres (fig. 14) ne presenta di monumentali, sferiche o ovoidali; uova compaiono in moltissimi dipinti e sculture (per esempio la Venere in mostra); sono uova i volti di molte delle sue statue. Dalí evidentemente le considerava tanto fondamentali da utilizzarle anche come abitacolo per il suo ovocipede, peculiare mezzo di locomozione che ai suoi tempi non fu forse adeguatamente valorizzato, ma oggi costituisce la gioia di migliaia di bambini (tra cui il mio) e la disperazione di migliaia di mamme (tra cui la sottoscritta) quando lo incontriamo nei parchi gioco [Fig. 12]. Sia l’ovocipede daliniano che quello moderno, infatti, hanno un sistema propulsivo basato sul movimento del conducente, che sostanzialmente corre come un criceto facendolo girare, e uscendone poi mézzo di sudore ma felice (almeno finché ha 8 anni...). 11. Quarta dimensione in Dalí: Corpus hypercubicus (in alto), e sviluppo di quadrato e cubo (in basso).
Per un topologo, un uovo è del tutto indistinguibile da 59
una sfera (e anche da un cubo, o da un dodecaedro); inoltre, un uovo di struzzo è topologicamente equivalente a uno di quaglia, così come a un qualunque uovo di taglia intermedia. Se, però, dimentichiamo la topologia e consideriamo gli oggetti nel rispetto delle loro proprietà metriche, allora tutto cambia: l’uovo e la sfera sono oggetti distinti, e l’uovo di struzzo è metricamente diverso da quello di gallina. Quello che però accomuna uova di forme diverse è che tutte sono ottenute facendo ruotare una curva piana attorno al suo asse: se vogliamo ottenere una sfera faremo ruotare una circonferenza, se ci serve un ellissoide useremo un’ellisse, se invece vogliamo proprio un uovo... be’, la cosa si fa un po’ più complicata. Andate in frigo e prendetene uno qualunque: noterete che, se le sezioni effettuate con piani perpendicolati all’asse sono tutte circonferenze di diverse grandezze (il che ci dice che si tratta di una superficie di rotazione), quelle ottenute tagliando con piani che contengono l’asse non sono né circonferenze né ellissi, ma curve un po’ strane in cui c’è una parte più panciuta e una meno. Ovviamente un matematico non può cucinarsi un uovo alla coque ignorando l’equazione della curva che lo genera per rotazione: da qui le ovali di Cassini, Cartesio e Keplero, nonché l’uovo di Granville, quello di Hügelschäffer e quello di Moss, per finire addirittura col doppio uovo. [Fig. 13] Come dicevamo, Dalí con le uova è molto democratico: ne disegna e ne scolpisce di tutte le forme e misure, e viene spontaneo chiedersi perché. Una spiegazione possibile è che l’uovo è di fatto presente anche in molti dipinti classici, come simbolo di resurrezione, in quanto intrinsecamente legato alla nascita di una nuova vita: lo troviamo per esempio nella celeberrima Pala Montefeltro, detta appunto Madonna dell’uovo, di Piero della Francesca, che Dalí amava tanto da riprodurlo a modo suo nella famosa Madonna di Port Lligat (1950). È ben noto come
12. Ovocipede daliniano e Ovocipede moderno.
13. Uova matematiche: di Cassini, di Granville, di Keplero, di Moss, doppio uovo.
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Dalí provasse una profonda fascinazione per i classici, che reinterpretava in modi sempre non banali, per esempio facendo spuntare un paesaggio surrealista sulla guancia del Giuliano dei Medici di Michelangelo, o bucherellando strategicamente la sua riproduzione pittorica della Pietà. «Inizia a disegnare e a dipingere come gli antichi maestri» diceva in proposito. «Dopo potrai fare quello che vorrai: tutti ti rispetteranno». Una seconda ragione per la persistenza dell’uovo nell’opera daliniana è probabilmente la sua teoria dell’uovo “intrauterino”: convinto di ricordare la sua vita all’interno dell’utero materno, lo trasforma in una specie di paradiso gastronomico dove imperano huevos fritos. In maniera un tantino più prosaica possiamo anche vederci la manifestazione del suo spirito catalanista: a Barcellona e dintorni, infatti, l’ou si mangia in tutti i ristoranti, dalla bettolaccia al ristorante stellato, ferrat e accompagnato da patate e pernil de gla in versione popolare, oppure “cotto a bassa temperatura su parmentier di patata e spuma di butifarra negra” dalle 3 stelle in su. Del resto, è sicuro che Dalí abbia voluto rendere omaggio alla sua terra immortalandone alcune delle eccellenze culinarie: basti pensare alla pagnotta dell’Empordà con cui crivella le mura del suo palazzo [Fig. 14], e che tra l’altro con l’ou ferrat è la sua morte.
14. Uova e pagnotte nelle mura del Teatro Museo di Figueres.
Del resto per Dalí, che a sei anni voleva diventare “cuoca”, la cucina è un piacere fondamentale, tanto da spingerlo a scrivere e illustrare perfino un libro di ricette, ovviamente “Le ricette di Gala”, evidentemente non proprio dietetiche se si legge nella prefazione: «Se tu sei un seguace di questi soppesatori di calorie che trasformano le gioie di un pasto in una punizione, chiudi il libro». A questo punto è impossibile, anche se blasfemo, resistere alla tentazione di demistificare il nostro genio immaginandolo in ciabatte davanti a una tela ammezzata, mentre Gala col grembiulino spadella in cucina e a uova servite lo chiama: «Cariiiinyo, è in taaaavola, corri che ti si diacciaaa!» Bah...
Per saperne di più - Gian Italo Bischi, Biforcazioni, Lettera Pristem 100, 2016. - F. Blasco, Matemáticas en Dalí, Matematicalia vol 7, n. 4, 2011. - M. Cepeda Fuentes, Il surrealismo in cucina tra il pane e l’uovo, Il Leone Verde, 2004. - L. Chaparro, La obsesión de Dalí por una musa llamada ciencia, Sinc, 2013. - Salvador Dalí, Cinquanta segreti dell’artigianato magico, 1948. - M. Gardner, Anamorphic Art, in Time, Travel and Other Mathematical Bewilderments, W.H. Freeman, 1988. - R. Pérez Gómez, ¿Paranoia o topología trascendental? Salvador Dalí, 100 años, Gaceta de la RSME, vol 7.3, 2004. - C. Ruiz, Salvador Dalí y la ciencia, más allá de una simple curiosidad, Centro de Estudios Dalinianos. Fundación Gala-Salvador Dalí, Pasaje a la Ciencia pp. 4-13, 2010. - René Thom, Stabilità strutturale e morfogenesi, Einaudi, 1980. - Tito Tonietti, Catastrofi. Il preludio alla complessità, Bari, Dedalo, 2002.
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DalĂ nello spazio olografico, una collaborazione fra arte e scienza
Selwyn Lissack Tratto dal sito spie.org per gentile concessione di spie.org e Selwyn Lissack Images courtesy of Selwyn Lissack and the DalĂ Museum, St. Petersburg, FL Traduzione di Claudio Mazzanti
P
er comprendere le dinamiche dei grandi risultati di Salvador Dalí nell’olografia, che hanno portato al momento dimensionale del cervello della rock star Alice Cooper che galleggia in uno spazio olografico volumetrico, torniamo indietro al 1940 quando comparve l’idea di interferenza coerente.
L’incontro con Salvador Dalí a New York Tuttavia sapevo che, per introdurre l’olografia nel mondo come un mezzo artistico, avevamo bisogno di un artista famoso che potesse capire gli aspetti tecnici dell’olografia. Io sono stato affascinato da Salvador Dalí fin da bambino. La sua ossessione per la ricerca e la creatività in altre dimensioni e la sua grande comprensione della simmetria tridimensionale e della prospettiva su una superficie piana, lo rendevano la scelta perfetta.
Nel 1947, lo scienziato di origine ungherese Dennis Gabor pubblicò un articolo sulla registrazione di uno spazio tri-dimensionale su una superficie bi-dimensionale. Per l’invenzione e lo sviluppo del metodo olografico Gabor vinse nel 1971 il Premio Nobel per la Fisica e si guadagnò il titolo di “Padre dell’Olografia”.
Nel 1971 vivevo a New York, quando venni a sapere che Dalí stava al St. Regis Hotel. Decisi di prendere il telefono e chiamarlo. All’ultimo, diedi la cornetta al mio amico George Besch, pensando che il mio accento sudafricano fosse difficile da capire per il grande artista surrealista.
A Gabor l’idea venne un giorno mentre sedeva in un campo da tennis, riflettendo su come registrare l’interferenza della luce in uno spazio 3D. Non essendoci laser a quel tempo, provò che il concetto funzionava usando una lampada di mercurio ad arco con una lunghezza di coerenza molto corta. I risultati mostravano, in effetti, che la luce raffinata dall’arco aveva registrato una riproduzione profonda 3 mm di un fronte d’onda di luce coerente. Sebbene ciò abbia profondamente agitato la comunità scientifica, il primo ologramma visibile non si poté realizzare fino alla dimostrazione del primo laser nel 1960. A differenza di quanto avveniva con l’arco di mercurio, quando l’immagine venne registrata col laser, si creavano profondità fino a un metro e più sull’asse Z, in funzione della lunghezza di coerenza del laser.
Mai, nei miei sogni più ambiziosi, avrei pensato che avremmo parlato col leggendario Dalí in persona; il giorno successivo eravamo davvero seduti nella sua suite, parlando con lui dell’olografia. Dalí era elettrizzato dall’idea di lavorare con un mezzo che gli desse la possibilità di creare oltre i confini dello spazio lineare, e la sua suite in hotel divenne il nostro ufficio. Durante i successivi cinque anni, ci incontrammo spesso per discutere le tante idee che voleva esplorare. Dal 1971 al 1976, io e Dalí collaborammo per produrre sette opere d’arte olografiche, che sarebbero diventate tra le più importanti del XX secolo.
In quei primi anni, coloro che si occupavano di olografia erano principalmente interessati agli aspetti tecnici dell’olografia, come la registrazione di piccoli oggetti inanimati, creando visori a sovraimpressione per aeroplani e per test non distruttivi di parti.
Le sette opere d’arte olografiche erano: Brain of Alice Cooper (La mente di Alice Cooper) Crystal Grotto (Grotta di cristallo) Dalí Painting Gala (Dalí dipingendo Gala) Holos! Holos! Velázquez! Gabor! Submarine Fisherman (Pescatore sottomarino) Polyhedron (Poliedro) Melting Clock (Orologio Molle)
Verso la fine degli anni ’60, la nostra azienda, International Holographic Corp., in collaborazione con McDonnell Douglas, ha prodotto e distribuito i primi prodotti olografici commerciali, da un punto di vista tridimensionale e artistico. Le possibilità per l’olografia sembravano infinite. Con ogni nuovo prodotto, eravamo sempre più vicini ai nostri obiettivi artistici.
L’ultimo, l’ologramma dell’Orologio Molle, fu concepito nel 1975 ma non realizzato fino al 2003, quando la tecnologia LED ha reso il sistema di playback più pratico. 63
Dalí - che morì nel 1989 - con le nuove tecnologie. Immaginate Dalí seduto di fronte a un programma 3D tipo CAD per dipingere un’immagine 3D? Come disse una volta: “L’arte è limitata solo dalla propria immaginazione”.
La tecnologia per ologrammi artistici era limitata negli anni ’70. Quando vennero realizzati gli ologrammi di Dalí, l’olografia era nella sua infanzia e aveva molti limiti e sfide. I dettagli della realizzazione di tutti gli ologrammi di Dalí si trova nel libro del 2012, Dalí in Holographic Space (Dalí nello spazio olografico), che ho scritto con Linda Lissack.
Lavorare con una mente così grande e con un artista come Dalí è stata un’esperienza che mi ha reso più umile e consapevole. Ho passato la mia vita cercando di realizzare le promesse che gli ho fatto. Cioè di creare e produrre con lo sviluppo della tecnologia le sue immagini olografiche, così come lui le aveva immaginate.
I contributi di Dalí all’olografia artistica sono stati enormi. I suoi talenti e la sua mente illuminata e preveggente erano così avanti rispetto alla tecnologia che la tecnica artistica che ha applicato nel creare gli ologrammi sarebbe oggi esattamente la stessa. Gli originali olografici di Dalí possono essere paragonati a dei lingotti di valuta: trascendono il tempo e non cambiano mai. Ciò che cambia, con l’evolversi della tecnologia, è il sistema di riproduzione.
I sette ologrammi di Salvador Dalí Crystal Grotto (Grotta di cristallo), una porta per il paradiso, è un collage olografico 3D. È un monumento alle credenze spirituali di Dalí, un luogo magico dove le particelle dell’universo si uniscono, creando un luogo sacro. Concepito nel 1971 e commissionato da Eleanor e Reynolds Morris, è un ologramma a trasmissione di circa 10 cm per 13 cm, è visibile al Dalí Museum di St. Petersburg, Florida.
Negli anni ’60 e ’70, ed anche oggi, laser costosi, ingombranti e roventi, luci ad arco di mercurio e luci alogene al tungsteno, sono state utilizzate per riprodurre ologrammi. Sfortunatamente, nessuno di questi sistemi funzionava bene a livello domestico, rendendo difficile visualizzare un ologramma in una maniera artisticamente ispirata. Con l’invenzione dei LED ad alta luminosità, la riproduzione di ologrammi artistici a livello domestico potrà essere nel nostro futuro. Un LED ad alta luminosità è una buona fonte puntiforme di luce per l’olografia. Questi LED sono disponibili in vari colori o a luce bianca, consumano poca energia, e hanno un attacco simile alla lampadina domestica media. I LED non riscaldano e possono avere una vita di più di 30.000 ore.
La
visione artistica di
immagini
Dalí
per
Submarine Fisherman (Pescatore sottomarino), ispirato dalle interpretazioni di Freud delle acque torbide dell’inconscio mentale, è una visualizzazione con più media. Dalí creò più dimensioni combinando insieme una trasparenza de Le demoiselles d’Avignon di Picasso con un ologramma a trasmissione (su cui dipinse la faccia di una ragazza catalana). La sfida nel creare il Pescatore sottomarino era di illuminare allo stesso tempo sia l’ologramma sia la trasparenza. Concepito nel 1971, il Pescatore sottomarino è in una collezione privata.
“dipingere”
3d
Mentre ci troviamo dentro ad un mondo digitale, con stampanti olografiche, penso spesso a cosa avrebbe fatto 64
al Teatro Museum di Figueras, che mostra due momenti completamente separati nel tempo, con due realtà separate comprese nello stesso spazio. Per creare l’ologramma, Dalí prese dei frammenti da due lavori preesistenti. L’opera finale, un ologramma a trasmissione di circa 45 cm per 60 cm, consisteva di due lastre. La prima era Las Meninas, un dipinto ad olio di Diego Velazquez. La seconda era un ologramma preesistente di tre uomini contemporanei seduti per la loro partita di poker settimanale. La visualizzazione di questo ologramma richiedeva un laser verde di 150 mW, posto ad un angolo di 45 gradi, circa 3,5/4,5 mt dietro alle lastre.
Nell’ologramma Polyhedron (Poliedro) l’obiettivo di Dalí era di creare un multivolume di spazio. Ciò venne realizzato combinando insieme quattro elementi. Con le superfici geometriche del poliedro, Dalí dipinse dei giocanti a pallacanestro che stanno diventando angeli. Si trovano anche una sfera di circa 6 cm del pianeta Terra, un ritratto di Dalí mentre dipinge in uno specchio la moglie e musa Gala, e una fotografia di Dalí bambino.
Brain of Alice Cooper (La mente di Alice Cooper) è uno stereogramma olografico a 360 gradi con l’immagine della rock star Alice Cooper fluttuante nel centro del cilindro. Un aspetto notevole di uno stereogramma olografico a 360 gradi è che registra anche il tempo, permettendo all’artista di lavorare nella 4a dimensione. Lo stereogramma auto olografico misura circa 25 cm per 40 cm di diametro, è stato concepito nel 1973 ed ha una piattaforma girevole motorizzata.
Holos! Holos! Velázquez! Gabor! è un ologramma concettualmente complesso, concepito nel 1972 ed ora visibile
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Quando Dalí fu soddisfatto dell’opera, essa venne portata al laboratorio per essere registrata. Concepito nel 1972, questo ologramma a trasmissione di circa 45 per 60 cm è in una collezione privata.
Dalí Painting Gala (Dalí dipingendo Gala) è uno stereogramma auto olografico a 360 gradi. È un’intricata miscela di immagini che crea una miriade di angoli tra i diversi oggetti e le metafore simboliche percepibili. Concepito nel 1976, misura circa 25 cm per un diametro di 45 cm, ed è un ologramma arcobaleno a trasmissione “Benton” con luce bianca.
Dalí era un vero visionario, e creò ologrammi che avrebbero trasceso il tempo. Melting Clock (Orologio Molle) fu il naturale sviluppo del lavoro di Dalí nell’olografia e nella continua esplorazione del tempo e dello spazio. Concepito nel 1976 e prodotto nel 2003, questo ologramma a riflessione ad alogenuro d’argento, di circa 45 cm per 60 cm, presenta il concetto di molecole riciclate di un momento temporale concepito nel passato. L’ologramma dell’Orologio Molle di Dalí non poté essere realizzato durante la sua vita perché il sistema di illuminazione usato per riprodurlo produceva troppo calore. Il progetto fu ripreso con la tecnologia del XXI secolo dopo la sua morte, in omaggio al suo genio e alla capacità di vedere oltre i limiti del tempo. Dalí mi consegnò il progetto prima della sua morte nel 1989 per realizzarlo quando la tecnologia per crearlo fosse stata disponibile. Fui alla fine in grado di onorare la mia promessa con l’aiuto di un moderno laboratorio olografico, Laser Reflections, utilizzando un laser verde a impulsi a fibre di itterbio. 66
Approfondimenti multimediali (a cura di Claudio Mazzanti) Bibliografia Dalí in Holographic Space, di Selwyn Lissack e Linda Lissack, CreateSpace Independent Publishing Platform, 2012, racconta la collaborazione tra Salvador Dalí e Selwyn Lissack negli anni ’70 per utilizzare la luce laser come per dipingere, con lo scopo di cimentarsi nella terza e quarta dimensione. https://www.amazon.com/Dali-Holographic-space-Volume-1/dp/1467966444
Sitografia Sito realizzato da Selwyn Lissack sulla sua collaborazione con Salvador Dalí per realizzare ologrammi. http://www.dalihologram.com/
Introduzione generale all’olografia Comprende istruzioni per chi voglia realizzare ologrammi http://www.xmx.it/ologrammi.htm
http://www.copernico.bo.it/sito_old/subwww/ologramma/ologramma/www.oloaf.fasturl.it/default.htm
Ologramma Arcobaleno - Rainbow Hologram https://en.wikipedia.org/wiki/Rainbow_hologram
Gli ologrammi nella vita quotidiana di oggi http://www.chefuturo.it/2016/01/ologramma-research-olografia-laser/
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Dalí e gli ologrammi Salvador Dalí: les hologrammes https://www.youtube.com/watch?v=-ZJqEqysnn8
Brain of Alice Cooper (La mente di Alice Cooper) https://www.youtube.com/watch?v=gVhi7gi7_OA
The Dalí, The Cooper https://www.youtube.com/watch?v=RlSxjr869Bo
Holos! Holos! Velázquez! Gabor! https://www.youtube.com/watch?v=gRYidk8ULi0
Melting Clock (Orologio Molle) https://youtu.be/5VTBZzYqX7E?t=111
Olografia e Arte Holocenter - Center for Holographic Art http://holocenter.org/
Musée de l’Holographie, Paris http://www.museeholographie.com/
Global Images Hologram Art Collection http://www.globalimages-hologramartcollection.com/
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World’s Largest Laser Hologram Macquarie University, by Paula Dawson https://www.youtube.com/watch?v=RrGR-f1VNHI
MIT Museum: Holography Collection http://mitmuseum.mit.edu/collection/holography
MIT-Museum Holograms-1 https://www. youtube.com/ h?v=LkpBYne7SlU
MIT-Museum Holograms-2 https://www. youtube.com/ h?v=NXMuiUb9p-s
MIT-Museum Holograms-3 https://www. youtube.com/ watch?v=sQS6_ DbYIAw
2010: http://mitmuseum. mit.edu/exhibition/ luminous-windows2010
2011: https://www. youtube.com/ v=pn9tRvnqQYM
Mostra Luminous Windows 2009: http://mitmuseum. mit.edu/exhibition/ luminous-windows
Holographics North Inc. - Gallery http://www.holonorth.com/color.htm
Holographic Studios http://www.holographer.com/
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Salvador DalĂ e la quarta dimensione Thomas Francis Banchoff
Tratto dal sito http://archive.bridgesmathart.org/2014/bridges2014-1.pdf per gentile concessione di The Bridges Organization Traduzione di Claudio Mazzanti
Introduzione stata la Quarta Dimensione che mi ha messo in contatto con Salvador Dalí nel 1975 e le sfide nel cercare di visualizzare oggetti nella quarta dimensione ci ha tenuto in contatto per un decennio [Fig. 1]. In questo decennio ci siamo incontrati almeno una volta all’anno, per lo più a New York a inizio primavera. Solitamente prenotava due suites al St. Regis Hotel, una in cui risiedeva con la moglie Gala e una che usava come studio. Ogni volta che arrivava a New York, ci chiamava a Providence, Rhode Island, e ci chiedeva di portagli qualsiasi novità su cui stessimo lavorando, e voleva che vedessimo quello a cui lui stava lavorando. Questi incontri mi hanno dato l’opportunità unica di scoprire da dove questo straordinario artista trovava ispirazione per i suoi dipinti più matematici e come effettivamente li costruiva. Come disse il mio collega Charles Strauss la prima volta che fummo invitati: “Alla peggio ne tireremo fuori una buona storia”, e in effetti alla fine ne siamo usciti con un bel po’ di buone storie. Dalí è la persona più inusuale che io abbia mai incontrato (matematici inclusi!). Dalí dipinse il suo capolavoro “Corpus Hypercubus” nel 1954 [Fig. 2]. È considerato come uno dei suoi dipinti più popolari e conosciuti, dopo gli orologi molli. Gli orologi deformati sono spesso considerati come considerazioni sullo spazio-tempo, mentre “La Crocifissione”, come era originariamente chiamato, si occupa dello spazio quadridimensionale e presto divenne nota con il suo nome geometrico. Un anno dopo, nel 1955, visitai per la prima volta il Metropolitan Museum of Art a New York; ero uno studente liceale di 17 anni. Nel mio diario, scrissi una nota in Agosto: “La Crocifissione di Salvador Dalí è impressionante”. Non potevo certo immaginare quale effetto quell’incontro con l’artista avrebbe avuto sulla mia carriera.
È
1. Thomas Banchoff with Salvador Dalí at the St. Regis Hotel in New York City, 1975.
Background Ho letto per la prima volta della quarta dimensione nel 1948, quando avevo circa dieci anni. C’era una storia nei fumetti di Capitan Marvel su una visita a un laboratorio futuristico dove gli scienziati “stavano lavorando sulla settima, ottava e nona dimensione”. Un balloon esprimeva
2. “The Crucifixion - Corpus Hypercubus”, Dalí, Metropolitan Museum of Art, 1954.
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gonfiando e sgonfiando un pallone per simulare una visitazione dell’Ipersfera attraverso il nostro spazio. Solo pochi anno dopo, il numero di riferimenti alla quarta dimensione era cresciuto notevolmente. Accelerò ancora di più quando si diffuse la ricerca con i computer. Superfici poliedriche di dimensione superiore Quando lavoravo sulla mia tesi di dottorato con il Prof. Shiing-Shen Chern all’Università di California Berkeley, mi ricordai dell’ipercubo aperto di Dalí [Fig. 3]. Avevo bisogno di capire analogie di convessità per oggetti come i toroidi, e così mi misi ad approfondire le superfici poliedriche nello spazio-tre con la proprietà che ogni piano potrebbe separarle in al massimo due pezzi. Superfici lisce con questa “proprietà dei due pezzi” condividono le caratteristiche di rigidità con superfici convesse lisce per il fatto che due superfici isometriche di questo tipo devono essere congruenti. Ma i miei primi risultati mostravano una coppia di oggetti poliedrici che le cui proprietà non erano congruenti. Avevo capito che i toroidi poliedrici con sedici facce quadrilaterali sono proiezioni nello spazio-tre di un toroide nello spazio quadri-dimensionale costruito dalle facce quadrate di un ipercubo. Fu solo più avanti che feci il collegamento fra questa superficie poliedrica e il modello piegato verso l’esterno dell’ipercubo, la figura centrale del “Corpus Hypercubus” di Dalí [Fig. 2]. Tornato alla scuola di specializzazione, il Prof. Chern mi ha presentato a Nicolaas Kuiper, un visiting professor di Amsterdam. Kuiper aveva da poco dimostrato dei risultati per le superfici lisce in spazi a quattro e cinque dimensioni che soddisfacevano una condizione equivalente alla proprietà dei due pezzi. I suoi risultati mostravano che non c’erano superfici lisce con questa proprietà in nessuna dimensione superiore a cinque. Quando parlammo, Kuiper suggerì che cercassi analoghi risultati per le superfici poliedriche, ma dopo due settimane, scoprii che era possibile costruire superfici con quella proprietà con facce quadrate in cubi di ogni dimensione. La teoria dei poliedri era completamente diversa da quella delle superfici lisce, una situazione sorprendente. Analizzare questi esempi divenne la base della mia tesi di dottorato nel 1964.
