con-fine international art magazine n.25. (non)comunication #1. Silences

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Antoine Gaber

25 anno year i s s u e 25 7 numero

international

art

magazine ISSN 1827-9562

9 771827 956009 25 ISBN 978-88-96427-25-5

9 788896 427255


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Arrivato a Milano, il mio sogno è stato proprio quello di radicarmi in questa zona che trovo fra le più belle della città, dove ancora si possono vedere le pietre antiche su cui si lavava e gli attracchi dove si legavano i barconi, perché i Navigli erano il mezzo più facile per far giungere le merci e i materiali dalla campagna milanese. Milano era tutta una città di canali. Della Milano città d’acqua parla anche Hemingway in uno dei Quarantanove racconti, In un altro paese, che è tutto un muoversi tra corsi d’acqua e ponti. When I arrived in Milan, it was my dream to establish myself in this area, which I find to be one of the most beautiful in Milan, where you can still see the old washing stones and the moorings where the boats were tied. Milan was a city full of canals. Hemingway even talks about that in one of his Forty-nine Stories In Another Country - about moving around the city along canals and bridges. Arnaldo Pomodoro Flaminio Gualdoni Vicolo dei Lavandai. Dialogo con / Conversation with Arnaldo Pomodoro I Edizione - Giugno 2012 - cm 12x16 - pagg.48 - brossura Italian/English text - Postfazione di/Afterword by Gino Fienga ISBN 978-88-96427-16-3 - € 9,00

oi dialogoi

a cura di / cured by Gino Fienga


Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito alla Biennale Giovani Trento 2012 una propria medaglia di rappresentanza

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

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Movimento Artistico Proattivo presents

ATTO PRO AT T IV O Stefano Fanara Eliana Re Enzo Napolitano Sergio Blatto BOLOGNA - Palazzo D’Accursio - Sala della Manica Lunga 7/29 SETTEMBRE 2012 - Opening 07/09/2012 ore 18:00

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Catalogo con-fine edizioni con testi critici di Gerardo Bombonato - Presidente Ordine dei giornalisti Regione Emilia Romagna Milena Naldi - Storico dell’Arte Paola Torniai - Storico dell’Arte Mario Trecek - Poeta, scrittore, gestore culturale

Comune di Bologna

Ambasciata Argentina in Italia

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Voli d’anima Finchè sarò la sola anima che in te fruirò giocare coi dolci steli accaparrare d’aureole tinte di sole parlerai come lei che dolce salirai fra quei sommessi lidi. Di sol vestiti. Amore rivorrai Per ben sentire e allora capirai d’avere si amici, incamminati, dolci, inutili tormenti di tradimenti e ammenti. Si lo saprai. Ora sei… tra le mie braccia sei… …vorrei…

Dina Montesu Via Antonio Pigliaru, 23 08020 Orune - NU ant.goddi@tiscali.it cell. 339 4976289



Armando Scaramucci Via Pieve Santo Stefano, 7175 55100 LUCCA www.armandoscaramucci.it info@tenutadiforci.it

I colori del vento Olio e Polvere di marmo su tela cm 140x120


Fotografo Contemporaneo e Pittore Impressionista Canadese Canadian Contemporary Photographer and Impressionist Painter Antoine Gaber ha sviluppato una tecnica nuova per le sue Fotografie d’Arte Digitale, fotografie di paesaggi, fiori, e architettura, denominata e con marchio registrato “Fotografia evolutiva con tecnica d’inserimento di nastri™”. Il termine “evolutivo” si riferisce alla trasformazione evolutiva di una fotografia normale attraverso un algoritmo matematico. Questa trasformazione utilizza le ombre della fotografia e li copre con nastri, di lì il nome “inserimento di nastri”. Le opere originali di Antoine Gaber come pittore impressionista, inspirate da Claude Monet, Renoir e Van Gogh, comprendono paesaggi marini, terrestri, nature morte, e pitture floreali. Affascinato dalla bellezza avvincente della natura, e sensibile agli effetti creati dai giochi di luce e di sostanza, trova che con lo stile impressionista, riesce a catturare l’essenza della bellezza effimera e delle visioni passeggere della natura. Antoine Gaber ha presentato le sue opere impressioniste in numerose esposizioni internazionali d’arte, ed il suo lavoro è presente in numerose gallerie virtuali d’arte.

w w w. a n t o i n e g a b e r. c o m

antoine.abugaber@sympatico.ca - Telephone: 1 (416) 595-1003 La corrispondenza con l’artista può essere fatta solo in inglese o francese The correspondence with the artist can only be done in English or French

Antoine Gaber developed a unique Digital Art Photography artworks technique named and trade marked “Evolutional Ribbonized Photography™” of landscapes, floral, and architecture. The term “Evolutional” comes from the fact that a normal photograph passes through an evolutional stage of transformation through a mathematical algorithm. This transformation uses the shadows within a photograph and fills it with a colored ribbon, hence the word “Ribbonized”. As an Impressionist Painter, Antoine Gaber’s original fine art oil paintings inspired by Claude Monet, Renoir, and Van Gogh, includes landscapes, seascapes, still life, and floral. Motivated by the haunting beauty of nature, and the delicate interplay of light and substance. He found that impressionism explored the quality of ephemeral beauty and captured the essence of changing, fleeting visions of nature. Antoine Gaber has exhibited his impressionist paintings in several International art exhibitions and his artwork is available on several virtual art galleries.


Summary N. 25 - Spring 2012

con-

editorial

(in)comunicabilità #1. Silenzi. (non)comunication #1. Silences Gino Fienga

pag. 18

Monocromi. Monochromes. Matteo Bergamini

pag. 22

Silenzio in sala. Quiet please. Chiara Casarin

pag. 28

Alfredo Pirri Le voci del silenzio. The voices of silence. Luciana Ricci Aliotta

pag. 36

Adalberto Abbate Né con Garibaldi né con Cavour. Neither with Garibaldi nor with Cavour. Andrea Penzo

pag. 46

Marianna Andrigo + Aldo Aliprandi L’antinarratività. Antinarrative. Cristina Fiore

pag. 54

pretext

passeurs

Cover Emilio Isgrò Fondata sul lavoro Founded on Work Acrilico su tela montata su legno Acrylic on canvas mounted on wood cm 100 x 100 2010 courtesy Boxart Galleria d’Arte Verona


omnia vanitas

Indagine sul teschio nelle arti visive. Research about the skull in visual arts. Dialogo fra Dialogue between Silvia Conta & Alberto Zanchetta

pag. 64

Il Dante di Doré Doré’s Dante. Mauro Carrera

pag. 72

exlibris

quid

preview ED I T OR I A L

Giovanni Zoda Del personale ripensamento interiore nella visione di un’opera. About the personal inner afterthought in the view of artwork. Pippo Lombardo pag. 78

Focalize Mag Silence effect. Views on the amplified urbe. Veronika Aguglia

pag. 83

Lincomunicabilità del sistema. The incomunicability of the system. Gino Fienga

pag. 90

-fine

at the end


Thanks Robert S !#2 Riccardo Benassi Other dialogues carried out in silence 2012

A

rtista dell’imprevedibile rilettura del reale, Riccardo Benassi (Cremona 1982, vive e lavora a Berlino) conduce un’indagine che si muove sul crinale tra (già) definito e (ri)definibile in un rutilante mutamento di prospettive che appare tanto più naturale quanto l’intuizione quasi istintiva di nuovi confini e angolazioni prospetta insolite e inattese letture. Non si tratta di un livello puramente poetico quanto di un tentativo di bypassare l’impiego lineare del rapporto causa-effetto e le definizioni stabili, in un procedere quasi più vicino ad una “allucinazione disinibita” e volutamente illogica volta sia a (ri)aprire ad un pensiero non imbrigliato in schemi e paradigmi, sia a riconferire valore all’esperienza sensibile diretta che, nella crescente virtualizzazione odierna, è necessario ristabilire per recuperare senso al pensiero e all’agire. Nel lavoro di Benassi ogni oggetto, suono, colore, pensiero, sensazione o incontro può essere grimaldello tanto casuale quanto inatteso per riflessioni che si concretizzano nell’intreccio di linguaggi e forme che traducono il reale in codici soggettivi e arbitrari attraverso opere che trovano la loro compiutezza nell’incontro con l’osservatore. In Other dialogues carried out in silence - opera realizzata per con-fine - le sovraccoperte di quattro volumi acquistano un’autonomia totale rispetto al libro da cui sono state sfilate. Nelle quattro tavole di cui è composto il lavoro l’uso del colore e l’assenza - volutamente non totale - di punti di riferimento in merito alla proporzione fanno sì che le fotografie tramutino le sovraccoperte in strutture dall’imponenza architettonica che a tratti ricordano i mastodontici lavori di Richard Serra, ma che per effetto dei colore e del rapporto con lo sfondo, rimangono fluttuanti e talvolta indefiniti portando lo spettatore ad una continua rilettura dell’immagine. Per Benassi ogni opera è il risultato dell’elaborazione di frammenti, suggestioni e pensieri che egli isola dal flusso dell’esperire, seziona, filtra e trasforma per poi immetterli nuovamente nel panorama del reale, come spore che assumono una vita autonoma il cui viaggio si compie nella mente dell’osservatore. In questa procedura Benassi rintraccia un parallelismo tra il lavoro dell’artista e quello dello scienziato: entrambi sono partecipi di un processo che si snoda nei secoli e che li trascende a causa dell’ineluttabile limitatezza temporale a cui l’essere umano non può sottrarsi. Entrambi sono quindi impossibilitati a conferire una compiutezza totale al loro lavoro e a conoscerne esiti e sviluppi nel tempo, nell’ambito di appartenenza e nella storia tanto dell’umanità quanto dei singoli individui. Altro cardine della ricerca di Benassi è la riflessione sul linguaggio, che impregna di sé ogni opera: egli rintraccia un precisa responsabilità da parte dell’artista nell’uso del linguaggio non solo direttamente legato al linguaggio artistico in quanto tale, ma come discorso - più o meno esplicitato - ad esso parallelo e complementare. In questa accezione l’artista vede con diffidenza quella che ritiene una sopravvalutazione del silenzio nel ‘900 opponendo a quest’ultima una concezione in cui, dice, «il silenzio è OFF non STANDBY ma OFF». Benassi stabilisce così una netta linea di demarcazione tra il silenzio di ciò che non è udibile - come una lettura o un dialogo interiori - e il silenzio in quanto pensiero non formulato, incompiuto o assente. Ciò non va confuso con la necessità o la proposta di spiegare in maniera didascalica o eccessiva - e quindi limitante - un’opera o una pratica artistica, pone invece, in modo fondamentale e valido per tutti, la questione della relazione tra poetica, linguaggio e pratica artistica, tra ricerca artistica e sostrato su cui essa stessa di basa e da cui, di volta in volta, è nutrita o meno.

Silvia Conta






2#

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T

he artist of the unexpected re-reading of reality, Riccardo Benassi (Cremona 1982, lives and works in Berlin) makes an enquiry about crime between (already) defined and (re)definable in a glowing change of perspectives which seems as natural as the nearly instinctive intuition of new borders and angles, offering new and unusual reading. It does not deal with a mere poetic level but with an attempt of going beyond the linear use of the cause and effect relation and of fixed definitions, following a path closer to an ‘uninhibited hallucination’, intentionally illogical. It is dedicated to (re)open a though which is not bound to schemes and paradigms, and to regain its value to the direct sensitive experience that, in today’s growing virtualisation, is necessary to be restored in order to understand the meaning of thinking and acting. In Benassi work each object, sound, colour, thought, sensation or meeting can be picklock both random and unexpected for reflection, which become concrete in the weaving of languages and forms, furthermore they translate the real into subjective and into arbitrary codes and through works which reach their full meaning in the meeting with the viewer. In Other dialogues carried out in silence – realised for con-fine – the dust covers of the four volumes get a total independence if compared to the book from which they have been taken off. The work is composed of four illustrations, the colour and the lack – intentionally uncompleted – of reference points about proportion give the chance to turn the dust covers into structures of architectural impressiveness which remind to the Mammoth works of Richard Serra. But, because of the colour effect and the relation with the background, they stay changeable and sometimes undefined leading the viewer to a constant re-reading of the image. Benassi consider each work as the result of the elaboration of fragments, suggestions and thoughts that he isolates from the flux of carrying out, selects, studies and changes in order to put them again into the panorama of the real, like spores which get an independent life and whose travel is in the viewer’s mind. In this process Benassi traces a parallelism between the work of the artist and that of the scientist: both are part of a process that has been developing through centuries and that he goes beyond thanks to temporal ineluctable limitation, to which human being cannot escape. Therefore, both are unable to give to the whole work an final full meaning, and they are unable to understand results and developments through time, both in their belonging group and in the history of humanity and also of single person. Benassi study is also mainly based on the reflection about language, that fills all his works: he finds a specific responsibility of the artist in the use of language not only directly linked to true artistic language, but as dialogue – more or less explicit – which is complementary and parallel. In this artistic exception the artist distrusts the overestimation of the twentieth-century silence, opposing to it the idea where, he says, <<the silence is OFF and not STANDBY but OFF>>. In this way Benassi defines a sharp dividing line between the silence of what we cannot hear – as a reading or an interior monologue – and the silence considered as a non-formulated, absent or incomplete though. This has not to be confused with the necessity or suggestion of a didactic or excessive explanation –so it would become constraining– of a work of art or of an artistic activity, instead he suggests the question of the relationship among poetics, languages and artistic practice, between the artistic research and the background on which it is based and from which, sometimes, it is more or less fed. Silvia Conta


(in)comunicabilitĂ #1. Silenzi. (non)comunication #1. Silences.


conÈ l’immaginazione che ha insegnato all’uomo il senso morale del colore, del contorno, del suono e del profumo. Essa ha creato, al principio del mondo, l’analogia e la metafora [...]. Poiché ha creato il mondo [...] è giusto che lo governi. It is imagination that has taught man the moral sense of colour, of contour, of sound and of scent. It created, in the beginning of the world, analogy and metaphor […]. As it has created the world […] it is proper that it should govern it. Ch. Baudelaire, “Lettera al direttore della Revue FranÇaise” in La regina delle facoltà, in Poesie e Prose, a cura di G. Raboni, Mondadori, Milano 1973, p.820

«S

ilenzio cantatore». Ho sempre pensato che il verso di questa antica canzone napoletana racchiudesse in sé la più profonda essenza dell’arte, creando un imprevisto legame fra la musica e le arti visive. Le note del canto incorniciano silenzi che non arrestano il tempo. Le pause sono sospensioni del suono. Il tempo continua a scorrere, a suonare, a cantare, a comunicare. E così, le arti visive, apparentemente escluse dal campo sonoro (facendo le dovute eccezioni di perfomances e installazioni varie) possono ricollocarsi in una posizione di pari dignità musicale, nella gerarchia di Shopenhaueriana memoria. Il silenzio, in cui sembra relegata la comunicazione dell’opera d’arte, è solo una parte del messaggio che l’artista aggiunge alla costruzione di tutto il processo creativo. In alcuni casi il principale, ma in un modus operandi che vede l’artista sempre più coinvolto nelle tensioni sociali e storiche, sempre più impastato nella realtà in cui vive e opera, sempre più lontano dall’oggettività della rappresentazione, - ormai scalzata dalla necessità di rapportarsi al proprio mondo interiore e al rapporto di quest’ultimo con input ‘quotidiani’ - il trionfo del silenzio contemplativo, caro soprattutto a tanta pittura iperrealista e metafisica, viene definitivamente e finalmente rotto. L’invenzione distrugge il soggetto rappresentato in funzione dell’idea che la sorregge, del moto interiore che muove la creazione, del flusso di note e pause che il musicista-artista insegue, come in una fuga su questo immaginario pentagramma che è lo stream of consciousness creativo. Dal silenzio nasce l’opera d’arte che innesca un processo di comunicazione che riconduce al silenzio come in un loop interminabile di un’improvvisazione jazz dove le note e le pause si alternano senza fine con pari forza evocativa, in un continuo scambio di energia fra il creatore ed il fruitore, che è la vera magia qualsiasi forma d’arte.