3. Unfolding Hypercube Sequence, “Beyond the third Dimension”.
il pensiero del ragazzo reporter: “Mi chiedo cosa sia mai successo alla quarta, quinta e sesta dimensione?”. Questa idea di altre dimensioni ha catturato la mia immaginazione e decisi di rimanerci attaccato. E lo sono ancora. Più tardi, mi ha influenzato un altro fumetto di fantascienza chiamato “Strange Adventures”. Vi si raccontava di un blob informe che compariva da non si sa dove, cresceva enormemente per poi ridursi e sparire. Il personaggio scienziato spiegava che doveva venire dalla quarta dimensione, e dimostrava l’analogia dimensionale premendo con un dito su un fazzoletto di carta. Un quadrato che vive sul fazzoletto, diceva, potrebbe guardare come cresce la sezione del cerchio, poi si ritirava e spariva appena tirava indietro il dito. Allora avevo 16 anni, e avevo pure formulato una teoria della Trinità basta su quell’analogia dimensionale, e l’avrei raccontata ad un qualsiasi insegnante o compagno che avesse voluto ascoltare. Avevo già letto “Flatland” e sapevo come rispecchiare la visita della Sfera attraverso il piano 72
Quando cominciai a presentare i risultati della mia tesi, mostrai un modello di poliedro che può essere assemblato in uno spazio a sei dimensioni per formare una superficie con la proprietà dei due pezzi, e imparai come ripiegarla su un piano. Piegando un poliedro simile, ho costruito l’ipercubo, la figura centrale del quadro di Dalí. Nel 1975, è stata un’immagine di questo modello spiegato che mi portò a contatto con Dalí. Nel 1967 cominciai ad insegnare alla Brown University. Un collega scoprì il mio interesso per la geometria a quattro dimensioni e mi presentò il lavoro dello scienziato di computer Andy van Dam. È stato Andy che mi ha indirizzato al suo studente di dottorato Charles Strauss che aveva costruito una “lavagna tridimensionale” per un design industriale interattivo. Charles stava cercando nuove possibili applicazioni. Dato che io avevo molti problemi di visualizzazione che richiedevano nuove tecniche, una collaborazione era naturale, ed io e Charles lavorammo insieme per i successivi 12 anni. Uno dei nostri primi progetti è stato lo studio di un ipercubo formato dalla traslazione di un cubo tridimensionale in una quarta direzione, e poi proiettando il poliedro risultante di nuovo nello spazio tridimensionale. Con apparecchiature relativamente primitive, fotografammo le singole immagini e le mettemmo insieme per creare un film a 16 mm su questo oggetto e sulle sue rotazioni nella quarta dimensione. Usando l’analogo della tecnica per produrre mappe nella proiezione stereografica, producemmo una sequenza particolarmente bella di immagini di un toroide che si rivolta, chiamata “The Flat Torus in the ThreeSphere”. Stavamo diventando dipendenti. Nel 1973, quando andai a UCLA per il mio primo anno sabbatico, avevamo già prodotto le prime versioni in pellicola di “The Hypercube: Projections and Slicing” ed anche di un film che avevamo chiamato “Complex Function Graphs”.
4. Whashington Post Style Section, January 22, 1975, page 1 (In alto), Washington Post Style Section, January 22, 1975, page 2 (In basso).
Post. Mi intervistò per un paio d’ore in un ristorante, fermandomi ogni volta che menzionavo un nome o un termine tecnico per essere sicuro di sapere esattamente come si scrive. Con lui c’era un fotografo che mi fece una foto mentre tenevo un ipercubo aperto. Esattamente la mattina dopo il suo articolo venne pubblicato sul Post, con la mia foto con la superficie aperta e nello sfondo il “Corpus Hypercubus” di Dalí. C’era anche un’immagine dell’ipercubo rotante. Quando il giorno dopo parlai col giornalista, mi chiese cosa pensassi dell’articolo (figura 4). Gli dissi che mi piaceva, ma restò di stucco quando gli feci notare che aveva scritto male il mio nome in tutto l’articolo!
Meeting Dalí Entro il 1975 avevamo realizzato diversi film animati al computer, e avevamo cominciato a studiare le diapositive stereoscopiche. Nel gennaio di quell’anno, mentre stavo andando ad un meeting di matematica a Washington DC, mi presentarono Tom Zito, giornalista del Washington 73
5. Thomas Banchoff and Charles Strauss, 1980 (A sinistra) - Veronese Surface Sequence (A destra).
Quando tornai alla Brown University, Charles mi disse che era stupito che il Post avesse inserito il quadro di Dalí perché era chiaro che non avevano avuto il tempo per acquisire correttamente i diritti di riproduzione. Era ben noto che Dalí amava la pubblicità, ma secondo le sue regole. Ero un po’ spaventato quando un giorno, tornando da una lezione, trovai una nota della segretaria che mi chiedeva di contattare una persona a New York che “rappresentava Salvador Dalí”. Charles disse: “O è una burla o è una denuncia”. Quando richiamai, una donna che si presentò come la segretaria per gli appuntamenti del Señor Dalí, disse che lui si trovata a New York e voleva incontrarci. Potevamo andare? Chiesi a Charles cosa ne pensasse, e lui se ne uscì con la battuta: “Beh, o è una burla o è una denuncia, ma alla peggio ne tireremo fuori una buona storia”.
Andammo a New York in treno e incontrammo Dalí nel cocktail lounge del St. Regis Hotel, dove teneva una specie di corte. Diversi visitatori arrivavano ed erano ricevuti da Dalí, e noi eravamo seduti ai suoi lati come “gli ambasciatori dalla terra matematica”. Aveva appena finito un progetto sulle immagini olografiche e si stava dedicando ad una serie di dipinti ad olio stereoscopici, per cui voleva discutere con noi le tecniche di visualizzazione. Fui impressionato dalla sua conoscenza dell’argomento e dalle sue domande sulle nostre diapositive stereo di superfici nella quarta dimensione. Quando gli mostrai il mio ipercubo pieghevole, era talmente preso che disse “dovrei averlo”. Non era esattamente una domanda. Quando gli chiesi di spiegarmi meglio, disse che stava allestendo un museo a Figueres, vicino a dove era nato in Catalogna, e voleva metterci un esempio di questo modello mobile.
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Ero impressionato dal fatto che conoscesse le immagini della teoria delle catastrofi di Renè Thom. Seppi solo più tardi che era già in contatto con Thom e che quelle stesse immagini sarebbero apparse nei suoi ultimi dipinti. Progetti e incontri annuali Nella nostra visita l’anno seguente, 1976, vedemmo il “Dalí Lincoln” o “Lincoln in DalíVision” mentre era ancora in fieri [Fig. 6]. Uno studio in bianco e nero dei Laboratori Bell aveva ridotto un ritratto di Abramo Lincoln ad un insieme di quadrati grigi, e Dalí vi vide l’opportunità di incorporarlo in un quadro colorato che sarebbe apparso completamente differente se visto da diverse distanze, un fenomeno che lui aveva già utilizzato in precedenti quadri. Lo vedemmo guardare attraverso il lato più piccolo di un paio di occhiali da opera per vedere come sarebbe apparsa la vista da una distanza di venti metri, dopo di che modificava il colore in un quadrato, e poi ripeteva il processo. Vederlo al lavoro era illuminante. In un altro incontro l’anno seguente, vedemmo Dalí lavorare su due diverse immagini di Raffaello dalle Stanze Vaticane, “La scuola di Atene” e “Incendio di Borgo”. Entrambe sono poste nelle stesse cornici semi-ellittiche, in modo che se guardate stereoscopicamente, la mente cerca di fondere le immagini negli occhi destro e sinistro, ma la sovrapposizione causa una “rivalità retinica”. I contenuti vanno e vengono dall’occhio destro al sinistro. Quando vidi l’opera in progress, non c’erano elementi aggiuntivi, ma alla fine Dalí inserì una coppia stereo di rettangoli colorati sovrapposti per forzare l’interpretazione binoculare [Fig. 7]. Nel 1980, Dalí era preso da un nuovo progetto sulla prospettiva distorta, il “cavallo di cento metri”. L’idea era che, uscendo da un museo, ci si sarebbe trovati a guardare la fronte di una grande statua di un cavallo con proporzioni perfette. Però, appena ci si muove di lato, diventa chiaro che il cavallo è ampiamente disteso, con le spalle a parecchi metri di distanza, e la groppa molto lontana, quanto un campo da calcio [Fig. 8, sinistra]. Dalí ci aveva inviato un modello di gesso di un cavallo, e Charles mise a punto uno scanner per realizzazione un set di curve orizzontali. Poi applicammo varie trasformazioni geometriche per mostrare le proiezioni prospettiche da
6.“Gala Contemplating the Meditterranean Sea which at Twenty Meters Becmes the Portrait of Abraham Lincoln (Homage to Rothko)” by Salvador Dalí, 1976.
Fui d’accordo. Era molto interessato ai nostri film stereo. Ci chiese di tornare a visitarlo due settimane dopo per mostrargli la nostra prima versione della superficie di Veronese, una rappresentazione del XIX secolo del reale piano prospettico (l’unica superficie liscia con la proprietà TPP nella quinta dimensione, come dimostrato da Kuiper) [Fig. 5]. Volle che incontrassi due dei suoi principali collezionisti, A. Reynolds Morse ed Eleanor Morse, che sarebbero rimasti un giorno in più a New York su sua insistenza. Portammo il nostro elementare apparecchio “divisore di raggio” e gli occhiali con lenti polarizzate, e discutemmo il valore dell’effetto stereo che non era così evidente come Dalí sperava. Si eccitò quando apparvero i pattern delle pieghe e delle cuspidi nelle diverse vedute della superficie, soprattutto per l’ipocicloide tricuspide che riconobbe come una “catastrofe ellittica ombelicale”. 75
7. “The School oh Athens” and “The Fire in the Borgo”, Dalí, 1979.
8. The Hundred-Meter Horse, signed sketch by Dalí, 1980 (A sinistra) - Horse from the Earth to the Moon, Sketch by Dalí, 1982 (A destra).
calcoli, essendo solo un cambiamento di scala. La stessa matematica andava bene per qualsiasi dimensione, anche se stava diventando evidente che il progetto sarebbe stato difficilmente realizzato. La terza volta in cui discutemmo il progetto fu l’anno successivo a Parigi, nel 1982. Dalí stava con Gala all’Hotel Meurice e non si sentiva bene. Secondo la persone che all’epoca seguiva i suoi affari, Dalí in quel periodo non riceveva visitatori, ma voleva parlare con me. Voleva di nuovo cambiare la scala, in modo che questa volta le spalle fossero sulla cima di una montagna e la groppa sulla luna [Fig. 8]. Per vedere la scultura dalla giusta prospettiva, bisognava essere nel punto giusto al
differenti punti di vista (uno era la vista dall’interno del cavallo, la “Visione del Mondo del Soldato di Troia”). Portai le immagini su cui stavamo lavorando all’inaugurazione della mostra di Dalí sulle pitture steroscopiche al Guggenheim Museum di New York, e curiosi spettatori guardavano da lontano io seduto su una panchina di New York a fianco a Dalí che guardava le prime diapositive. Nel 1981 Dalí propose un cambiamento di scala. Invece di cento metri, il cavallo avrebbe dovuto essere lungo cento chilometri, con le spalle lontane molti chilometri e la groppa sulla cresta di una collina. Lo schizzo mostrava Toledo da lontano. Non erano necessari ulteriori 76
momento giusto! Era sempre più chiaro che il progetto non sarebbe stato realizzato davvero, ma la matematica andava ancora bene. Dalí e la Teoria delle Catastrofi La nostra ultima visita in cui mostrammo film e diapositive avvenne a Pubol, vicino Barcellona, dove Dalí si era ritirato dopo la morte di Gala. Stava lavorando alle sue ultime opere, ispirate alle immagini della teoria delle catastrofi del suo amico René Thom, e potemmo vedere vicino al cavalletto un violoncello con la forma a S allungata, ricordo del segno integrale e di una curva cubica con un punto di flesso. La caratteristica forma di una catastrofe a coda di rondine rappresentava un calice. Quando guardammo l’ultima versione del nostro film sulla superficie di Veronese, Dalí si mostrò entusiasta all’apparizione della catastrofe visiva, suscitando l’apprensione delle infermiere presenti a cui spiegai che non stava vaneggiando ma piuttosto descrivendo esattamente quello che stava vedendo. Dalí era molto interessato ad essere accettato da scienziati e matematici, e René Thom era una delle persone che preferiva [Fig. 9]. A Dalí piacquero molto le immagini che apparivano nella teoria delle catastrofi, sviluppata da Thom, medaglia Field e membro perma-ìnente dell’Institut des Hautes Etudes Scientifiques di Parigi. Una delle principali caratteristiche di questa teoria era lo studio delle singolarità delle proiezioni di oggetti su piani e sfere. Normalmente le forme sembrano cambiare con continuità, ma occasionalmente c’è un cambiamento improvviso nella forma, qualche nuovo fenomeno che indica un cambiamento qualitativo che avviene in modi sorprendenti. Un esempio sono i cambiamenti che avvengono nella fisionomia di un paesaggio quando un alluvione sommerge gradualmente un aspetto della geografia. Più drammatici sono i drastici effetti di grandi eventi sismici come le scosse della terra e lo spostamento delle faglie durante i terremoti. Thom identificò un numero ridotto di fenomeni che sono caratteristici di questi cambiamenti qualitativi e li classificò usando formule algebriche che possono essere visualizzate usando la computer grafica. Molti di questi fenomeni sono famigliari agli ingegneri strutturali che studiano gli effetti delle forze su ponti, strade o palazzi. Il cedimento delle travi o l’allungamento delle molle oltre il
9. René Thom, 1923/2002 (In alto), “La Gare de Perpignan”, Dalí, 1965 (In basso).
loro limite elastico sono esempi di comportamenti estremi dovuti al carico graduale che un po’ alla volta comporta effetti molto ridotti, ma che improvvisamente causa un irreversibile cambiamento della forma. A Dalí e Thom piacque molto scoprire che entrambi erano affascinati dal fenomeno geologico di tre placche tettoniche che si uniscono nei Pirenei, non lontano dal confine fra Francia e Catalogna, a Perpignan. Il quadro di Dalí della stazione ferroviaria in quella città è uno studio estremo della prospettiva centrale, a contrasto con il ciclo routinario della preghiera quotidiana simbolizzato dalle figure dell’Angelus di Millet [Fig. 9 - a destra]. Dalí usò 77
quel fenomeno geologico come ispirazione per uno dei suoi ultimi dipinti, il solo che include esplicitamente una formula algebrica [Fig.10]. Questi cambiamenti sono molto familiari alla geometria differenziale che studia le immagini di superfici trasparenti quando ruotano o si deformano nello spazio. Per esempio, un toroide di rivoluzione visto da un punto sul suo asse ha una sagoma che apparentemente consiste di un paio di cerchi concentrici, ma appena il toroide ruota intorno ad una linea orizzontale, la sagoma improvvisamente sviluppa quattro cuspidi, un esempio di una “catastrofe a code di rondine”. Dalí apprezzava specialmente questi cambiamenti qualitativi nella forma che hanno luogo durante le continue deformazioni. Un fenomeno che trovava particolarmente interessante era l’apparizione di una forma a triplice cuspide nelle proiezione di un famoso modello del XIX secolo, la superficie di Veronese, così chiamata dal nome del matematico italiano che studiò le sue proprietà algebriche e geometriche. Una vista di questa superficie ha un punto centrale speciale che si dispiega in un “ipocicloide con tre cuspidi”. Una curiosa coincidenza mi condusse all’unico articolo scritto con René Thom, nel 1980 quando arrivai per una visita all’Institut des Hautes Etudes Scientifiques di Parigi. Thom accennò al fatto di aver appena pubblicato un articolo che comprendeva l’affermazione che una
deformazione di una cuspide di una mappa di Gauss su una superficie avrebbe sempre avuto un numero pari di cuspidi. Dissi che questo non era necessariamente vero e quando mi chiese un esempio, gli dissi che gliene avrei mostrato uno. Trovammo un proiettore 16 mm e guardammo come una curva piegata appariva avere esattamente tre cuspidi. Lavorammo sulle formule per mostrare che quello che vedevamo era effettivamente un fenomeno stabile, in modo che piccole perturbazioni mantenessero questo strano numero di cuspidi. Thom allora suggerì che scrivessimo insieme una nota su questo effetto per Comptes Rendus dell’Accademia delle Scienze di Parigi. Commenti Finali Era lo stesso esempio che Dalí aveva visto a Pubol, il castello vicino a Barcellona che aveva donato alla moglie Gala, e in cui si era ritirato dopo la sua morte. Potei incontrarlo proprio là dove la sua ultima opera “La coda di rondine” conteneva la coppia di cuspidi emergente dalle proiezioni di una superficie sul piano, per esempio le pieghe e cuspidi di un toroide di rivoluzione o una delle sue cosiddette deformazione conformi in una superficie ciclide. Il cavalletto su cui posava questa opera quasi completata aveva accanto numerosi testi contenenti diagrammi geometrici, compresa la monografia “Cusps of Gauss Mappings” scritta insieme ai miei colleghi Clint McCrory e Terence Gaffney. Quest’opera è considerata l’ultima opera maggiore di Dalí, e unisce ancora una volta simboli e forme matematiche e religiose [Fig. 11]. Nel Museo Salvador Dalí di Figueres, in Catalogna, vicino alla città costiera in cui era nato, si trova, dentro un grande contenitore di vetro, un ipercubo aperto in metallo lucente, vicino al modello in legno che Dalí usò quando disegnava e dipingeva il “Corpus Hypercubus”. Una fotografia di quell’opera è visibile su una parete. Inserendo una moneta nello slot lì vicino, il poliedro comincia a girare, mostrando la sua struttura pieghevole. Quando Dalí disse “dovrei averlo” nel nostro primo incontro circa trenta anni prima non potevo immaginare che la mia costruzione avrebbe avuto un posto permanente nel suo museo [Fig. 11]. Può essere un incontro memorabile, quando a incontrarsi sono matematici e artisti.
10. Topological Abduction of Europe, “Homage to René Thom”, 1983.
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11. “The swallow’s Tail”, Dalí, 1983 (In alto), Banchoff at the Dalí Museum, Figueres, 2004 (In basso).
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Approfondimenti multimediali (a cura di Claudio Mazzanti) Libri Thomas F. Banchoff, Beyond the third dimension: geometry, computer graphics, and higher dimensions, New York: Scientific American Library, 1990 (revised 2nd edition 1996) (ed. it. Oltre la terza dimensione. Geometria, computer graphics e spazi multidimensionali, Zanichelli, 1993). https://www.amazon.com/Beyond-Third-Dimension-Dimensions-Scientific/dp/0716760150 (ed. or.)
https://www.amazon.it/dimensione-Geometria-computer-graphics-multidimensionali/dp/8808141209 (ed. it)
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Tony Robbin, Shadows of Reality: The Fourth Dimension in Relativity, Cubism, and Modern Thought, Yale University Press, 2006. https://www.amazon.com/Shadows-Reality-Dimension-Relativity-Thought/dp/0300110391/
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Michele Emmer, Visibili armonie. Arte, cinema, teatro e matematica Bollati Boringhieri, 2006. https://www.ibs.it/visibili-armonie-arte-cinema-teatro-libro-michele-emmer/e/9788833917290
Rudy Rucker, La quarta dimensione. Un viaggio guidato negli universi di ordine superiore, Adelphi, 2011 (1a ed. it. 1994, ed. or. The Fourth Dimension, Toward a Geometry of Higher Reality, 1984). http://www.adelphi.it/libro/9788845926044
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René Thom, Modelli matematici della morfogenesi, Torino, Einaudi, 1985 (ed. or. Modèles mathématiques de la morphogenèse, Paris, 1974). http://www.mondadoristore.it/Modelli-matematici-morfogenesi-Rene-Thom/eai978880658560/
Vladimir Igorevich Arnold, Teoria delle catastrofi, Torino, Bollati Boringhieri, 2014 (1a ed. it. 1990, ed. or. Mosca, 1981). https://www.ibs.it/teoria-delle-catastrofi-libro-vladimir-i-arnold/e/9788833925684
Edwin Abbott Abbott, Flatlandia: Racconto fantastico a più dimensioni, Adelphi, 1993 (ed. or. Flatland: A Romance of Many Dimensions, 1884). http://www.adelphi.it/libro/9788845909825
Web Animating the 4th Dimension, by Thorsten Fleisch Interessante e completo articolo sulla visualizzazione animata della quarta dimensione. L’autore, Thorsten Fleisch, è un importante artista sperimentale tedesco, autore di diversi film proiettati nei più importanti festival internazionali di cinema sperimentale. È membro della direzione artistica del International Experimental Cinema Exposition. (Articolo in inglese). http://www.fleischfilm.com/html/texts.htm
L’uomo della quarta dimensione. Una festa per il matematico Banchoff. Articolo di Michele Emmer, matematico e scrittore, sulla storia della rappresentazione della quarta dimensione, da Flatland di Abbott fino agli studi di Banchoff. http://cerca.unita.it/ARCHIVE/xml/105000/100515.xml?key=Michele+Emmer&first=61&orderby=1 &f=fir
Video The Hypercube: Projections and Slicing Film realizzato nel 1978 da Thomas Banchoff e Charles Strauss, che illustra il rapporto fra quadrato (2d), cubo (3d) e ipercubo (4d), e visualizza le rotazioni dell’ipercubo nella quarta dimensione e le sue sezioni. Il film ha vinto il Festival Internazionale del cinema scientifico del 1979, ed è stato inserito nella sala dedicata alla Quarta Dimensione alla Biennale di Venezia del 1986. http://mediaburn.org/video/the-hypercube-projections-slicing-others/
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Hypercube 3D Computer Animation Animazione al computer della rotazione di un ipercubo nella quarta dimensione, proiettato in prospettiva 3d con immagini stereoscopiche, da guardare incrociando gli occhi. L’animazione venne realizzata nei Laboratori Bell Labs da Michael Nöll nel 1966. È la prima immagine di un ipercubo in rotazione e una delle prime animazioni digitali stereoscopiche. La qualità dell’immagine si è degradata durante il processo di digitalizzazione della pellicola originale 16-mm. https://www.youtube.com/watch?v=iXYXuHVTS_k
Proiezione in 3d di un Ipercubo quadri-dimensionale. https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/55/8-cell-simple.gif
Flatlandia Film di animazione animato ispirato al libro Flatlandia di Abbott, regia di Michele Emmer, musiche di Ennio Morricone, 1982. https://www.youtube.com/watch?v=A7DIhigATpI
Flatland - The Movie Cortometraggio d’animazione del 2007 diretto da Jeffrey Travis, tratto dal libro Flatland di Edwin Abbott Abbott. Miglior film di animazione all’EcoVision Festival 2009 e Premio speciale della giuria al MathFilm Festival 2008 di Berlino. http://www.flatlandthemovie.com/ https://www.youtube.com/watch?v=sFsarASGWRg
Flatland - The Film Altro film d’animazione tratto da Flatland, diretto da Ladd Ehlinger Jr., 2007. https://www.youtube.com/watch?v=Mfglluny8Z0
Cube 2 - Hypercube Film del 2002 diretto da Andrzej Sekuła. È il secondo capitolo della trilogia di film realizzata dopo il successo del film Cube - Il cubo di Vincenzo Natali. Il film ricalca il precedente, ma con una diversa ambientazione, dove si introduce la quarta dimensione e l’iperspazio. Il film ha vinto il premio della critica al Festival Internazionale del Cinema di Porto del 2005. https://www.youtube.com/watch?v=xyISQKoa5QY
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Conferenze del Professor Banchoff La quarta dimensione, Iperspazio matematico, Spazi multidimensionali Lectio Magistralis tenuta al Festival Bergamo Scienza 2010, audio in inglese doppiato in italiano. https://www.youtube.com/watch?v=YOav4Ohq4uo&list=PLinj5AVQ6LzMNkRXwPsTnx_ HHnn5CWQYb&index=25
Dalí and the Fourth Dimension Dalí Museum, 2012 (In inglese). https://www.youtube.com/watch?v=IiXck7SgSUA
Exploring the Fourth Dimension Brown University, 2013 (In inglese). https://www.youtube.com/watch?v=IhP9tbhIJrg
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DalĂ, pas de danse
Isabelle Rousssel-Gillet
Traduzione di Claudio Mazzanti
S
e si pensa ai rapporti fra la danza e la pittura, non c’è dubbio che ci appaiono spontaneamente i tutù di Degas, le ronde leggiadre di Matisse,1 i corpi apollinei danzanti di Duncan Grant del gruppo Bloomsbury,2 eppure c’è più di una ballerina in Dalí.
Seguiamo tre ballerine dell’universo daliniano: una Gradiva, una piccola saltatrice di corda che chiamerò Alice (dato che è la giovane dei disegni daliniani per illustrare Alice nel paese delle meraviglie) e La Tcherina nel balletto Gala realizzato nel 1961 con Maurice Béjart.6 E tre oggetti che ci possono guidare: la stampella (un oggetto tutore come la barra), il suolo (e la sua possibile spaccatura) e lo specchio narcisistico (e la questione del doppio). Tre oggetti che disegnano uno spazio di danza, come ci ricorda Béjart, il coreografo con cui Dalí, che aveva collaborato con Balanchine e Massine, creò Gala.
Le sue tele declinano a volte dei passi di danza: una ronde, un piqué (Dancing flowers, 1946),3 o un jeté colto al volo da un fotografo (Eric Schaal, Preparatory photograph for What Dalí Thinks About, 1942).4 Ma Dalí non mima né prende in prestito il vocabolario dei passi di danza che va ad illustrare. Lo reinterpreta, lavora sul paradosso contenuto nella stessa lingua, nella parola francese pas. Da una parte, dal latino passus, questa parola designa il movimento che si fa per avanzare e, per metonimia, l’impronta del piede, la traccia. È un uso «col senso proprio di distanza delle gambe», di passus, participio passato di pandere «stendere, spiegare», in particolare «aprire discostando» (spargere, diffondere). D’altra parte, è al primo uso della parola col suo valore astratto (di spostamento minimo) che si ricollega la negazione in francese «ne ... pas». L’ausiliare della negazione, pas, ci invita a guardare a ciò che ostacola il corpo: che sia lui stesso, Dalí, che monta su dei trampoli a un ballo5, o che siano i corpi delle Gradiva, una delle quali avanza dentro un tessuto di lacci contro il quale si appoggia, mettendolo così in tensione. Non è privo di significato il fatto che la negazione pas venne dapprima impiegata con dei verbi di movimento, in frasi come «il n’avance pas» (non avanza). Essa trae così origine dal camminare, ed è a questa origine nella lingua francese che Dalí si attiene o si lega. Invita, come vedremo, alla contrarietà del movimento.
Le pas de Gradiva - Il passo di Gradiva Cominciamo dal disegno di Gradiva ne La vita segreta di Salvador Dalí (pubblicato in inglese a New York nel 1942), in cui il corpo disegna delle linee di forza. È diversa dalla Gradiva doppia e a brandelli nel quadro dipinto. Lontani da una lettura di storia dell’arte che vi vede il motivo rivisitato del drappeggio attraverso un vestito di fili (che non vedrebbe poi il corpo), noi vi leggiamo un corpo moderno: il lavoro del corpo, della messa in tensione prevale sulla figura. Questo disegno è in un certo modo una metafora della danza stessa. Una danza che lavora a dei movimenti come il camminare e «a quelli che rifuggono costantemente da formule e figure».7 Gradiva è prima di tutto, nell’immaginario letterario, una passante memorabile, una figura di passaggio, da comprendere in questo gioco tra il da dove vieni e il dove vai, tra ciò che sai e ciò che ignori. I fili si tendono e rivelano la donna nel suo movimento. Con Dalí, più che con i pittori dell’iconografia della danza come Degas, ci troviamo al cuore di ciò che rende una danza più moderna: la tensione e il rilassamento. Gradiva viene tirata fuori dalle sue vele letterarie. È il movimento che prevale quando la pietra è più volentieri posata dalla critica come origine o orizzonte, figure di
Dalí ha dipinto Composition satirique. La danse de Matisse nel 1923, in cui i corpi sono ancora più leggiadri che nell’originale. 2. Nu féminin dansant, nu masculin dansant, progetto per un’imposta, 1912. Vedi anche Le Couple dansant di Vanessa Bell, progetto d’insegna 1925. 3. It’s all Dalí, catalogo Museum Bijmans Van Beuningen, Rotterdam 2005, p. 250. 4. Ibid, p. 338. 5. Il 3 settembre 1961 a Venezia, al Palazzo Labia, durante il ballo dato da Charles Beistegui. 1.
Vedi Frédérique Joseph-Lowery et Isabelle Roussel-Gillet, Dalí/Béjart: danser Gala, Genève, éditions Notari, 2007. 7. Véronique Fabbri, «D’une poétique de la danse l’autre», La Part de l’œil, n°24, 2009, pp. 11-25. 6.
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impronta8 o di essiccazione (Illustration for André Breton’s poem published in Violettes Nozières, 1933)9 fino allo scheletrico, in coerenza con delle interpretazioni collegate all’impronta e alla geologia della terra natale. In effetti, per caratterizzare le rappresentazioni della fine del XIX secolo, tra cui l’Aria Marcella di Gautier o la Gradiva di Jensen, Didi-Huberman insiste sul «dinamismo immobile in cui la modernità si è imprigionata», [...] «nella letteratura, tutte le grandi evocazioni di danzatrici sono evocazioni di danzatrici del fermo immagine, di danzatrici che entrano in agonia o in letargo, degli spettri, di danzatrici fatte di cenere o di lava raffreddata».10 Lo storico, a partire da una danza spagnola, si interessa a ciò che il fermo segnala: fare la morte e fare l’immortale. Entrambi contemporaneamente, cosa che ci porta a vedere doppio, e a non fermarci sull’alternativa morto o vivo. Sarebbe tuttavia andare troppo veloci, dimenticare lo statuto dell’immagine superstite, la problematica del rinascimento, contenuta nella narrazione di Jensen e nella produzione daliniana (1931-1942-1948-1961, percorso di una Gala-Gradiva rediviva).
onirique, 1934),12 una gamba assente o delle forme che richiedono delle stampelle/tutori per sostenere le protesi di un costume squilibrante (Philippe Halsman: Costume design on rooftop, 1953).13 Curiosa insistenza di Dalí che mette insieme danza e stampella, come dire danza e zoppia. Le sedie dei paralitici14 nell’ouverture del balletto Gala, da cui si alzano i danzatori, lasciano supporre l’infermità necessaria, la nascita di una danza dopo il suo contrario. Come nascere dopo la morte. La danzatrice di Destino Corpi pietrosi, muri in rovina delle tele o dello scenario del Tristan fou: a prima vista tutto è crepato in Dalí. Se spostiamo lo sguardo dalla stampella al suolo, verso il dialogo e la risonanza fra il piede e il suolo, cosa vediamo? Il suolo nelle sue tele è liscio, inalterato, superficie di ombre riportate, lavorate con tracce di luce e di passaggi, senza crepe. Non che Dalí non presti attenzione al suolo, come dimostra il suo sguardo sulla tela di un altro, la tomba nascosta de L’Angelus di Millet, traccia di morte ricoperta, o una miscela di sogni di pace e della volontà. Nelle sue tele, ho trovato ben pochi esempi di terra crepata, se non per una guerra annunciata. Paragonando due disegni15 del 1937, in quello intitolato Industrial life -premonizione della guerra civile una crepa segue l’Alice danzante. La crea del suolo spagnolo, nel film Destino del 1946 entra forse anch’essa in risonanza con la guerra. Tuttavia, questa contestualizzazione non dà conto da sola di ciò che è in gioco nei rapporti danza/suolo, un suolo che resta per lo più liscio sotto i passi della danzatrice, che le resiste, salvo poi franare e dissolversi in sabbia nel film Destino. Se guardiamo il suolo in Destino, da subito è crepato, come una pietra marmorizzata. Siamo forse vicini a quel «canto profondo [che] è un arte della terra da incrinare» (128) secondo Didi-Huberman? Insistiamo ancora su
Differenziandosi dalla mineralità rivendicata negli anni ’30 come ancoraggio all’ «ultralocale» del natio paese catalano, il cammino procede da una depietrificazione visibile al senso letterale (ill. Look magazine 14 settembre 1948).11 È l’indicazione di un disimpegno che seguiamo, dagli anni ’30 agli anni ’40, tanto più attivo quanto più l’ostacolo prende diverse forme: dei piedi lumache (Bal
Pilar Parcerisas, «Salvator Dalí, érotisme fossile d’une fantaisie rétrospective», Dalí sur les traces d’Eros, Colloque de Cerisy, édition Luca Notari, 2010, pp. 38-50. Le Gradiva sono presentate in relazione con i fossili di Cadaquès e come delle «immagini sopravvissute», «il fantasma di questa memoria sopravvissuta della storia dell’arte». Pilar Parcerisas fa del 1931 un anno cerniera «nella doppia cristallizzazione della figura spettrale di Gala-Gradiva», prima di analizzare un’altra coppia fossile: quella dell’Angélus. 9. It’s all Dalí, op. cit., p. 22. 10. Georges Didi-Huberman, Immobile à grands pas, conférence à l’ENS Paris du 16 décembre 2005. Citazione successiva: Le danseur des solitudes, Minuit, 2006, pp. 98-99. 11. It’s all Dalí, op. cit., p. 38. 8.
Ibid, p. 335. Dipinto usato per illustrare il numero del 24 february 1935 di The American Weekly. 13. Ibid, p. 263. 14. Lo storpio senza gambe partecipa dell’universo daliniano, dalla sceneggiatura di Babaouo agli anni ’60 quando Raimondo Lorrain gli porta delle fotografie di storpi senza gambe. 15. It’s all Dalí, op.cit., pp. 336 e 337. 12.
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questa differenza fra una «terra da incrinare» e una terra incrinata, tra un possibile e l’implacabile participio passato che ne risulta. Con tutte le precauzioni che si impongono sapendo che questo corto film d’animazione postumo è stato realizzato nel 2004 a partire dagli schizzi di Dalí (e non abbiamo visto nei suoi schizzi, a cui abbiamo avuto accesso, dei suoli crepati come si trovano nel film), notiamo che il suolo muta sotto i piedi della danzatrice, alla maniera di una clessidra, di una metafora del tempo. La sabbia non si può crepare, non può che raffigurare la forma e l’informe. Sotto la danzatrice, per il contatto della punta dei piedi il suolo frana, rendendo impossibile toccarlo con il danzatore. Fermiamoci su un aneddoto: Dalí calza delle scarpe troppo strette dietro i consigli di una ballerina. È almeno quel che scrive nel Diario di un genio e che racconta il biografo Michel Nuridsany. La costrizione produce una relazione al corpo dell’altro, attraverso l’invito di un discorso femminile, di questa ballerina che portava delle calzature due taglie più piccole della sua. Il piacere è così condizionato dalla costrizione attraverso i corpi che ha a che vedere col dolore, il suo eccesso, un «eccesso che può essere negativo: come un vuoto o una mancanza» secondo Daniel Sibony16. Aneddoto per aneddoto, Daniel Sibony ha avuto questa idea vedendo un uomo saltellare dopo aver preso un colpo a un piede, che egli analizza come un’«irruzione dell’altro». Quale Altro? Sibony, qualche riga dopo, fornisce la sua risposta ricordando una pièce di danza in cui Marina Abramovic è sdraiata nuda sotto uno scheletro posto sopra di lei. Citiamo Daniel Sibony: «cosa diventa il mio corpo nudo se quello dell’altro è disseccato o non risponde? Insomma, lei convoca l’evento del rapporto fra due corpi», uno nudo, l’altro scheletrico. La danza «mette a nudo», «esplora il giacimento narcisistico»17 e, aggiungiamo noi, i temi dello specchio e del gemello. L’Altro di Dalí è forse il corpo morto del fratello, la
sorella o Dullita-Gala. L’altro a cui Dalí ci confronta è la morte. Ed è ciò che ritorna nella sua collaborazione per il balletto Gala come mito della nascita attraversato dal suo contrario.
Il balletto Gala, scenografia di Dalí Sull’esempio della danza america contemporanea, Dalí ha affermato il legame tra la danza e il luogo, non esitando a portare una ballerina su dei tetti dei grattacieli newyorkesi. Alla Fenice, dove è stato creato il balletto Gala, Dalí mette in scena un’essenza femminile, un profumo contenuto in una bolla cristallina e, per contrasto, la carogna sospesa di un bue scorticato. Sono degli effetti scenici innovativi: un profumo che certamente ricorda il rituale di profumare la sala nell’epoca barocca, ma un profumo creato da Guerlain da mantenere dentro bolle quadrate. Mantenere nella tensione contrastante oppure scoppiare. Dalí sapeva perfettamente quali conseguenze avevano sulla danza le colature che le sue proposte scenografiche generavano. Le sue materie liquide hanno delle incidenze sul suolo (carogna che cola sangue, suolo bagnato per la neve carbonica ghiacciata). Questi effetti limitavano i passi di danza, cosa che conferma la preziosa testimonianza del ballerino Germinal Casado.18 La presenza di una carogna obbliga a porsi la questione dei corpi in gioco. Dalí scombina i passi dei ballerini che scivolano sulla neve carbonica caduta al suolo, crea le condizioni per degli incidenti. Lo spazio non è più piatto, è ciò che ci dice Frédérique Joseph-Lowery nel vederne la costituzione in teatro, è ciò che dimostrano ancora i dispositivi per far sparire il pavimento: Dalí aveva immaginato una botola per far sparire la cantante, artificio noto in teatro e decostruzione del suolo, trabocchetto. Dalí crea una scenografia mettendo in discussione anche la sospensione e la sublimazione (grande molla della danza classica coi suoi corpi standardizzati e la sua leggerezza). Così la danza diventa un pensiero del luogo, La Fenice.
«Trans-en-danse ou la danse comme excès», La Part de l’œil, numéro 24, 2009, pp. 209-217, pp. 209 e 216. 17. Nude with squeleton 1996 e anche Balkan Baroque II - 1997 Performance: «Nel mezzo della pièce, pulisco 1500 ossa fresche di bue, senza mai smettere di cantare delle canzoni popolari della mia infanzia». 16.
18.
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Dalí/Béjart, danser Gala, op. cit., pp. 57-62.
Ed è anche un pensiero del tempo, «una fenomenologia del tempo»,19 e Dalí non smette di pensare questo tempo. Il campanello di Alice, l’orologio e il luogo clessidra di Destino, occhio/orologio di Gala fermo alle 5.58, dimostrano che ha afferrato la danza nei suoi rapporti col tempo. Il praticabile dell’occhio che costringe La Tcherina ad una sola posizione o la botola auspicata che avrebbe permesso un gioco di sparizione e di passaggio, hanno lo stesso effetto: mettere in difficoltà, obbligare a trarsi di impaccio. Altri usi della parola pas realizzano questo valore di «passaggio»: dal 1160-1174, pas designa un sentiero, un passaggio difficile, spesso associato all’aggettivo mal (mauvais pas, brutta situazione). L’immagine utilizzata per evocare, con una connotazione rituale, il fatto di morire nella locuzione «passer le pas», è una forma coincisa per dire «passer le pas de la mort». Le rovine indicano un passaggio attraverso la loro crepa. Una crepa spalancata sull’essere diviso, morto e vivo.
Nei suoi giochi con il doppio (analogia formale, eco morfologici, uova gemelle), Dalí offre le potenzialità di ridirezione di cui parla Daniel Sibony a proposito dell’origine. Ciò che è in gioco tra lui e una figura di Gradiva, tra lui e sua sorella, tra lui e la sua terra natale, tra lui e la sua immagine, tra lui e Béjart, sono delle vie di mezzo abitate da un bambino surrogato, da un artista che coltiva i giochi, le separazioni, la distanza presa attraverso le risate, i passi, il movimento: il passaggio. Il passo (pas) è liberato perché è stato pensato nel suo rapporto con il tempo e con lo spazio: «Ricordiamoci», scrive Georges Didi-Huberman, «che pas è una parola dello spazio che si apre [...] e soprattutto una parola del tempo che si dispiega secondo differenti ritmi: «de ce pas» vuol dire senza ritardare, «pas à pas» vuol dire progressivamente[...]».21 E così avanzano le danzatrici nell’universo daliniano, pas à pas.
Con il fotografo Halsman, Dalí afferra la dinamica del movimento, distaccandosi anche dalla stasi classica delle foto dette di scena o di balletto, di cui decostruisce il genere. Vuole afferrare il passaggio,20 l’azione portata attraverso il verbo (riallacciandosi all’etimologia di danzare: «tirare, stendere»), e non la figura, espressa dal participio passato. Appare nella distensione di un salto, gioca alla cavalletta di cui ha disgusto. Le messe in scena con Halsman richiamano l’incidente di uno spruzzo o di una caduta. Dalí sceglie l’incontro fra ciò che si eleva e di ciò che già cade, di ciò che si prevede e di ciò che avviene. È così che in uno schizzo preparatorio per Gala, Dalí disegnò dei fotografi in scena che avrebbero dovuto afferrare «l’incidente», parola che scrive sullo schizzo offerto a Béjart.
aprile 2010.
Estratto adattato dalla conferenza in inglese di Isabelle Roussel-Gillet, «Dalí step of dance», Symposium Dalí today, Frédérique Joseph-Lowery (dir.) Queens College and The City University of New York, 22 e 23
Per altri balletti o tracce di danza da Dalí: - Dalí/Béjart: danser “Gala.” L’Art bouffe de Salvador Dalí, op. cit., “Historique des ballets de Dalí”, p.137-150, “Quelques repérages : la danse et Dalí”, p. 157; - Frédérique Joseph-Lowery, “Destino destiné aux enfants”, in Salvador Dalí: MedienSpielen, edited by Nanette Rissler-Pipka, Transcript, Bielefeld, 2007, p. 359-376; - Joseph-Lowery et Charles Stuckey Salvador Dalí, Drawing for Bacchanale. Ludwig II of Bavaria, 1939, Patrick Derom Gallery, Brussels, November 2013
Geisha Fontaine, «Objets de danse. Objets en tous genres», La Part de l’œil, op. cit. , pp. 103-111, p. 104. 20. In argot, danser significa puer (puzzare), ci insegna Alain Rey: «probabilmente allusione al movimento del formaggio che cola». Coincidenza con il colare del formaggio in latte dell’orologio di Destino. Baller è all’origine dei termini spagnoli, bal permette di designare sia la danza che il luogo. 19.
Georges Didi-Huberman, Le Danseur des solitudes, op. cit., pp. 119120.
21.
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Approfondimenti multimediali (a cura di Claudio Mazzanti) Balletti e opere teatrali a cui Dalí ha collaborato Bacchanale (sottotitolo The First Paranoic Performance), musica di Wagner (Venusberg dal Tannhäuser), coreografia di Léonide Massine, libretto costumi e scenografia di Salvador Dalí, prima rappresentazione New York, Metropolitan Opera House, Ballet Russe de Monte-Carlo, 9 novembre 1939. Bacchanale Quadro di Salvador Dalí per la scenografia del balletto, 1939. Nel programma dello spettacolo, Dalí, spiegava: “La scenografia rappresenta il Monte Venere (Venusberg vicino ad Eisenach), nello sfondo il luogo di nascita di Salvador Dalí, la piana di Ampurdàn, nel mezzo della quale emerge il tempio come quello dello Sposalizio della Vergine di Raffaello”. http://www.dalipaintings.com/bacchanale.jsp Disegni per Bacchanale h t t p s : / / w w w. w i k i a r t . o r g / en/salvador-dali/not_ detected_221205
Un balletto surrealista per Dalí, di Marino Palleschi, 2005 articolo sul balletto Bacchanale con disegni di Dalí e foto di scena (ITA) h t t p : / / w w w. b a l l e t t o . n e t / giornale.php?articolo=552
Labyrinth Basato sul mito di Teseo e Arianna, musica Settima sinfonia di Schubert, coreografia di Léonide Massine, libretto costumi e scenografia di Salvador Dalí; prima rappresentazione New York, Metropolitan Opera House, Ballet Russe de Monte-Carlo, 8 ottobre 1941. Scenografie di Dalí. https://www. wikiart.org/en/ salvador-dali/designfor-set-curtain-forlabyrinth-i
http://en.wahooart. om/@@/5ZKF7NSalvador-Dali-TheLabyrinth
Ritaglio con foto di scena e costumi. http://hprints.com/Salvador_ Dali_1941_Dalis_dream_of_Ballet_ Labyrinth_Minotaur_Costume_ Surrealism-55393.html
90
Foto di scena. http://balletalert. invisionzone.com/uploads/ monthly_07_2011/post848-014091500%20 1309926863.jpg
Romeo & Juliet Coreografia di Antony Tudor, Ballet Theatre (oggi American Ballet Theatre), 1943. Le scenografie progettate da Dalí non vennero poi realizzate, si trovano riprodotte in Ralf Schiebler, Dalí: Genius, Obsession and Lust (New York: Prestel, n. d.) 10, and in Juan Jos Tharrats, Artistasespa. Disegni e studi per la scenografia di Romeo & Juliet, Salvador Dalí, 1942. https://www.wikiart. org/en/salvador-dali/ design-for-the-setof-romeo-and-julietbackdrops-andwing-flats
https://www. wikiart.org/en/ salvador-dali/ design-for-the-setof-romeo-and-juliet
https://www. wikiart.org/en/ salvador-dali/studyfor-the-set-ofromeo-and-juliet
https://www. wikiart.org/en/ salvador-dali/ equestrian-paradepossibly-set-designfor-romeo-andjuliet
https://www. wikiart.org/en/ salvador-dali/decorfor-romeo-et-juliet
https://www. wikiart.org/en/ salvador-dali/juliets-tomb
Mad Tristan (Tristano Matto) Dal Tristano e Isotta di Wagner, coreografia di Léonide Massine, scenografia di Salvador Dalí, prima rappresentazione International Theatre, New York City, 15 dicembre 1944. L’oeil fleuri (no. 8), décor pour le ballet Tristan fou 1942-44 http://www.christies. com/lotfinder/Lot/ salvador-dali-19041989-loeil-fleuri-no5734378-details.aspx
Studi di Salvador Dalí per la scenografia, 1944. https://www. wikiart.org/en/ salvador-dali/studyfor-the-backdropof-mad-tristan-act-ii
Mad Tristan Quadro di Dalí, del 1939, alcuni anni prima del balletto. https://www.wikiart.org/en/ salvador-dali/mad-tristan 91
https://www. wikiart.org/en/ salvador-dali/studyfor-the-set-of-theballet-tristan-insane
Philippe Halsman, Salvador Dalí and a model with his painted backdrop for a ballet 1949 (fotografia). https://it.pinterest.com/ pin/297308012884205562/
Café de Chinitas Da un poema di Federico García Lorca, coreografia di Encarnación López Julvéz (La Argentinita), direzione musicale di José Iturbi, scenografie di Salvador Dalí, prima rappresentazione Metropolitan Opera House, New York, 1943. Il Café de Chinitas era un “Café cantante” a Malaga fino al 1937, famoso per gli spettacoli di flamenco e per i ripetuti scandali. Ad esso è dedicato un poema composto da Federico García Lorca nel 1931 per La Argentinita, cantante e ballerina di flamenco molto famosa all’epoca. Audio (voce de La Argentinita, al pianoforte Federico García Lorca): http://www. federicogarcialorca. net/cancionero_ popular/en_el_cafe_ de_chinitas.mp3
http:// federicogarcialorca. net/cancionero_ popular/en_el_cafe_ de_chinitas.htm
La Argentinita si trasferì poi negli USA e approntò nel 1943 lo spettacolo, definendolo “cuadro flamenco” e chiamando Salvador Dalí per l’allestimento. http://www. spainisculture.com/ en/obras_culturales/ el_cafe_de_chinitas. html
Ripreso nel 2004 dal Ballet Nacional de España, coreografia di José Antonio, prima rappresentazione al Festival Castell de Peralada. http://www. balletandopera.co m/?perfomance=3 144&page=catalo g (presentazione in inglese)
https://vimeo. com/46711204 (video di una rappresentazione, scarsa qualità).
Dipinti e progetti per la scenografia, di Salvador Dalí, 1943. https://www.wikiart. org/en/salvador-dali/ painting-for-thebackdrop-of-cafe-dechinitas
https://www.wikiart. org/en/salvador-dali/ stage-curtain-for-theballet-cafe-de-chinitas
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The Sentimental Colloquy, dai poemi di Verlaine, musica di Paul Bowles, coreografia di George Balanchine (attribuita a André Eglevsky) scenografie di Salvador Dalí, prima rappresentazione New York 1944. Bozzetto della scenografia. http://www.dalipaintings. com/sentimental-colloguy.jsp
Foto di scena. https://www.flickr.com/ photos/19002000/3484886482/in/ photostream/
The Three-Cornered Hat (Il Cappello a Tre Punte) Musica di Manuel de Falla, coreografia di Ana María, scenografia e costumi di Salvador Dalí, Ballet Español, prima rappresentazione New York, Ziegfeld Theater in 1949. Set Design per il balletto, denominati Los Sacos Del Molinero, 1949 https://www.wikiart. org/en/salvador-dali/ set-design-for-theballet-los-sacos-delmolinero
https://www. wikiart.org/en/ salvador-dali/ set-design-for-theballet-los-sacos-delmolinero-1
https://www. wikiart.org/en/ salvador-dali/ set-design-for-theballet-los-sacos-delmolinero-3
Salvador Dalí: Design for the Three-Cornered Hat Ballet, di Curtis Carter, Marquette University, 2012 (articolo in inglese) http://epublications. marquette.edu/cgi/vie wcontent.i?article=11 94&context=phil_fac
Video del Catalogo della Mostra Dalí and the Ballet: Set and Costumes for The Three-Cornered Hat, Milwaukee, Wis.: Haggerty Museum of Art, Marquette University, 2000. https://www.youtube.com/watch?v=IPCdai1WCBA
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https://www. wikiart.org/en/ salvador-dali/ set-design-for-theballet-los-sacos-delmolinero-2
Lynne Garafola, «Dalí, Ana Maria, and the ThreeCornered Hat,» 17-26, in Curtis L. Carter, Dalí and the Ballet, exhibition catalogue, Haggerty Museum of Art, Marquette. University, 2000 (articolo in inglese) https://academiccommons. columbia.edu/catalog/ ac:186062
Don Juan Tenorio Dramma di José Zorrilla y Moral, regia di Luis Escobar y Huberto Pérez de la Ossa, scenografie di Salvador Dalí, prima rappresentazione Madrid, Teatro María Guerrero, 1949, ripreso con modifiche nella scenografia nel 1950 Jaula (Boceto para la escenografía de «Don Juan Tenorio») http://www. museoreinasofia.es/ coleccion/obra/jaulaboceto-escenografiadon-juan-tenorio-0
Scenografie di Dalí 1950 https://www. wikiart.org/en/ salvador-dali/ backdrop-for-donjuan-tenorio
https://www.wikiart. org/en/salvador-dali/ design-for-the-deathscene-in-don-juantenorio
Salomé Musica di Richard Strauss, regia di Peter Brook, scenografie di Salvador Dalí, prima rappresentazione Royal Opera House, Covent Garden, Londra, 1953 Peter Brook’s Salomé, di Lukacs 2009 Articolo sullo spettacolo e sull’avventura capitata a Peter Brook: di ritorno da una visita a Dalí, stava riportando a casa i disegni quando venne assalito da dei banditi spagnoli, che alla fine gli lasciarono i disegni in cambio del pigiama. L’opera fu un fiasco totale, venne annullata dopo sei rappresentazioni, e Peter Brook perse il suo incarico di Direttore delle Produzioni al Covent Garden. http://lukacsrants.blogspot.it/2009/02/ peter-brooks-salome.html
Immagini e foto di scena. http://www.gettyimages.co.uk/detail/ news-photo/bulgarian-soprano-ljubawelitsch-charms-herod-played-by-newsphoto/3062047#bulgarian-sopranoljuba-welitsch-charms-herod-played-byfranz-into-picture-id3062047
http://www.gettyimages.co.uk/detail/ news-photo/bulgarian-soprano-ljubawelitsch-in-front-of-herod-in-a-newsphoto/3164554#bulgarian-sopranoljuba-welitsch-in-front-of-herod-in-acontroversial-picture-id3164554
http://www.gettyimages.co.uk/detail/ news-photo/franz-lechleichner-as-herodand-constance-shacklock-as-newsphoto/3094356#franz-lechleichneras-herod-and-constance-shacklock-asherodias-in-picture-id3094356
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Harvesters 1953 progetto basato su un poema del Barone Philippe de Rothschild, coreografia di Serge Lifarwith, musica di Henri Sauget, scenografie di Salvador Dalí, mai realizzato (restano disegni preparatori)
Gala Coreografia di Maurice Béjart, scenografia di Salvador Dalí, prima rappresentazione Venezia, Teatro La Fenice, 1961 (poi replicato al Théâtre des Champs-Elysées, Paris, 1962) http://chagalov.tumblr.com/ post/14262304550/ludmila-tcherinagala-th%C3%A9%C3%A2tre-des
Immagini della scenografia di Dalí con la prima ballerina Ludmilla Tchérina https://www.google.it/search?q=tcherina+b allet+dal%C3%AC&tbm=isch
Spettacoli ispirati a Dalí Gala, Maurice Béjart, 2004, un hommage à Dalí.