«S

inging silence». I have always thought that the line of this old Neapolitan song would contain the deepest essence of art, creating an unexpected link between music and visual arts. The chant notes enframe silences that do not stop the tempo. Pauses are suspensions of sound. The tempo continues to flow, sound, sing, communicate. So visual arts, apparently excluded from sound field (except in a number of performances and installations) may replace themselves in a position of same musical dignity in a Shopenhauer’s time hierarchy. The silence the work of art seems confined in is just part of the message that the artist adds to the construction of the whole creative process. In some cases it is the main one, but in a modus operandi in which the artist is more and more involved in social and historical tensions, more and more mixed with a reality in which the artist lives and works, more and more far from the representation objectivity, - which is undermined by the necessity of relating with one’s interior world and with the relationship that it has with ‘daily’ inputs – the triumph of contemplative silence, especially dear to a big part of hyperrealist and metaphysical paintings, is completely and finally broken. Invention destroys the represented subject in function of the idea that supports it, of the inward movement that moves the creation, of the notes and pauses flow which the musician-artist runs after as in an escape on this imaginary pentagram, that is the creative stream of consciousness. From silence the work of art is born and that triggers a process of communication that brings back to silence as in an endless loop of jazz improvisation, where notes and pauses alternate endlessly with the same evocative power, in a perpetual exchange of energy between creator and user, which is the real magic in every art form. Gino Fienga

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colophon con-fine n.25 - (in)comunicabilità #1. Silenzi. (non)comunication #1. Silences. Direttore Responsabile Editor Vincenzo Aiello Direttore Editoriale Executive Editor Gino Fienga Capo Redattore Editor in chief Matteo Bergamini Redazione Editorial Staff Veronika Aguglia, Mauro Carrera, Chiara Casarin, Silvia Conta, Cristina Fiore, Pippo Lombardo, Andrea Penzo, Luciana Ricci Aliotta Traduzioni Translations Maura Forlazzini - Luca Zappa redazione@con-fine.com Pubblicità Advertising Nadia Lazzarini adv@con-fine.com - cell. +39 393 1595622 Editore Publisher con-fine edizioni Via Garibaldi, 48 - 40063 Monghidoro (BO) - ITALY - tel. +39 051 655 5000 fax +39 051 0544561 Stampato presso Printed by Grafica Metelliana Via Gaudio Maiori - 84013 Cava de’ Tirreni (SA) - ITALY Distribuzione per l’Italia Distribution for Italy con-fine edizioni Via Garibaldi, 48 - 40063 Monghidoro (BO) - ITALY - tel. +39 051 655 5000 fax +39 051 0544561 Agente esclusivo per la distribuzione e abbonamenti all’estero Sole Agent for Distribution and Subscriptions Abroad A.I.E. - Agenzia Italiana di Esportazione S.p.A. Via Manzoni, 12 - 20089 ROZZANO (MI) - ITALY - Tel. 02 5753911 Fax 02 57512606 Registrazione presso il Tribunale di Bologna Registration at the court of Bologna n. 7639 dal 27/2/2006 Iscrizione al ROC n.19530 del 22/04/2010 ISSN 1827-9562 - ISBN 978-88-96427-25-5 © Copyright con-fine edizioni, Monghidoro (BO). Tutti i diritti riservati. All rights reserved. È vietata la riproduzione anche parziale di qualsiasi parte della rivista in qualsiasi forma, senza l’autorizzazione scritta dell’editore. Per le illustrazioni l’editore ha ricevuto l’autorizzazione degli aventi diritto. È disponibile comunque ad assolvere i propri impegni per eventuali diritti di riproduzione qui non contemplati. You may not reproduce any part of any part of the magazine in any form without the written permission of the publisher. For illustrations the publisher has received the approval of the entitled. There is, however, to fulfill their commitments to any reproduction rights are not covered here. Many thanx to Roberto Di Fresco for the design of FocalizeMag pop-up. www.con-fine.com/artmagazine - info@con-fine.com


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Monocromi. Monochromes. Matteo Ber gamini


pretext Il Sangue dell’Espressività è Blu. The Blood of Sensibility is Blue. (Derek Jarman)

S

arebbe stato abbastanza facile iniziare dal silenzio dei monocromi di Manzoni, dagli “Achrome”, privati del tono. Bianchi e candidi. Oppure citare l’irriducibilità di Ad Reinhardt, il tormento quasi mistico di Rothko, le varie Fine di Dio di Lucio Fontana. No, è di un silenzio che racconta quello di cui vogliamo parlare, del tono dell’infinito, dell’irriducibilità della vita da una parte e della vita che scompare dall’altra. E dell’osservazione implacabile del proprio corpo che svanisce, nonostante si interponga davanti agli occhi un velo. Un velo blu. Blue è l’ultimo lungometraggio di Derek Jarman realizzato nel 1993, un anno prima della morte. Un regista considerato estremo. Un regista polemico, impegnato, scandaloso, come può essere scandaloso chi rivendica un impegno politico e sociale e non ha paura di dichiarare la propria identità di uomo, di attivista, di omosessuale e di condannato dal virus dall’Hiv, nell’Inghilterra degli anni ‘60 e ‘70. Postmoderno, pop, visionario, da Sebastiane a Jubilee, da Caravaggio a Wittgenstein, Derek Jarman attraverso la settima arte riscrive le vite, ne accentua a tratti, le romanza, le indicizza come episodi estetici, mai morali ma riscritti attraverso una profonda visione etica che guarda ai dualismi della sofferenza e del piacere, del consumo e dell’abulia, della vita e della morte. Dell’idea che si può avere di essa. Difficile parlare di silenzio quando si parla di cinema. In fondo ogni immagine mantiene una dimensione “parlante”, specialmente quando si tratta di immagini in movimento. In Blue il movimento è solo delle parole. É dato per empatia. Per circa ottanta minuti lo schermo è un intero monocromo IKB (International Klein Blu) su cui “scorrono” una serie di voci fuori campo che raccontano il testamento spirituale dell’artista: citazioni, passi di diario, bugiardini di medicinali, un elenco di amici morti vengono narrati dai “famigliari” e dal tono della voce, ora flebile ora deciso, dello stesso regista. Il tempo è scandito dal suono delle onde del mare o dai rintocchi di una campana tibetana, come ad amplificare il senso di un infinito che è allo stesso tempo vita e morte. Il Blu di Jarman è l’incommensurabile tono che sopraggiunge come complicazione dell’Aids e che rende il regista cieco. Blu è il colore del distacco

I

t would have been quite easy to begin with Manzoni’s silence of the monochromes, with the “Achromes”, deprived of tone. White and candid. Or maybe, quoting Ad Reinhardt’s irreducibility, Rothko’s almost mystical torment, the various Fine di Dio’s (End of God) by Lucio Fontana. No, we want to talk about a silence that narrates, about the tone of inifity, on the one hand about the irreducibility of life and on the other one about life that disappears. About the relentless observation of our own body that fades away, in spite of a veil interposed in front of the eyes. A blue veil. Blue is Derek Jarman’s last feature film, filmed in 1993, one year before his death. A director who was considered extreme. A polemical, engaged, scandalous director, as scandalous as one could be for claiming his political and social engagement and who is not afraid of declaring his identity as man, activist, homosexual and plagued by HIV, in 1960s-1970s England. Postmodern, pop, visionary, from Sebastiane to Jubilee, from Caravaggio to Wittgenstein, through the seventh art Derek Jarman rewrites lives, he emphasises their traits, novelises them, indexes them as aesthetic episodes, never moral ones but rewritten through a deep ethical vision that looks towards the dualisms of suffering and pleasure, of consumption and abulia, of life and death. Of the idea that one could have about it. It is difficult to talk about silence when dealing with cinema. In the end, every image mantains a “speaking” dimension, especially when dealing with moving images. In Blue, movement is only about words. It is given through empathy. During about eighty minutes the screen is a whole monochrome IKB (International Klein Blue), on which various voice-overs “flow” telling about the artist’s spiritual will: quotes, parts of his diary, medicines leaflets, a list of dead friends, they are all narrated by “relatives” and by the director’s own tone of the voice, sometimes feeble, other times firm. Time is marked by the sound of sea waves and by the strokes of a Tibetan bell, as if to amplify the sense of infinity which is at the same time life and death. Jarman’s Blue is the immeasurable tone that comes as a complication of AIDS and which turns the director blind. Blue is the colour of retinal detach-

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pretext della retina, di una nuova percezione del mondo che invade il corpo ormai piegato alla guerriglia tra virus e antigeni, è il campanello d’allarme e il ticchettio di un orologio che annuncia l’allontanarsi inesorabile di una normale condizione di esistenza, o quello che per lo meno, resta di essa. Blue diviene la voce interrotta dalla paura, il situarsi in una nuova situazione che non permette più i movimenti conosciuti e il riconoscimento immediato tramite la vista, ma che amplia a dismisura altri sensi: mente lucida e corpo a pezzi, reperto di una battaglia al termine. Nel Blu nulla è più mnemonico, i rumori di una cucina non si danno per scontati così come non è più superfluo un saluto ad un volto sconosciuto nel quale si intravede riflesso il proprio stato. Eppure non si è minimamente di fronte ad un film “epitaffio”, anzi, per tutta la durata del lungometraggio il tema della morte non è mai toccato né in maniera melanconica né tantomeno romantica o angosciata. Piuttosto Jarman pare combattere l’ennesima lotta contro quello che sembra essere il più incomprensibile mulino a vento. Insieme alle domande sul perché di un’epidemia di tale portata scagliatasi su una miriade di amici, la riflessione quasi infantile che dipinge l’Aids un castigo ingiusto: «Nessuno di noi ha mai voluto fare la guerra! Abbiamo solo fatto l’amore!». Blue è il conflitto mai sedato nei confronti dell’accanimento terapeutico, contro le associazioni per la prevenzione dell’Hiv che non proferiscono una sola parola intorno ai metodi di profilassi e rifiutano, all’interno delle loro cosche, la solidarietà ai froci; è l’invettiva contro la morfina che al contrario di lenire il dolore ne prova la forza direttamente sul tessuto umano, è l’odio nei confronti di chi aveva messo in circolazione la speranza dell’eutanasia e che invece promuove come aspettativa di vita la somministrazione di decine e decine di pillolebombe-ad-orologeria. Ed è polemica aperta ed auto-ironica contro il teatro delle relazioni omosessuali basate su fondamenti di machismo ed estremo femminilismo, terreno primo per la contaminazione promiscua: “Sono una finocchia mascolina esperta nella ginnastica dell’affondo dell’inguine” recita una voce molto maschile oltre lo schermo blu; polemica feroce contro l’ipocrisia dei risultati anonimi degli esami riguardanti il contagio o l’avanzare del morbo; polemica contro la mancanza di etica della malattia, pronta a colpire nei momenti più impensabili. Ma Blu è anche la percezione dei ricordi, il

ment, the colour of a new perception of the world that invades an already-bent body, battling against viruses and antigens. It is the alarm bell and the ticking of a clock that announces the inexorable departure of a normal living condition, or at least, what remains of it. Blue becomes the uninterrupted voice of fear, the placing of a new situation which prevents any known movements and the instant recognition through sight, but instead it greatly amplifies other senses: a clear mind and a destroyed body, finds of an ending battle. In Blue nothing is mnemonic anymore, the kitchen sounds are not assumed, in the same way as a greeting to an unknown face in which one sees glimpses of their own condition, is not a superfluous thing anymore. Nevertheless we are not in the presence of an “epitaph” film, on the contrary, during the whole length of the film the theme of death is never mentioned, neither in a melancholic way nor in a romantic or distressed one. Jarman rather seems to fight the umpteenth battle against what looks as the least comprehensible windmill. Together with the questions on why such an epidemic is cast over a myriad of friends, the almost childish meditation which portrays AIDS as an unfair punishment: «None of us wanted to make war! We only wanted to make love!». Blue is the never sedated conflict against therapeutic obstinacy, against the associations for HIV prevention which do not speak about methods of prophylaxis and refuse to give solidarity to faggots within their groups; it is the invective against morphine which instead of easing the pain, proves the strength directly on human tissue. It is the hatred towards the ones who spread the hope of euthanasia, but instead promote as life expectancy the administration of lots of clockwork-pills. It is open polemic and self-ironic against the theatre of homosexual relationships based on foundations of machismo and extreme femininity, main ground for promiscuous contamination: “I am a mannish muff diving size queen” reads a malesounding voice beyond the blue screen; fierce polemic against the hypocrisy of anonymous results of exams on the infection or spread of the virus; polemic against the lack of ethics of the disease, ready to strike in the most unthinkable times. Blue is also the perception of memories, it is the following of the mind in long moments spent in those places defined by Derek Jarman as “hells on Earth”: waiting rooms in hospitals and clinics; Blue

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Note 1 - Derek Jarman, Ciò che resta dell’Inghilterra Alet, Padova 2007 2 - N.d.T. trad. propria

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seguire con la mente i lunghi momenti passati in quei luoghi che Derek Jarman dichiara essere gli “inferni in terra”: le sale d’attesa degli ospedali, degli ambulatori; Blu è la scoperta e l’esplorazione di un nuovo mondo più che un lungometraggio sulla patologia come ente delittuoso. La morte resta una presenza, un’ombra inquietante, un basso continuo che mai però prende il sopravvento; si indagano piuttosto gli effetti di un corpo a corpo tra vita e virus, tra un dolce passato e un secco presente, in cui le onde del mare rappresentano un elogio funebre per gli amici dispersi. Partiti per un altro viaggio. Eppure a volte pare impossibile non precipitare; inutile credere, inutile uscire, inutile guardare al di fuori: una delle prime battute del film, recitata direttamente da Jarman domanda che senso abbia occuparsi delle cose del mondo quando ciò che riguarda la vita e la morte, l’essenza del cosmo, gioca la partita dentro di se. Oppure, in ultima battuta, la tragedia di assistere ad un tempo, il proprio tempo, che sta per terminare: «Mi sono fermato a guardare delle scarpe dentro una vetrina, ma poi non sono entrato. Ho pensato che quelle che ho mi basteranno per questo ultimo tratto di vita». Ultimi granelli di sabbia nella clessidra.

is the discovery and the exploring of a new world, more than just a feature film on pathology as a criminal entity. Death remains as a presence, a disturbing shadow, a non-stop bass which never takes over; it is more the effects of a clinch between life and virus which are investigated, between a sweet past and a dry present, in which the sea waves represent a eulogy to lost friends. Gone on a different journey. And yet sometimes it seems impossible not to fall down; useless to believe, useless to go out, to look outside: one of the first lines in the film, read by Jarman himself, wonders about the meaning of dealing with things of the world, when what concerns life and death, the cosmic essence, plays the match within itself. Or at the end, the tragedy of being testimony of the protagonist’s own time that is running out: «I caught myself looking at shoes in a shop window. I thought of going in and buying a pair, but stopped myself. The shoes I am wearing at the moment should be sufficient to walk me out of life». Last grains of sand in the hourglass.

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www.con-fine.com/artmagazine Horror Vacui

Horror Vacui Potrei essere guarito Dalle preghiere? Dalle medicine? Da un miracolo? Aiuto. La cosa potrebbe Andare avanti per mesi? Anni? Che dio aiuti la tua indecisione Mi accontenterò di arrivare dolorante al mio Futuro Farò un altro film Questa volta non avrà nessun soggetto Non c’è niente che mi consuma Solo il virus Che mi fotte lentamente Ti saluto con tanto amore, caro virus POSSO FARCELA1 Di fronte a Blue si trasfigura il modo di sentire pietas, compassione; vengono eliminati i parametri intorno all’idea di malattia come handicap, l’arte mette in scena la possibilità di approcciarsi al mondo esterno partendo direttamente dalle corde più latenti e profonde. L’arte diviene la chiave privilegiata per la possibilità di una messa “in

I could be healed By prayers? By medicines? By a miracle? Help. Could this Go on for months? Years? May God help your indecision I will be satisfied to achingly Approach my future I will shoot another film This time it will have no storyline Nothing consumes me Only the virus Which fucks me slowly I greet you fondly, dear virus I CAN MAKE IT2

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In front of Blue the way of feeling pietas, compassion, is transfigured; the parameters of considering a disease as a handicap are removed, art stages the possibility to approaching the outer world starting with the deepest and most latent strings. Art becomes the privileged key because of its possibility to put “colour” to a new way of looking at the disease and death, to achieve an essential hologram on precariousness and existence uncertainty, with the exemplary lucidity which always characterised the British director’s works.

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pretext

Per approfondire la figura di Derek Jarman si indicano i lungometraggi: Sebastiane (1976), Jubilee (1978), Caravaggio (1986), The last of England (1987), Edoardo II (1991), Wittgenstein (1993). E gli scritti: A vostro rischio e pericolo -Testamento di un santo, Ubulibri, 1994 Modern Nature - Diario 19891990, Ubulibri 1994 Ciò che resta dell’Inghilterra, Alet, 2007. Inoltre Derek Jarman è stato regista di cortometraggi e video musicali di Sex Pistols, Marianne Faithfull, The Smiths e Pet Shop Boys. Recommended feature films to gain further insight on Derek Jarman are: Sebastiane (1976), Jubilee (1978), Caravaggio (1986), The last of England (1987), Edward II (1991), Wittgenstein (1993). And the texts: A vostro rischio e pericolo – Testamento di un santo, Ubulibri, 1994; Modern Nature – Diario 19891990, Ubulibri 1994; Ciò che resta dell’Inghilterra, Alet, 2007. Moreover Derek Jarman directed short films and music videos starring Sex Pistols, Marianne Faithfull, The Smiths and Pet Shop Boys.