La Vie du danseur racontée par Zig et Puce, Maurice Béjart, 2006. Celebre spettacolo che è un po’ riepilogo artistico della poetica creativa di Béjart, in cui compare tra gli altri anche Salvador Dalí fra i personaggi. Zig et Puce erano due personaggi dei fumetti molto famosi in Francia fino agli anni ’50. http://owl-ge.ch/arts-scenes/danse/article/lausanne-bejart-quatre-fois-vingt-ans
La Verità, scritto e diretto da Daniele Finzi Pasca, Compagnia Finzi Pasca, prima rappresentazione Montreal, Théâtre Maisonneuve 17 gennaio 2013. Spettacolo derivato dal ritrovamento della tela per la scenografia del Tristano Matto di Salvador Dalí, recuperato dopo la prima rappresentazione del 1944 e da allora mai più esposto. http://finzipasca.com/it/creations/laverita/
https://www.thestar.com/ entertainment/visualarts/2012/11/05/ salvador_dali_painting_mad_tristan_ not_seen_since_1944.html
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Articoli generali su Dalí e il balletto Salvador Dalí: Design for the Theater, di Curtis Carter Marquette University, 2000 (ENG). http://epublications.marquette.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1298&context=phil_fac
Long lost Dalí theatrical backdrop returns to stage, di livius, 2012 Articolo su Dalí e il balletto e il ritrovamento della scenografia del Mad Tristan (ENG). http://www.thehistoryblog.com/archives/21199
Goodbye Dalí: A Surreal Experience at the Ballet, di Tina Sutton, 2013 articolo su Dalí e il balletto, e sul rapporto con Alicia Markova, una delle più importanti ballerine del XX secolo (ENG). https://themakingofmarkova.com/tag/labyrinth/
Dalí bailó para nosotros la Danza de la Sur-Realidad, s.a., s.d. (ESP). http://salvadordaliexplicado.myblog.es/salvadordaliexplicado/art/264286/Lo-que-nos-bailo-Dali-ladanza-de-la-surrealidad
Dalí, Ballet & Opera, audio di una conferenza di Peter Tush (ENG). https://www.youtube.com/watch?v=hHzCz2Tcyyo
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Film Destino Progetto del film con Walt Disney, disegni di Salvador Dalí, 1946 Realizzazione postuma dello Studio Disney, 2003. https://www.youtube.com/watch?v=1GFkN4deuZU
Opere di Dalí sul tema del ballo Dance 1944 https://www.wikiart.org/en/salvador-dali/dance
Untitled (Spanish Dances In A Landscape) 1946 https://www.wikiart.org/en/salvador-dali/untitled-spanish-dances-in-a-landscape
Rock ‘N Roll 1957 https://www.wikiart.org/en/salvador-dali/rock-n-roll
Twist In The Studio Of Velazquez 1962 https://www.wikiart.org/en/salvador-dali/twist-in-the-studio-of-velazquez
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Dalí nudo
Frédérique Joseph-Lowery
Traduzione di Paolo Scopelliti
È
bello, in questa foto anonima del 1933 [Fig. 1]. Un po’ magrolino, però bello, con mani forti. Mani virili, poggiate con sicurezza su gracili fianchi di giovinetto. Ha 29 anni, e porta solo sandali con calzini bianchi; questi ultimi, però, poco si notano, perché il loro candore si fonde col pallore del cuscino sul quale Dalí sta inginocchiato. Nudo e sfrontato, l’artista catalano fissa la macchina fotografica. Si scorgono i peli del pube, il pene s’intravede nell’ombra. Ventre piatto e peli sul torso, radi, che ne fan risaltare le costole. I baffi sono ancora ragionevoli: solo più tardi punteranno in direzione di una simulata follia. Ma ciò che soprattutto si nota è, ovviamente, la scultura che Dalí sta realizzando, probabilmente in gesso: scheletro o tegumento d’ignota creatura, essa gli si rizza dinnanzi, fallica e protuberante, frapponendosi fra lui e il nostro sguardo, come lo spettacolare timbro d’un bigotto censore, che sbarra il corpo e copre il fallo. La scultura, forse rimasta incompiuta, è ormai scomparsa; qui, però, essa riluce nel sole. In contrasto con la madida pelle di Dalí, la scultura si ritaglia uno spazio bianco nella foto, esibendosi. Essa esibisce il bianco di ciò che, sulla foto, manca eppur si erge - abbondante, in eccesso: un grosso sesso duro! Certo, Dalí ancora non grida la sua impotenza ai quattro venti; però, la potenza cui aspira lui non sta mica sotto l’ombelico, ma nella sua creatività: sicché, nel Diario di un genio, fa l’elogio dell’astinenza, spiegando che i continenti innescano un processo di sublimazione dell’energia libidica ritenuta, che va a tutto vantaggio della loro arte. La foto attesta dunque che, davanti alla creatività all’opera, il corpo mingherlino deve farsi da parte, inginocchiarsi addirittura!
1.
Ventun anni dopo, nel 1954 [Fig. 2], Dalí riprenderà la stessa posa. Stavolta s’inginocchia in un autoritratto, in cui si rappresenta di profilo. Ha ormai 51 anni, e ha preso peso; ma, sempre delicatino, non ha voluto che il suo ginocchio destro affondasse nella spiaggia, e ci ha messo sotto, per proteggerlo, il suo pesce preferito: una razza, liscia e dolce, che gli evita lo sgradevole contatto coi granelli di sabbia. Il colore che ha conferito alla propria pelle appare irreale: vorrebbe farci credere di esser dorato, lui come la spiaggia.
2.
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Smisurata, in questo quadro, non è più la protesi fallica, bensì la lunghezza del titolo: Dalí nudo in contemplazione davanti a cinque solidi regolari mutati in corpuscoli, all’interno dei quali appare d’improvviso Leda, cromosomatizzata dal viso di Gala. Qui pure, il sesso non si vede, ma s’indovina: è appena l’ombra di un sesso, ridotto com’è a una discretissima peluria nera. Una conchiglia di riccio di mare, sospesa in aria, dovrebbe coprirlo; risveglia invece la curiosità dello spettatore, il quale si accosta vieppiù al quadro, per scrutare il dettaglio. La prova della conchiglia vuota, disposta qui a protezione del membro virile, fu escogitata da Dalí per determinare il momento in cui avrebbe dovuto considerare finito un proprio quadro: lui stesso ha spiegato la procedura da seguire nei Cinquanta Segreti magici (un trattato di pittura, in cui profonde consigli e suggerimenti per un suo immaginario apprendista): Prendete la conchiglia vuota di un riccio di mare particolarmente grande, la quale presenta un’apertura pentagonale, comunemente nota come «lanterna di Aristotele». Con la cera, fissate a quest’apertura una lente di cristallo, col lato concavo vòlto verso l’interno della conchiglia. Prendete poi una tela di ragno, e tendetene i fili sulla lente, in modo di collegare l’un con l’altro i cinque vertici del pentagono: otterrete così una stella. Ora forate la vostra conchiglia sul lato opposto, aprendo in essa un foro, che possa accogliere un tubicino provvisto ad un’estremità di una lente d’ingrandimento: potrete allora vedere, per la prima volta nella vostra vita (dato che, prima di me, mai nessuno aveva pensato a spiare l’interno d’una conchiglia attraverso un foro artificiale) - voi vedrete, ripeto,
l’interno di una fra le più belle cupole naturali, che mai sia stato concesso ad essere umano di contemplare. La sommità di questa cupola comporta, come quella del Pantheon di Roma, un foro circolare che dà sul cielo. In quest’apertura, fate ora apparire un’immagine ridotta del vostro quadro: se esso, visto in queste condizioni, attraverso una tale lente, vi sembra terminato, allora è compiuto davvero; altrimenti, no. Provate voi stessi!1 Ecco dunque a cosa serviva il riccio di mare sospeso all’altezza del sesso! Nel suo trattato di pittura, Dalí ha illustrato il brano citato con un disegno, in cui ritrae se stesso intento a contemplare attraverso una lente un’immagine della Madonna, che qui assume le fattezze di Gala. è lo stesso soggetto che aveva già dipinto nel 1954, rappresentandosi inginocchiato dinnanzi alla sua Gala «cromosomatizzata»2; stavolta, però, lo strumento visivo non è puntato su di lei. Se volessimo seguire alla lettera i consigli di Dalí, dovremmo ora chinarci verso il quadro per individuare il sesso dell’artista; ma Dalí aveva anche suggerito di valutare la compiutezza di ogni tela osservandola attraverso la «lanterna di Aristotele».3 Qui, un dubbio ci assale: in quest’ultimo quadro, la rappresen-
3.
4.
Les Cinquante Secrets magiques, Éditions des Trois Continents, Losanna 1985, pp. 69-70 (trad. P. Scopelliti). 2. Dalí rappresenta Gala come una Madonna, ma nel titolo del quadro la chiama Leda. 3. La cosiddetta «lanterna di Aristotele» costituisce, in realtà, l’apparato masticatorio del riccio di mare. Per dipingere le cupole che, come qui, sormontano la testa di Gala, Dalí si è spesso ispirato alla struttura morfologica del crostaceo. 1.
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tazione del sesso di Dalí è da considerarsi compiuta o no? Domanda legittima, in quanto due autoritratti eseguiti da Dalí nel 1950 inducono a risposte opposte. A quell’epoca, Dalí ha 46 anni, ma si rappresenta come una bambina: Io, all’età di 6 anni, quando credevo d’essere una bambina, mentre sollevo con estrema precauzione la pelle del mare per osservare un cane che dorme all’ombra dell’acqua. La bimba che solleva la pelle del mare tiene in mano una conchiglietta, che replica e indurisce la forma della sua fichetta spleata. Una simile ridondanza appare sospetta. Più complessa, comunque, di quanto possa sembrare di primo acchito: infatti, nell’abbozzare questo quadro, Dalí aveva rappresentato la stessa conchiglietta, con la fessura sempre rivolta verso lo spettatore, ma duplicata in forma di pene! [Figg. 3-4] Insomma, una bimba provvista di pene, o un fanciullo che si crede bambina? Ambiguità di genere? Identità sessuale incerta? Qual è, esattamente, l’imago corporea di Dalí negli autoritratti? In quello del 1954, si è visto, Dalí occulta il proprio sesso con la famosa conchiglia: vuol dunque che la questione rimanga per sempre in sospeso, giacché non si vede niente. Vediamo ora in che modo Dalí conclude la descrizione della propria invenzione. La lente dovrebbe, in linea di massima, permettere di osservare un quadro in un universo chiuso: svolge perciò una funzione analoga a quella dello specchio, in cui Leonardo da Vinci consigliava ai pittori di guardare le proprie tele per valutarne la compiutezza. Grazie alla lente, Dalí (e noi con lui) vede il proprio quadro «chiuso e serrato tra i denti della perfezione di un universo finito e concluso»: quel che si vede, insomma, è un sesso (maschile o femminile?) ben serrato. In questa visione ideale potrebbe forse celarsi un fantasma latente di vagina dentata: dopo tutto, il foro naturalmente presente nella conchiglia del riccio è proprio quello destinato ad ospitarne l’apparato masticatorio. Ovviamente, questa è solo un’ipotesi. Ma forse, anziché cercare quanto ci vien nascosto da Dalí, dovremmo limitarci a guardare quello che c’è, e che lui ci mette proprio sotto il naso, in bella evidenza. Il buco di quest’universo chiuso, il foro che ci permette di scrutarne l’interno con una lente, Dalí lo rappresenta come un ano:
5.
6.
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una razza, accanto a un cane accucciato. Questo dramma, per quanto lontano nel tempo, non lo inquieta oggi come ieri. Stavolta Dalí si rappresenta come un reuccio asessuato, che riverisce devotamente una Madonna coi tratti smaterializzati della sua sposa. Non incarnata, ma somatizzata, Gala è qui puro sintomo. A farcela apparire tale è un neologismo: «cromosomatizzata». Con esso, Dalí allude alla cromolitografia (derivante dalla quadricromia), che fu molto usata nelle stampe popolari del sec. XIX, e che sarà poi sostituita dal procedimento Ben-Day di stampa in off-set, fondamentale nella tecnica di Lichtenstein. Ancòra una volta, Dalí anticipa i tempi: qui, col misticismo pop di un infante che, con la sua preghiera, sposa la Madre mentre la dipinge, giocando coi Ben-Day dots con l’innocenza di un bimbo! [Fig. 6]
una «luna», direbbero i Francesi. Nell’autoritratto del 1954, Dalí lo piazza un po’ al di sotto del proprio bacino: insomma, Dalí, col suo dispositivo complicatissimo, vuol mostrarci le chiappe! L’esitazione di genere negli autoritratti, il ritorno ossessivo delle stesse scene, sono evidenziate da motivi che ricorrono in tutti e tre i quadri: il medesimo cane accucciato, e poi la «pelle di mare», sempre. La persistenza di questi motivi mostra che Dalí vorrebbe, sì, tagliare il nodo gordiano della propria identità sessuale, ma si ritrova sempre al punto di partenza. Lo si capisce dal mare tagliente, svuotato della propria acqua, la cui vitrea superficie diventa quella di una lama. Ne dubitate, forse? Eppure, il cane che Dalí rappresenta sotto il pelo dell’acqua non è solo quello che lui aveva da bambino (lo dimostrano molte foto del suo album di famiglia),4 ma anche e soprattutto il fantasma di una tela rinascimentale, Il Martirio di San Cucufate, patrono di Spagna, realizzata da Ayne de Bru fra il 1504 e il 1509 [Fig. 5]. Identificandosi a San Cucufate, Dalí copierà nei proprî quadri un cane della stessa razza, anch’esso coricato. L’animale assiste placidamente alla crudele decapitazione: sotto la lama d’un coltellaccio, il sangue sprizza dalla gola squarciata del martire svestito, spandendosi sul suo mantello gettato a terra. Il mantello è rosso, quasi a voler prefigurare la pozza di sangue, che già va formandosi davanti al muso del cane accucciato. Alcuni vorranno forse vedere qui un’immagine ispirata dall’ansia della castrazione, ma io non mi sento di condividere una tale ipotesi: può paventare questa minaccia solo chi si creda provvisto di fallo, mentre Dalí dubitava sinceramente di averne uno. O vuole scimmiottare quell’ansia, come già aveva fatto nella foto del 1933, mettendosi in posa dietro ad uno smisurato pene di gesso; oppure evita di tagliare il proprio nodo gordiano, dipingendosi come bambino/a sia nell’abbozzo che nel quadro, in cui ci dice che si credeva una bimba. Il dramma di una decapitazione percorre dunque l’autoritratto del 1954, in cui, ormai per la terza volta, Dalí si mostra nudo su una spiaggia, inginocchiato su Els vint primer anys de Salvador Dalí, Museu del joguet de Catalunya, 2012, pp. 48 e 50.
4.
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Quando Sigmund Freud incontrò il suo ammiratore Salvador D alà Giovanna Disabato
Tratto dal sito inkorsivo.com per gentile concessione di inkorsivo.com
M
adrid, ora meridiana. Sedevo all’ombra di un albero del parco del Retiro, trafelata da un caldo micidiale che scioglieva i contorni delle cose, sotto i raggi perpendicolari del sole. Non avevo più la voglia né la forza di camminare e così mi ero distesa su una panchina a guardare il fogliame frusciare pigramente sotto la spinta di lievi aliti di vento caldo. Intorno a me - fatto strano - non c’era nessuno. L’atmosfera, forse per via del caldo torrido o più probabilmente per l’effetto che suscitano i posti deserti, mi appariva in qualche modo aberrante, fuori dalla ragionevole e rassicurante normalità. Mi sembrava che gli oggetti potessero da un momento all’altro spalmarsi al suolo come formaggio fuso sulla griglia e la terra tornare a popolarsi di spiriti, come migliaia di anni fa. Probabilmente i turisti dovevano essere migrati tutti verso i ristoranti o verso il carretto che vendeva limonate, all’ingresso del parco. Questa era ovviamente una delle possibili risposte razionali, ma avevo preferito raccontarmi un’altra verità: ero morta. Oppure ero chissà dove e stavo sognando. Avevo dunque provato a chiudere gli occhi per vedere se riuscivo ad addormentarmi nonostante fossi già addormentata temporaneamente o per l’eternità, cioè morta. Per quanto mi sforzassi, però, il sonno non arrivava e il mio esperimento non riusciva ad ottenere altro esito. Mentre mi interrogavo oziosamente sulle facoltà e i bisogni di un’entità incorporea, giunse alle mie orecchie, prima vago, lontano e confuso, poi sempre più vicino e distinguibile, il suono di uno scalpiccio strascinato, accordato al ritmico e ottuso rumore di un bastone da passeggio. Preferii non aprire gli occhi: da morti si possono fare incontri strani, forse più che da vivi, pensavo. I rumori si arrestarono proprio accanto a me e dopo un breve silenzio ecco! L’emissione indecente di un sospiro appagato e l’inconfondibile tonfo di un corpo pesante denunciarono senza ombra di dubbio l’avvenuto: qualcuno si era seduto accanto a me senza permesso chiesto né ricevuto. Stando allo schianto ovattato delle membra grevi, se non altro non poteva trattarsi di uno spirito. Ai miei occhi, quando li aprii, si presentò invece la paffuta figura di una donna vecchissima, bianchi i capelli, bianco il vestito e bianche pure quelle piccole ciabatte ai suoi piedi del tipo che vendono in farmacia, nelle quali aveva trascinato rumorosamente il suo corpo largo di tartaruga
rugosa. Che fosse uno spirito davvero? Ma dove si era mai sentito di uno spirito corpulento e, per di più in ciabatte? - Ehhh - la vecchia agitò una mano nell’aria densa, annuendo con aria seria - eeh si, giovanotto… - Parla con me? Perché, guardi, io sarei, cioè sono, una ragazza... - Sa? Quando Sigmund Freud incontrò il suo ammiratore Salvador Dalí io c’ero! - Ma dai! - tornai a stendermi indolente: non era uno spirito, era solo una vecchia che aveva perso qualche lunedì. Peccato. Ma la incoraggiai, dopotutto mi piacevano gli anziani, soprattutto quelli che raccontavano storie sconclusionate, quindi le dissi gentilmente: - Mi racconti. Sorrise sdentata al giovanotto immaginario nella sua testa. Sarà stata quasi cieca e forse pure un po’ sorda: che il mio incoraggiamento doveva esserle arrivato alle orecchie come un brusio indecifrabile lo dedussi dal fatto che aveva aggrottato le narici, come a cercare di annusare le mie intenzioni. L’odore evidentemente non le dispiacque perché proseguì: - Quando Sigmund Freud incontrò il suo ammiratore Salvador Dalí io c’ero! Era il 1938, la stessa data di oggi, il 19 luglio. Era stato quell’austriaco, all’epoca era uno scrittore famosissimo, oggi è ormai dimenticato dai più, Stefan Zweig si chiamava, a presentarli. Era un uomo tanto gentile, con quegli occhi buoni dietro gli occhialetti tondi e le sue idee pacifiste... si era lasciato convincere da Dalí ad organizzare un incontro con Freud. Erano tempi elettrici. L’Europa sull’orlo della guerra, Dalí che aveva rotto con Breton e i parigini tutti, che lo accusavano di simpatie verso il nazismo. Quei francesi! Ma a lui la politica non interessava; prendeva molto più sul serio sogni e deliri, insomma quello che oggi - dopo Freud, ahimè - chiameremmo inconscio. Io facevo la modella, sa? Lasci stare ora, tutta rughe e chili sono diventata. Allora facevo la modella e la mia figura era così sottile che i pittori potevano catturarla col pennello, ma io ero così 105
leggera che tornavo a fuggire. Ma anche da Parigi corsi via e precisamente con Dalí, verso Londra, nel 1938. Avevo vent’anni, ero una fata e non appartenevo a nessuno. Dalí lo capì, lo apprezzò e per qualche tempo dividemmo il nostro cammino inquieto. Non si faccia strane idee, caro mio!, con noi c’era anche sua moglie Gala, ed entrambi mi accolsero con amicizia. Ecco com’è che andò. Ora, lei deve sapere, giovanotto, che per i surrealisti Freud era un dio, o almeno un profeta. E per tutta risposta Freud odiava di cuore loro e la loro arte. Più veniva osannato, più li trovava una banda di cialtroni ubriaconi e pazzi senza possibilità di cura. Fu solo grazie a quello Zweig dagli occhi gentili che quel giorno si decise a fare un’eccezione e a concedere a Dalí un appuntamento in un caffè, nulla di più. Ma a Salvador tanto bastava: dare un volto a quel padre. Quel giorno persino Londra splendeva al sole di luglio...
mostrava. Tutt’intorno c’era silenzio. Quell’aria magnetica che emanava dal loro tavolo aveva ammutolito tutti gli avventori del caffè, sembrava che lì si giocasse una partita a scacchi. Il silenzio era tale e quale a quello che c’era qui oggi, prima che io cominciassi a raccontare questa storia. Il sole le era alle spalle e non riuscivo a guardarla negli occhi, questa singolare signora. Quanti anni doveva avere? - Ho novantanove anni, sa, giovanotto? Ma quel silenzio me lo ricorderò finché campo! Decisi che da quel momento in avanti avrei ascoltato il resto della storia ad occhi chiusi, magari così sarei riuscita a impedirle di leggermi i pensieri nello sguardo. - Dalí aveva già fatto un ritratto di Freud, l’anno prima, ispirandosi a delle riproduzioni di foto pubblicate sulle riviste. Era un ritratto piuttosto ordinario, fatta eccezione per gli occhi, che aveva disegnato come due pozzi neri. Durante il loro incontro, in quell’interminabile silenzio che non saprei descrivere, Dalí prese un foglio e ritrasse di nuovo suo padre Freud: nonostante adesso lo fissasse finalmente negli occhi, di nuovo al loro posto con la penna segnò sulla pagina bianca due buchi neri. Freud non gli parlò neppure e prima di alzarsi e andarsene, disse a Zweig: “Non ho mai visto un tal prototipo dello spagnolo. Che tipo fanatico!”. Ma il giorno dopo, è cosa nota, gli scrisse una lettera per ringraziarlo di avergli fatto conoscere il pittore.
Ero a bocca aperta. Che la storia fosse vera oppure no, ormai mi interessava poco. Delle sue parole non potevo dubitare. Quella vecchia avrebbe potuto raccontarmi della volta che aveva danzato la quadriglia con Cervantes e io le avrei creduto. La interruppi per chiederle a voce altissima, per essere sicura che mi sentisse: - Che ci faceva Freud a Londra? - Ovviamente sfuggiva ad Hitler. Povero Sigmund, in quell’anno la Gestapo aveva arrestato sua figlia Anna e aveva cominciato a fare irruzione nella sua casa, sempre più spesso, fino a quando lui era stato costretto a barattare l’esilio per sé e la sua famiglia con un’ingente quantità di denaro. Così era giunto a Londra, appena due mesi prima del nostro arrivo. Aveva ottantadue anni, era malato di cancro alla mandibola e molto meno ricco di un tempo, ma avessi visto che forza effondeva la sua figura quando con calma non studiata si sedette davanti a Dalí e lo ascoltò, in un perfetto silenzio, guardandolo negli occhi. Salvador gli mostrò un quadro che aveva dipinto, Metamorfosi di Narciso, la prima opera in cui aveva adottato il metodo critico-paranoico. Non sai cos’è? Non importa, non importa. Insomma, gli mostrò questo quadro e poi un articolo che aveva scritto per una rivista... ma Freud nulla, non parlava e lo fissava impassibile, non prestando la minima attenzione a quello che il pittore gli
- E il ritratto? - stavo per chiederle. Ma lei mi anticipò: Dalí fece un ultimo ritratto di Freud, nel 1939 e quella sì che è un’opera notevole. Questa volta dallo spazio tra gli occhi dello scienziato si solleva una voluta che sembra un punto interrogativo ma che diventa un’escargot – ci pensi? il cranio del padre della psicanalisi immortalato sotto la forma di una lumaca di Borgogna di quelle che i francesi cucinano in casseruola. Se vuoi mangiarne il contenuto devi estrarlo con uno spillo, altrimenti non c’è niente da fare, si rompe e non arriverai mai fino in fondo, così pare si spiegò Dalí al riguardo... Ma io ormai avevo lasciato lui e Gala a quel tempo... 106
quel disegno fatto in un bar di Londra non era un ritratto qualunque, e non per la fama del suo autore. Da quel foglio Freud ancora vivo li fissava già morto. Insomma, giovanotto, quando Sigmnd Freud incontrò il suo ammiratore Salvador Dalí non c’ero solo io, giovanotto, ma c’era anche un gran silenzio strano, un’atmosfera densa e, invisibile tra noi, la signora morte. Fu quella che Dalí vide e immortalò. Per questo Zweig non volle mai mostrare il ritratto a Freud.
- E il ritratto del loro incontro? - chiesi a voce più alta che potei, tanto che un uccello frullò via sopra la mia testa. - Ah quello! Quello Freud non lo vide mai... - E perché? - Zweig si rifiutò di mostrarglielo. - E perché?
La voce tacque per quelli che mi parvero un paio di minuti prima che io tornassi ad aprire gli occhi. Il posto accanto al mio sulla panchina, ovviamente, era tornato vuoto.