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colore” di un nuovo modo di vedere la malattia e la morte, per realizzare, con la lucidità esemplare che ha sempre contraddistinto le opere del regista inglese , un ologramma essenziale sulla precarietà e l’incertezza dell’esistenza. E con Yves Klein non solo la comunanza con il tono dell’immateriale, dello spirito, dell’architettura dell’aria e del vuoto, ma anche un particolare voto alla Santa delle “cause perse”, Santa Rita da Cascia, che secondo le leggende, dal giorno della sua canonizzazione sarebbe stata al fianco dei più bisognosi mettendo in atto miracoli prodigiosi. E probabilmente è proprio per questo che le parole di Jarman, dopo quelle di Klein, si indirizzano a questa figura religiosa, per promulgare il proprio movente, l’aspirazione artistica mai scissa dalla vita: Klein nel 1961 aveva realizzato un ex voto dedicato alla Santa; un piccolo ed intimo oggetto che riassumeva per intero il proprio travagliato percorso artistico. Un piccolo contenitore trasparente tripartito in cui erano state inseriti i pigmenti utilizzati per la realizzazione dei monocromi blu, rosa e oro, diventati a partire dal 1960, una sorta di una tricromia inscindibile sull’immaterialità che verrà letta successivamente, seguendo l’evocazione cattolica –Padre-Figlio-SpiritoSantocome un’ipotetica trinità, e una piccola striscia indicante tutti i progetti sull’Aria, riprova della volontà di gettarsi, ancora una volta, nello spazio. Blu.

And together with Yves Klein, not only is there a feeling of community with the tone of immaterial, of spirit, of architecture, of air and emptiness, but also with a particular vow to the Saint of “lost causes”, Saint Rita of Cascia, who according to legends, from the day of her canonisation had been side by side with those in need, working prodigious miracles. Most likely this is the reason why Jarman’s words, after Klein’s ones, are addressed to this religious figure. To promote his motive, the artistic aspiration, never separated from life: in 1961 Klein made a vow to Saint Rita; a small and intimate object that entirely summarised his own troubled artistic path. A tiny transparent box, divided in three parts, containing pigments used to create blue, pink and golden monochromes, which starting from 1960 became a sort of inseparable trichromy on the immateriality, which would be interpreted according to a catholic evocation – Father-Son-Holy Spirit – as a hypothetical trinity, and a thin strip indicating all the projects based on Air, proof of the will to throw oneself, once again, into the space. Blue.



Silenzio in sala. Quiet please. Chiara Casarin


pretext

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pparentemente il silenzio dovrebbe essere pura assenza di suoni e rumori. Una parentesi tra brusii, parole, note e segnali acustici di vita. Come se tutto fosse naturalmente sospeso in un primordiale stato di neutralità. Invece le cose non stanno così. Il silenzio è tutt’altro che una condizione di partenza sulla quale si innestano poi le sonorità del quotidiano. Il silenzio è il momento terminale di una lunga lavorazione, la mèta di un sacrificio inteso nel senso di rinuncia volontaria all’emissione acustica, incredibilmente difficile da perseguire e da ottenere. È necessario un lungo e faticoso lavoro di depurazione, di sottrazione, di immobilizzazione. E comunque non sempre il risultato è il silenzio, anzi, il più delle volte è una sua mediocre approssimazione. Il silenzio è piena assenza, non povera presenza. Non pare sufficiente dire ‘stare in silenzio’ dato che questa proposizione si limita al divieto di parlare. Bisogna pensare più ad un ‘fare silenzio’ dove non solo non vi sono discorsi in atto ma anche dove l’ambiente circostante deve percettibilmente divenire insonorizzato. Apparentemente il silenzio dovrebbe anche corrispondere ad una mancanza di contenuti. Se nell’eliminazione progressiva di atti sonori vediamo un’espressione del silenzio, nella abolizione di un messaggio possiamo generare un silenzio semantico. Ma è davvero possibile costruire un silenzio di significati? Non è piuttosto vero che ogni cosa ha senso, silenzi compresi? E inoltre, non è che alcuni tipi di silenzio consentono la costituzione di un dialogo, di uno scambio? Nei casi in cui la comunicazione viene sospesa, per mancanza di codici condivisibili o per cause esterne, il silenzio è un problema comunicativo, di relazione, di scambio. La reciprocità del dialogo si avvale di molti linguaggi, di appropriati codici e, nelle lacune tra essi, si può formare una bolla di silenzio che semplicemente non è altro che assenza di veicolo comunicativo, arresto del dispositivo relazionale. Ci sono silenzi cromatici, silenzi grafici, silenzi gestuali. E l’arte è un bacino particolarmente fertile per l’emergere di forme di silenzio inattese. Tra i più celebri e immediati esempi che si possono trovare nell’arte contemporanea, la ricerca del silenzio - in una particolarissima accezione - è sfociata nelle cancellature di Emilio Isgrò. La Costituzione Cancellata, realizzata nel 2010 in occasione della sua personale a Verona, Isgrò non solo tappa la bocca alla Costituzione Italiana ma afferma il diritto di ciascuno, artista in primis, di attivarsi alla ricerca di un significato diverso delle cose anche mediante l’imposizione di un silenzio, in questo caso, solo apparentemente tipografico. In passato

A

pparently, silence should be pure absence of sounds and noises. A break among buzzes, words, notes and acoustic signals of life. As if everything were naturally hanged over a primordial state of neutrality. But it does not work in this way. Silence is more than a starting term on which, later, everyday sounds join. Silence is the final moment of a long work, the half of a strong sacrifice, in the sense of voluntary renunciation to the acoustic emission, very difficult to be pursued and obtained. It need a long and very hard work of purification, elimination, immobilisation. However, silence is not always the result, indeed, most of the time it is a sort of mediocre approximation. Silence is full absence, and not poor presence. It is not enough to say ‘keep silence’ considering that this statement is limited to the ban of talking. It should be better to think about ‘quiet please’ where not only it should be not allowed to talk but also the surrounding environment should perceptibly become sound proof. Apparently silence should also correspond to a lack of contents. If in the progressive elimination of sound acts there is an expression of silence, in the elimination of a message there is a semantic silence. Is it really possible to create a silence of meanings? Is it right that everything has its own sense, silences included? Furthermore, do some types of silence create a conversation, or an exchange? When communication is suspended because of lack of sharable codes or external causes, silence is a communicative problem, of relationship, of exchange. The dialogue reciprocity uses many languages, specific codes and, in the developing gaps between them, a silence ball can be created, that is simply the essence of the communicative vehicle, the end of the relational mean. There are chromatic silences, graphic and act silences. And art is a particularly fertile area, where new forms of unexpected silence develop. In contemporary art there are many different and famous examples, the search for silence –in a very special exception- can be found in Emilio Isgrò’s deletion. The Constitution Deleted, realised in 2010 for his personal exhibition in Verona, Isgrò shuts the Italian Constitution up but he stresses the personal right, firstly the artist’s right, to focus on the search for a new meaning of things by the imposition of silence, in this occasion, only apparently typographical. In the past, painters and sculptors praised the silence by its personification as in the Greek god Harpocrates or in the Roman goddess Angerona, but, starting from the referentiality of

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pretext scultori e pittori d’ogni tempo hanno elogiato il silenzio attraverso la sua personificazione come nel dio greco Arpocrate o nella dea romana Angerona, ma, a partire dalla referenzialità dell’eloquente gesto di posare l’indice sulle labbra, tutt’altro che silenziose erano quelle opere. Proseguendo in quella che potrebbe essere davvero un’interessantissima storia dell’arte costruita sul fil rouge del silenzio, le epoche meno antiche videro artisti di corte che generavano silenzi nei campi non protagonisti delle loro opere pittoriche. Erano silenzi visivi che consentivano l’isolamento della scena principale, del soggetto ritratto, per esaltarne lineamenti, potere, regalità come nei ritratti in cui lo sfondo di colore neutro lasciava spazio solo per la voce del soggetto immortalato. Oppure costruivano il silenzio, ne restituivano l’idea, presentando scenari naturali, immacolati sotto il profilo acustico. Si tratta di silenzi che ovviamente rispecchiano il desiderio di noninterferenza tra gli elementi del dipinto e, tornando ad oggi, sono silenzi che ancora funzionano come campiture sulle quali nessuna interpretazione può radicare riferimenti alla realtà sonora. Si pensi ai monocromi di Malevic o Rauschenberg o ai tagli di Fontana eseguiti su tele bianche o nere o rosse, per citare i casi più eclatanti. Sono particolari occorrenze di silenzi molto diversi tra loro e che si comportano in maniera autonoma rispetto al brusio del corpus di opere nel loro insieme. Di fronte a un’opera di Mark Rothko, Magenta, Black, Green on Orange, del 1949 si possono ipotizzare due tipi di silenzio: quello proprio dell’ambiente circostante necessario alla lettura dell’opera – si potrebbe ascoltare questo quadro nel brusio o nel frastuono? - e quello dell’astrattismo non come opposizione formale alla narratività di una immagine, anzi, ma come magnificenza cromatica che, estesa, dilatata, uniforme e piena, è una vera forma di silenzio visivo. Quale quella che si può trovare in ambienti immensi e incontaminati come lo sono il cosmo o i fondali marini. Ma una vera e propria attivazione linguistica del silenzio parte ineluttabilmente dagli spazi vuoti, sia visivi che sonori, necessari alla comprensione di ogni linguaggio. Il silenzio grafico che si frappone tra una parola e un’altra ci consente di leggere. Sarebbe davvero ardua impresa quella di leggere un intero romanzo se tra le singole parole non ci fosse uno spazio che ci indica dove finisce un termine e dove ne inizia un altro. Sono vuoti che permettono la comprensione del testo e che stabiliscono ritmi e pause. Anche nel linguaggio verbale vi sono dei brevissimi intervalli tra una pronuncia e quella successiva. Per costituirsi come sistema significante, il linguaggio necessita di momenti vuoti. Anche se

this eloquent act of putting the forefinger on the lips, those works weren’t nearly silent. All along that very interesting history of art, developed through the fil rouge of silence, in the past there were different court artists which created silences in non protagonist fields of their paintings. They were visual silences that allowed the isolation of the main scene, of the portrayed subject, to enhance his or her features, power, royalty as in the portraits where the neutral background leaves space only to the voice of the portrayed subject. Or, they created silence, or they gave the idea of it, painting natural scenery, immaculate by the acoustic profile. These silences, obviously, do not want any interferences among the elements of the painting. Coming back to nowadays, they are silences that still work as paintings on which any interpretations can root references to the acoustic reality. Some great examples could be Malevic or Rauschenberg monochromes, Fontana’s cuts painted on black, white or red canvas. They are particular types of silences, very different from each other and they act autonomously if compared to the sound of the corpus of the works as a whole. In Mark Rothko, “Magenta, Black, Green on Orange”, 1949, there could be two different types of silence: the silence of the surrounding environment which is necessary for the reading of the work – could you listen to this picture in the ham or in the noise? – and the silence of the abstraction considered not as formal opposition to narrative of an image, but rather as chromatic magnificence which, wide, expanded, uniform and full, is a true form of visual silence; as for the immense and uncontaminated environments, that is to say the cosmos or seabeds. But a true linguistic of silence begins ineluctably from empty spaces, both visual and sound, necessary for the understanding of all languages. The graphic silence, among words, allows us to read. It should be a really difficult feat reading a whole book if among the single words there wouldn’t be a blank space, that sign where a word finishes and a new one begins. They are gaps which allow to understand the text and which establish paces and pauses. In the verbal languages too, there are very small pauses among the pronunciations. The languages need empty moments to create a signifier system. Even if these moments are reduced to infinitesimal fractions of isles between two sounds or millimetres of white paper between two black letters. Starting from this minimal but fundamental existence, the silence becomes little by little artistically

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Emilio Isgrò Le regioni addormentate 2010 acrilico su tela montata su legno cm 150 x 100 Courtesy Boxart Galleria d’Arte, Verona Personnes 2010

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pretext questi sono ridotti a frazioni infinitesimali di isole tra due suoni o a millimetri di carta bianca tra due lettere nere. A partire da questa minuscola eppure fondamentale esistenza, il silenzio diventa a poco a poco artisticamente autonomo e diviene protagonista con John Cage e il celebre 4’ 33’’ del 1952 che tanto scalpore suscitò negli ambienti più restii alla sperimentazione musicale in quanto si trattava più di un’opera teatrale che di una composizione tout court. Un brano, la cui durata è stata assolutamente determinata dal caso e che innalzò a primo attore l’assenza di suoni, lo svuotamento dalle note, la sottrazione di ogni eco acustica. Coltivare la poetica del silenzio, a metà dello scorso secolo, non è stato solo un esercizio da musicisti. George Steiner pubblicò nel 1961 La fuga della parola e nel 1965 Il silenzio e il poeta due saggi sui confini tra il dicibile e l’indicibile, tra la presenza e l’assenza, nelle diverse accezioni che il termine può acquisire in relazione al linguaggio. «Il silenzio è un’alternativa. Quando nella polis le parole sono colme di barbarie e menzogne, niente parla più forte della poesia non scritta». Silenzio inteso dunque come assenza di un messaggio da trasmettere. Rifiuto di un codice da usare. Come arresto di una fluidità comunicativa. Come isola tra due rumori, tra due atti di linguaggio: siano essi emissioni acustiche, siano gesti, siano, appunto, cromatismi. La sottrazione all’opera di un segno leggibile, di un contenuto, sono le basi teoriche sulle quali ad esempio Robert Rauschenberg propose i suoi monocromi degli anni Cinquanta. Grandi tele che avevano l’unico scopo di riflettere la luce dell’ambiente circostante e che nulla volevano dire se non, in uno specchio diafano, ciò che già c’era. Un forma visiva di logoclastia la sua, applicabile a tutti i tipi di linguaggio nel momento della sospensione, nella negazione di una qualunque attività. Ma anch’egli forse ha raggiunto una estrema forma di ‘sottovoce’, prossima al silenzio ma non tale. Giunti fin qui, siamo pervenuti all’ unico grande obiettivo: la parola silenzio non corrisponde a nulla di reale. Il silenzio totale non esiste, il silenzio assoluto è impossibile da creare anche all’interno delle più ardite sperimentazioni scientifiche. È sempre in rapporto a qualcos’altro che si può affermare l’esistenza di un certo silenzio, una parvenza di mancanza di suono o di messaggio. Silenzio è ciò che viene prima di ogni suono e ciò che lo segue inesorabilmente. È ciò che ne determina la durata e il senso, il ritmo e la pregnanza. Una pausa silente rende forti le note che ne scaturiranno, scandisce il tempo di una sentenza, esalta il senso delle parole che verranno pronunciate. L’unico approdo concettuale che ora persiste sta nel fatto che, pur non esistendo, il silenzio ha il diritto di essere ascoltato.

independent and becomes the main character with John Cage and his very famous 4’ 33’’ of 1952, that caused an uproar in the most reluctant circles of musical experimentation because it was a theatrical work and not a composition tout court. A piece, whose length has been totally determined by the chaos and which established, as main character, the absence of sounds, the emptying from notes, the elimination of each acoustic echo. During the second half of the last century the development of the poetics of the silence has not only been an exercise by musicians. George Steiner published in 1961 Word and in 1965 Language and Silence two essays about the borders between told and untold, presence and absence, the different meanings that a word might have if related to language. “Silence is an alternative. When in the polis words are full of lies and barbarity, nothing speaks louder than the unwritten poetry.” So, unexpected silence as absence of a message to be passed on. Refusal of a code to be used. As stopping of a communicative fluency. As an isle between two noises, two language acts: both acoustic emissions, acts, and, indeed chromatic elements. In a work, the elimination of a readable sign or contents are the theoretical bases on which Robert Rauschenberg proposed, for example, his monochrome paintings in the Fifties. Big canvas which aimed at reflecting the light of the surrounding environment and which wanted, in a diaphanous mirror, to tell nothing more than what there was. A visual form of logoclastia, which can be applied to all types of languages in the moment of the pause, denial and of any activities. But maybe, he has also reached an extreme form of ‘softly’, only apparently very close to silence. Now, we have come to a single great purpose: the word silence does not correspond to nothing real. The true silence does not exist, the absolute silence is impossible to create also inside the boldest scientific tests. The existence of certain silence can be supported if it is compared to something else, a sort of lacking of sound or message. Silence is what comes before of each sound and what comes inexorably after. It is what establishes the duration and the length, the pace and the significance. A silent pause strengthens the following notes, beats the time, enhances the meaning of the words that are going to be pronounced. The only conceptual end which still lingers, is the right of the silence to be listened, even if it does not exist.