- Bhè, mi pare ovvio. Freud sarebbe morto di lì a poco più di un anno e Zweig credeva, cioè aveva capito, che
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Approfondimenti multimediali (a cura di Claudio Mazzanti) Death of Salvador Dalí USA, 2005, scritto e diretto da Delaney Bishop, cortometraggio - vincitore di diversi premi - in cui si racconta, in forma del tutto inventata e un po’ farsesca, l’incontro tra Dalí e Freud (ENG). https://vimeo.com/55922388 (in inglese)
Dalí in persona che racconta il suo incontro con Freud https://www.youtube.com/watch?v=xmVj2GEPmRs (ESP)
http://www.ina.fr/video/I00008241 (FRA)
La voce di Sigmund Freud nell’unica registrazione conosciuta, un’intervista alla BBC che risale al 7 dicembre 1938, solo 5 mesi dopo l’incontro con Dalí (ENG). https://www.youtube.com/watch?v=G5-sBVWDoxE
I rapporti fra Freud e il Surrealismo in una pagina del sito del Museo Freud di Londra (ENG). https://www.freud.org.uk/education/topic/76547/freud-and-surrealism/
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Salvador DalĂ tra storia e politica Riccardo Brizzi
UniversitĂ di Bologna
L
a vita di Salvador Dalí (1904-1989) incrociò alcuni dei più tragici eventi che segnarono la storia del XX secolo, ma la traiettoria che egli volle imprimere al proprio percorso artistico e biografico restò programmaticamente estranea a quelle vicende. La passione per le gesta dei grandi protagonisti della storia che a partire dagli anni Trenta si sarebbe tradotta in una malcelata ammirazione per alcuni tra i grandi dittatori del Novecento - lo caratterizzò sin dalla più tenera età, senza mai tradursi tuttavia in impegno politico coerente. Come artista egli non si sottrasse solo a un impegno militante, ma evitò con cura ogni coinvolgimento personale nei sanguinosi conflitti che sconvolsero la Spagna e l’Europa. Figlio di un libero pensatore catalano, manifestò sin da giovanissimo nel buen retiro di Figueras un’insofferenza verso il provincialismo locale e un’ammirazione verso il sovrano Alfonso XIII di Borbone, proclamandosi in alcune occasioni «anticatalano» senza tuttavia motivare le proprie posizioni o aderire alle ragioni dell’anti-separatismo. A interessarlo erano anzitutto la propria persona e la pittura. Assecondato nella sua passione artistica dalla famiglia, abbandonò nel 1921 la Catalogna per trasferirsi prima a Madrid quindi a Parigi, dove entrò in contatto con il vivacissimo ambiente culturale che animava la capitale francese nel primo dopoguerra, subendo le influenze del movimento dadaista e dei surrealisti. Strinse rapporti con Federico Garcia Lorca, Paul Élouard, Joan Miró, André Breton, Luis Buñuel, Pablo Picasso, dai quali la sua genialità artistica trasse alimento, coniugandosi con influenze più remote, dal Rinascimento italiano a Velázquez. Furono anni fondamentali nella definizione del suo profilo artistico, ricchi anche di stimoli per un impegno nella realtà politica del momento. Ma fu proprio nel periodo più fecondo della sua straordinaria carriera artistica (che probabilmente è compreso tra Il gioco lugubre del 1929 e Premonizione della guerra civile del 1936) che Dalí mostrò tutta la sua contraddittorietà politica. Nel 1932 la creazione in Francia dell’Association des écrivains et artistes révolutionnaires, sezione dell’analoga associazione creata a Mosca nel 1927, rappresentò un punto di approdo per numerosi intellettuali da André Gide a Paul Nizan, da Buñuel a André Breton. Le simpatie per
la rivoluzione sovietica non furono estranee al movimento surrealista, che costituiva la principale identità artistica di Salvador Dalí che, in quegli anni, amava definirsi anarchico e comunista. Ma apparve presto evidente come si trattasse di un’espressione priva di un’autentica adesione ideale: l’artista catalano non solo rifiutò di partecipare all’Association, ma espresse apertamente perplessità nei confronti dell’URSS e, a partire dall’ascesa al potere dei nazisti in Germania, mostrò un’attrazione morbosa verso la figura di Adolf Hitler, non mancando di dedicargli una copia del libro La conquista dell’irrazionale. Nei suoi scritti riferì della propria ossessione paranoica per il personaggio del Führer, che gli appariva spesso in sogno «sempre in vesti femminili [...] Ero affascinato dalla sua schiena tenera e grassoccia, sempre così ben fasciata nella sua uniforme [...]. La carne paffuta di Hitler, che immaginavo come la più divina carne di una donna dalla pelle bianchissima, mi attraeva». Secondo Dalí, Hitler avrebbe dovuto essere interpretato in un’ottica autenticamente surrealista, anzitutto per il valore estetico della sua immagine. Ma Breton e il movimento avevano iniziato a diffidare di un artista geniale ma politicamente ormai ritenuto troppo vicino alla destra. Nel febbraio 1934, dopo lo scandalo provocato dall’Enigma di Guglielmo Tell, che raffigurava il leggendario eroe svizzero con le fattezze di Lenin, il cui volto appariva contratto in un’espressione truce, si arrivò alla resa dei conti. Breton e i surrealisti gli intentarono un processo per cacciarlo dal movimento con l’accusa di essere fascista: un’espulsione che sarebbe arrivata solo nel 1939, dopo le polemiche che investirono l’artista catalano per l’atteggiamento dimostrato durante la Guerra civile. Un conflitto da cui Dalí si smarcò rapidamente, lasciando la Spagna con la moglie Gala (inizialmente alla volta dell’Italia, poi viaggiando tra Europa e Stati Uniti) e mostrandosi piuttosto disinteressato alle drammatiche vicende che lacerarono il suo paese e colpirono direttamente molti artisti a lui vicini. Il suo amico Federico Garcia Lorca fu fucilato dai franchisti all’inizio della guerra, Luis Buñuel fu costretto a un esilio da cui non sarebbe mai rientrato e durante il quale non avrebbe cessato di sostenere la Spagna repubblicana. Di fronte a questi eventi Dalí non mostrò pubblicamente alcuna 111
emozione. Anzi, non appena iniziò a profilarsi la vittoria di Franco, si affrettò a prendere le distanze dalle simpatie repubblicane di molti suoi colleghi: non onorò l’impegno di donare le sue opere in occasione di una raccolta di fondi internazionale per finanziare la causa repubblicana e giudicò Guernica, il celebre dipinto presentato da Picasso all’Esposizione mondiale di Parigi del 1937 raffigurante il bombardamento nazista sulla cittadina basca, un’opera «orribile» definendo l’autore un «piccolo arrivista». La Guerra civile lo indusse a trasferirsi prima in Italia poi in Francia, impegnandosi a valorizzare la quotazione delle sue opere, guadagnandosi lo sprezzante soprannome di «Avida dollars» coniato da Breton con un anagramma. Lo scoppio del Secondo conflitto mondiale e l’occupazione nazista della Francia lo indussero nuovamente a partire, questa volta per abbandonare l’Europa devastata dal conflitto e attraversare l’Atlantico. Nelle sue memorie ha ricordato non senza fastidio il momento in cui maturò la decisione: «Dissi a me stesso che la situazione stava diventando troppo “storica” e irritatissimo piantai a metà il quadro al quale stavo lavorando». Decise di imbarcarsi verso gli Stati Uniti disinteressandosi sostanzialmente agli sconvolgimenti prodotti dalla guerra, salvo restare profondamente turbato dall’esplosione dell’atomica su Hiroshima, che inaugurò un nuovo corso della sua pittura, fondato sulla cosiddetta mistica nucleare. Il seguito della sua vita attiene più alla cronaca mondana e alla sociologia della comunicazione che alla storia dell’arte e, tantomeno, all’impegno politico diretto. I traumi che avevano sconvolto l’Europa e il mondo avevano sfiorato solo tangenzialmente una personalità troppo egocentrica per lasciarsi condizionare dalle ferite della storia e che amava celebrarsi ricordando come: «Ogni mattina, appena prima di alzarmi, provo un sommo piacere: quello di essere Salvador Dalí!». A guerra finita Dalí rientrò in patria manifestando apertamente apprezzamento per il regime di Francisco Franco, al quale riconosceva il merito di aver riportato ordine e avviato la modernizzazione del paese. La sua vicinanza al Generalissimo si accompagnò ad alcune prese di posizione a effetto, che non mancarono di suscitare clamore. Nel settembre 1975 quando Franco ordinò l’esecuzione di undici terroristi baschi, ad esempio, Dalí
gli inviò un telegramma di congratulazioni scatenando un vespaio di polemiche anche al di fuori dei confini nazionali. Quando nel novembre dello stesso anno il dittatore spagnolo morì il pittore catalano si sentì improvvisamente isolato e privo di coperture politiche, in una congiuntura in cui la malattia cominciava a minarlo nel fisico. Trovò protezione nel re Juan Carlos, cui giurò immediatamente fedeltà, giungendo a dichiararsi, con una delle sue funamboliche definizioni, anarchico e monarchico. Indiscusso genio artistico del Novecento, Dalí lo ha attraversato mostrando immancabilmente opportunismo e sostanziale disinteresse verso le vicende politiche. Il suo continuo sottrarsi agli appuntamenti con la storia burrascosa del XX secolo può essere riassunto dall’icastico giudizio che George Orwell riservò all’artista catalano: «Quando la Guerra si avvicina egli ha una sola preoccupazione: come riuscire a trovare un posto dove si mangi bene e da cui scappare in fretta se il pericolo si avvicina troppo. Bisognerebbe essere capaci di tenere presente che Dalí è contemporaneamente un grande artista e un disgustoso essere umano».
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Approfondimenti multimediali (a cura di Claudio Mazzanti) Opere di DalĂ citate nel testo Il gioco lugubre 1929 https://www.wikiart.org/en/salvador-dali/the-lugubrious-game-1929-oil-collage-on-cardboard-1929
Enigma di Guglielmo Tell 1933 https://www.wikiart.org/en/salvador-dali/the-enigma-of-william-tell
Premonizione della guerra civile 1936 https://www.wikiart.org/en/salvador-dali/soft-construction-with-boiled-beans-premonition-of-civil-war
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Notizie Biografiche di Dalí Biografia con foto storiche http://www.salvador-dali.org/dali/en_bio-dali/
Il funerale di Dalí http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/01/26/addio-dali-lontano-da-gala. html
La tomba di Dalí https://it.wikipedia.org/wiki/Museo_Dal%C3%AD#/media/File:Salvador_Dali_Crypt_in_Figueres. jpg
Dos tumbas para Dalí (ESP) http://elpais.com/diario/2004/03/28/cultura/1080428402_850215.html
Bioanimazione di Vincenzo Coloccia https://vimeo.com/198420595
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DalĂ Experience Beniamino Levi
Curatore della Collezione The DalĂ Universe
L
a mia avventura come collezionista di Dalí, così come il mio personale rapporto con lui, ebbe inizio nei primi anni Settanta. All’epoca stavo organizzando presso la mia galleria d’arte a Milano una mostra surrealista incentrata sugli artisti più importanti che avevano fatto parte del movimento nel corso degli anni Venti e Trenta e su quelli che ne erano stati fortemente influenzati. Ero riuscito a raccogliere dipinti di Ernst, Picabia, Lam, Matta, Magritte, Masson, De Chirico e molti altri ma, purtroppo, non ero stato in grado di trovare opere di Salvador Dalí. Nessuna mostra surrealista avrebbe però potuto avere un senso in assenza delle opere del genio catalano, perché, senza Dalí, sarebbe inevitabilmente rimasta incompleta sia sotto il profilo storico che artistico. Dalí rappresentava infatti l’essenza stessa della teoria del Surrealismo: “L’unica differenza tra il Surrealismo e me, è che io sono il Surrealismo”. Di tutti gli esponenti del Surrealismo, Salvador Dalí fu l’unico a incarnarne e viverne pienamente i principi fondamentali. Partii quindi alla volta di Parigi per incontrare Dalí e acquistare alcuni dei suoi quadri, nella speranza di poter acquisire quelli più rappresentativi del suo stile. Devo ammettere che ero eccitato e nervoso di fronte alla prospettiva di incontrare un artista così famoso. Questo cruciale incontro, che ha di fatto cambiato la mia vita personale e professionale, si è svolto presso il famoso Meurice Hotel, dove Dalí usava soggiornare per quattro mesi all’anno (il resto del tempo lo trascorreva tra New York e la Spagna).
campi del sapere: astronomia, arte, filosofia e matematica, senza una logica apparente, e pareva poggiarsi su un livello puramente immaginativo. Nonostante mi sentissi confuso, fui affascinato dalla forza delle sue idee e dal carisma suscitato dai suoi bizzarri atteggiamenti densi di teatralità. Dopo averci riflettuto un po’ su, mi sono reso conto che il suo monologo, apparentemente senza senso, aveva significato se filtrato attraverso i “sensori” dell’irrazionalità razionalizzata. Questo primo incontro mi lasciò un segno indelebile sia a livello psichico che emotivo e finì per mutare il corso della mia vita personale e professionale. Non ebbi più occasione di incontrare Dalí da quel giorno fino a molti anni dopo la conclusione della mostra. Lo incontrai a Parigi, in quello stesso Meurice Hotel, per discutere dei miei rapporti con il suo lavoro. I risultati furono positivi e la nostra strana relazione si fece più stretta. Nel corso degli anni Settanta si susseguirono altri incontri, sia a Parigi che nella sua casa di Port Lligat, in Spagna. In tali occasioni ebbi modo di notare alcune sculture esposte nello studio in cui ci incontravamo. Ritenevo fossero le stesse che Dalí sosteneva di creare quando era solo e voleva rilassarsi dalle tensioni a carattere ossessivo e allucinatorio di cui spesso soffriva durante il giorno. Sapevo che il suo approccio alla forma scultorea era al contempo di tipo scientifico e metamorfico. Me ne aveva infatti parlato. Ne fui molto colpito. Chiesi a Dalí e al suo segretario se potevo acquistare le sculture che avevo visto e sollecitai Dalí a crearne di nuove. Fu così che iniziai a collezionare le opere scultoree di Salvador Dalí e a cercare in tutto il mondo quelle che aveva creato in precedenza. Il mio interesse si fece via via più intenso, fino a dar vita all’ambizioso progetto di riunire una vasta collezione di opere del “Dalí-Scultore”. Così come avevo scoperto in prima persona questo straordinario filone artistico rimanendone affascinato, ero altrettanto convinto che altri avrebbero potuto condividere questa esperienza. In breve, il mio obiettivo era quello di rivelare al pubblico l’opera scultorea di Dalí, creando una collezione da poter far
Il nostro incontro fu davvero straordinario e andò oltre ogni mia aspettativa. Quello che mi colpì fin da subito fu la sua egocentrica personalità. Dalí era molto incuriosito dal mio interesse nei suoi confronti e si lanciò in un monologo apparentemente senza fine, che non ero assolutamente in grado di fermare. Parlava in francese, sottolineando ed enfatizzando alcune parole in spagnolo, la sua lingua madre. Il suo discorso abbracciava molti 117
circolare e apprezzare in tutto il mondo, rendendo in tal modo giustizia a un aspetto significativo del genio creativo di Dalí nella terza dimensione.
della metamorfosi” che, secondo Dalí, era la sua percezione surrealista della realtà. Dalí era affascinato dalle proprietà del vetro, che consentivano la trasformazione magica di luce e colore in una forma tridimensionale.
Il compito era di proporzioni mastodontiche. Rintracciando queste sculture nel cataloghi di mostre surrealiste fui in grado di individuare molte opere d’arte create ed esposte da Dalí nel corso della sua illustre carriera. La mia è stata una ricerca emozionante e faticosa e, in ultimo, si è tradotta in un’importante collezione di Dalí che oggi sarebbe impossibile mettere insieme.
Dalí era altrettanto affascinato dall’oro e per tutta la vita creò oggetti utilizzando questo materiale. Per lui l’oro era una celebrazione dell’anima, un segno di purezza, e la garanzia di eternità. Noto per il suo amore per l’esagerazione e l’anticonformismo, Dalí disegnò la propria serie di monete d’oro raffigurante l’effige di Gala, sua moglie e musa, accanto alla sua. Utilizzando queste monete creò “oggetti montati”, dando loro significati nuovi e stravaganti. Emblemi sacri, animali mitici, ma anche oggetti di uso quotidiano, come ciondoli, uno specchio e una chiave. La tartaruga con la torre di monete d’oro allude al mito popolare di una tartaruga che porta il mondo sul dorso.
La mostra di Bologna è unica e la varietà delle opere esposte a Palazzo Belloni sta a sottolineare la diversità delle tecniche e dei materiali utilizzati da Dalí. Dalí è con ogni probabilità massimamente conosciuto per La Persistenza della Memoria, il suo iconico dipinto del 1931, una delle prime occasioni in cui apparve il suo orologio molle. Ma la sua opera artistica non si limitava unicamente alla pittura, come egli stesso ebbe modo di dichiarare: “La pittura è una parte infinitamente piccola della mia personalità”. Era un artista poliedrico che utilizzò diversi mezzi per esprimere se stesso, dalla scultura in bronzo all’oro, al vetro e ai libri illustrati.
La collezione di grafiche è il frutto della passione di Dalí per i libri e le grandi opere letterarie, il che dimostra che era uomo estremamente erudito e avido di sapere. La sua interpretazione surrealista di questi testi spazia dai classici fino a libri più moderni di autori contemporanei come Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll (1832-1898). Incurante delle polemiche e attirato dalle provocazioni, Dalí illustrò anche testi che all’epoca erano considerati rischiosi sotto il profilo politico o moralmente compromettenti, come ad esempio l’Arte d’Amare, basato sul classico di Ovidio che tanto scandalizzò i Romani del suo tempo.
Le sculture in bronzo evidenziano il potente effetto ottenuto dalla trasformazione in forma tridimensionale di immagini iconografiche tratte dai ben noti dipinti di Dalí, confermando il permanere del fascino che l’artista continuava a provare verso alcuni simboli e soggetti anche molti anni dopo averli concepiti per la prima volta. Nella sua opera scultorea altrettanto evidente è l’espressione fantastica, distorta ed esagerata che rende i suoi lavori immediatamente riconoscibili e unici, come unico era Dalí.
Siamo estremamente onorati di poter mostrare la nostra collezione a Bologna per due motivi in particolare. Il primo è legato al fatto che Bologna sta diventando sempre di più un polo museale nel panorama delle mostre itineranti italiane. Il secondo è legato al particolare progetto di “Dalí Experience” che, come spiega il titolo stesso della mostra vuole essere un’esperienza Daliniana. La collezione si presta in modo particolare a questo progetto multimediale che ci permette di “vedere” le nostre opere con altri occhi, senza stravolgere lo sguardo sull’opera si possono scoprire elementi surreali che trasmettono al
Le brillanti e luccicanti sculture in vetro sono di particolare interesse. Queste preziose opere d’arte figurative sono il risultato della collaborazione tra Dalí e la prestigiosa cristalleria Daum di Nancy, in Francia, nel corso degli anni Settanta e Ottanta. Dalí credeva che la pâte de verre (pasta di vetro) offrisse lo strumento perfetto per “l’espressione 118
visitatore un’esperienza che lo avvicina al lavoro in modo non convenzionale. Questa mostra segna un nuovo capitolo nella comprensione dell’artista catalano e rappresenta quindi un arricchimento anche per la nostra collezione. Non c’è un solo modo, e certamente non ce n’è uno giusto, per comprendere queste opere d’arte. Come afferma lo stesso Dalí: “Ciò che importa è moltiplicare la confusione, non eliminarla”. Ha aperto un universo di possibilità fantastiche, giocando con le immagini e distorcendo gli oggetti, ottenendo un effetto sorprendente. Era un rivoluzionario, uno degli artisti più creativi, provocatori e innovativi del XX secolo. Per mezzo di opere d’arte raccolte in tutto il mondo, al fine di onorare l’eredità di Dalí, ritengo che il suo genio apparirà evidente a coloro che visiteranno questa straordinaria mostra. Passando da una stanza all’altra si ha l’opportunità di conoscere uno spaccato della sua vita eccentrica, la sua appariscente ed enigmatica personalità rifluisce da ogni pezzo. La mostra è un’“esperienza” in sé e per sé, un’immersione nella sua fervida e vibrante immaginazione. Sono certo che i visitatori saranno sedotti dalla mostra così come ancora oggi lo sono io dall’artista, molti anni dopo il mio primo incontro con il grande maestro surrealista.
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DalĂ Experience. La Mostra
A true artist is not one who is inspired, but one who inspires others.
The dream is that psychic production that occurs during sleep and is characterized by images, perceptions, emotions that take place in an unreal or illogical. Or, rather, they may be released from the normal chain of logic of actual events, showing situations that, in general, in reality are impossible to occur.
The human body... is full of secrets drawers that can only be opened by psychoanalysis.
L’unique chose dont le monde n’aura jamais assez est l’exage’ration.
It’s a poor sort of memory that only works backwards.
Le moins que l’on puisse demander a’ une sculpture, c’est qu’elle ne bouge pas.
Those who do not want to imitate anything, produce nothing.
La beaute’ sera comestible ou ne sera pas.
The reason some portaits don’t look true to life is that some people make no effort to resemble their pictures.
CLAUDIO 8347
Je suis l’etre le plus paradoxal, le plus excentrique et le plus concentrique du monde.
Opere
Grandi sculture museali
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1. Alice in Wonderland bronzo, a cera persa | cm h 227 ideato nel 1977, prima fusione nel 1984 tiratura 7 più 3 EA, 2 HC, 2 EF 2. Homage to Fashion bronzo, a cera persa | cm h 179 ideato nel 1971, prima fusione del 1984 tiratura 8 più 4 EA, 2 EF 3. Nobility of Time bronzo, a cera persa | cm h 154 ideato nel 1977, prima fusione nel 1984 tiratura 7 più 3 EA, 2 HC, 2 EF 4. Mae West Sofa tessuti e legno | cm h 85 ideato nel 1936, creato in tessuto rosso e legno nel 1974 tiratura 8 più 4 EA 5. Persistence of Memory bronzo, a cera persa | cm h 191 ideato e prima fusione nel 1980 | tiratura 6 più 3 EA, 3 HC 6. Snail and the Angel bronzo, a cera persa | cm h 151 ideato nel 1977, prima fusione nel 1984 tiratura 7 più 3 EA, 2 HC, 2 EF 7. Space Elephant bronzo, a cera persa | cm h 277 ideato e prima fusione nel 1980 tiratura 6 più 3 EA, 3 HC 8. Space Venus bronzo, a cera persa | cm h 124 ideato nel 1977, prima fusione nel 1984 tiratura 7 più 3 EA, 2 HC, 2 EF 9. Saint George and the Dragon bronzo, a cera persa | cm h 148 ideato nel 1977, prima fusione nel 1984 tiratura 7 più 3 EA, 2 HC, 2 EF 10. Triumphant Elephant bronzo, a cera persa | cm h 265 ideato nel 1975, prima fusione nel 1984 tiratura 8 più 4 EA, 2 EF 11. Venus à la Girafe bronzo, a cera persa | cm h 240 ideato e prima fusione nel 1973 tiratura 8 più 1 EA, 3 HC 12. Woman Aflame bronzo, a cera persa | cm h 176 ideato e prima fusione nel 1980 tiratura 6 più 3 EA, 3 HC 13. Woman of Time bronzo, a cera persa | cm h 242 ideato nel 1973 e prima fusione nel 1984 tiratura 8 più 4 EA, 2 EF Intervento Diretto (creato da Dalí): l’idea, l’immagine, e la maquette originale Intervento Indiretto (creato dagli artigiani): fusione in bronzo a cera persa e patina
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Piccole sculture museali
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14. Swan-Elephant bronzo, a cera persa | 1967 tiratura 6 più 2 HC 15. Swan-Elephant bronzo, a cera persa | 1967 tiratura 6 più 2 HC 16. Lilith et la Double Victoire de Samothrace bronzo, a cera persa | 1966 tiratura 6 17. Mannequin Javanais bronzo, a cera persa | 1966 tiratura 8 più 4 EA 18. La Mite et la Flamme bronzo, a cera persa | 1964 tiratura 8 più 4 EA 19. Masque Mortuaire de Napoleon bronzo, a cera persa | 1970 tiratura 8 più 4 EA 20. Head of Beatrice bronzo, a cera persa | 1965 tiratura 6 più 2 HC 21. Head of Dante bronzo, con cucchiai d’argento placcato oro, a cera persa 1965 | tiratura 6 più 3 EA 22. Vestiges Ataviques apres la pluie bronzo, a cera persa | 1969 tiratura 8 più 4 EA Intervento Diretto (creato da Dalí): l’idea, l’immagine, e la maquette originale Intervento Indiretto (creato dagli artigiani): fusione in bronzo a cera persa e patina
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Sculture di Pasta di Vetro
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23. Anti-Fleur pasta di vetro bianca, gialla e verde, tecnica della pasta di vetro e tecnica a cera persa 1971 (tiratura 150) 24. Cyclope pasta di vetro blu, tecnica della pasta di vetro e tecnica a cera persa 1968 (tiratura 150) 25. Fleur du Mal pasta di vetro viola, tecnica della pasta di vetro e tecnica a cera persa 1968 (tiratura 150) 26. Guitare pasta di vetro ocra, bianca e oro, tecnica della pasta di vetro e tecnica a cera persa 1971 (tiratura 150) 27. Montre Molle pasta di vetro blu, cobalto e oro, tecnica della pasta di vetro e tecnica a cera persa 1988 (tiratura 850) 28. Oeil de Pâques pasta di vetro blu cobalto chiaro, tecnica della pasta di vetro e tecnica a cera persa 1969 (tiratura 150) 29. Poisson Malebranche pasta di vetro giallo-verde, oro e palla di cristallo, tecnica della pasta di vetro e tecnica a cera persa 1973 (tiratura 150) 30. Rhinocerotype Chippendale pasta di vetro bianca, arancione e rossa, tecnica della pasta di vetro e tecnica a cera persa 1972 (tiratura 150) 31. Venus de Milo Hysterique pasta di vetro verde e gialla, tecnica della pasta di vetro e tecnica a cera persa 1983 (tiratura 300) 32. Venus aux Tiroirs pasta di vetro blu cobalto e metallo, tecnica della pasta di vetro e tecnica a cera persa 1988 (tiratura 850)
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Intervento Diretto (creato da Dalí): l’idea, l’ immagine, e la maquette originale Intervento Indiretto (creato dagli artigiani): tecnica della pasta di vetro e tecnica a cera persa
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Dalí d’Or
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33. Key oro 18 carati, assemblaggio di monete d’oro 1967 (tiratura 300) 34. Cross oro 18 carati, assemblaggio di monete d’oro 1967 (tiratura 300) 35. Dalí Flower oro 18 carati, assemblaggio di monete d’oro 1967 (tiratura 300) 36. Mirror oro 18 carati, assemblaggio di monete d’oro 1967 (tiratura 300) 37. Pendant Avida Dollars oro 18 carati, assemblaggio di monete d’oro 1967 (tiratura 300) 38. Pendant Dalí- Gala oro 18 carati, assemblaggio di monete d’oro 1967 (tiratura 300) 39. Dalinian Pendant oro 18 carati, assemblaggio di monete d’oro 1967 (tiratura 300) 40. Isis Portrait Frame oro 18 carati, assemblaggio di monete d’oro 1967 (tiratura 300) 41. Cigarette Holder oro 18 carati, assemblaggio di monete d’oro 1967 (tiratura 300) 42. Glorious Sun oro 18 carati, assemblaggio di monete d’oro 1967 (tiratura 300) 43. Pendant Magic Serpent oro 18 carati, assemblaggio di monete d’oro 1967 (tiratura 300) 44. Dalí Tortoise Charm oro 18 carati, assemblaggio di monete d’oro 1967 (tiratura 300) Intervento Diretto (creato da Dalí): l’idea, l’immagine, e la maquette originale Intervento Indiretto (creato dagli artigiani): fusione delle monete e assemblaggio
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Libri illustrati
Alice in wonderland
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45-57. Alice in wonderland Carta, incisione | cm 58x42 | 1969 (n. 13). Dalí da sempre molto affascinato da questo libro, famoso tra adulti e bambini, lo riproduce impiegando tecniche diverse. In queste litografie egli utilizza colori cupi per raccontare il lato oscuro della storia, ed illustra alcune delle scene e dei personaggi piú conosciuti. La sua interpretazione di Alice è quella di una bambina eterna, alle prese con la confusione del mondo al di là dello specchio, con dei tratti di ingenuità e logica inspiegabile tipica dei bambini. Dopo tutti i suoi incontri nel mondo surreale, torna alla realtà illesa e senza essere cambiata. Così come Alice, anche Dalí percorse una strada lunga e tortuosa attraverso il mondo dei sogni.
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Bestiaire de La Fontaine
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58-68. Bestiaire de La Fontaine Carta, incisione colorata a pochoir cm 76x58 | 1974 (n. 12).
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Questa serie di racconti scritti da La Fontaine nel XVII secolo sono la reinterpretazione delle fiabe classiche di Esopo, che illustra la natura umana utilizzando degli animali per sfuggire alla censura. Vengono trattati vizi e virtĂş in storie diverse, ognuna delle quali si conclude con una morale. DalĂ adegua il suo stile al tono edificante di La Fontaine, e lascia che la sua arte sia limpida, trasparente e definita. I colori delicati danno vita a questo mondo di sogni e fantasia.
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Immagination et object dans le future
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69-78. Immaginazioni e oggetti del futuro Carta, litografia | cm 76x68 | 1975 (n. 10).
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Le immagini di queste litografie rappresentano la visione surrealista del futuro di Dalí, espressa tramite temi daliniani ricorrenti, come il telefono aragosta e l’orologio molle. Quello che Dalí spesso si preoccupa di fare è togliere oggetti dal loro contesto originale, ricontestualizzandoli in modo irrazionale attribuendo loro un nuovo significato.
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L’art d’aimer
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79-93. L’art d’aimer Carta, incisione | cm 56x38 | 1979 (n. 15).
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Questa serie di tre canti basati sulla galanteria, la conquista maschile e la seduzione femminile, scritta 2000 anni fa da Ovidio, ha scandalizzato a suo tempo la società romana. L’intenzione è quella di creare un umoristico manuale di seduzione, commentando la Roma contemporanea, ma viene vissuto come irrispettoso, e l’imperatore Augusto condanna Ovidio all’esilio a vita nel Mar Nero. Ciononostante la sua poesia é ancora attuale, ed ispira Dalí nella creazione di queste bellissime incisioni che raccontano gli incontri tra amanti. Le immagini dettagliate e i colori vibranti illustrano diverse figure mitologiche, come Apollo e Icaro in un contesto diverso dal solito, mostrando i loro sentimenti amorosi.
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Il Decamerone
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94-97. Il Decamerone Carta, incisione | cm 45x32 | 1972 (n. 10).
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Questi sensuali disegni traggono spunto dal Decameron, la famosa raccolta di novelle trecentesche di Boccaccio. La storia narra di un gruppo di dieci persone che, per sfuggire alla peste che martoria Firenze, si rifugiano in una villa lontano dalla città. Per passare il tempo in attesa della fine della quarantena ufficiale, ognuno di loro racconta una storia diversa ogni giorno per dieci giorni. Queste cento novelle rappresentano lo specchio della società fiorentina dell’epoca e sono colme di romanticismo, in notevole contrasto con quel periodo di morte. Dalí è ancora una volta attratto dai temi dell’amore e della morte e, nella realizzazione di queste incisioni a puntasecca, ha disegnato nudi femminili stilizzati, in varie pose.
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Les amoures jaunes
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98-107. Les Amoures Jaunes Carta, incisione + colore aggiunto e oro cm 39,5x29 | 1974 (n. 10).
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Queste incisioni si basano su un libro del XIX secolo del poeta francese Corbière. Dopo essersi trasferito a Parigi poiché malato, coinvolto ed ispirato dall’atmosfera dell’epoca si dedica alla creazione di poesie e racconti brevi che pubblica in un’antologia chiamata Les Amours Jaunes. Il suo stile barocco ed intenso gli portano un grande successo. Piú volte ha dichiarato di essere stato influenzato dalle immagini del mare tempestoso. Per queste incisioni Dalí utilizza molti dei suoi simboli ricorrenti per interpretare le scene tratte dal libro.
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Les songes drolatiques de Pantagruel
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108-132. Les songes drolatiques de Pantagruel Carta, litografia | cm 76x54 | 1973 (n. 25).
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Queste immagini colorate raccontano i giganti del libro medioevale di Rabelais, Gargantua and Pantagruel. Queste figure mitologiche, discendenti di bestie cannibali, sono rappresentate in tutta la loro esuberanza fisica. Dalí si concentra sulla connessione tra il mondo letterario di Rabelais e il mondo artistico del suo contemporaneo Hieronymus Bosch, di cui racconta l’universo delirante in queste litografie. È stato scoperto che piante allucinogene crescevano naturalmente vicino alla città natale di Bosch, e si crede che Bosch abbia dipinto sotto l’effetto di questi allucinogeni. Ogni immagine della serie presenta una “G” maiuscola, un chiaro riferimento a sua moglie Gala.
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Neuf Paysages
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143-151. Neuf Paysages Carta, tecnica mista | cm 38,5x38,5 1980 (n. 9).
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Neuf Paysages é un’estrosa ed elegante rappresentazione di paesaggi daliniani, creati con grande capacitá tecnica. Dalí passa tutte le estati della sua infanzia a Cadaqués, dove la sua famiglia ha una casa; il giovane artista visita spesso anche la vicina Port Lligat, dove, anni dopo, acquisterà una piccola casa di pescatori con sua moglie Gala. Ogni incisione di questa serie illustra i simboli preferiti di Dalí combinati con i paesaggi che l’artista si porta dentro fin dalla sua infanzia. L’impressione è quella di Dalí che vive un sogno surrealista nella pianura catalana, con soggetti come “Il cavaliere e la Rosa” o “L’Unicorno e la Dama”, “Il Pianista e il Pianoforte sciolto”. Per enfatizzare ulteriormente la sensazione di questi paesaggio, le stampe furono create in un color ocra sofisticato, con disegni in bianco e nero.
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MoĂŻse et MonothĂŠisme
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133-142. Moïse et Monothéisme Pelle di pecora, litografia | cm 64x50 1975 (n. 10).
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Queste bellissime litografie, basate su un opera tarda di Freud, sono incise su lastre d’oro e stampate su pelle di pecora. Dalí ammira Freud, viene fortemente influenzato dalla sua idea di psicoanalisi, e spesso lo cita nelle sue opere. In questo testo, Freud esamina la natura delle religioni in relazione alla sua teoria sul complesso di Edipo, e le similitudini che intercorrono tra figure paterne e divinità. Per illustrare questo libro, Dalí intreccia figure erotiche con simboli primitivi, illustrando molti credo di religioni diverse, e crea delle immagini che rappresentino l’ipotetico Mosé non ebreo di Freud, liberatore degli ebrei dalla schiavitù.
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Twelve Tribes
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152-164. Dodici Tribù d’Istraele Carta, incisione + colore applicato con stencil cm 65x50 | 1972 (n. 13).
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Dalí crea queste immagini in occasione del 25° anniversario dello Stato d’Israele. L’evoluzione di queste tribú attraverso i loro discendenti ha come risultato la creazione dello Stato d’Israele, cosí Dalí vuole ritrarre coloro che hanno dato origine alle tribú, i primi veri israeliani, e in questa edizione del libro il testo è sia in francese che in ebraico. Abba Eban, ministro degli affari esteri per l’Israele, dice “O per la loro ambiguità o per la loro ambivalenza questi ritratti hanno un grande significato per noi. Attraverso la sua immaginazione, abbondante e diversa, Dalí in questo album aiuta a raccontare la civiltà israeliana agli inizi, il suo carattere mistico e la sua evoluzione”.
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Sculture monumentali
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Profile of Time, bronzo, a cera persa | cm h 380 | ideato nel 1977 e prima fusione nel 1984, tiratura 8 più 4 EA Intervento Diretto (creato da Dalí): l’idea, l’immagine, e la maquette originale. Intervento Indiretto (creato dagli artigiani): fusione in bronzo a cera persa e patina
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Horse saddled with Time, bronzo, a cera persa | cm h 300 | ideato e prima fusione nel 1980, tiratura 8 più 4 EA Intervento Diretto (creato da Dalí): l’idea, l’immagine, e la maquette originale. Intervento Indiretto (creato dagli artigiani): fusione in bronzo a cera persa e patina
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Homage to Terpsichore, bronzo, a cera persa | cm h 375 | ideato nel 1977 e prima fusione nel 1984, tiratura 8 più 4 EA Intervento Diretto (creato da Dalí): l’idea, l’immagine, e la maquette originale. Intervento Indiretto (creato dagli artigiani): fusione in bronzo a cera persa e patina
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Dance of Time II, bronzo, a cera persa | cm h 302 | ideato nel 1979 e prima fusione nel 1984, tiratura 8 più 4 EA, 2 EF Intervento Diretto (creato da Dalí): l’idea, l’immagine, e la maquette originale. Intervento Indiretto (creato dagli artigiani): fusione in bronzo a cera persa e patina
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Installazioni multimediali
Le illusioni percettive sono uno dei temi più frequenti in Dalí. Una cosa può anche sempre essere un’altra. Un’ombra apparentemente normale può prendere vita. E invitarci ad entrare (attraverso un libro o uno specchio?) in un mondo dalle regole strane, di meraviglie (Wonderland), dove si può giocare seriamente, e come in ogni gioco scoprire nuovi mondi e nuove regole. La sagoma di Alice, apparentemente una normale ombra proiettata da un fascio di luce, prende vita e si anima, prima in modo appena percettibile e poi sempre più evidentemente, cominciando a saltare la corda, a scomporsi e infine... svanire.
L’occhio è un elemento ricorrente in Dalí, è l’occhio tagliato con cui inizia Un Chien Andalou, che si ritrova in Spellbound, e che Dalí riutilizzerà spesso (per scenografie di balletti, gioielli, fotografie, ecc.). Rimanda a Bataille (Storia dell’occhio), a Magritte (Il falso specchio), a Vertov (Il cineocchio), e a Fritz Lang (Dr. Mabuse). Questi occhi sono anche il simbolo della percezione moltiplicata di realtà poliedriche ed illusorie, oniriche e paranoiche. La scenografia realizzata da Dali per il film Spellbound di Alfred Hitchcock è stata ricostruita in 3d ed animata. Gli occhi osservano l’osservatore, lo immergono in un gioco di sguardi incrociati e incantati (spellbound: incantato), lo invitano e lo accolgono dentro lo sguardo di Dalí.
I cassetti attirati e attratti (attirés in francese ha entrambi i significati). I cassetti che attraggono e che sono da attirare a sé. Per scoprire dentro ad ogni cassetto i contenuti della mente di Dalí, i diversi ambiti di cui si è occupato. I cassetti che in Dalí rappresentano sia l’inconscio nascosto dentro le nostre menti (cfr. Freud), sia l’ordine razionalizzante che cerca di organizzare la fluida, molle, ambivalente realtà. Nella proiezione è ricostruito un paesaggio unendo insieme i Nove paesaggi (serie grafica di Dalí presente in mostra). Aprendo i cassetti, si attivano dei contenuti nella proiezione. Ad ogni cassetto corrisponde un ambito diverso di cui Dalí si è occupato (pittura, cinema, letteratura, design, ecc.). L’installazione dialoga con la scultura della donna coi cassetti di Dalí posta di fronte.
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Come to play with me (Alice) video installazione Loop, 2016
Spellbound Revisited video installazione Loop, 2016
Tiroirs AttirĂŠs installazione interattiva Loop, 2016
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Il tempo di Dalí si scioglie e perde il suo rassicurante ritmo. È un tempo molle, è il tempo del sogno, che va avanti e indietro in modo imprevedibile. È un tempo che passa (time go by), ma che può rovesciarsi. È una cosa che si fa chiamare tempo (go by time), ma che come ogni cosa liquida, prende la forma che gli diamo noi. Nella stanza improvvisamente la luce (la veglia) si spegne. Nel buio (nel sogno) appaiono alle pareti figure oniriche, simboliche, surreali, invisibili quando domina la luce. Su un orologio proiettato le lancette si confondono, si arrotolano, la rassicurante misura del tempo si perde e si scioglie. “È una ben povera memoria, quella che funziona solo all’indietro” (da Alice nel paese delle meraviglie).
Che rapporto possiamo ipotizzare fra surrealtà e realtà aumentata? È rimasto qualcosa del surrealismo nelle realtà aumentate e virtuali? Quali parentele e quali differenze possiamo cogliere in queste moltiplicazioni del reale, nel debordare della realtà rassicurante verso un surreale onirico e paranoico o verso un aumento virtuale e programmabile? Una grande cornice, come se fosse un quadro. All’interno, l’immagine della stanza a fianco, ripresa in tempo reale da una webcam, con i visitatori che passano. Nell’ambiente compaiono oggetti 3d animati che richiamano simboli tipici di Dalí: occhi volanti, uova fritte, corna di rinoceronte, ed un rinoceronte che passeggia tranquillamente in mezzo agli spettatori.
Dalí ci propone sempre un cammino in bilico fra stabilità e mutevolezza, rigido e molle, tangibile ed evanescente. La possenza dell’elefante è alleggerita da lunghissime ed esili gambe, il tempo che si scioglie è appoggiato ad un tronco secolare, i cassetti organizzatori adornano il corpo di una donna avvolta nelle fiamme distruttive. Tutto è sempre sospeso in una stabile impermanenza. Tutto potrebbe svanire... in un soffio. Due opere di Dalí sono state ricostruite in 3d e rese interattive attraverso il soffio dei visitatori su apposite ventole poste davanti ai monitor. Nella “Rosa meditativa”, soffiando si fanno volare via i petali della rosa. Ne “Il Sogno” la figura del quadro, inizialmente sgonfia, afflosciata, molle, si anima e si riempie al soffiare delle persone, fino a prendere la forma che ha nel quadro originale.
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Go by “Time� installazione ambientale Loop, 2016 (con Alessandro Vriz, pitture Elena Stanzani)
Augmented Surreality installazione Loop, 2016
A bout de souffle installazione interattiva Loop, 2016
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Le certezze della percezione sono messe in discussione da Dalí in molti modi. Dalle illusioni percettive di molte sue opere, alla proliferazione dei significati simbolici; dallo scioglimento del tempo alla moltiplicazione dello spazio; dalla scomposizione delle immagini alla costruzione di immagini virtuali. Utilizzando anche le tecnologie più sperimentali del suo tempo, come nel caso dei primi studi sul fotomosaico di Leon Harmon dei Laboratori Bell, in cui la scomposizione in pixel di un’immagine viene poi ricostruita visivamente dal cervello, all’origine delle famose litografie Lincoln in Dalivision. Una proiezione sulla parete di un’immagine pixelata che riproduce il quadro di Dalí intitolato Gala Contemplando il Mare Mediterraneo che a venti metri diventa il ritratto di Abramo Lincoln (1976). La proiezione è generata da una webcam che riprende le persone che passano. L’effetto finale, rafforzato dalle luci dai colori cangianti che cambiano continuamente il cromatismo dei pixel, è che invece di Lincoln, l’immagine che si intravede nella proiezione è quella delle persone riprese dalla webcam.
Nella continua e studiata costruzione del suo personaggio, Dalí si rivolge sempre ai suoi interlocutori con coinvolgente distacco. Imperturbabile e sempre serio, si lancia nelle elucubrazioni più ardite, dall’evidente intento provocatorio, ma mai banali o assurde. Critici e intervistatori vengono trascinati nella centrifugante affabulazione dell’essere “più eccentrico e concentrico del mondo”. Una lavatrice con dentro un critico (Tatti Sanguineti), sormontata da una poltrona su cui troneggia Dalí. Il critico e l’artista sono impegnati in un dialogo surreale, ognuno sembra parlare all’altro senza tenere conto dell’altro. Dalí è imperturbabile nel suo trono, distaccato e superiore; il critico è chiuso nel suo oblò e ogni tanto – inebetito dalle elucubrazioni di Dalí – viene centrifugato.
L’ipercubo è lo sviluppo del cubo in 4d (così come il cubo è lo sviluppo in 3d del quadrato 2d). La quarta dimensione non è ovviamente direttamente percettibile, è un costrutto matematico e geometrico teorico, uno spazio in fondo immaginario, oltre la realtà delle dimensioni abituali. Come il tempo si scioglie negli orologi molli, così lo spazio si perde in orizzonti sconfinati e in dimensioni non percettibili. L’installazione è incentrata su una struttura geometrica centrale che richiama l’immagine dell’ipercubo ripiegato verso l’interno. Gli specchi alle pareti moltiplicano la struttura geometrica all’infinito, in uno spazio che si perde in dimensioni indefinite. Al centro dell’ipercubo, quattro monitor riproducono animazioni tridimensionali stereoscopiche (da guardare con occhiali 3d) in cui i quadri del periodo atomico di Dalí si scompongono, gli elementi fluttuano nel vuoto, si ricompongono momentaneamente nella posizione del quadro originale, e di nuovo si dis-perdono.
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YouLincoln installazione Loop, 2016
Washing Machine Conversation video installazione Loop, 2016
Hypercubus 4d installazione Loop, 2016
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DALÍ AR Experience è un App di Realtà Aumentata realizzata in occasione della Mostra Dalí Experience. In punti strategici della città di Bologna sono stati posizionati virtualmente degli oggetti 3d animati, visibili tramite l’App di Realtà Aumentata. Scoprirete orologi molli, corna di rinoceronte, ipercubi, occhi volanti, e tutto un mondo surreale ispirato all’immaginario di Dalí che popola virtualmente tutta la città. L’utilizzo dell’App è semplicissimo: - guarda la mappa dei Punti AR che trovi nell’App - avvicinati a questi Punti AR - quando sarai nei pressi di un Punto AR si attiverà in automatico la webcam del tuo smartphone - guardati intorno con lo smartphone per scoprire gli oggetti 3d animati di Dalí - condividi su Facebook quello che stai vedendo sul tuo smartphone I Punti AR cresceranno durante il periodo della Mostra, allargandosi dal centro storico alla periferia., per coinvolgere anche le zone della città solitamente meno toccate. Per iOS e Android. Ovviamente l’App funziona solo nel territorio di Bologna in cui sono posizionati i Punti AR. 254
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Crediti AGLI EDITORI Art et Valeur; 133, 134, 135, 136, 137, 138, 139, 140, 141, 142 Celami, Ethis; 108, 109, 110, 111, 112, 113, 114, 115, 116, 117, 118, 119, 120, 121, 122, 123, 124, 125, 126, 127, 128, 129, 130, 131, 132 Daum Cristallerie; 23, 24, 25, 26, 27 28, 29, 30, 31, 32 Editions Les Maitres; 21 Francoise Petit; 17, 19, 22 Galerie du Dragon; 4 I.A.R. Art Recources; 1, 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 165, 166, 167, 168 Le Centre Culturel de Paris; 79, 80, 81, 82, 83, 84, 85, 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93 Les Maitres Contemporaines; 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68 Mafalda Marouf Davis; 18 Merrill Chase, Alan Rich; 69, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 77, 78 Orangerie Reinz, Senans A.G.; 143, 144, 145, 146, 147, 148, 149, 150, 151 Tim Gierig, Piere Belfond; 98, 99, 100, 101, 102, 103, 104, 105, 106, 107 Transword Art; 152, 153, 154, 155, 156, 157, 158, 159, 160, 161, 162, 163, 164 W.U.C.U.A. Jean P. Schneider; 14, 15, 16, 20, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45,46, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57 W.U.C.U.A. Jean P. Schneider, Pamela Verlag; 94, 95, 96, 97
Experience. Prodromi e paralipomeni Experience e rapporto con il territorio: un nuovo modo di pensare la mostra d’arte
L’Experience e la profanazione dell’arte
Claudio Mazzanti
Responsabile contenuti Dalí Experience - Loop
L’intensità e le doti più eccezionali saranno sempre inefficaci se vengono impiegate nella realizzazione di un’opera scontata, appartenente ad una tendenza morta che ha già esaurito e risolto tutti i suoi problemi. Al contrario un talento medio può essere molto efficace nel contesto culturale di un’arte di tendenza vitale. (in S. Dalí, Sì. La rivoluzione paranoico-critica. L’arcangelismo scientifico, BUR 1980, ed. or. 1971)
Se ascolto dimentico se vedo ricordo se faccio capisco. (Bruno Munari, ripreso da Confucio)
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o not touch, please. Non toccare. Questa frase, ricorrente come un sacro mantra negli spazi espositivi, ci ha sempre assillato. Non tanto per la sua rispettabilissima valenza pragmatica di protezione delle opere, quanto perché ci sembra sintetizzare l’approccio che ispira un modo di fare Mostre e di definire il rapporto con il pubblico. È un invito, o meglio un’imposizione, alla distanza; un’esortazione alla contemplazione passiva; una forma di separazione che sacralizza l’oggetto intoccabile. Ed è soprattutto una limitazione sostanziale dell’esperienza che si può fare di un’opera d’arte, limitazione per molti versi forse necessaria, ma troppo facilmente data per scontata. La domanda che ci poniamo da tempo è proprio questa: si può pensare ad un modo di raccontare ed esporre le opere d’arte che, invece di stabilire e rafforzare questa distanza castrante, cerchi di muoversi in una direzione opposta: stimolare una fruizione attiva del pubblico, proporre un’esperienza in grado di avvicinare l’opera, considerare l’immaginario di un artista anche come uno stimolo vitale e non solo come un meraviglioso retaggio del passato da riprodurre e conservare. Non siamo certo i primi a porci questi domande. Bruno Munari - ad esempio - sottolineava spesso come l’espe-rienza pratica e sensoriale fosse uno strumento di conoscenza e comprensione ben più penetrante di quello esclusivamente intellettuale (soprattutto per i bambini, ma non solo). Negli ultimi anni da più parti si sono sviluppate tendenze
e strumenti che vanno in questa direzione. Le nuove tecnologie consentono nuove esperienze interattive, immersive, multimediali e plurisensoriali; i luoghi dell’educazione e dell’intrattenimento si popolano sempre di più di attrazioni spettacolari e sperimentali, in cui la fruizione passiva è sostituita da percorsi di scoperta attiva (pensiamo ai Parchi Tematici o ai Musei della Scienza e della Tecnica). Anche nel mondo delle Mostre d’Arte questi elementi sono entrati da anni, ma rivestendo sempre un ruolo che definiremmo accessorio e residuale; non di rado trattati come il contentino giocoso e divertente che il bravo visitatore si è meritato dopo una ossequiosa visita alle opere sacre. Ormai non vi è Mostra che non abbia il suo “tocco” multimediale, la sua parte di “experience”, il suo angolo “interattivo”. Ma in questo modo non si coglie l’opportunità per molti versi nuova che questi strumenti offrono: un’esperienza di visita diversa da quella ormai abituale e ritualizzata nelle Mostre d’Arte, un ripensamento dei percorsi e dei luoghi espositivi, e del rapporto del pubblico con le opere e l’immaginario di un artista. Mostra, esposizione: sono termini che richiamano un tirar fuori, un rivelare, un esibire, rendendo disponibile qualcosa di normalmente nascosto, non visibile... qualcosa che merita di essere messo in mostra, ex-posto. L’evento rivelatore (la Mostra) espone al pubblico l’oggetto denso 259
di significati, pregnante, intoccabile (do not touch, please). È il rito che ne attesta la sacralità e che richiede compìta e reverente contemplazione. Come per ogni rito, la sua ripetizione secondo canoni precisi è parte essenziale della sua efficacia performativa: l’oggetto esposto si sacralizza, e proprio nel momento in cui viene messo in mostra al pubblico si definisce e si rafforza l’aura speciale e l’incolmabile distanza che lo protegge. In questo senso consideriamo il sistema delle Mostre d’arte consolidatosi negli ultimi decenni come un sistema rituale incentrato sulla ripetizione di canoni facilmente riconoscibili: un luogo preciso e chiuso, un curatore esperto (il mediatore col sacro), didascalie esplicative e guide (catechismo), contemplazione delle opere (sacre), catalogo (testo sacro), ecc. Un sistema la cui funzione principale, che è per l’appunto una funzione rituale, è rendere sacro ciò che viene messo in Mostra; sacro nel senso di “una realtà totalmente diversa, rispetto alla quale l’uomo si sente radicalmente inferiore, subendone l’azione e restandone atterrito e insieme affascinato; in opposizione a profano, ciò che è sacro è separato, è altro, così come sono separati dalla comunità sia coloro che sono addetti a stabilire con esso un rapporto, sia i luoghi destinati ad atti con cui tale rapporto si stabilisce.” (“sacro” in Vocabolario Treccani). Sia ben chiaro, non troviamo nulla di riprovevole in tutto ciò: i rituali e il sacro fanno parte del vivere umano ed è forse meno pericoloso se vengono orientati verso una laica e tutto sommato tollerante sacralità dell’arte. Forse è sacrilego pensare ad un senso profano dell’arte (profano, dal latino pro-fanum, davanti al tempio, fuori dal recinto sacro). Ma forse è anche un modo per pretendere dall’arte di farsi stimolo creativo attuale, di considerare l’opera di un artista anche come un punto di partenza per nuove creazioni, e non solo un punto di arrivo da celebrare con ossequioso rispetto. Si tratta di creare punti di contatto fra l’opera di un artista e le “tendenze vitali” del contemporaneo. Se è vero che un classico si definisce per la sua capacità di essere sempre attuale, di fornire sempre nuovi stimoli, ci può essere un modo per sottolineare la capacità dell’arte di uscire dal tempio e dialogare con gli strumenti e le
esperienze dell’oggi? E’ così che nasce l’idea di Mostre in cui l’esperienza da proporre al visitatore diventi metodo progettuale e obiettivo concettuale. Un’esperienza intesa prima di tutto come partecipazione attiva e coinvolgimento emotivo multisensoriale. In cui al visitatore viene richiesto di abbandonare lo spirito contemplativo per disporsi ad una ricerca attiva e ad una scoperta sperimentale. Dove emblematico diventi non l’imperativo negativo e distanziatore “non toccare”, ma un invito positivo ad avvicinarsi (get closer) e ad interagire. Con ciò non intendiamo buttare via gli elementi indispensabili per comprendere l’opera di un artista: il contesto storico, le fonti di ispirazione, le riflessioni critiche, ecc. Si tratta piuttosto di raccontarli in modo nuovo, che sia più vicino ad un’esperienza di laboratorio che ad una lezione accademica. Una Mostra, forse, può essere anche questo: un “mostrare” come si possa dialogare oggi con l’opera di un grande artista (non importa di quale epoca), proponendo letture ed interpretazioni creative ispirate dal suo immaginario. In questo senso, la citazione di Dalí è uno stimolo e una sfida, per evitare la realizzazione di un’opera scontata, confidando sul fatto che anche un talento medio possa rivelarsi efficace. E non è certo un caso che il tentativo di mettere in pratica queste idee, parta proprio dalle sue parole e da una Mostra su di lui. Ma Dalí Experience forse più che essere una mostra “su” Dalí, vuole essere una mostra “con” Dalí, un dialogo fra le sue opere, la nostra idea di Mostra, l’esperienza che ne vorrà e saprà fare il visitatore. Un’esperienza che non si limita allo spazio fisico della Mostra, ma che potrà allargarsi e superare i ‘confini del tempio’, nella convinzione che un luogo espositivo debba essere il punto focale di un percorso più ampio, che da una parte si espande verso forme di realtà oggi disponibili (la rete, la realtà aumentata e virtuale) e che dall’altra parte coinvolga il territorio, perché i Musei non siano più fatti solo di muri, ma si espandano uscendo dalle porte, nelle strade, nelle piazze. Così Dalí Experience invade la città, con sculture monumentali esposte nel Centro Storico, con 260
eventi sparsi anche in luoghi periferici, con collaborazioni con diverse realtà locali, e con un’applicazione di realtà aumentata che porterà le opere e l’immaginario di Dalí in giro per la città. Forse la Mostra d’Arte canonica, per usare le parole di Dalí, “ha già esaurito e risolto tutti i suoi problemi”; noi invece preferiamo porci dei problemi e proporre un nuovo tentativo. Una frase di Dalí ci accompagna: “Non aver paura della perfezione: non la raggiungerai mai” Dalí Experience non è il punto di arrivo, ma l’inizio di una storia.