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Emilio Isgrò La Costituzione cancellata veduta dell’allestimento in galleria, 2010 courtesy Boxart Galleria d’Arte Verona

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Silenzi. Silences.


p a s s e uAlfredo rs Pirri


Le voci del silenzio. The voices of silence.

Luciana Ricci Aliotta


passeurs Previous page Alfredo Pirri Aria Plexiglas trasparente, vernici acriliche, piume conciate e acciaio verniciato cm 210 x 210 2006 Courtesy OREDARIA Arti Contemporanee Roma

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gni segno modifica: un gesto traccia un solco nell’acqua e i cerchi si allargano fino a toccare le sponde del mare. Consapevole o no toccano anche te, in qualche modo ti bagnano. Puoi respingere o negare l’informazione ricevuta, ma perfino il tuo rifiuto ti modifica collegandoti in qualche modo con la fonte. E mai il gesto, il segno, cade nel nulla. Può ridursi a un bisbiglio che si mescola al brusio delle foglie che cadono, non percepibile all’orecchio umano, ma sempre accolto con una lieve eco dalla natura, nel cui libro si scrive come un infinitesimale scarto dall’esistente. Il silenzio è pieno di questi echi che sfuggono all’orecchio umano, piuttosto sordo ai toni discreti. Nel silenzio ogni cosa ha una voce, un suono non necessariamente di note codificate: a volte di colore, a volte di immagini o di vaghe percezioni umbratili, richiamo della memoria. Cosa distingue il linguaggio dell’arte dall’informazione? Forse proprio l’ascolto, quella zona apparentemente vuota che è anzitutto ripiegamento nella nostra memoria e in quella degli altri, di oggi e di ieri. E può scaturirne una voce capace di presentarci una diversa faccia del mondo, o di una piccola pietra. E, attraverso lo scorrere inquieto di questa voce-ombra che ci sorprende dal sonno profondo del quotidiano, suscitare echi che prolunghino il dubbio. Perché l’arte non comunica ‘la verità’, ma un possibile umano mai assoluto. «Non so se l’arte abbia un compito, - dice Alfredo Pirri a Luciano Marucci che lo intervista - penso di sì, ma penso che sia talmente grande che chi si prova ad affrontarlo con lo spirito di voler dare una risposta positiva sbaglia, tanto vale viverla come una risposta personale che possa essere utile anche ad altri». Senza le sollecitazioni dell’operare artistico - sostiene Pirri - il mondo stagnerebbe inerte. Agendo infatti per lo più occultamente sugli affetti che sono a fondamento della realtà, l’arte, senza legarsi a categorie funzionali, ma con una forte valenza socio-culturale, impone trasformazioni senza mai consentire l’acquiescenza immota a uno stato di grazia. L’invenzione, il progetto delle opere di Alfredo Pirri, nasce nel silenzio del suo studio, nella solitudine in cui nella sua mente va componendosi una visione complessa, sofferta ma attentamente ragionata che deve raggiungere una sintesi capace di accordare i molteplici strumenti usati. Una visione personale che rifiuta codici autoritari e definiti per sempre, ma permette una continua rivisitazione critica

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ach sign changes: each action draws a track in the water and the circles broaden reaching the banks of the sea. Aware or not, they also hit you, somehow, they make you wet. You can refuse or deny the received news, but your refusal will change and connect you to the source. And the action, the sign will never fall into nothing. It becomes a whisper blended to the hum of falling leaves, imperceptible by human ear, but always perceived by nature as soft echo, and in its book it is written as the infinitesimal gap of the existence. Silence is full of these echoes which escape to human ear, quite indifferent to fair tones. In the silence everything finds its voice, a noise of unnecessary codified notes: sometimes of colour, sometimes of imagines or of vague shady perceptions, a call to memory. Which is the difference between the language of art and of information? Maybe the listening, that part, apparently empty, which is, first of all, retreat into our and somebody else memory, of yesterday and today. And the result could be a voice able to offer a new side of the world, or of a little stone; and, by the restless flowing of this shadow-voice that fills the deep sleep of everyday life, it can create echoes which extend the doubt. Because art does not tell the ‘truth’, but a possible human, never absolute. «I don’t know the art’s sake, - says Alfredo Pirri to Luciano Marucci, his interviewer, – maybe it does, but I think it is so important that who tries to face it willing to give a positive answer, is completely wrong, so, it is better to give a personal answer maybe useful to someone else». Without the spurs of the artistic work - Pirri says – the world would stand still. In fact, acting almost secretly on the affections, the bases of reality, art, without connection to functional categories, but with a strong social-cultural value, imposes transformations without taking the motionless compliance of a special status. The invention, the work project of Alfredo Pirri, starts in the silence of his room, in the solitude where in his mind, a complex vision is going to be created, suffered but carefully studied which has to reach a synthesis able to put together the different means. A personal point of view which refuses authoritarian and established codes, but allows a never ending critical revision of the author. So, the word and the meeting with the other comes. «The writing process and words are not constitutive parts of the work. Rather, we can say, the work of art


dell’autore. Allora, solo allora interviene la parola e l’incontro con l’altro. «La scrittura e la parola non sono costitutive dell’opera, non ne fanno parte. Semmai si può dire che l’opera produce in noi parole». Fra l’opera e la parola che la comunica c’è l’intraducibilità di una forma che non può avere corrispondenza in altri linguaggi. «Penso che il mio lavoro sia più taciturno di me», aggiunge con ironica malizia l’artista, che difatti ama molto parlare d’arte (è anche insegnante), collaborare a dibattiti, conferenze, incontrarsi per uno scambio con artisti, pur mantenendo sempre una propria posizione autonoma. «L’arte - afferma Pirri - non deve rinunciare alla sua forma per seguire i linguaggi dominanti, perdendo la sua autonomia e la sua originale capacità di dialogo col reale che ne fa qualcosa di irriducibile a regole determinate». Il suo lavoro è complesso, come complessa è la sua poetica: usa tecniche differenti in un processo conoscitivo in sé coerente, il cui equilibrio è il risultato del succedersi di passi che mantengono sempre la possibilità di una variazione, come una scena filmica in cui i fotogrammi sono in sé compiuti ma votati ad una successione mai del tutto prevedibile. Ne risultano quindi visioni simultanee e sempre diverse, in cui elementi anche contrastanti debbano collocarsi in modo da permettere una sintesi armoniosa. Nella mostra Racconti alla galleria Oredaria di Roma, nel 2006, le contrapposizioni dei temi e degli strumenti lo pongono in bilico fra levità e gravità, figurazione e astrazione in un gioco che Pirri ama e sa condurre con sapienza. Su una lunga parete di un cupo rosso Magenta quindici acquerelli dal titolo Acque raccontano modi differenti della pioggia di scivolare sul vetro formando rigagnoli regolari che a volte si aprono in campi ampi e disordinati. Sulla carta colate di colore liquido creano un sipario di tralci o frange tra il vegetale e l’astratto che l’occhio non può penetrare. Se abbiamo l’occasione di osservare i dipinti da un video dell’artista comprendiamo che il più coerente accompagnamento è il silenzio che avvolge ed evidenzia ora lo scroscio ora il fruscio dell’acqua, il tintinnio delle gocce che lo invadono leggere e, a tratti, il calpestio dei visitatori della mostra. A volte un fermo immagine ci riporta a una pausa che raffina i nostri sensi, e di nuovo la successione delle opere col sottofondo di rumore bianco o note di un brano di Ravel.

develops words in the artist ». Between the work and the passed word, there is the untranslatability of a form that has not any correspondences in other languages. «I think my work is more silent then me», adds ironically the artist, who loves talking about art (he is also a teacher), taking part to debates, conferences, meeting with other artists for a moment of exchange, but always keeping an independent position. «Art – says Pirri- has not to deny its form in order to follow the dominant languages, loosing its autonomy and its original characteristic of dialogue with reality, which makes it something free from established rules». His work is as complex as his poetics: he uses different techniques in a coherent cognitive process whose balance is the result of many different steps that always have the chance of a variation; like in movie scene where the frames are completed but conceived for an unpredictable sequence. So the result are simultaneous, but always different visions, where also opposed elements have to be placed in order to obtain an harmonious synthesis. In the collection Racconti at Galleria Oredaria in Rome, 2006, the contrasts of subjects and of means hang the artist in the balance between levity and gravity, figuration and abstraction in a game loved by Pirri where he is really skilful to play. On a long wall of dark Magenta red, fifteen watercolours entitled Acque tell about «the different ways the rain slides on the glass making regular small streams which sometimes open wide and irregular fields ». On the poured watercolour paper they create a curtain of branches or fringes between the vegetable and the abstract and the sight cannot see into. If we have the chance to observe the paintings from a video of the artist we can understand that the most coherent accompaniment is the silence which wraps and stresses the roar and the swish of the water, the tinkle of the drops which lightly flow it, and, at times the trample of the exhibition visitors. A freeze frame sometimes reminds us to a break that refines our senses, and once again the sequence of the works with the background of white noise or Revel’s notes. Aria watercolours are lighter with shaded colours, softly rosy and shivered as a light pulse on a white paper. On the ground, where waving, red-painted feathers shadows play with light’s reflection from their own transparent prison, a mirror intended to crack

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passeurs Previous page Alfredo Pirri Passi Installazione presso Villa Guastavillani, Bologna 2006 Courtesy OREDARIA Arti Contemporanee Roma Foto Di Paolo

Più leggeri e sfumati nelle tinte gli acquerelli Aria, tenuamente rosati e rabbrividenti come per un lieve pulsare sul foglio bianco. Sul pavimento, dove ombre fluttuanti di piume verniciate di rosa giocano con riflessi di luce da una loro prigione trasparente, una lastra di specchio destinata ad incrinarsi ai passi dei visitatori. Scenografia piena di incanto, ove la prevalenza del colore magenta e il gioco della luce coinvolge in un girone magico il visitatore attratto e anche in qualche modo sconcertato. Ben diverso il turbamento di fronte alle opere White cube The House of rising sun, e le minuscole casette rosa dove all’interno il silenzio si è pietrificato: l’uomo perfettamente adattato alla visione edulcorata che gli viene propinata dal di fuori o dalla TV di casa, non sa più reagire criticamente. Ha perduto l’ascolto e la parola: per lui il silenzio è davvero pietra senza risonanza, assenza. White cube è l’unico ammonimento palese nell’opera di Pirri, che in genere usa la fascinazione per portarci a capire e a ribaltare gli inganni che ci tradiscono come l’immagine allo specchio. Fascino quindi avvelenato a volte quel suo rosa Magenta quasi marchio del suo stile. Parvenza delle illusioni ma pur capace di una bellezza che coinvolge, attira di per sé, vale a ricucire l’armonia nelle installazione dell’artista, ad aiutarne la sintesi ricercata: esca quindi per meglio coinvolgere lo spettatore, ma anche efficace mezzo per addolcire il respiro di certe sue costruzioni monumentali. Pirri può creare fantasmi scintillanti per svelarci gli inganni delle nostre illusioni, per dirci che in realtà i nostri mascheramenti non incidono che sui sogni. E nello stesso tempo farci amare il canto di Maia a tal punto che proprio quei fantasmi, vissuti, ancora amati operano nella nostra motilità interiore più profonda addolcendoci il disinganno. Così non si può non godere il suo lavoro nella Cappella dello Scompiglio a Vorno (Lucca) del 2009: uno scrigno di luci e colori ma pure ideato con ragionata pianificazione socio-politica nei tracciati che delineano vie di avvicinamento o di fuga, fuga soprattutto dai centri di potere. Scenario prodigioso è l’installazione a Martina Franca Passi, del 2011, nel Palazzo ducale, dove gli specchi, che percorrono il pavimento in un’infilata di stanze, frantumandosi sotto i passi dei visitatori, nella sala dell’Arcadia rovesciano gli affreschi settecenteschi di Domenico Carella in una cascata luminosa sul pavimento: nobildonne sontuosamente vestite, paesaggi arcadici cieli trasparenti e rosati riquadri piovono in enigmatici e vibranti spezzoni

under the steps of the visitors. A really charming set, where the prevalence of Magenta and of light play take the visitor, attracted or somehow baffled, to a magic circle. Something of really different is the upheaval in front of the works White cube The House of rising sun, and the little pink houses where inside, the silence is petrified: the man is perfectly adapted to the mitigated point of view given by outside or by house TV, he is not able to react critically anymore. He has lost his ability to listen and talk: the silence is really like a stone without resonance, absence. White cube is the only clear warning in Pirri’s work, who, generally, through fascination let us understand and overturn the deceptions which trick us like imagination in the mirror. Therefore his Magenta, nearly the mark of his style, sometimes becomes poisoned charm. Semblance of illusions but also beauty that involves, attract, joins the harmony in the artist’s installations and help the wished synthesis: so, a bait to better involve the viewer, but also efficient mean to soften the breath of some of his monumental creations. Pirri can create sparkling ghosts to reveal the tricks of our illusions, in order to show us that in reality our masks are simply dreams. And at the same time he makes us love the Maia song so much as those lived and still loved ghosts work in our deeper and inner motility making the disillusionment soften. So, we can enjoy his work at Cappella dello Scompiglio in Vorno (Lucca), 2009: a chest of lights and colours, designed by a rational social and political plan which marks the ways of approach or of escape, escape, in particular, from power centres. A wonderful set is the installation Passi, 2011, at Palazzo ducale in Martina Franca, where the mirrors, which cover the floor of a row of rooms, broken under the steps of visitors, in the room of Arcadia turn Domenico Carella’s eighteenthcentury frescoes into a light waterfall on the floor: richly dressed noble ladies, pastoral landscapes, clear skies, rosy panels fall into enigmatic vibrant kaleidoscopic pieces. The effect is the breakdown: the sky, fallen on the earth, has become deep water, while the true, reassuring reality lets out dematerialized. The ‘time and space scanning fade away’ writes in an article Valentina Valentini. In this play of tricks the unitary vision is lost and everything is fragmented in fleeting reflections Under the steps of the visitors, an act of involvement

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Alfredo Pirri Verso N Cartone museale, vernice acrilica resina epossidica, acciaio verniciato cm 180 x 143 2003 Courtesy OREDARIA Arti Contemporanee Roma

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passeurs caleidoscopici. L’effetto è di uno sprofondamento: il cielo piovuto sulla terra è divenuto acqua profonda, mentre la realtà certa, rassicurante ci sfugge smaterializzata. La scansione di spazio e di tempo si perdono scrive in un articolo Valentina Valentini. In questo gioco degli inganni si perde la visione unitaria e tutto si frammenta in riflessi fugaci. Sotto i passi dei visitatori, un gesto di coinvolgimento che diventa suono, l’opera subisce una trasformazione continua, seguendo l’effetto del tempo sulla fragilità delle cose umane. È un’opera che vive e lo strano suono che emana genera disagio, un senso di colpevolezza per quella trasgressione inusitata che infrange la ‘morale’ della consuetudine. Rompere il riflesso illusorio dello specchio è in realtà rompere convenzione e pregiudizi per cui Passi diventa metafora di un cammino verso la libertà. Un modulo d’opera o codice che non si ripete per semplice affezione. Attorno ad esso si costruisce una scena sempre in evoluzione che deve comunicare coinvolgendo gli spettatori nello stesso farsi dell’opera che vive anche in loro, strumenti integrati e responsabili. Interessante, nella mostra Misura ambiente (Galleria De Foscherari di Bologna, 2010), il collegamento con opere molto piccole degli anni 80: fogli di carta stratificati, fissati su piccoli supporti, irregolarmente sfrangiati, bagnati di colore rosa Magenta, ma anche con delicatissimi grigi, fissati alla parete. Non sembrano accusare la ricerca di un senso, forse è l’espressione più intima e gioiosamente segreta dell’autore, una ricerca di purezza che, pur cosciente di sé, qui non pretende illudere né disincantare, sta a noi assorbirne la forma e percepirne l’ascolto come un canto che non ci vuole istruire, figurazione del silenzio stesso e delle sue sfumature, quel silenzio che non prende forma nelle cose ma ci lascia liberi di intuirle e di interpretarle. Nella sala altre carte volano in un angolo, si piegano a libro come una biblioteca angolare. I colori sono chiari, rosati, quasi sfumati da uno sfarfallio polveroso dell’aria, il consumo del tempo che corrode ma che lascia sapore e colore. E Pirri ama cogliere il respiro di luoghi e tempi passati per connetterli all’esperienza del presente. «Penso che ogni opera riuscita ci offra una visione ampia e simultanea, capace di tenere insieme spazi e tempi fra loro lontani: il piccolo col grande, il passato col futuro». Per questo un’ opera d’arte è sempre contemporanea e può permettere il convivere con visioni di tempi diversi.

becomes sound, the work is subjected to a constant transformation, according to the effect of the time on the fragility of human things. It is a living work and the strange sound it has, creates a sort of distress, a sense of guilty for that unusual transgression that breaks the traditional ‘morality’. Breaking the illusionary reflection of the mirror is, in reality, breaking habits and prejudices so “Passi” becomes metaphor of a walk to freedom. A form of art or a code which does not repeat itself for mere affection. All around it a scene has been developing, a scene in constant evolution which has to communicate taking the visitors into the creative action of the work, which lives with them, integrated and responsible means. In the exhibition Misura ambiente (Galleria De Foscherari of Bologna, 2010) it was very interesting the connection to very small works of the Eighties: stratified sheets of paper, fixed on devices, irregularly fringed, wet by Magenta colour, and also by ultra soft greys, fixed on the wall. They do not seem to blame the search for a meaning. Maybe it is the closest and gleefully secret expression of the artist, a search of purity that, even if aware of itself, here does not pretend neither to deceive nor to disenchant. We have to absorb its form and to perceive the listening as a song, which does not want to educate us, but which is the form of the silence itself and of its facets, that silence which does not develop its form in things but leaves us free to understand and interpret them. In the room other papers fly in a corner, fold up like a book in a angular library. Colours are bright, rosy, nearly shaded by a dusty shining of the air, the passing of time that eats away but that leaves taste and colour. And Pirri loves catching the breath of places and past times in order to join them to present experience. «I believe that each successful work offer a broad and simultaneous view, able to hold distant spaces and times together: the small one with the big one, the past with the future». For this reason a work of art is always contemporary and allows the cohabitation with views of different times. So it is in the installation Ultimi Passi, at Forum of Caesar, 2007. More than four hundred square metres of mirror, conceived to be broken under the steps of the visitors, eliminating in this way the border between earth and heaven.

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Note Bibliografiche 1 - Carlo Sini Il gioco del silenzio Mondadori, Milano, 2006 pag 68 2 - Marius Schneider Pietre che cantano Guanda, Milano, 1980

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Così nell’installazione Ultimi Passi, al Foro di Cesare del 2007. Oltre quattrocento metri quadrati di specchio, destinati a incrinarsi sotto i passi dei visitatori, annullano il confine fra firmamento e terra. Lo spazio contenitore, ambiente pietrificato corroso dal tempo e fissato in una immobilità senza vita, nelle pozze in cui il cielo diviene acqua, fra colonne spezzate e lastre di travertino, offre all’opera contemporanea una illusoria condivisione di tempo e spazio. Non nuovo in Pirri questa tendenza alla spettacolarizzazione, intesa come desiderio di cogliere in un più ampio rapporto con lo spazio gli umori le emozioni il vissuto che nei luoghi della storia si possono respirare. Rapporto inteso un po’ astrattamente come luogo delle possibili trasfigurazioni, ma ancor più come teatro di rappresentazioni corali trasferite da un piano realistico a un piano emozionale. Interessante come in queste installazioni prenda quasi sempre vita un suono, non una musica predisposta, ma una sonorità che dipende dal luogo e dagli spettatori. Questo ‘ascolto’, che pare nasca dal nulla, segnala nell’artista un interesse che si sta diffondendo in molti per rinnovare una intesa con la natura e la storia ampliando le dimensioni della percezione che nasce dal silenzio delle cose e dall’ambiente. Interessante il progetto Derive. Variazioni Qualitative Del Quotidiano (del Centro Internazionale per l’Arte Contemporanea). Un gruppo di artisti sradicati dai loro ambienti quotidiani, si sono posti in una condizione ricettiva particolare verso stimoli non consueti. Li lega la convinzione che il suono, tradizionalmente posto in secondo piano rispetto all’esplorazione visiva e fisica dello spazio, sia in grado di acquisire stimoli in tutta autonomia, conservarli nella memoria e condurli quindi in un percorso creativo. Su una linea accostabile mi sembra il lavoro a cui è interessato anche Alfredo Pirri di Eco e Narciso (Laboratorio d’arte permanente, Torino, 2003), là dove si esperimenta il suono come colore che delinea spazi e atmosfere sotto la suggestione di un ambiente o come mezzo squisitamente plastico che delinea veri e propri paesaggi sonori. Carlo Sini1 sostenendo come il musicologo Marius Schneider2 la natura acustica delle cose, afferma che l’uomo moderno ha dimenticato a quale silenzio è necessario regredire per riascoltare qualcosa come un suono luminoso e una luce cantante; a quale silenzio bisogna dunque ridiscendere per ascoltare le pietre che cantano, e con esse il mondo.

The space as container, petrified environment corroded by time and fixed in an immobility without life, in the pools where sky becomes water, between broken columns and travertine slabs, offers to contemporary work an illusory sharing of time and space. In Pirri this tendency to the spectacular is not something new, it is as a desire to keep a wider relation with the space, moods, emotions, personal experience that we can breathe in the places of the story. Relation considered, a little bit abstractly, as place of possible transformations, and also as stage of choral representations moved from a realistic to an emotional plan. In these installations it is very interesting to stress how things come to life in a sound, it is not an established music, but a sound that depends on the place and on the audience. This ‘listening’, which seems to be developed from nothing, marks in the artist a sort of interest which has been developing among artists to renew an understanding with nature and story widening the dimensions of the perception which comes from the silence of things and of the environment. The very interesting project “Derive. Variazioni Qualitative Del Quotidiano” (of the International Centre for Contempoary Art). A group of artists, uprooted from their everyday places, put themselves in a receptive condition towards unusual spurs. They are joined together by the conviction that the sound, traditionally at the second place compared to visual and physical exploration of the space, is able to gain spurs independently, keeping them in the memory and in this way leading them along a creative path. I think it could be very close to Alfredo Pirri’s work of Eco e Narciso (Laboratorio d’arte permanente Torino 2003), there it is experimented the sound as colour that defines spaces and atmospheres under the suggestion of an environment or as plastic mean which defines true sound landscapes. In museums it should be possible to involve more visitors with sounds spreading from the same spaces showing their sound characteristics often hidden or unnoticed. Carlo Sini (*) claims, as the musicologist Marius Schneider(**), for the acoustic nature of things, and says that today’s man «has forgotten which is the silence necessary to regress and to listen again to something as a light sound and a singing light, which silence is necessary to come back to listen to singing stones, and with them to the world ».

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p a s s e uAdalberto rs Abbate


NĂŠ con Garibaldi nĂŠ con Cavour. Neither with Garibaldi nor with Cavour.

Andrea Penzo


passeurs Preview page: Adalberto Abbate Borghese 2009 serie Rivolta photographic print cm 50x60 Courtesy galleria FPAC Palermo

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dalberto Abbate è un duro ma anche un buono: lo conosco bene, da sette anni. Ci siamo incontrati durante una residenza a Venezia curata da Irene Calderoni. Abbiamo legato subito, chiusi nell’ex isola manicomio di San Servolo a discutere della follia e a raccontarci le nostre vite. Ci siamo sentiti ancora negli anni e rivisti un paio di volte. Le nostre mail e le nostre telefonate hanno un obiettivo preciso, l’incontro. Niente auguri di Natale, niente come stai, niente come ti va il lavoro. Semplicemente: «Passo dalle tue parti, ci vediamo?» Abbiamo mangiato bigoli in salsa al Paradiso Perduto, pane e interiora alla Vucciria dall’uomo a cui la mafia ha strappato le dita. Abbiamo bevuto spritz seduti sul pontile dell’ Erbaria di Rialto e aperto bottiglie di marsala sul porto di Palermo, di prosecco sulle rive di San Servolo. Il primo lavoro che ho visto, lì nell’isola, è stato Processo Educativo Evolutivo e l’ho trovato dirompente. Mi è piaciuto quel suo modo di mescolare il lato oscuro della società con un elemento sinistro più personale, legato a se stesso. Adalberto è il soggetto nero dei suoi lavori. Si carica il male sulle spalle e lo porta con sé, si mette in posa con lui per fotografarsi senza indulgenza e senza ipocrisia. Non è una bimbetta vestita di rosa che parla di un bene facile e zuccherato in opposizione ad un male che sporca e da cui distanziarsi. Lui si mostra con tutto il carico di malvagità dell’essere umano restando nel coro, addita se stesso per additare il cancro del mondo. Non ha giudizio morale, ma cerca il valore per sottrazione. Potrebbe essere un performer, fa dormire il nonno accanto a una pistola, fa sfornare biscotti a forma di svastica alla nonna e indossa una t-shirt nera con una croce sul petto impugnando un bastone. Il mondo di Adalberto è reale, è vicino e conosciuto. Nessun attore alla Vezzoli, nessun grande show, a volte il male devi andartelo a cercare nella medaglietta di un cane o su di una banana infilata tra le cosce. Il suo urlo ribelle è talmente forte che non ha bisogno di megafoni, gli basta un piccolo omino di plastica, un set da gioco di bambino, un medium all’apparenza inutile. Come il nostro rapporto è caratterizzato più dal silenzio che dalla parola, anche il suo lavoro lo è. Il silenzio di volti bendati, di mazze impugnate, di una bomboletta spray che col suo sibilo intima di non parlare. In Adalberto il silenzio è quel punto preciso in cui risulta impossibile continuare un dialogo ed è necessario passare all’azione. In molti

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dalberto Abbate is tough but also so good: I have known him very well, for seven years. We met in Venice during a workshop organised by Irene Calderoni. We made friends right from the beginning, closed in the ancient mental hospital isle of San Servolo, to tell and discuss about madness and our private lives. In the following years we have kept in touch and we have met twice. Our telephone calls and emails aim precisely at our meeting, and not at Christmas greetings, How are you?, or What about your job?. Simply: ‘I’m down your way, shall we meet?’ We ate bigoli at the restaurant Paradiso Perduto, bread and insides along the market of Vucciria from the man without fingers because of mafia. We drank a glass of spritz sat on the dock of Erbaria of Rialto and opened bottles of Marsala walking along the port of Palermo, of prosecco on the shore of San Servolo. The first work, I saw, there on the isle, was “Processo Educativo Evolutivo” (trad.lett. ‘Evolutional Educative Process’) and I find it upsetting. I liked his way of mixing the dark of society with closer strange element, related to him. Adalberto is the black subject of his works. He takes the evil and holds it, together they pose and take a photo without indulgence and hypocrisy. It is not a pink dressed little girl who talks about an easy and sugared good opposed to an evil that makes dirty. He shows himself with the whole burden of human wickedness staying the chorus, he points at himself in order to point at the world cancer. He hasn’t any moral code, but he looks for the taking away value. He could be a performer, he lets the grandfather sleeping next to a gun, while the grandmother cooks swastika-shaped cakes, wearing a black t-shirt with a cross on the chest holding a stick. Adalberto’s world is real, is close and well-known. No actors like Vezzoli, or big shows, sometimes you have to look for the evil in the little medal of a dog or on a banana, placed between the thighs. His rebel shout is so loud that doesn’t need any loudhailers, he needs only a little plastic man, a play for a baby, a medium apparently useless. Our relationship and his work are both characterised by silence. The silence of bandaged faces, of hold bats, of a spray can, which with its whistle orders to stay in silence. In Adalberto the silence is that precise point where it becomes impossible to continue a conversation and it is necessary getting into action. In many situations this moment is followed by a very precious and essential violent


casi a questo momento fa seguito un’indispensabile e preziosissima azione violenta. Guardando Rivolta il passaggio appare chiaro. Ci sono volti, volti e volti bendati. Ci sono pietre con scritte in latino. Ci sono mazze tornite e mazze incise, che potrebbero essere strumenti di o per politici. L’idea di rivolta serpeggia in lui come nelle campagne siciliane serpeggiavano quei banditi definiti da Hobsbawm “sociali”. Con l’arrivo degli uomini sabaudi, loro si ribellavano a tutto, ma rispettavano fino alla morte le regole non scritte dell’appartenenza al mondo contadino. Il sogno comune di un mondo migliore, in cui non si è né oppressi né oppressori, accomuna i deboli e i loro eroi. I banditi però, si sa, fanno paura. A volte i giornali locali tendono a promuovere il lavoro di Adalberto prendendone al contempo le distanze. Quella di Adalberto Abbate è una rivolta estremamente pacifica, dicono. Così sembra che i suoi gesti e le sue scelte siano misurati, che voglia rimanere al di qua di un malinteso che invece è inteso benissimo, proprio per l’immediatezza e la semplicità del linguaggio che decide di usare. Così il risultato è solo quello di rendere evidente il tentativo di lisciare le mazze da baseball e di arrotondare i bordi ruvidi di un sampietrino. La testimonianza che il lavoro ha colpito nel segno. La rivolta di Adalberto non può essere pacifica e politicamente corretta. In sei righe di intervista è capace di usare quattro volte la parola odio, indirizzata alla stessa categoria di mondo a cui appartiene, quella dell’arte e dei suoi sedicenti attori. Nei suoi lavori mette bavagli a popolo e canarini. Chi dovrebbe cantare finisce per tacere o per farlo dietro un volto coperto. È lo stesso strumento che soffoca la voce e che protegge l’identità di chi sta per agire, in un sistema di giustizia che non rappresenta nessuno. Con un unico gesto, quello di apporre un bavaglio ad un volto, rende evidente la scelta di chi ha deciso di non dire, e la sua potenzialità di agire, proprio perché ha i lineamenti occultati. Anche i suoi bavagli fanno pensare al banditismo, a quanto ognuno appartenga forse a quel mondo, a quanto ne sia ostaggio. In una frammentazione di ruoli che improvvisamente si appiccicano ad un’identità. E allora la gente comune è imbavagliata, ci sono mazze da baseball per politici decorate come fossero arredi di classe, i sampietrini aspettano una mano che li scagli ma sono soli, estremamente soli. Le scritte, semplici manifestazioni di rivolta, sono proprio quei moti violenti ed improvvisi di sollevamento

action. Looking at “Rivolta” the landscape seems real. There are faces, faces and bandaged faces. There are stones with Latin writings on. There are turned bats and carved bats, which could be means of or for politicians. His idea of revolt spreads like in the Sicilian countryside spread those bandits called “social” by Hobsbawm. When Savoy men came, they rose against everything, but they respected until the death the unwritten rules of the rural world. The common dream of a better world, where men are neither oppressed nor oppressor, joins the weak and their heroes. But usually, bandits scare. Sometimes, the local press tends to promote Adalberto’s work but at the same time, it keep it at a distance. Adalberto revolt is extremely peaceful, they say. So, it seems that his actions or choices are moderate, that he wants to stay far from a misunderstanding which, instead, is well understood, thanks to the simple and easy to understand language he uses. So, the result is to make clear the attempt to smooth the baseball bats and to round off the coarse limits of a cobblestone. This is the special trait of his work. Adalberto revolt cannot be peaceful and politically correct. In a six lines interview he is able to use the world hate four times, referred to the same world category to which he belongs, that of art and of its self-styled actors. In his works he puts a gag on population and on canaries. Who should sing ends to keep silent or sing behind a covered face. It is the same mean that holds the voice and protects the identity of the person who is going to act, in a system of justice that he doesn’t represent. Through a single act, putting a gag on a face, he reveals the choice of who decides not to tell, and his potentiality of acting because his features are hidden. His gags remind also to banditry, to the sense of belonging to that world, to be one of its hostage. A fragmentation of roles that suddenly sticks to an identity. So, ordinary people are gagged, there are decorated baseball bats for politicians as if they were prestigious furniture, cobblestones wait for a hand that throw them but they are alone, extremely alone. The writings, simple manifestations of revolt, are those violent and sudden mottos against the established order explained in Sandron dictionary, quoted by the artist to correlate his exposition. In an interview, Adalberto says to be against revolutions, that destroy, somehow, an order proposing a new one, maybe with the same characteristic of the previous. The revolt is something easier, more immediate, more instinctive, as a sentence that is exploding in