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La cultura con le porte aperte. Il meraviglioso luogo dell’incontro Gino Fienga
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o immaginato, e vissuto da sempre lo spazio espositivo come un luogo senza porte e senza muri. Dapprima inconsciamente, complice forse la mia indole incline alla continua con-divisione con gli altri di cose e pensieri. Vengo da un posto dove ogni angolo è arte e cultura e ogni pietra, ogni muro, ogni spazio è impregnato di storie piccole e grandi. Storie che non sono chiuse in una bacheca o scritte su un noioso cartellone di forex, ma che trovi lì, intorno a te ogni giorno. Ci cresci in mezzo, ci tiri contro il pallone, ti ci arrampichi e talvolta le maltratti. In qualche modo te ne appropri e ne diventi parte. Storie di tutti o, almeno, di tutti quelli che hanno la capacità o la volontà di prestare loro attenzione.
Questo scenario è stato, nella mia formazione, una pietra miliare della convinzione che, per ‘fare cultura’ bisogna, non solo aprire le porte, ma arrivare fin dentro la quotidianità delle persone, invaderla, pervaderla: rendere la cultura stessa parte non accessoria della vita di ogni giorno, di tutti. Questa certezza, tuttavia, si è spesso dovuta scontrare con una realtà - soprattutto quella museale italiana - fatta di mentalità ottocentesche e organizzazioni immobili preoccupate quasi esclusivamente di ‘conservare’ e, semmai, incline a chiudersi piuttosto che ad aprirsi e ‘valorizzare’. Il primo passo per la valorizzazione è, quindi, la condivisione. Parola oggi ‘pericolosa’ che rimanda subito ad una quotidianità social un po’ distratta e superficiale, ma che in realtà ha una pregnanza semantica ben più nobile e, oggi, direi quanto mai necessaria. Parlo di una condivisione reale che, certo, può e deve essere sostenuta e amplificata dai vari network presenti su internet, ma che poi si deve riversare continuamente nell’offline della vita pratica.
Non è forse un caso, quindi, che una delle prime mostre che ho ‘immaginato’ - e poi realizzato agli inizi degli anni ’90 insieme a mio fratello Andrea e a tanti altri che hanno intrapreso poi strade e mestieri diversi -, si intitolava “Meta Porte Aperte”. In quell’epoca probabilmente non avevamo coscienza della rivoluzionarietà di quel progetto: l’idea coinvolgeva un paese intero, apriva case e cortili privati non per fare qualche presepe vivente o la solita sagra enogastronomica, ma per raccontare la storia e la cultura di un luogo; tutto diventava parte di un grande momento espositivo con una miriade di piccole mostre disseminate negli spazi aperti lungo il percorso che dalla sommità portava al mare; tutto conteneva già in sé diverse visioni: quella del ‘museo diffuso’, quella della cultura come strumento di sensibilizzazione e di tutela del patrimonio e, non ultima, la sua possibilità intrinseca di essere aggregatore sociale e spinta ‘dal basso’, strumento per creare una coscienza collettiva e stimolare in maniera importante le istituzioni su argomenti - all’epoca ancora un po’ ‘ostici’ - quali ‘tutela’ e ‘valorizzazione’.
Ma questo richiede uno sforzo notevole perché aprire le porte dei nostri contenitori culturali (ma anche mentali) non solo per fare entrare tutti, ma anche e soprattutto per fare uscire tutto è un’operazione che necessita di un cambio di passo importante. Richiede la grande consapevolezza che la partecipazione è tutt’altro che uno slogan (spesso politico), ma uno strumento che nelle mani accorte dell’operatore culturale può portare grandi risultati sociali. Inoltre, spesso si fa l’errore di ritenere che la comunicazione debba essere indirizzata ad un pubblico lontano, al turista, a chi da chissà quale parte del mondo potrebbe arrivare. Questo, certo, è importante. Ma i primi a essere sensibilizzati devono essere soprattutto i membri della comunità in cui i Musei e gli spazi culturali nascono e devono vivere.
Tutto questo partiva dall’iniziativa di un gruppo di adolescenti che riteneva possibile utilizzare la forza delle idee per cambiare il rapporto fra l’uomo, la sua storia e il suo territorio. E, per certi versi, a qualcosa credo sia servito.
La strada maestra quindi è lavorare per avvicinare il territorio ai luoghi dove la cultura accade, demolendo i muri e rendendoli trasparenti. Lasciando libera la gente di appropriarsene con la libertà di entrare, uscire, parlarne bene 263
o male, distruggerli o difenderli e comunque viverli come cosa propria. Far uscire la cultura dai palazzi vuol dire creare un’interazione costante fra il dentro e il fuori, fra l’online e l’offline, al limite fra la conoscenza e l’ignoranza. È questa l’impronta che rende diversa l’experience culturale, dove il fruitore non è spettatore passivo e contemplativo di una scatola chiusa, ma elemento interattivo di una sorta di iper-teatro dove la messa in scena non rappresenta se stessa, ma si apre al mondo in un continuum spettacolare che tende ad includere all’infinito. Sono convinto che per ottenere questo, per creare una partecipazione vera e sincera, bisogna prima di tutto cominciare a spogliarsi dell’ego dei curatori e dagli atteggiamenti da esperti, per creare un “linguaggio universale” che non richieda necessariamente una ‘intermediazione’, ma che possa diventare un ponte sempre più breve da attraversare fra la cultura e le persone, fino a quando il fossato di parole incomprensibili che separano questi ‘estremi’ si riempia del tutto e il confine fra il dentro e il fuori diventi realmente un meraviglioso luogo dell’incontro, fatto di rispetto e di ascolto reciproco.
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Breve nota sulle n dimensioni dell’experience. Lavorando in questi mesi alla mostra di Dalí e seguendo le suggestioni riguardanti il suo rapporto con la matematica, mi sono sempre di più convinto che l’ipercubo può essere ciò che meglio identifica quello che, uno spazio espositivo - ma il lavoro in generale di chi si occupa di far incontrare l’arte e la cultura con le persone - oggi dovrebbe diventare: un luogo con n dimensioni che può essere traslato al di fuori del piano che lo contiene, per crearne un’altra che vada al di là delle sue facce, invadendo lo spazio. Ed è questa nuova dimensione, l’esperienza nel tempo e nello spazio, che assottiglia la distanza fra la percezione passiva e l’interazione - del singolo come della moltitudine - con ciò che vogliamo trasmettere.
Il gomitolo
Roberto Grandi
Professore Alma Mater - UniversitĂ di Bologna
L
elevato di tipologie e alle competenze conservative si sono affiancate quelle curatoriali, pedagogiche, comunicative di marketing per rendere attraente non soltanto ciò che il museo contiene, ma il museo stesso come edificio, come organizzazione di spazi e come modalità di raccontarsi e raccontare ciò che propone. I musei organizzano i propri percorsi in mostre ed esibizioni, permanenti e temporanee, e grazie all’utilizzo delle tecnologie a disposizione tendono sempre più spesso a coinvolgere in maniera attiva i propri visitatori. Contemporaneamente assistiamo a una modifica di ciò che i musei propongono in quanto il concetto di opera d’arte si è dilatato fino a comprendere installazioni, opere performative e progetti ed esibizioni che superano le classiche distinzioni tra le arti e fanno dialogare il video con la danza, il teatro con le arti plastiche, i big data con l’infografica e la fotografia. Sono le stesse tecnologie che incidono sulla organizzazione e le modalità di fruizione di ciò che i musei propongono che influenzano e modificano, a volte sostanzialmente, i progetti e le opere che i musei espongono e propongono. In questo contesto i musei tendono, quindi, ad aprirsi sempre più, a farsi simbolicamente e, talvolta, materialmente “trasparenti” e a proporsi come spazi accoglienti che si ridefiniscono in funzione di ciò che espongono e dei pubblici a cui si rivolgono. Le opere d’arte non solo rompono le distinzioni che tradizionalmente le classificano, ma spesso escono dai musei e dagli spazi istituzionali per mettersi in mostra in spazi non convenzionali che sono spesso memoria della storia industriale di un territorio o spazi privati a cui viene attribuita, anche temporaneamente, una funzione pubblica. Da un lato, gli spazi culturali si aprono verso l’esterno, dall’altro, l’esterno si fa scenografia per ospitare le opere d’arte. Ciò a cui abbiamo assistito e stiamo assistendo è una riconfigurazione nuova e in continua transizione della relazione tra: - spazi e contenitori di opere d’arte e iniziative culturali, le opere d’arte o progetti culturali, - i pubblici a cui si propone di visitare o abitare tali spazi e di fruire, spesso in maniera attiva, ciò che viene proposto ed esibito.
a società può essere pensata come un gomitolo, un enorme gomitolo. Tirando un filo si può vedere che cosa tiene insieme il tutto. A seconda di dove viene tirato il filo cambia il punto di osservazione e di partenza, ma ci si addentra e si attraversa lo stesso percorso. Se oggi sfiliamo il “filo Museo” a poco a poco ci incamminiamo in un percorso che descrive l’evolversi dello spazio museale, delle concezioni delle mostre e delle esibizioni d’arte per riconnettersi con le trasformazioni delle comunicazioni di massa in comunicazioni pubbliche e personalizzate fino allo sviluppo dei media digitali e del protagonismo del singolo. Alla fine di questo percorso con l’estremità del filo in mano, è possibile rispondere alla domanda: “Che cosa tiene insieme e connette i passaggi che abbiamo attraversato?” Il capo del filo da cui parto rimanda alla etimologia della parola museo, alla grande civiltà dell’Antica Grecia e al Mouseion, luogo dedicato alle Muse, patrone delle arti. Anche se il museo, come spazio in cui sono raccolti oggetti che conservano e mettono in mostra gli artefatti dei tempi precedenti, risale al 530 a.C., quando la Principessa Ennigaldi, figlia dell’ultimo re dell’impero Neo Babilonese, Nobonidus, non solo racchiuse in un unico palazzo le testimonianze dei tempi passati, raccolte da lei stessa e dal padre, ma le classificò una ad una per illustrare lo sviluppo storico del territorio. Successivamente furono i papi a raccogliere opere d’arte, partendo da antiche sculture, e le collocarono nei musei capitolini e in quelli vaticani. Altre raccolte, mosse da una visione decisamente enciclopedica, avevano un intento più pedagogico di trasmissione del sapere, o di un particolare sapere, come nel caso di Ulisse Aldrovandi che nel XVI secolo raccolse 25.000 pezzi che divennero il contenuto del primo Museo di Storia Naturale. Dalla seconda parte del XVIII secolo si sviluppano i grandi musei che sono giunti fino a noi e che, anno dopo anno, hanno allargato la fruizione da pubblici specialistici a pubblici sempre più ampi, tanto che oggi si pone il problema di come allargare la fruizione museale e, più in generale, culturale a chi è stato fino ad ora escluso. I musei si sono specializzati in un numero sempre più 267
Accanto a queste trasformazioni che fanno riferimento all’ambito della produzione, circolazione ed esibizione delle opere d’arte e delle iniziative culturali abbiamo assistito a una trasformazione delle comunicazioni di massa, originariamente caratterizzate come comunicazioni unidirezionali da una fonte a molti fruitori, definiti massa in quanto eterogenei, distanti tra loro e distanti dalla fonte, senza alcuna possibilità di avere feedback diretti. Lo sviluppo delle comunicazioni di massa è stato caratterizzato da tentativi di suddividere la massa dei fruitori in cluster più ridotti, agendo soprattutto su una produzione caratterizzata da diversi generi, ciascuno dei quali si rivolgeva a pubblici specifici. Il salto di qualità nella modifica della relazione rigida e unilaterale tra una fonte e la pluralità di destinatari è stato reso possibile dallo sviluppo di quelle stesse tecnologie di cui abbiamo parlato in precedenza applicate, in questo caso, allo specifico delle modalità di veicolazione delle informazioni e delle comunicazioni. Da un lato, i frutti più maturi di quella che McLuhan ha definito la Galassia Marconi - ossia la radio e la televisione hanno moltiplicato la loro offerta incrementando i segmenti di pubblico a cui si rivolgono, creando programmi di nicchia che vengono incontro ai gusti e alle esigenze di pubblici sempre più ristretti. Dall’altro lato, lo sviluppo della rete ha modificato il ruolo tradizionale del fruitore dei mass media: da spettatore passivo ad attore attivo, a soggetto in grado di comunicare e ricevere attraverso la rete. Dai primi blog che quasi 20 anni fa hanno permesso a chiunque avesse la volontà e le competenze di creare testi e racconti che potevano essere fruiti da chi aveva accesso alla rete, ai social media attuali che attraverso una estetica sempre più visuale e testi sempre più sintetici permettono a ciascuno di essere uno snodo di produzione e ricezione di informazione e materiali comunicativi. Tralasciando gli aspetti tecnologici, economici, sociali ciò che più è significativo per il discorso che propongo è l’allargamento della consapevolezza culturale e pragmatica che le relazioni mediatiche possono essere non più unilaterali e non necessariamente mediate da istituzioni culturali - come le testate giornalistiche - ma possono svilupparsi su piani percepiti come paritari.
Al di là degli abusi che vengono fatti nell’utilizzo dei diversi media digitali, la logica social ha resa obsoleta, fino al rifiuto, una modalità di relazione che non sia percepita come, almeno virtualmente, paritaria. Dalla comunicazione di massa si sta passando a una comunicazione pubblica più dialogica, personalizzata che permette un costante scambio di idee, pareri e opinioni. è chiaro che questo nuovo panorama privilegia, rispetto a spazi pubblici collettivi di discussione - che peraltro non si sono mai realmente realizzati su larga scala - una miriade di spazi pubblici di discussione che tendenzialmente non dialogano tra loro. Ciascuno di noi, infatti, appartiene contemporaneamente a più canali digitali e tendenzialmente mantiene le proprie relazioni all’interno di tali spazi virtuali, caratterizzati dalla condivisione di stili di vita, convinzioni politiche, preferenze culturali, sportive e cosí via, con rare incursioni nei media con valori e tendenze contrari. Con i limiti appena ricordati è indubbio che si assiste a una modificazione quasi antropologica che incrina i concetti e le pratiche che fanno riferimento alle variabili di spazio e di tempo e, soprattutto, alle modalità di relazione tra le persone e tra le persone e i beni e servizi, compresi i prodotti culturali. Emerge un desiderio di superare la passività delle relazioni a favore di una presenza soggettiva attiva in grado di dialogare e di relazionarsi su un piano di parità. La risposta sociale a questa mutazione antropologica si diffonde ai vari ambiti della vita privata e sociale. Dalla ridefinizione degli spazi privati-personali in funzione del loro essere contemporaneamente snodi di reti digitali e luoghi di applicazione delle nuove tecnologie interattive per un miglioramento della qualità della vita nella propria abitazione agli spazi pubblici commerciali dove il consumatore viene considerato sempre più in grado di interagire con l’ambiente circostante per portare avanti attività esperienziali significative. Anche l’ambito pubblico è toccato da questa trasformazione della percezione sociale delle relazioni e porta avanti, soprattutto a livello locale, iniziative che tendono a inte-grare all’interno del processo decisionale la presenza attiva dei cittadini attraverso momenti di dialogo e confronto che si avvalgono anche delle tecnologie 268
digitali. Pur se a volte si tratta di percezioni di protagonismo a cui non corrispondono modalità di dialogo e coinvolgimento efficaci - sia in ambito privato che pubblico - la percezione che le relazioni non possano non essere sempre più paritarie e coinvolgenti è un dato di fatto da cui non si può prescindere. Eccoci dunque arrivati all’altro capo del filo e ci possiamo domandare che cosa tiene insieme sia le modificazioni che hanno interessato le pratiche museali e le pratiche culturali sia quelle che hanno coinvolto le comunicazioni, sempre meno di massa. In primo luogo si assiste a una dilatazione degli spazi pubblici di scambio, conversazione, dibattito e talvolta presa di decisione. Il nuovo spazio pubblico, che può essere simbolico, virtuale o fisico, permette lo scambio, come detto, di oggetti materiali e non materiali come pensieri, idee, pareri. In secondo luogo si dilata la comunicazione pubblica, caratterizzata da dialogismo e parità di relazioni, rispetto a quella unilaterale e priva di feedback della comunicazione di massa con la conseguenza di una ricerca di relazioni sempre più aperte, trasparenti e paritarie e un rifiuto di ciò che viene percepito come chiuso e imposto dall’alto. Da ultimo si assiste alla dilatazione del coinvolgimento delle persone in tutte le pratiche della vita - dalla fruizione dell’arte alle scelte politiche - con la percezione diffusa di contare o di potere contare di più. Dilatazione che agisce e deve agire anche dentro il concetto e la pratica di Museion.
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L’allestimento come teatro di narrazioni. Dalà Experience stage set Bruna Di Palma Architetto
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entro il guscio vuoto composto dagli spazi al piano terra di Palazzo Belloni a Bologna è stata insufflata una nuova vita. Un inaspettato slancio vitale ne ha invaso il corpo in sospensione. Un’architettura innestata dentro la pelle di un’altra preesistente ne ha sovvertito la deriva verso il suo abbandono, attraverso la sua riappropriazione. Come un fossile guida, la configurazione preesistente del Palazzo ha orientato il dialogo che il progetto ha sviluppato tra le sue sale e la necessità di configurare all’interno di esse nuovi spazi capaci di accogliere, con un certo grado di flessibilità, una serie di eventi, in una prima fase coincidenti con la mostra Dalí Experience. La disponibilità di questa sequenza di spazi posta tra via Barberia e via De’ Gombruti, proprio sulla soglia tra la sfera pubblica della vita cittadina e la sfera privata del Palazzo storico, ha posto fertili premesse per la nascita di un nuovo luogo centrale per la diffusione culturale all’interno della vita pubblica contemporanea bolognese. E in questo senso, il progetto Experience è stato sviluppato attraverso una sperimentazione tutta contemporanea, sul tentativo cioè di realizzare un nuovo terreno di connessione tra architettura dell’allestimento, opere, installazioni interattive, scenografia, disegno delle luci, in cui l’obiettivo di tutta l’operazione diventasse la realizzazione di uno stage set in cui ognuna delle singole componenti svolgesse una parte attiva nel disegnare un inedito paesaggio emozionale per il visitatore. Si è lavorato cioè, in maniera integrata, con l’obiettivo di realizzare una impalcatura permeabile capace di dar forma ad una densità esperienziale composta da stimoli sia fisici, reali, che immaginari, surreali. All’interno di questo processo, l’architettura, in termini più complessivamente compiuti e al di là di una sua eventualmente specifica funzione di cornice, contenitore o supporto espositivo alle opere, ha svolto il suo ruolo nel più complessivo del suo senso e cioè in quello della costruzione di spazi e atmosfere. Ha lavorato cioè sulla tensione, sulla proporzione, sulla profondità, sulla creazione di tensioni prospettiche, sulla sequenza dei quadri visuali e sulla concatenazione degli spazi attraverso i quali far svolgere la trama espositiva. La creazione di questa trama aperta ha predisposto dunque la messa in scena dell’interazione tra pubblico e opera, tra apparati descrittivi e dispositivi
multimediali, tra ambienti immersivi e realtà aumentata. Tutta l’azione-esperienza si svolge all’interno dei nuovi spazi espositivi, sviluppati attraverso un approfondimento del tema della compresenza, sull’immissione di nuovi corpi in un’architettura preesistente, sulla più o meno chiara distinzione tra le due entità, quello definito dal parassita e quello del corpo che ospita, sul legame di dipendenza che viene determinato tra il corpo che accoglie e quello che si insinua al suo interno, tenuto attivo dal palpito del visitatore che, percorrendoli, li anima. La sequenza interna degli spazi interessati dalla nuova visione è composta da una successione di sale di differenti dimensioni con soffitto voltato, alcune delle quali suddivise ad ospitare un corridoio di distribuzione interno ricavato nel quadro di una precedente fase di passaggio da spazi residenziali a spazi per il lavoro. Sontuose cornici sottolineano poi gli elementi di passaggio tra una sala e l’altra, modanature all’imposta delle volte assimilano l’interno ad un esterno, una teca in vetro protegge l’originario portone in legno verso via Barberia. Nel progetto, da un lato le grandi sale di Palazzo Belloni, quelle più autonome e autoreferenziali, sono state considerate come possibili contenitori di spazi di dimensioni più piccole, dall’altro, le sale di dimensioni più contenute, ma disposte l’una di seguito all’altra lungo via de’ Gombruti, sono state interpretate come un sistemasequenza unico e in questa ottica ne è stata sottolineata la concatenazione attraverso l’immissione di un nuovo segno unitario sul bordo. Anche in relazione ad un’organizzazione del flusso dei visitatori quanto più possibile fluido, le grandi sale che si affacciano su via Barberia sono state dunque attrezzate con gli spazi della biglietteria, del guardaroba passante e del bookshop e, parallelamente, allestite con gli spazi Alice in Wonderland, Spellbound e Secretaire con Woman Aflame. In generale è stato messo in campo, di volta in volta, un dispositivo progettuale che riuscisse a coniugare il concetto del “mettere in mostra” con quello del “mettere in scena” e in questo caso che riuscisse a rendere funzionali gli spazi dell’accoglienza e quelli della costruzione del ricordo della mostra, attraverso l’introduzione di elementi che in maniera sintetica potessero assolvere ad entrambi i compiti. 271
Concetto, quello della sintesi, che ha guidato anche il lavoro sul tema della doppia pelle realizzata poi per le stanze in sequenza, la Stanza degli Elefanti, la Stanza del Tempo, la Stanza dei Simboli e la Stanza dei Sensi aumentati e che si protende a contenere le vetrine e a direzionare il percorso. Tutta una serie di visioni trasversali accompagna e dinamizza poi lo svolgersi dell’Experience, fino al salone dell’Ipercubo. Al visitatore, protagonista di questo teatro di narrazioni, viene dunque data la possibilità di elaborare “surrealmente” un’originale trasposizione delle opere e delle installazioni multimediali esposte. Il “pezzo unico” cioè, è solo uno dei personaggi del quadro che gli è stato disegnato intorno. A completare la scena, informazioni, immagini, ambientazioni - reali o virtuali - e l’azione del visitatore stesso, al quale viene suggerito un orientamento narrativo, ma al quale viene affidata la possibilità di formularsi una sua personale, autentica e originale, prospettiva interpretativa. Quinta
Trame 272
Sipario
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Biografie
Salvador Dalí 1904 Salvador Felipe Jacinto Dalí i Domènech nasce a Figueras in Spagna l’11 maggio. Venne chiamato come suo fratello maggiore Salvador, il quale morì poco prima della nascita di Dalí.
1927 Entra nell’esercito per il servizio militare; trascorre l’estate con Lorca e Regino Sàinz de la Maza. Qui scrive il poema Saint Sebastian che viene pubblicato su L’Amis de les Arts.
1914 Comincia a frequentare la scuola dei Fratelli Maristi a Figueras, dove sviluppa un precoce interesse per la pittura in particolare sotto l’influenza di Ramon Pixtox (1872-1925). La maggior parte delle opere di Dalí di questo periodo raffigurano paesaggi e scene di contadini e pescatori.
1928 Lluis Montanyà, Sevastià Gasch e Dalí creano il rivoluzionario Manifesto Giallo; la sua opera viene influenzata da Miró, Arp, Ernst e Tanguy. Tre dipinti vengono esposti alla ventisettesima mostra di pittura del Carnegie Institut, Pittsburgh, U.S.A. 1929 Viene presentato da Miró al Gruppo dei Surrealisti a Parigi, conosce Magritte, Paul Eluard e la moglie Helena, che diventerà la futura moglie e musa di Dalí, Gala. Prima mostra di Dalí presentata a Breton alla Galerie Goemans di Parigi.