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passeurs contro l’ordine costituito di cui parla il Dizionario Sandron, citato dall’artista per correlare la sua esposizione. In un’intervista Adalberto dice di non essere favorevole alle rivoluzioni, che in qualche modo distruggono un ordine per poi proporne un altro, magari con le stesse caratteristiche del primo. La rivolta è qualcosa di più semplice, di più immediato, di più istintivo, proprio come quella di una frase che ti esplode nel petto e a cui devi dare una parete visibile a tutti. Proprio come un gatto che graffia perché rifiuta una carezza che sa di aggressione. Mettendo in uno stato di inferiorità l’inflazionato strumento della bocca, la sua opera diventa un amplificatore efficacissimo di pensieri detti di nascosto, che sono il sentire di una città intera. Guardando il lavoro nel suo insieme, spiando dentro a quei quarantadue quadratini della sezione works del suo sito web, soltanto due volti sono scoperti. Quello del carabiniere che impugna la mazza, perché il potere di bendarsi il viso non ha bisogno, e poi lui, Adalberto, eroico sopra al cavallo, alla guida di una rivolta che il ruolo di artista, onesto, gli consente di fare. Con la mano mostra un foglio con la scritta Sic Semper Tyrannis, che ci suggerisce di abbatterlo qualora le sue battaglie fossero inique e disoneste. È importante scrivere di Adalberto senza tradirlo perché sa usare il linguaggio, sa appassionare. In un mondo in cui la verità è costantemente sottratta e occultata, non nega la responsabilità di persone che con il loro pensiero possono educare e trasformare. Parla di cose a cui dare importanza e, soprattutto, di falsi miti da far scendere dai piedistalli. Ora tutti gli strumenti per la rivolta ci sono, l’artista ce li ha forniti, non resta che farla. Anzi, parafrasandolo di fronte a Francesco Lucifora, per cambiare un’Europa in cui siamo fatalmente immersi, bisogna fare tutte le rivolte necessarie e con ogni mezzo. In un mondo intriso di crisi, di perdite, di menzogne, di falsità, Adalberto è un uomo che agisce col silenzio. Lo ha fatto in modo esemplare all’ultima Biennale, rifiutando quell’invito che lo avrebbe messo in mezzo, come dice lui, agli artisti scimmietta che vanno per fiere a dispensare sorrisi e a sperare in un boccone di potere che, magari, gli può essere passato da dietro le sbarre. Un artista che rifiuta una Biennale è un gesto forte. Adalberto è giovane, il tempo non si è ancora sedimentato sul suo lavoro, è vivo, ha bisogno di occasioni per esporre, per farsi vedere, per far parlare di sé. Però non scende a compromessi, non si è messo in fila

the chest and to which you have to make a side visible to everyone. Like a cat, which refusing a caress because it seems an aggression, scratches. Putting the mouth to a state of inferiority, his work becomes an efficient amplifier of secret thoughts, which are the way of felling of a whole city. Looking at his whole work, peeking at the fortytwo little squares in the section works of his web site, only two faces aren’t covered. That of the policeman holding a stick, because the power of bandaging the face doesn’t need it, and then, Adalberto himself, heroic on a horse, leader of a revolt, because his role of, honest, artist allows him. His hand shows a piece of paper, on which a writing “Sic Semper tirannis” suggests of defeating him if his battles were dishonest and unjust. It is very important telling about Adalberto without betraying him, because he is able to use the language, he is able to fascinate. Briefly, where the truth is constantly stolen or concealed, he doesn’t deny the responsibility of who can educate and grow through his or her though. He tells about the importance of things, and, above all, about wrong myths to knock them off their pedestals. So, all the means for the revolt are ready, the artist give them to us, we have to win. Or, using his own words in front of Francesco Lucifora, to change a country, Europe, where we are fatally plunged, and where we need to prepare all the necessary revolts with all the means we have. Shortly, completely absorbed by crisis, lies, falsehoods, Adalberto is a man acting through his silence. He did it during the last Biennale, refusing the invitation which would have placed him, as he said, among those little monkeys artists which go through exhibitions and shows smiling and hoping for a bite of success that, maybe, could be passed them behind the bars. And for an artist, which refuses to take part to the Biennale, this is a really strong act. Adalberto is young, the time has not already settled on his work, he is alive, he needs many occasions to exhibit, to show himself. But he doesn’t stoop to compromises, he hasn’t lined up as many other artists, waiting for selling his ideas to the first best buyer. Many people, who used to talk about against-power and about resistance to the state, have held the slogan and their shouts of protest in return for a red little junk that looks like a party card. So, among a lists of names, written in small letters, the desire of reading under the black panel of the erasure, gets a stronger meaning. Adalberto acts in the same way the bandits did two centuries ago: he does not accept submissions and

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Adalberto Abbate Sic Semper Tirannis 2009 serie Rivolta wall poster cm 300x400 Courtesy galleria FPAC Palermo

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passeurs per calare i pantaloni dei propri ideali di fronte al primo latte matrigno. Sono stati in tanti quelli che, abituati a parlare di contro-potere e di resistenza allo stato, hanno soffocato slogan e grida di protesta in cambio di un patacchino rosso che sempre più assomiglia ad una tessera di partito. E così in mezzo a una lista fittissima di nomi scritti in piccolo, il desiderio di leggere sotto al pennarello nero della cancellatura crea un significato e una riconoscibilità infinitamente più forti. Adalberto fa quello che i banditi facevano due secoli prima di lui: non accetta la sottomissione e le vessazioni padronali. È un brigante, è un uomo d’azione con un innato talento militare e artistico. Adalberto è un duro ma è anche un buono. Un duro e un malfattore, come i banditi erano considerati dai signori e dalle autorità locali. Un buono e un combattente, come lo vedo io e come la propria gente vede un bandito. Adalberto non accetterà mai la conquista sabauda, non si farà comprare dall’ abolizione del saluto feudale baciamo le mani a voscienza. Né con la sinistra europea né con la destra moderata, né con Garibaldi né con Cavour. Questa volta le bande a cavallo non verranno annientate.

oppression. He is a bandit, he is a man of action with a natural military and artistic talent. Adalberto is tough but also good. A tough and a wrongdoer, as the bandits were considered by local authorities and landowners. A good and a fighter, for me and for his people, which considers him as a bandit. Adalberto will never accept the Savoy conquest, he will never consider enough the abolition of the feudal greeting kiss your Lordship’s hands. Neither with the European left nor with the moderate right, neither with Garibaldi nor with Cavour. This time the horsed bands won’t be defeated.

Adalberto Abbate For politicians only 2009 serie Rivolta modified baseball bat real size Courtesy galleria FPAC Palermo

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p a s s e uMarianna rs Andrigo Aldo Aliprandi


L’antinarratività . Antinarrative.

Cristina Fiore


passeurs Previous page: Marianna Andrigo Aldo Aliprandi Caduta 2011

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R

accontare Marianna Andrigo e Aldo Aliprandi è quanto di più complicato ci possa essere per me. Il loro lavoro, rispetto a quello mio e di Andrea Penzo, è diametralmente opposto: loro indagano e noi narriamo. Loro cercano una gocciolina d’acqua nella piega di un corpo, noi cerchiamo il movimento del corpo nell’acqua. Loro scavano in profondità per conquistare un sapere che si traduca in gesto, noi osserviamo per rendere visibile la profondità di quel gesto. Loro approfondiscono la tecnica per sublimarla ed andare oltre, noi la neghiamo per dare forza al concetto. Siamo entrambe coppie che lavorano insieme, un uomo e una donna, una donna e un uomo. Dobbiamo trovare il modo di comunicare, di dirci, di dividerci la scena, di criticarci e di darci forza, di far sapere all’altro che ha sbagliato o di elogiarlo per il suo guizzo geniale. Difficile. Possibile. Le prime parole che abbiamo scritto su di loro risalgano alla residenza di Brno, quando abbiamo avuto l’occasione di osservarli nel creare il loro lavoro: «È un inseguimento di spettri, di ombre, di capi abbiglianti. Un inseguimento di ritmi, luci, modulazioni. È una sovrapposizione di piedi e di sguardi, di incontri, di solitudini. Stanno accovacciati spesso. Si appollaiano spesso, entrano ed escono spesso. Sono fondamentalisti della loro tensione creativa. Parlano, scrivono, orchestrano. Si aspettano e si cercano. Lei è concentrata, lui dialogante. Lei produce suono raschiando se stessa, lui lo cattura e lo trasforma, sinusoide. Ridono, scherzano, soffrono. Palpitano. Sono qui immersi nel tempo e nel gruppo. Pensano. Guardano. Intrecciano fili che sbrogliano. Provocano. Trasmettono tensioni e pulsioni. Affondano. Galleggiano. Fluttuano. La gravità assente ora è presente, la pancia è gravida, il frutto matura. Schizzano frammenti di melograno». Mi ricordo che ci avevano stupito quelle enormi partiture di Aldo, tutte segni e disegni e scritte piccole a matita. Quell’intrigo lì, per lui, era una partitura perfetta e precisa, priva di minime, semicrome, pause musicali, ma tutta intrisa del senso della sua musica. Adesso io sono a Berlino, entro con Andrea nel Museo dell’Anti Guerra, a Wedding. All’ingresso ci sono due di quelle vecchie scatole che si usavano ai tempi del precinema, per far vedere immagini vagamente simili a qualcosa di tridimensionale. All’atto pratico, delle piccole lastre di vetro con stampate delle scene di guerra che si muovono illuminate da dietro. L’effetto è quello di una gran battaglia, creata dal sovrapporsi di piani tutti separati tra loro, che non si incontreranno mai se non

I

find really difficult to tell something about Marianna Andrigo and Aldo Aliprandi. Their work, compared to work and Andrea Penzo work, is diametrically the opposite: they investigate and we tell. They look for a water droplet in the line of a body, we look for the movement of the body in the water. They study in deep to get a single knowledge that is turned into an act, we observe to make visible the depth of that act. They focus on the technique to sublime and go beyond it, we deny it to strengthen the idea. We are both couples that work together, a man and a woman, a woman and a man. We have to find the way to communicate, to tell, to divide the scene, to criticise and to encourage with one other, to let the other know that he or she was wrong or to praise his or her brilliant idea. Difficult. Possible. The first words, we wrote about them, date back to the residence of Brno, when we had the chance to study them during the creation of their work:“ It is a chase of spectres, shadows, clothing bodies. It is a chase of rhythms, lights, modulations. It is an overlap of feet and looks, of meetings, of solitudes. They often are crouched. They often perch, they often go in and out. They are fundamentalists of their creative tension. They talk, write, manage. They look and wait for each other. She is concentrated, he is talkative. She produces a noise scraping herself, he catches it and turns it, sinusoid. They laugh, joke and suffer. They beat. They are here, absorbed in time and the group. They think, look. They are interweaving and unravelling strings. They provoke, pass on tensions and vibrations. They sink, float. The absent gravity now is present, the belly is pregnant, the fruit is ripening. Pomegranate elements splash”. I remember that we were impressed by Aldo’s huge compositions, all signs and drawings and little writings in pencil. That complicate composition, for him, was a perfect and precise score, without minims, semiquavers, musical pause, but soaked of the sense of his music. At the moment I am in Berlin with Andrea, We are going in the Anti War Museum, in Wedding. At the entrance there are two old boxes used during the time of the precinema, to show a sort of tridimensional images. Practically, some moving little glass sheets, printed with war images, which are lighted in the back. The result is a big battle, created by the overlapping of different layers, which will meet each other only in the viewer’s sensibility, where they perfectly mix thanks to their dividing


nell’emotività dello spettatore, in cui si amalgamano perfettamente proprio per la distanza che li separa. Guardando queste immagini penso al lavoro di Aldo e Marianna. Il bello di avere in mente un pezzo da scrivere prima di iniziare a farlo, è che tutto il mondo che attraversi, vivi e vedi in quel lasso di tempo può entrare indistintamente nelle pieghe del racconto a cui ti stai apprestando. E ora, mentre me ne rendo conto, mi risuonano in testa quelle parole di Marianna sulla durata: «Bisogna capire che effetto ha lo scorrere del tempo sui luoghi della nostra percezione: dilatazione, accelerazione, alternanza imprevedibile. Riferimenti: eco, armonia/disarmonia, causa-effetto. Parametri del suono: intensità_altezza_timbro_durata tra indeterminatezza e ascolto reciproco». È come se questo fosse un piano, non so ancora se vicino alla trincea o alle retrovie. Però è già un elemento, un punto di partenza, qualcosa su cui poter edificare. Prima di partire per Berlino Marianna l’ho incontrata in un bar a Venezia, abbiamo parlato a lungo e mi diceva che per lei la musica mentre danza non è importante. Danza nel silenzio, la musica acquisisce un’importanza esclusivamente per lo spettatore. Che si usi un 4/4 o un ritmo sincopato, suoni di elettronica o violini, non è importante per lei, però sa bene che quelle scelte connotano inevitabilmente il lavoro. La musica quindi è un altro piano, che si sovrappone allo spazio del tempo dato dalla durata. E allora viene in mente che Marianna, spesso, danza su se stessa. È Aldo che prende i suoni del suo corpo e li gestisce, li restituisce a lei dopo averli accolti. Posso immaginare la scena di sempre, il rito della costruzione, i cavi da tirare, i collegamenti da fare, le fascette da stringere. Marianna che si scalda, che tira una gamba e poi l’altra. Scuote la testa, flette la schiena e rotea le spalle. Poi... il silenzio si ottiene spazzando l’aria che veicola il suono. Magari un phon sparato dentro al microfono diventa il silenzio sonoro che serve ad Aldo per costruire la sua musica. Dal silenzio nasce il movimento da cui si genera l’elemento del suono che diventerà sinfonia. Devo costantemente sostituire le lastre della scatola ottica che sta davanti a me. Ciò che era prima viene dopo e viceversa, la sostituzione è costante. Per Aldo il suono è un continuo dialogo di interazione reciproca: «La partitura musicale non è predeterminata, quindi non è ripetibile. Predeterminata è solo la struttura software di elaborazione in real time. L’input non è un suono,

distance. Looking at this images, I think about Aldo and Marianna’s work. What is interesting in having in mind an article before starting to write it, is that the world, you are passing by, living and looking at in that precise time, can take part in the lines of the tale you are going to begin. And now, while I am becoming aware of this, in my head come Mariannna’s words about value: “you have to understand the result of the passing time on the places of our perception: dilation, acceleration, unexpected alternation. References: echo, harmony/disharmony, cause/effect. Parameters of the sound: intensity_pitch_timbre_ value between the mutual indefiniteness and listening”. It is as if this were a plan, I don’t exactly know if it is near the trench or behind the lines. But it is still an element, a beginning, something where I can build. Before leaving to Berlin I met Mariana in a café in Venice, we talked for a long time and she told me that music is not important while she dances. She dances in the silence, music is only important for the viewers. You can use a 4/4 or a syncopated rhythm, electronic sounds or violins, according to her, that is not important, but she knows very well that those choices connote inevitably the work. Therefore, music is another level, that overlaps the space of the time given by the value. So, I remember that Marianna, often, dances on herself. It is Aldo who catch and manage the sounds of her body, he gives them back after having listen to them. I can imagine the typical scene, the ceremony of the creation, the cables to tighten up, the connections to prepare. Marianna, who warms up stretching a leg and then the other. She shakes her head, bends her back and turns her shoulders. Then… the silence comes from sweeping away the air of the sound. Maybe a dryer shuts inside the microphone becomes the sound silence that Aldo needs to create his music. From the silence comes the movement which generates the sound element that will become symphony. I have constantly to replace the sheets of the optical box in front of me. What it was comes after and vice versa, the replacement is constant. Aldo believes that the sound is a constant dialogue of mutual interaction: “the musical score is not preestablished, therefore, it cannot be repeated. What is already re-established is only the elaboration software in real time. It is not a sound input, but the air flow produced by a dryer on the microphones. The patch for the real time is conceived to hold elements of unexpected elaborations. I act

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passeurs Previous pages: Marianna Andrigo Aldo Aliprandi Durata e Silenzio I e II Venezia, Febbraio 2012

ma il flusso dell’aria prodotto da un phon sui microfoni. La patch per il real time è concepita per contenere elementi di elaborazione imprevedibili. Agisco sulla base dell’ascolto mio e di Marianna, muovendomi tra indeterminatezza e concetto, sul filo di una rinnovata volontà interattiva». Proprio questo mi affascina ogni volta che vedo Marianna e Aldo lavorare: quel preparare meticolosamente tutti gli elementi che poi prenderanno fuoco, come una polverina magica, nell’attimo della performance. La loro è una composizione di danza-e-suono che creati separatamente, si incontrano in un’ interdipendenza data dall’ascolto reciproco. Mi sembra che non ci sia niente di più antinarrativo del loro lavoro, che di per sé è silenzio, un silenzio gravido, che parla di poesia. Non ci sono consecutio temporum o discorsi diretti, ma allitterazioni e assonanze, chiasmi e fono-simbolismi. «Mi sembra che tra l’ascoltare i cambiamenti e il determinarli, presenziando sull’idea del tempo, il corpo si privi della presunzione del soggetto, si ritrovi in balia di un flusso che non disegna un carattere, un’identità, ma piuttosto si fa suggerire e suggerisce immagini, e la forma accade senza essere né l’inizio né la fine, ma l’evoluzione di un temporeggiamento». Partendo dalle idee di tempo e di durata, Marianna e Aldo sono arrivati al silenzio. «Il silenzio... come si può parlare del silenzio? Per me è come parlare il silenzio, che non è già più silenzio. Il silenzio al massimo puoi provare ad ascoltarlo, ma ti accorgi subito che non esiste. Già l’idea di ascoltare qualcosa che non è ascoltabile mi pare un paradosso interessantissimo». Un lavoro su suono e corpo dal vivo come quello di loro due non poteva prescindere da una riflessione filosofica e delicata come questa sull’idea di silenzio. I nostri piani sovrapposti in quel museo di Wedding sono possibili solo per il loro essere immersi nell’invisibilità sonora del silenzio visivo, è la trasparenza su cui sono le figurine. «Il silenzio è un’astrazione, è l’assenza fisica, udibile del suono. Produrre il suono per un lavoro partendo da un input fisico assolutamente inudibile come l’aria, catturato da un microfono e poi rielaborato e sentirlo nelle sue possibili, infinite articolazioni, è concettualmente interessante perché il suono nella sua assenza, inudibilità, lo si può sentire». Ssssss.

according to Marianna’s and to my listening, moving between open-endedness and concept by a renewed interactive will”. The reason why, every time I see Marianna and Aldo working together I stay in silence, astonished: is their way of preparing carefully all the elements that later will catch fire, like a magic powder, during the performance. Their composition of dance-andsound, ‘separately created, meets each other in a sort of interindependence created by the mutual listening’. I think that in their work there is nothing of antinarrative, which is silence, a heavy silence, that tells about poetry. There are not any consecutio temporum or direct speeches, but alliterations and assonances, chiasmus and phono-symbolisms. “It seems to me that between listening to the changes and understand them, assisted by the idea of time, the body looses the subject’s presumption, being at the mercy of a flow that does not create a character, an identity, but rather suggest images, and the form happens without neither beginning nor end, but the evolution of a temporisation”. Starting from the idea of time and duration, Marianna and Aldo have come to the silence. “The silence… how can we tell about the time? For me, it is like telling the silence, which is not silence. You can almost try to listen to the silence, but you can immediately understand it does not exist. The idea of listening to something that it is impossible to listen to, I think it is a very interesting paradox”. This work about live sound and body should surely be based on a philosophical reflection about the idea of silence. Our overlapping layers in that museum of Wedding are possible only to be surrounded by the sound invisibility of the visual silence, it is the transparency where there are the small figures. “The silence is an abstraction, it is the physical absence, audible of the sound. Creating sound for a work starting from a physical input, that cannot be heard, like air, catch by a microphone and later revised and the chance to listen to it in its possible and infinite articulations, it is conceptually very interesting because the sound, in its absence, can be heard”. Ssssss.

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Marianna Andrigo Aldo Aliprandi Absorb’s (part.) 2011

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o m n i a vAlberto a n i t a s Zanchetta


Indagine sul teschio nelle arti visive Research abiut skull in visual art.

Dialogo fra Dialogue between Silvia Conta & Alberto Zanchetta


omniavanitas Alberto Zanchetta Frenologia della vanitas

S

ussurri, sibili, silenzi. Nel corso dei secoli i teschi hanno affollato le arti visive, riuscendo a trasmetterci i loro moniti escatologici senza ricorrere alla parola. Sia per comprendere più a fondo il loro significato, sia per cercare di capire quale destino li attende, Alberto Zanchetta ha indagato l’arte macabra nel suo ultimo libro, “Frenologia della vanitas – il teschio nelle arti visive” (Johan & Levi, 2011). Come spiega l’autore, il teschio non è una scheggia strappata al passato, bensì una scheggia conficcata nell’eterno presente. Simbolo per eccellenza della vanitas e del memento mori, ogni testa di morto racchiude un presagio sulla fatuità della vita e sulla futilità di ogni conoscenza, obbligandoci a riflettere sul senso della vita… e sul silenzio della morte. Silvia Conta: Il libro ha visto la luce nel 2011, a distanza di dieci anni dalla stesura dei tuoi primi manoscritti sui temi macabri; riflessioni che prendevano le mosse da una passione per l’anatomia, da te coltivata fin da quando eri studente all’Accademia di Belle Arti, e che oggi corre parallela a una collezione privata che stai ordinando intorno a questi soggetti. Nel libro e nella serie di mostre che stai curando dopo la sua uscita – ciascuna delle quali può essere considerata come una differente appendice del volume – emerge il tuo rigore scientifico, senza però rinunciare a elementi empirici, quasi istintivi, ma mai casuali né estemporanei. Spiegando il tuo rapporto con questo libro e le esposizioni correlate, diventa necessario soffermarci anche sul concetto della pratica curatoriale da te sviluppato. Ce ne puoi accennare? Alberto Zanchetta: Sono sempre stato sedotto da quel rituale del desiderio che è l’arte, e dalla possibilità di collezionarla. Al di là del valore che attribuiamo alle opere, ciò che più conta è l’appagamento che ne traiamo; alle mie mostre applico lo stesso principio di piacere e di passione, cerco cioè di “s-piegare la materia dell’arte”. Come sai, mi diletto nel definirmi un analogo patologo perché adotto un approccio clinico, quasi chirurgico quando “curo” le mostre… Adoro refertare i nessi tra le opere e la realtà, tra gli oggetti e i soggetti che ci circondano. SC: Partiamo dal titolo, “Frenologia della vanitas”, in apparenza un gioco di parole misterioso, ma più che un rebus è una bussola che permette al lettore di orientarsi all’interno della fugacità e deperibilità del mondo. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, questo volume non costituisce – come tu stesso tieni a precisare nell’introduzione – una storia del teschio nell’arte contemporanea, procede semmai con “uno sviluppo rizomatico” che si nutre

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hispers, hisses, silences. Throughout the centuries skulls have filled up visual arts, succeeding in conveying their eschatological warnings without using words. Both to comprehend in depth their meaning, and to try and understand what kind of future awaits them, Alberto Zanchetta researched macabre art in his latest book, “Frenologia della vanitas. Il teschio nelle arti visive” (Phrenology of vanitas. The skull in visual arts). As the author explains, the skull is not a splinter taken from the past, on the contrary it is a splinter stuck in the eternal present. Major symbol of vanitas and of memento mori, each dead person’s head contains a presage on life’s fatuity and on the futility of every kind of knowledge, forcing ourselves to reflect on the meaning of life… and on the silence of death. Silvia Conta: Your book came out in 2011, ten years after your first manuscripts on macabre themes came out; reflections that were built on your passion for anatomy, which you have cultivated ever since you were an art school student and which now runs in parallel with a private collection that you are arranging around these subjects. In the book and in the series of exhibitions that you are following after the book came out – each of which could be considered as a different appendix to the volume – your scientific strictness emerges, without avoiding empirical and almost instinctive elements, but never casual nor extemporary ones. While explaining your relationship with this book and the exhibitions related to it, it also becomes necessary to linger on the concept of curatorial practice which you developed. Could you tell us about it? Alberto Zanchetta: I have always been seduced by that ritual of desire, which is art, and by the possibility to collect it. Beyond the value that we give to the works of art, the thing that matters the most is the fulfillment that we gain from them; in my exhibitions I apply the same principle of pleasure and passion, I try to “unfold the matter of art”. As you know, I like to define myself as an analogous pathologist because I use a clinical, almost surgical, approach when I “take care” of the exhibitions… I adore to report the links between the pieces and reality, between the objects and subjects which surround us. SC: Let’s talk about the title, “Frenologia della vanitas” (Phrenology of vanitas), in appearance a mysterious pun, and instead of a rebus it is more a compass which allows the reader to orientate within the fugacity and perishability of the world. Contrary to what one could expect, this volume is not – as you stress in the introduction – a skull history


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omniavanitas di numerosi altri scambi culturali (con la sociologia, la filosofia, la letteratura, ecc). Come spieghi la scelta di questo titolo? Si tratta di una mediazione tra la scientificità e la visceralità che questo argomento impone?

in contemporary art, it actually proceeds with a “rhizomatic development” which feeds on many other cultural exchanges (with sociology, philosophy, literature, etc.). How do you explain the choice for this title? Is this a mediation between the scientific and the visceral that this topic requires?

Just as phrenology, art too is an inexact science. Questo è soloAZ: un'estratto A gay science pursuing a truth which offers itself as being uniquely subjective. Way more than the art This is only an extract historian, the critic is forced to interpret or even

Tiziano Codoro Berlin - Untitled Conversation with De Chirico 2011 8.481.963 byte

AZ: Proprio come la frenologia, anche l’arte è una scienza inesatta. Una gaia scienza che persegue una verità che si offre unicamente come soggettiva. Ben più dello storico dell’arte, il critico è costretto a interpretare le informazioni sul nascere, a intuirle se vogliamo. Sono convinto sia necessario adottare un’elasticità tra i vari campi del sapere, ricorrendo a ragionamenti ondivaghi che possano riannodare il presente al passato, seguendo un filo non necessariamente cronologico. I frenologi alternavano la scienza all’occultismo, mentre gli anatomisti che lavoravano a cavallo tra Cinque e Seicento erano sia medici che artisti, in pratica erano uomini di cultura in latu sensu. E dato che l’arte è un artificio/alchimia, non può esistere una cesura netta tra la ricerca (del vero) e l’invenzione (simia Nature). Si può credere o non credere alla frenologia, e ciò vale anche per la critica d’arte. Talvolta l’una e l’altra possono risultare erronee, perché si basano su informazioni non tanto scientifiche quanto semmai umanistiche; paragonandomi a un frenologo volevo mettere in chiaro che l’argomento non può approdare a nessuna risposta definitiva, perché tutto cambia – anche i simboli e gli ammonimenti della morte. L’oscillazione del gusto e dei significati macabri ha infatti comportato un rimescolamento di tutte le informazioni che erano già in nostro possesso, ma che non erano più state aggiornate nel corso degli ultimi cinquant’anni.

guess information from the beginning. I think that it is necessary to adopt some flexibility between the various fields of knowledge, using wavering reasonings which could resume the connection between present and past, not necessarily following a chronological thread. Phrenologists alternated science and occultism, while during the 1500s and 1600s anatomists were both doctors and artists, they were men of culture in a wider sense. And just because art is artifice/alchemy, there can be no clean cut between the research (for the truth) and invention (simia Nature). One can believe or not believe in phrenology and the same goes for art criticism too. Sometimes both of them can be wrong, because they are not based on scientific information but on humanistic ones; comparing myself to a phrenologist was a way to show that the topic cannot get to any definitive answer, because everything changes – even the symbols and warnings of death. The fluctuation in macabre taste and meanings resulted in a mixing of all the information we already had, but which had not been updated in the last fifty years.

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Bruno Peinado Sans Titre vanity flight case 2005 resin skull, mirrors, motor, smoke machine, spotlights cm 196x81x71 courtesy Mario Mauroner Contemporary Art

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SC: Chi è il vero protagonista di questo volume? Il teschio? L’iconografia macabra? La storia del pensiero? Il tuo rapporto con l’immaginario della morte? Oppure la vita stessa? Quando ho iniziato a leggere il libro avevo un certo timore di incamminarmi in una lettura angosciante e opprimente, invece è stata avvincente, persino liberatoria. È come se questo plurisecolare affaccendarsi attorno al concetto e all’immagine della morte non fosse altro che un continuo sforzo, di pensiero, di ricerca, di conoscenza, in cui l’arte è l’unica a poter andare oltre la finitezza del tempo biologico. La persistenza del macabro si nutre della tenacia della vita oppure della certezza della morte? AZ: Nei secoli scorsi l’uomo conviveva con la morte, non aveva timore di nominarla, né tantomeno di invocarla per sé. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento le cose sono cambiate drasticamente: la morte è diventata il grande tabù della cultura

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SC: Who is the real protagonist of this volume? The skull? The macabre iconography? The history of thought? Your relationship with death imaginary? Or life itself? When I began to read the book I was afraid I was starting a distressing and oppressive reading, instead it was compelling, or even releasing. It is like if this centuries-long busying with the concept and image of death was not more than a perpetual effort, of thought, of search, of knowledge, in which art is the only one capable of going beyond the finiteness of biological time. The persistence of macabre feeds on the tenacity of life or on the certainty of death? AZ: In the past centuries men cohabitated with death, they were not afraid of naming it, nor to invoke it for themselves. Between the end of the 1800s and the beginning of the 1900s things drastically changed: death became western culture’s big taboo, it had been shut up because people were afraid and loathed it. Nowadays it is like if death had left our everyday life, confined “somewhere else” – in space and time – where it should not bother us. The


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omniavanitas occidentale, è stata messa a tacere perché si ha paura e orrore di lei. Oggigiorno è come se fosse uscita dalla nostra quotidianità, relegata a un “altrove” – sia nel tempo che nello spazio – che non deve turbarci. Fa eccezione l’arte, che non può essere insensibile ai grandi temi dell’umanità. Argomentare la morte significa parlare della vita, e l’arte è intrinsecamente legata a entrambe. In questo senso, il Memento mori non è un monito funesto ma un invito a gioire in modo positivo della propria esistenza. Se l’uomo è uno dei più grandi misteri della vita, possiamo ben dire che il teschio è l’involucro che contiene il più grande mistero della morte.

only exception is art, which cannot be insensitive to the major issues of mankind. To argue about death means to talk about life, and art is intrinsically linked to both. In this way, Memento mori is not a deadly warning but a call to enjoy in a positive way our own existence. If man is one of the biggest mysteries of life, we can surely say that the skull is the involucre that contains the biggest mystery of death.

Questo è solo un'estratto book’s last chapter you write: «More This is onlySC: anIn your extract than analogies, it is made to believe that it deals

SC: Nell’ultimo capitolo del tuo libro scrivi: «Più che di analogie vien fatto credere che si tratti di ambiguità. Tra ricordo ed evocazione, il teschio è praticamente incapace di adempiere al suo ruolo, proprio perché non è più un dispositivo d’attivazione ma un simbolo di se stesso». Scrivi anche che, fin dalla preistoria e in tutte le società, l’iconografia macabra è stata presente «instaurando una confidenza che [oggi] non intende offrire un confronto, bensì una consapevolezza ontologica». È un vero silenzio quello del teschio oppure la sovraesposizione degli ultimi decenni l’ha costretto al mutismo? A cosa dobbiamo la sua ampia rappresentazione nell’attualità?

with ambiguity. Between memory and evocation, the skull is incapable to fulfill its role, just because it is not an activation device anymore, but a symbol of itself». You also write that from prehistory in all societies macabre iconography had been present «establishing a trust which [today] does not intend to offer a comparison, instead it offers an ontological awareness». Is the skull’s silence a real one or did the last decades’ overexposure force it to mutism? What is the reason of its wide representation nowadays?

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AZ: John Cage discovered that not even an anechoic chamber is airtight to (any) noises. We ourselves cannot be indifferent to the world’s hum, almost like if silence – paraphrasing Mangone – is nothing more than «an invention made by philosophers». In art history it is possible to encounter many priggish skulls, or philosophising skulls, giving their warnings to the viewer; they did it hissing, almost imperceptibly, as if to say: «he who knows, does not speak». Today instead, the viewer does not recognise the symbols anymore, nor the allegories, he let himself desensitise by appearances, basking in the taste for the macabre, but associating it with fashion, design, cinema, comics and so on. As you say, at the turn of the new millenium there was a skulls substantial demographical increase: if taken one by one they still have lots to say on the matter, but considering them in a quantitatively way then they are doomed to an overexposure which will bore us and make us insensitive. The difference is in the eye of the ones who look (in depth), and only the finest ear could pick their message. Let’s never forget Pascal: le silence est la plus grande persécution.

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Tiziano Codoro Berlin - Untitled Conversation with De Chirico 2011 8.481.963 byte

Nicola Samorì Onoufrios, oil on wood cm 27 x 19 2011 Christoph Tannert Collection Berlin

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AZ: John Cage aveva scoperto che neppure una camera anecoica è impermeabile a (tutti) i rumori. Noi stessi non possiamo essere indifferenti al brusio del mondo, quasi che il silenzio – parafrasando Mangone – non sia altro che «un’invenzione dei filosofi». Nella storia dell’arte è possibile incontrare molti teschi moraleggianti, oppure scheletri che filosofeggiano, intenti a impartire i loro ammonimenti allo spettatore; lo facevano sibilando, quasi impercettibilmente, come a dire: «chi sa, tace». Oggi, viceversa, lo spettatore non riconosce più i simboli, né le allegorie, si è lasciato desensibilizzare dalle apparenze, crogiolandosi nel gusto del macabro, associandolo però alla moda, al design, al cinema, ai fumetti, eccetera. Come dici tu, al volgere del nuovo millennio c’è stato un sostanziale incremento demografico da parte dei teschi: se presi singolarmente essi hanno ancora molto da dire sull’argomento, ma se li si considera solo quantitativamente, allora sono condannati a una sovraesposizione che finisce per tediarci o renderci insensibili. La differenza è nell’occhio di chi guarda (in profondità), e solo l’orecchio più fine può cogliere il loro messaggio. Mai dimenticare Pascal: le silence est la plus grande persécution.

or


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exlibris


Il Dante di Doré. Dore’s Dante.