1918 Il suo interesse è rivolto all’Impressionismo. Espone per la prima volta alcune tele ad una mostra di artisti locali al Teatro Municipal di Figueras. 1921 Studia all’Accademia di Belle Arti di Madrid e successivamente viene sospeso per il suo comportamento ribelle. Sarà qui che incontrerà il poeta spagnolo Garcia Lorca ed il regista Luis Buñel, con i quali farà un film intitolato Un Chien nel 1929. Sua madre muore.
1930 Le Surrealisme au service de la révolution pubblica Reverie uno dei testi più importanti di Dalí; 10 opere vengono esposte in quella che si può considerare la prima mostra Surrealista negli Stati Uniti; pubblica il testo L’Ane Pourri nel quale pone le basi del suo metodo paranoico-critico.
1922 Espone alla Galeries Dalmau di Barcellona. A Parigi, André Breton insieme a Picasso, Max Ernst, e Man Ray, dà vita al primo gruppo surrealista.
1931 Dipinge la sua tela piu famosa, la Persistenza della Memoria, dove il tema degli orologi molli compare per la prima volta e suscita grande curiosità ad una mostra collettiva alla Julien Levy Gallery di New York.
1923 Viene arrestato per tendenze anarchiche e passa 35 giorni in carcere; cresce il suo interesse per il Cubismo e la scuola Metafisica Italiana (Carrà e de Chirico).
1933 Firma un contratto con Albert Skira per quaranta acqueforti per l’illustrazione di Les Chants de Maldoror; prima mostra personale alla Julien Levy Gallery di New York; a Dicembre espone alla Galeria d’Art Catalonia di Barcellona.
1925 Prima mostra personale a Barcellona. Sia Picasso che Miró si mostrano interessati alla sua arte. Comincia una collaborazione con la rivista di Barcellona L’Amis de les Arts che durerà fino al 1929.
1934 Gala e Dalí raggiungono New York per la prima volta. Viene espulso dal Gruppo Surrealista accusato di avidità e di essere sostenitore di Hitler. Dalí ha sempre creduto che l’arte dovesse rimanere separata dalla politica e non sosteneva il regime nazista.
1926 Visita Parigi ed incontra Picasso per la prima volta; viene espulso definitivamente dalla scuola d’arte. Miró gli fa visita a Cadaqués; seconda mostra personale alla Galeries Dalmau che suscita interesse tra i critici ed il pubblico.
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1936 La mostra surrealista di oggetti presso la Galerie C. Ratton, alla quale Dalí partecipa, segna l’‘ufficializzazione’ di una nuova espressione del surrealismo; la rivista Time pubblica la foto di Dalí in copertina; crea 2 oggetti famosi del movimento surrealista il Lobster Telephone ed il divano Mae West.
1944 Si intensificano le sue attività teatrali ed inizia a lavorare all’illustrazione di diversi libri. 1945 L’esplosione della bomba atomica a Hiroshima ispira Dalí dando inizio al suo periodo ‘nucleare’ o ‘atomico’. Collabora con Alfred Hitchcock e dipinge la sequenza del sogno per il film Spellbound.
1937 Il poeta spagnolo Garcia Lorca viene assassinato. La guerra civile spagnola costringe Dalí a scappare in Italia dove sarà influenzato dal Rinascimento e dall’arte Barocca.
1948 Si ristabilisce a Port Lligat, Spagna. Espone alla Galleria l’Obelisco di Roma.
1938 Incontra Sigmund Freud a Londra e viene fortemente influenzato dalle sue teorie psicoanalitiche; partecipa alla mostra surrealista internazionale alla galleria Beaux Arts di Parigi con il suo Rainy Taxi. Collabora con la stilista Coco Chanel su diversi progetti per il Ballets de Montecarlo.
1949 Progetta la scenografia del Salome di Strauss a Covent Garden, Londra. Inizia il suo periodo di Misticismo nucleare durante il quale molte delle sue opere vengono influenzate da temi religiosi e mitologici; dipinge il quadro Madonna de Port Lligat.
1939 Firma un contratto con la New York World Fair per una creazione dal titolo The Dream of Venus ma si trova in disaccordo con i committenti. Quando gli viene proibito di mettere una testa di pesce sulla Venere di Botticelli pubblica la sua Dichiarazione dell’indipendenza dell’immaginazione e del diritto dell’uomo alla propria pazzia; lavora sulla scenografia del primo balletto paranoico Bacchanal rappresentato al Metropolitan Opera House. Abbandona il Gruppo Surrealista con la famosa dichiarazione “Il surrealismo sono io”.
1952 Spiega gli elementi del Misticismo nucleare girando sette Ex città negli Stati Uniti; per l’anniversario di Dante gli viene commissionato di illustrare La Divina Commedia, crea 102 acquerelli. 1954 Importante retrospettiva dell’opera di Dalí a Roma (Palazzo Pallavicini), e successivamente a Venezia e Milano.
1940 Si trasferisce negli Stati Uniti a causa dell’inizio della II Guerra Mondiale, dove rimarrà fino al 1948.
1958 L’8 agosto Gala e Dalí si sposano nella Cappella degli Angeli di Girona; gli viene conferita a Parigi, dall’ambasciatore cubano, la Médaille à la Qualité Francaise per la serie di illustrazioni da lui create del Don Quixote (1957); esplora l’arte ottica alla ricerca di effetti ed illusioni ottiche.
1941 Riscuote un notevole successo in America. Inizia una proficua collaborazione con il fotografo Philippe Halsman che si interromperà solo con la morte di quest’ultimo nel 1979. 1942 La sua autobiografia The Secret Life of Salvador Dalí viene pubblicata.
1960 I surrealisti scrivono un’articolo We don’t hear it that way contro la partecipazione di Dalí ad una mostra internazionale del surrealismo a New York; inizia a lavorare con Robert Descharnes al The World of Salvador Dalí.
1943 Viene accettato dalla ‘society’ newyorkese; dipinge svariati ritratti di ricchi americani per la Knoedel Gallery. Costruisce la famosa faccia di Mae West.
1962 Riesamina e rielabora i temi principali della sua carriera; Robert Descharnes pubblica la sua monografia Dalí de Gala: le monde de Salvador Dalí.
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1982 Partecipa all’apertura ufficiale del Dalí Museum di St.Petersburg, Florida, fondato da Morse; L’Onorevole Jordi Pujol, Presidente del Governo Autonomo di Catalogna, conferisce a Dalí la medaglia d’oro del governo; Dalí dipinge i suoi ultimi quadri; il 10 giugno muore Gala, moglie e musa da oltre cinquant’anni e viene sepolta al castello di Pubol; dopo la morte di Gala, Dalí abbandona la vita pubblica e si isola nel suo castello di Pubol.
1963 Pubblica un altro libro The Tragic Myth of Millet’s Angelus scritto nel 1933. 1964 Dalí riceve la Grand Cross di Isabel la Catòlica; pubblicazione del suo Diario di un Genio. Grande retrospettiva Catò a Toyko organizzata dal giornale Mainichi. 1965 La Gallery of Modern Art di New York offre al pubblico un’importante mostra di Dalí, che comprende per la prima volta opere della collezione privata di Reynolds Morse; produce una serie di 100 acquerelli intesi a illustrare La Bibbia; sviluppa un interesse per l’olografia e l’arte tridimensionale.
1984 Le sue condizioni fisiche peggiorano in seguito a un incendio scoppiato in casa sua. 1989 Dalí muore all’età di 85 anni il 23 gennaio. è sepolto nel Museo Dalí-Teatro a Figueras, luogo in cui nacque.
1969 Pubblica Las Metamorfosis Eròticas, risultato significativo del suo metodo paranoico-critico. Annuncia la creazione del museo Dalí a Figueras; realizza manifesti commerciali per le società Perrier, cioccolato Lanvin, e le Ferrovie Francesi; crea il logo per i famosi lecca-lecca Chupa Chups. 1971 Apertura ufficiale del museo Dalí a Cleveland, costituito in gran parte dalla collezione Reynold Morse. 1973 La Stanza Olografca Daliniana viene messa in mostra; pubblica Dix Recettes d’mmortalité e roi Je t’attends à Babylone. 1974 Apertura del Museo-Teatro Dalí a Figueras, Spagna. Completa il libro illustrato Mosè e Monoteismo. 1980 La Tate Gallery di Londra tiene un’importante retrospettiva dell’opera di Dalí; consegna al Palazzo Zarzuela di Madrid un ritratto singolare del Re di Spagna. 1981 Guarisce lentamente da una malattia contratta a New York. Il Re Juan Carlos e la Regina Sofia di Spagna, preoccupati per la sua salute, vanno a fargli visita.
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Beniamino Levi
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“Collezione Segreta” di Pablo Picasso, che fu resa pubblica per la prima volta dopo la morte dell’artista.
eniamino Levi, curatore della collezione The Dalí Universe, è un esperto di fama mondiale nel campo dell’Arte Moderna. La sua competenza in ambito artistico abbraccia un nozionismo di ampio respiro, dall’impressionismo fino ai tempi moderni. Ad oggi, ha organizzato circa 100 esposizioni di Arte Moderna in tutto il mondo, tutte acclamate e ritenute di successo dal pubblico, attirando più di 12 milioni di visitatori durante gli ultimi due decenni.
Attualmente Levi è curatore e membro del Direttivo di numerose mostre permanenti di Dalí. Si tratta di mostre che espongono svariate opere d’arte di estrema unicità, selezionate dalle collezioni private e dalle organizzazioni culturali a livello internazionale, comprendenti sculture, lavorazioni in vetro, collage, oro, objets d’art, mobilio e rare raccolte grafiche.
Negli anni ’60 e ’70. Levi ha presieduto una delle gallerie d’arte più prestigiose d’Italia, la Galleria Levi in via Montenapoleone a Milano, dove ha introdotto l’arte internazionale in Italia. Egli è stato il primo a portare alcuni degli artisti più rinomati a livello internazionale nella comunità del collezionismo d’arte italiana, tra i quali Miró, Magritte, Masson, Kandinsky, De Chirico, Picasso, e Dalí.
Levi è sia direttore/curatore di mostre che uno dei maggiori commercianti di opere d’arte, in grado di gestire con successo entrambe le posizioni da numerosi anni. Infatti, il talento non sta solo nel trovare capolavori d’arte, ma anche nell’acquistarli al giusto prezzo in un mercato oggi cosi concorrenziale. Egli ha contatti ad altissimo livello sia nel settore privato che in quello pubblico, ai quali può far riferimento per creare un’unica collezione moderna.
Levi conosceva personalmente molti artisti di fama di quel periodo, annoverando tra i suoi clienti molti personaggi appartenenti all’alta società italiana. Tra i visitatori abituali della sua galleria vi erano Maria Callas, Baron Von Thyssen e la famiglia Agnelli. Le opere d’arte che egli esibì durante gli anni ’60 e ’70 sono oggi considerate dei capolavori di qualità museale. Levi contribuì alle numerose collezioni internazionali d’Arte Moderna. Durante gli anni ’60, Levi ha tenuto un’esposizione Surrealista presso la propria galleria ed ha conosciuto Dalí. Viaggiò per far visita a Dalí presso le sue molteplici residenze a Parigi, New York e presso la sua dimora in Spagna. Trovò ed acquistò alcune delle prime sculture di Dalí dalle quali rimase affascinato. Levi incoraggiò il maestro surrealista ad esprimere ancora una volta la sua visione artistica della forma scultorea.
Beniamino Levi non è solo un curatore ed un esperto d’Arte Moderna in grado di descrivere, analizzare esporre e conservare collezioni... lui è stato presente quando tutto accadeva.
Levi è conosciuto come esperto dei bronzi di Dalí. Tale argomento fu oggetto di molti suoi scritti e conferenze, culminando nella pubblicazione del libro Dalí in the Third Dimension con Allemandi editore. Un’altra mostra d’importanza monumentale organizzata e diretta da Beniamino Levi fu quella delle opere della 281
Patrizio Ansaloni Art Director, creativo, regista, designer, animatore 3d, meccanico, elettronico, ciappinaro... Sono nato a Bologna, Italia, nel 1966. Ho studiato arte all’Istituto Statale d’Arte di Bologna e Comunicazione e Arte al DAMS all’Università di Bologna. Lavoro al computer da quando c’erano i 386, che vuol dire una notte per vedere renderizzata una sfera. Nel 1997 ho fondato la Loop srl insieme ad altri 2 soci. Tantissimi lavori legando insieme nuove tecnologie, arte e design, e soprattutto cercando di fare sempre cose nuove e con un senso ben preciso. Odio la ripetizione e il già visto, quindi mi piace parlare solo di quello che è ancora da fare... tantissimo se sai guardare. Grazie e stay tuned.
Thomas Francis Banchoff Nato nel 1938, è un matematico americano specializzato in geometria; ha frequentato la University of Notre Dame e ottenuto un Ph.D. a UC Berkeley nel 1964; è stato professore alla Brown University per 47 anni, dal 2014 è professore emerito. È stato presidente della Mathematical Association of America. Ha svolto importanti ricerche sulla geometria differenziale nella terza e quarta dimensione, nei primi anni ’90 ha sviluppato diversi metodi di computer grafica, e ha svolto lavori pionieristici sull’educazione universitaria tramite risorse online. Del suo rapporto con Dalí ha spesso parlato in incontri e conferenze, tra cui Lectio Magistralis tenute al Festival della Matematica di Roma nel 2008 e al Festival BergamoScienza nel 2012. Il film The Hypercube: Projections and Slicing realizzato nel 1978 con Charles Strauss, ha vinto il Festival Internazionale del cinema scientifico del 1979, e una sua sequenza era inserita nella sala dedicata alla Quarta Dimensione alla Biennale di Venezia del 1986. Tra le sue numerose pubblicazioni, Beyond the Third Dimension, New York: Scientific American Library, 1990 (revised 2nd edition 1996); Flatland, a Version with Notes and Commentary, with William Lindgren, Cambridge University Press and MAA, 2009.
Silvia Benvenuti Dopo la laurea e il dottorato di ricerca in Matematica all’Università di Pisa, ha conseguito il Master in Comunicazione della scienza alla SISSA di Trieste. Attualmente è ricercatrice all’Università di Camerino. I suoi campi di ricerca sono topologia in dimensione bassa, ottimizzazione geometrica e applicazioni all’architettura e alla biologia. Si occupa di comunicazione e apprendimento informale della matematica. È membro del Centro matematita e del comitato RPA (Raising Public Awareness) della European Mathematical Society, membro del comitato editoriale della rivista UMI La Matematica nella Società e nella Cultura e vicepresidente della Mathesis Camerino. Tra i suoi libri: Geometrie non euclidee, Alpha Test, 2008; Insalate di matematica, Sette variazioni su arte, design e architettura, Sironi editore, 2010. Ha collaborato con le trasmissioni televisive Geo&Geo, Geo Magazine, Geo Scienza (Rai 3) e con Rai Scuola.
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Riccardo Brizzi è professore di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Bologna e insegna Storia dell’opinione pubblica e del giornalismo presso il Master in giornalismo dello stesso Ateneo. E’ Visiting Professor presso Sciences Po Lyon e l’Università di Bamberg. Scrive per il «Quotidiano nazionale» e «The Huffington post». Tra le sue pubblicazioni più recenti: R. Brizzi (a cura di), Osservata speciale. La neutralità italiana nella prima guerra mondiale e l’opinione pubblica internazionale (1914-15), Firenze, Le Monnier-Mondadori, 2015 e R. Brizzi, G. Goodliffe (eds.), France after 2012, Oxford - New York, Berghahn Books, 2015.
Bruna Di Palma è architetto e Dottore di Ricerca in Progettazione Urbana. Attualmente insegna Progettazione Architettonica presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e svolge attività di ricerca all’interno dell’Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali ITABC del Consiglio Nazionale delle Ricerche CNR. Nella sua attività di progettista, sia nell’ambito professionale che in quello della ricerca, si confronta con il tema dell’inserimento di interventi contemporanei in contesti stratificati, come dimostrano il lavoro per il Centro Giovanile della Penisola Sorrentina realizzato negli spazi di un ex complesso conventuale a Piano di Sorrento (Napoli 2015), gli allestimenti per mostre-eventi temporanei realizzati nei padiglioni del Campus Arata, ex Mattatoio di Piacenza (2015), nel settecentesco Museo Correale e nel chiostro medioevale di San Francesco a Sorrento (Napoli 2014-15).
Giovanna Disabato Dall’anno in cui cade il muro di Berlino - lo stesso in cui le capita di nascere - ad oggi, accadono una quantità innumerabile di cose che vanno variamente a collocarsi nella sua personale scala dal banale allo stupefacente: cresce in una casa dai mattoni rossi, si trasforma, fa e disfa i propri bagagli cambiando domicili e città, da Altamura a Bologna a Parigi a Bruxelles e poi ancora Bologna, chissà per quanto; si laurea in Italianistica e un suo testo viene inserito in questo catalogo. La prima passione che ricorda è per le parole. Sogna di vivere di libri e di vedere un giorno una balena bianca.
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Gino Fienga Gino Fienga nasce a Napoli nel 1974. Come curatore di progetti d’arte e di cultura dal 1995 ad oggi ha ideato e realizzato diverse piccole e grandi manifestazioni culturali e mostre d’arte (fra cui le monografiche Sironi, Picasso, Pomodoro e le collettive sulla Pittura e sulla Scultura del ’900 italiano). Si è occupato di restauro di opere d’arte per diversi anni dirigendo cantieri come quelli della Basilica di San Francesco di Assisi, del Battistero di Pisa e della Basilica della Santa Casa di Loreto. Nel 2006, insieme a Nadia Lazzarini, fonda la casa editrice con-fine per la quale ha curato oltre 150 pubblicazioni e ha diretto l’omonima rivista d’arte. Dal 2016 è CEO di con-fineArt.
Roberto Gervaso è un giornalista, scrittore e aforista italiano. Inizia l’attività giornalistica nel 1960 al Corriere della Sera, per poi collaborare con diversi quotidiani (Il Mattino, Il Messaggero, Il Gazzettino), lavorando anche in radio e televisione. È presidente onorario della «European sexual dysfunction alliance» (ESDA). Tra gli anni sessanta e settanta firma, insieme a Montanelli, i primi sei volumi di una famosa e diffusissima Storia d’Italia, Rizzoli, Milano 1965-1970. Ha pubblicato numerosi libri di storia, saggistica e aforismi; ha vinto due volte il Premio Bancarella: nel 1967 con L’Italia dei Comuni (scritto con Indro Montanelli) e nel 1973 con la biografia di Cagliostro. Nel 2005 ha vinto il Premio Cimitile con Qualcosa non va (Mondadori).
Roberto Grandi Professore Alma Mater - Università di Bologna. Dirige il Master internazionale “Marketing, Communication, New Media” (Bologna Business School). Visiting Scholar e docente a: Annenberg School of Communication (University of Philadelphia), Institute of Communication (Stanford University), Brown University, Mass Media Department (Tonji University, Shanghai). Si è occupato prevalentemente di comunicazioni di massa, comunicazione politica e di impresa, marketing territoriale, città creative. Dal 2000 al 2009 è stato Pro Rettore alle Relazioni Internazionali all’Alma Mater Studiorum - Università di Bologna. Dal 2005 è Presidente della Associazione Collegio di Cina. Dal 1996 al 1999 è stato Assessore alla Cultura al Comune di Bologna. Dal 2017 è Presidente Istituzione Bologna Musei.
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Selwyn Lissack Selwyn Lissack è un artista 3d, musicista jazz e imprenditore. Nato e cresciuto in Sud Africa, ha studiato arte e musica alla Cape Town University. È stato co-fondatore della New York School of Holography e di Holographic Design Development Co., più tardi divenuta International Holographic Corp. Ha collaborato con la McDonnell Douglas per i primi prodotti commerciali contenenti ologrammi; dal 1974 insieme all’azienda californiana Holovision ha realizzato i primi gioielli con ologrammi, usando l’innovativa tecnica del Dichromate; ha tenuto mostre personali dei suoi ologrammi in tutto il mondo e diversi suoi ologrammi sono inseriti nel MIT Archival Holographic Collection. Tra il 1971 e il 1975 ha collaborato con Dalì alla realizzazione di una serie di ologrammi artistici. Nel 1981 divenne presidente di Laserworks, società che produce sistemi laser. È titolare di diversi brevetti per la tecnologia di laser-scanning.
Frédérique Joseph-Lowery Autrice indipendente, curatrice e critica d’arte (per i magazine artpress e artnet), ha ricevuto un Ph.D. dalla Emory University. Come specialista degli scritti di Salvador Dalí ha pubblicato un’edizione critica dei 1700 manoscritti dell’autobiografia di Dalí, La Vie secrète de Salvador Dalí, Suis-je un génie? de Salvador Dalí, Critical edition by Frédérique Joseph-Lowery, foreword by Jack Spector, Collection Mélusine, L’Âge d’Homme, Geneva, 2006, 738 p. Ha diretto un numero speciale de La Revue des Sciences Humaines, dedicato al Dalí scrittore: Lire Dalí. Ha curato Dalí Dance and beyond, Godwin-Ternbach Museum, Queens College (CUNY), primavera 2010, St. Petersburg (FL, USA), giugno-dicembre 2010; con Isabelle Roussel-Gillet Dalí, Sur le traces d’éros; allo Scriptorial di Avranches La pratica del riciclaggio (Mont-St-Michel Museum of manuscripts in France, 2007), e co-autrice con Isabelle Roussel-Gillet, Dalí/Béjart: danser “Gala”. L’Art bouffe de Salvador Dalí, Collection Daliana, ed. Notari, 164 p., Geneva, 2007.
Claudio Mazzanti Dopo vent’anni di studio, un dottorato di ricerca in sociologia, e qualche docenza universitaria, si è inopinatamente convinto di poter fare l’imprenditore. Ha fondato e presiede Loop, in cui svolge il ruolo di Hidebehind. Si arroga il vanto di aver ideato e prodotto il primo cartone animato 3d in dialetto bolognese, di aver installato un monolite interattivo permanente in un aeroporto, e di aver vinto premi d’arte con un semplice soffio. Per anni ha presieduto Yoda, un’associazione che organizza campi di volontariato internazionale e il primo festival italiano di turismo responsabile. Ha prodotto alcuni documentari e ha pure avuto il coraggio di pubblicare un libro di poesie, di cui ad oggi ha venduto due copie. Accollandosi la cura di questo volume, è tornato finalmente a studiare, peraltro su un argomento non inerente ai suoi studi. Come compagna ha una maestra di sostegno. Vive in un Eremo nei pressi di Bologna.
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Isabelle Roussel-Gillet Maître de conférences habilitée à diriger des recherches all’Università d’Artois (France). Le sue pubblicazioni si incentrano sulla relazione fra le arti (cfr. Annie Ernaux, Richard Dindo, JMG Le Clézio). Curatrice di mostre, soprattutto sulle forme del libro, segue progetti museografici del Master expographie-muséographie. Ha curato la mostra pARTages, artisti migranti del XXI secolo, (Musée des manuscrits du Mont Saint-Michel, France, 2013), che valorizza la dimensione interculturale delle collaborazioni inter-artistiche, tra cui alcuni libri d’artista realizzati con Michel Butor su cui ha pubblicato BBB Bibliotheca Butoriana Bodmerianae (Fondation Bodmer, Editions Notari, 2016). Entrata attraverso la danza nell’universo di Dalí e perseguendo le sue ricerche sul dialogo fra le arti, si è appassionata al genio del pittore-scrittore-designer-performer; ha scritto con Frédérique Joseph-Lowery Dalí/Béjart: danser «Gala». L’art bouffe de Salvador Dalí, (Editions Notari, 2007), e in seguito co-diretto Dalí. Sur les traces d’Eros (Editions Notari, 2010).
Tatti Sanguineti Tatti Sanguineti (Savona, 1946), membro senior della “banda dei savonesi” (Carlo Freccero, Aldo Grasso, Mimmo Lombezzi), ha fatto di tutto per film club, festival, giornali, radio, tivù varie e cineteche italiane e straniere, accredito o ghost, sempre a contratto o militante, cane sciolto, privilegiato o tartassato. A Panorama (1979-1987) come segnalatore settimanale in anticipo di film palinsestati, si specializzò in schede di pellicole che non poteva aver visto. Da questa ossessione che traspare anche in Dalí Experience sta ricavando un’antologia aneddotica. Per Canal Plus-Telepiù (1997-2000) si specializzò in incontri (160 e più) “preobitoriali” a figure del Cinema Italiano che, per motivi di età, non sarebbero mai più state intervistate. Fondatore rinnegato del pluriventennale quotidiano di RadioTre Hollywood Party, montatore degli out-takes di Ginger e Fred (La tivù di Fellini, I. Luce, 38’), attore in più di venti film (fra cui Monicelli, Moretti, Ciprì e Maresco, Del Monte, Placido, Maccioni) ...infiniti docu... cacciatore e restauratore di film persi, censurati, manomessi, alterati (La spiaggia, Totò e Carolina, Ritrovarsi all’alba... ). Non è riuscito a completare l’edizione critica di Odissea nuda di Franco Rossi. Autore di una decina di libri sul Cinema, fra cui due Adelphi e mezzo e un libro scomparso a Rimini sui doppiatori di Fellini. Sta cercando di completare una difficile Vita di Walter Chiari a cui dedicò sette ore e mezza di un programma Rai oggi “vincolato”. Ha, con Pierluigi Raffaelli, girato e montato due lungometraggi, inediti e invenduti, su Giulio Andreotti, sottosegretario allo Spettacolo di quattro governi De Gasperi (19471953), costruiti su quasi cinquanta ore di interviste originali filmate.
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Aeroporto G. Marconi Dance of Time II
Piazzale della Memoria Profile of Time
Piazza Liber Paradisus Homage to Terpsichore
Museo Ebraico DalĂŹ. A Jewish Experience
Palazzo Belloni DalĂŹ Experience
Giardini Margherita Horse saddled with Time
DALÍ EXPERIENCE backstage
Finito di stampare da Tecnostampa - Pigini Group Printing Division - Loreto, Trevi per conto di con-fine edizioni nel mese di Gennaio 2017 Printed in Italy
con-fine rispetta l’ambiente. Questo volume è stampato su carte Fedrigoni certificate.