Testo di Text by Mauro Carrera Foto di Photo by Mauro Davoli


exlibris Il Paradiso lo preferisco per il clima, l’Inferno per la compagnia

I prefer heaven for climate, hell for companionship

i sono elementi del nostro immaginario collettivo così ampiamente condivisi da rappresentare dei veri e propri stereotipi. Se qualcuno evoca l’Inferno non possiamo non apporvi l’aggettivo dantesco e non associarvi mentalmente un disegno di Gustave Doré. I tanti peccatori devono all’Alighieri il monito indimenticabile e all’illustratore un più tangibile promemoria. Dai Contes drolatiques di Balzac alle Fiabe di Perrault, dal Paradiso perduto di Milton alla Bibbia, dal Don Chisciotte di Cervantes all’Orlando furioso di Ariosto, Doré ha tradotto in immagini le più importanti opere della letteratura mondiale. Le planches realizzate per l’Inferno sono però considerate il suo vero capolavoro. Uno dei segreti del suo successo risiede nei difetti a lui rimproverati dai suoi detrattori. Nel concepire i suoi dessins traeva da sé i modelli. Non ignorava certo la tradizione figurativa precedente, ma pescava liberamente dalla memoria senza timore di emulazione. Ciò era dovuto forse alla sua attività giovanile di vignettista in periodici popolari, nei i quali il fare prevale sul progettare. Per la Divina Commedia, non concepì immagini rispettose dei versi, ma tracce efficaci e rapide per la schiera di graveurs coinvolti simultaneamente nell’operazione. Théophile Gautier a tale proposito scriveva1: «Oltre al suo talento di composizione e di disegno, egli possiede quell’occhio visionario di cui parla il poeta, che sa liberare il lato segreto e singolare della natura. Vede le cose dalla loro angolatura bizzarra, fantastica, misteriosa. (…) Nell’Inferno, l’artista, senza perdere niente del suo estro immaginativo, ha preso gravità e sviluppato i lati seri della sua natura. Questa lunga intimità con Dante gli ha dato il grande stile che forse gli mancava e le sue vignette si trasformano in quadri di storia con una facilità singolare. Ciò che colpisce, al primo colpo d’occhio, nelle illustrazioni dantesche, è l’ambiente in cui si svolgono le scene che egli disegna e che non ha alcun rapporto con gli aspetti del nostro mondo sublunare. L’artista ha inventato il clima dell’inferno, le montagne sotterranee, i paesaggi inferiori, l’atmosfera oscura in cui il sole non ha mai brillato e che illuminano dei riverberi di fuoco centrale, i fiumi spessi simili a correnti di lava (…)»2 Destinato a confrontarsi con il capolavoro dell’Alighieri sin da giovane – quando concepì un curioso album di disegni che reca l’emblematico titolo di Voyage à l’Enfer – dapprincipio non riusciva a trovare un editore pronto ad investire nella realizzazione di un volume con i disegni per l’Inferno. Riuscì a convincere Hachette soltanto offrendosi di pagare di persona le spese dell’intera edizione e,

Some elements of our collective imagination are so broadly shared that become true stereotypes. If somebody calls up the Hell we immediately think about the objective ‘Dantesque’ and mentally we associate it to Gustave Doré drawing. All the sinners owe to Alighieri the unforgettable monition and to the illustrator a more tangible memo. From Balzac Contes drolatiques to Perrault Fairy Tales, from Milton Paradis Lost to the Bible, from Cervantes Don Chisciotte to Ariosto Orlando furioso, Doré translated into images the most important works of world literature. But the planches, realised for the Hell, are considered his master piece. One of the secret of his success lies in the imperfections strongly criticised by his detractors. He conceived the models of his dessins completely by himself. He didn’t ignore the previous figurative tradition, but took freely from the memory without fearing of emulation. This came maybe, from his young activity of cartoonist in popular magazines, where making dominates over planning. For the Divina Commedia, he didn’t create images which respected the true lines, but he efficient and quickly traces for the crowd of graveurs involved simultaneously in the creation. Théophile Gautier wrote about this1: «Beyond his skill of drawing and composition, he has got that visionary eye, of which the poet tells about, that is able to set the secret, only side of nature free. He look at things from their fantastic, odd, mystery. (…) In the Inferno, the artist, without loosing his imaginative inspiration, has taken gravity and developed the serious sides of his nature. Maybe from this long and close relation with Dante he got his new great style, in this way his illustrations turned, very easily, into paintings of history. What mostly strikes, at first sight, in Dante’s illustrations, is the setting where the different illustrated scenes take place, which do not have any relations with the aspects of our sublunar world. The artist invented the climate of the hell, the underground mountains, lower landscapes, the obscure atmosphere where the sun has never shone and which light reflections of a central fire, rivers as lava streams (…)»2 Since he was young, his work was compared to Alighieri’s work – when he created a very interesting collection of drawings emblematically entitled Voyage à l’Enfer – from the beginning he was not able to find an editor who would have invested in the realisation of the volume with the drawing for the l’Inferno. He persuaded Hachette only when he decided to personally pay the costs of the whole edition and, together with the best xylographers of

Oscar Wilde

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Oscar Wilde


avvalendosi dei migliori xilografi del tempo, lasciò all’editore soltanto il ruolo di stampatore. Agli inizi del 1861 apparve il sontuoso volume3 in folio (33,5 x 45 cm), con legatura editoriale in tela rossa con titoli in oro e impressioni a secco. Contava duecento pagine [(6)+IV+194+(2)] più 76 planches fuori testo protette da una velina con legenda impressa. La prima era un ritratto di Dante collocato in antiporta, cui seguivano 75 gravures sur bois riportate su fondo colorato imitante la carta di Cina. Le numerose richieste del pubblico esaurirono la tiratura in poche settimane e indussero ad una seconda edizione per l’anno seguente. Il successo fu tale che i grandi editori d’Europa4 e d’America si contesero i diritti per la pubblicazione dell’opera nel loro paese, acquisendo i clichés per la riproduzione delle incisioni originali. Per le pressanti richieste di completare l’opera, la pubblicazione del Purgatoire e del Paradis divenne un sicuro affare. Il volume uscì nel 1868, ma era evidente come i soggetti da trattare avessero ispirato meno la fervida immaginazione di Doré: l’edizione della seconda e della terza cantica per Hachette contiene in tutto soltanto 60 incisioni. Paesaggi quasi böckliniani sono gli scenari d’elezione; bestie e figure umane sono a volte protagoniste, altre ricoprono ruoli da comprimarie. L’artista dà libero sfogo alla sua passione per gli ambienti selvaggi. Solo con la figura di “Caron dimonio” inizia finalmente l’azione e Doré produce un primo significativo sforzo plastico. Ritroviamo la medesima torsione scultorea dei corpi nelle incisioni dedicate ad alcune scene corali, veri pezzi di bravura. Le carni dei dannati danno sostanza alle immagini: una brulicante umanità arricchisce composizioni in felice equilibrio con lo sfondo. Le tavole dedicate all’Inferno mettono in scena visioni notevoli e titaniche. Nella rappresentazione anatomica Doré dimostra un talento non convenzionale né accademico, ma protodecadente. La sua capacità di evocazione drammatica pare consonante a tanto erotismo preraffaellita, aprendo la strada ad un’immaginazione vigile. Tra le planches più pregevoli per la diabolica sensualità ce ne sono alcune di gusto pre-simbolista. L’espressione di Dante appare talvolta quella concentrata del naturalista, tal’altra quasi comicamente voyeuristica, poi compunta, affatto incuriosita, impressionata, un po’ morbosa, indagatrice. Di gusto gotico e d’ispirazione fiabesca sono alcune formidabili incisioni di segno quasi düreriano o blakiano. La fascinazione tardoromantica nei confronti del Medioevo torna a più riprese. Theophile Gautier al Salon commentò così5: «Tale è il soggetto lugubre sviluppato in grande dal giovane illustratore della Divina Commedia, e si può dire che non è stato al di sotto del suo compito. Egli lotta per raccapriccio e orrore con la poesia di Dante. (…) Quest’immaginazione del disegno, Doré l’ha anche nella composizione. Che facilità?. Che ricchezza,

the time, the editor had only to print. At the beginning of 1861 the luxurious volume3 in folio (33,5 x 45 cm), with editorial binding in red toile with gold titles and blind stamps. It consists of two hundreds pages [(6)+IV+194+(2)] with 76 planches protected by a flimsy paper with printed legend. The first was a portray of Dante in the frontispiece, followed by other 75 gravures sur bois copied on coloured papers like Chinese paper. In few weeks the print was completely sold out, so, because of the public demand the following year there was a second edition. The success was really great that European4 and American editors disputed for the copyright of the publication in their country, buying the clichés for the reproduction of the original engravings. Because of the demands of ending the work, the publication of Purgatoire and Paradis became a really good bargain. The book came out in 1868, but it was clear that Doré’s vivid imagination was less inspired by these subjects: the edition of second and the third cantos for Hachette holds only 60 illustrations. Landscapes, nearly Böcklin’s woods, are the settings of the election; beasts and human figures are sometimes the main characters, others have secondary roles. The artist freely expresses his passion for wild landscapes. Only through “Charon the demon” starts the action and Doré creates a first significant plastic effort. We have the same sculptural torsion of bodies in the engravings conceived for choral scenes, true masterpieces. The bodies of the damned give strength to the imagines: a strong humanity enriches the compositions in a happy balance with the background. Inferno’s illustrations display important and titanic visions. In the anatomic representation Doré shows his neither unconventional nor academic, but protodecadent style. His characteristic of dramatic evocation can be compared to pre-Raphaelite eroticism, developing a vigilant imagination. The pre-symbolist influence is in the diabolic sensuality of some of the most fascinating planches. The expression of Dante is sometimes concentrated as the naturalist man expression, but on the other side is nearly voyeuristic, then mortified, curious at all, impressionist, a little bit morbid, inquiring. There are some wonderful illustrations of gothic fascination and fairy-tale inspiration probably inspired by Dürer or Blake. The late romantic fascination compared to the Middle Age recurs many times. Theophile Gautier in Salon said5: «The subject developed by the young illustrator of the Divina Commedia is so gloomy, and it can’t be hardly said that he hasn’t been really great. He struggles because of horror, with Dante’s poetry. ( ) Doré holds this imagination in the drawing but also in

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exlibris

Notes 1 - Théophile Gautier, Gustave Doré, in «Le Moniteur Universel», 30th July 1861. 2 - Thanks to Elena Fermi, for the translations of original French works. 3 - L’Enfer de Dante Alighieri avec les dessins de Gustave Doré Traduction française de Pier-Angelo Fiorentino accompagnée du texte italien. Paris, Librairie de L. Hachette et Cie, Rue Pierre-Sarrazin, 14, M DCCC LXI. 4 - The second Italian edition, after Hachette, was La Divina Commedia di Dante Alighieri illustrata da Gustavo Dorè e dichiarata con note tratte dai migliori commenti per cura di Eugenio Camerini, Milano, Edoardo Sonzogno, 1868-1869 5 - Theophile Gautier, Abécédaire du Salon de 1861, Paris, E. Dentu Editeur, 1861, pp.130-133. Note 1 - Théophile Gautier, Gustave Doré, in «Le Moniteur Universel», 30 luglio 1861. 2 - Per le traduzioni dei testi originali francesi, si ringrazia Elena Fermi. 3 - L’Enfer de Dante Alighieri avec les dessins de Gustave Doré Traduction française de Pier-Angelo Fiorentino accompagnée du texte italien. Paris, Librairie de L. Hachette et Cie, Rue Pierre-Sarrazin, 14, M DCCC LXI. 4 - La seconda edizione italiana dopo quella dello stesso Hachette fu La Divina Commedia di Dante Alighieri illustrata da Gustavo Dorè e dichiarata con note tratte dai migliori commenti per cura di Eugenio Camerini, Milano, Edoardo Sonzogno, 1868-1869 5 - Theophile Gautier, Abécédaire du Salon de 1861, Paris, E. Dentu Editeur, 1861, pp.130-133.

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che forza, che profondità intuitiva, che penetrazione dei soggetti più diversi! Che senso della realtà, e allo stesso tempo che spirito visionario e chimerico! L’essere e il non-essere; il corpo e lo spettro, il sole e la notte, Doré può rendere tutto. – È a lui che si dovrà la prima illustrazione del Dante, poiché quella di Michelangelo è perduta.» Sebbene meno cupe di quelle della prima cantica, le tavole che aprono il Purgatorio ricordano di necessità quelle iniziali dell’Inferno, con però una vegetazione meno selvaggia e sotto una luce più propizia. L’atmosfera assume nuovamente la giusta enfasi emotiva, fatta di attesa. Doré pare annunciare in maturo stile romantico, altri dei suoi capolavori, ancorché in nuce. Alcuni soggetti più statici, sono collocati in una luminosa cornice. L’evidenza didascalica mostra un ribaltamento della prospettiva rispetto all’Inferno. Sebbene i personaggi non abbiano sempre una concreta rilevanza, Doré ricorda talvolta d’essere anche uno scultore e non può che citare direttamente il suo vero maestro: Michelangelo. Sempre straordinaria è tuttavia la composizione delle masse scenografiche, sorprendenti nel loro equilibrio e nel perfetto bilanciamento di pesi e segni grafici. L’illustrazione vira improvvisamente verso tinte fosche e i corpi tornano ancora lassi e grevi. Doré rispolvera l’estro pittorico da lui dimostrato nei dipinti di genere paesaggistico. Verso la fine della cantica si ritorna ad un clima più sereno e a un’atmosfera onirica data da segni leggerissimi. Le donne veicolano un messaggio di serena venustà, ma con l’apparizione di Beatrice, ormai scompare la tensione sensuale che ha pervaso l’opera fino adesso. Per la terza cantica, Doré non si dilunga, ma sceglie con cura le immagini da eseguire. Nel ritrarre le figure femminili, ha ormai quasi smarrito ogni velleità di erotismo. Le donne hanno un che di celestiale, consono al luogo in cui si trovano e all’immagine poetica stilnovista della donna/angelo. Anche il paesaggio perde connotazione e diventa solo luce. Molto allusive e sempre più stilizzate si fanno le forme e volumi ideali emergono da un segno grafico che ormai si fa pura luce, quasi cristallo sintetico. Quando pare che il linguaggio figurativo abbia detto tutto, ecco che torna la materia con una composizione più plastica e con i toni di un chiaroscuro oleografico. Da ultima, la visione della Vergine Maria segnala al lettore, come già all’esausto disegnatore, la conclusione di un percorso iconografico complesso e difficoltoso, quant’altri mai. In seguito ad una crisi cardiaca, morì a Parigi il 23 gennaio 1883 all’età di 51 anni, al culmine della fama. Dopo i suoi funerali fu sepolto nel cimitero monumentale di Père-Lachaise. Non è dato sapere se attualmente goda di una compagnia onesta o di una più divertente.

the composition. Is it so easy?. What a richness, strength, intuitive depth, a study of so different subjects! What a sense of reality, and at the same time visionary and chimerical mood. The be or not to be; the body and the soul, the sun and moon, Dorè can make everything. – After his first illustration of Dante, that of Michelangelo has been lost.» Even if, the illustrations of the Purgatorio are less gloomy than those of the first canto, they remind to the opening illustrations of the Inferno, but with a less wild vegetation and under a more favourable light. The atmosphere has regained the right emotional emphasis, made of waiting. Doré seems to announce in romantic style other works of art, although in nuce. Some static subjects are placed in a bright frame. The didactic evidence shows a reversal of the prospective compared to Inferno. Even if the characters don’t always have a concrete importance, Doré sometimes remembers to be also a sculptor so, he has to directly relate to his true teacher: Michelangelo. However, the composition of the scenographic masses is always extraordinary, they are astonishing in their perfect balance of graphic traits and weights. The illustration turns suddenly towards dark colours and the bodies remain heavy and still. Doré brushes up his pictorial creativity of his landscapes paintings. At the end of the Purgatorio, he comes back to a brighter climate and to a dreamy atmosphere, given by very light traits. Women spread a message of peaceful beauty, but with the apparition of Beatrice, the sexual tension, that dominated since this moment, fades away. For the third canto, Doré goes straight to the point, but he chooses carefully the images to draw. In the portrays of women he has almost lost every vague desires of eroticism. Women has something of celestial, right for the place where they are and for the typical poetic image woman/ angel of the Dolce Stil Novo. Also the landscape looses connotation and becomes only light. Forms become very allusive and more and more stylized and ideal volumes come out from a graphic trait which is totally becoming pure light, almost synthetic crystal. When the figurative language seems to have almost nothing to say, the matter comes again by a more plastic composition with the tones of an oleographic chiaroscuro. At the end, the vision of the Virgin Mary shows, also to the tired illustrator, the conclusion of a complex and difficult iconographic path, never walked. After an heart crisis, he died in Paris, on 23 January 1883, he was 51 years old, at the peak of his success. His ashes are buried at Père-Lachaise. We cannot know if, at the moment, he is enjoying an honest or much funnier company.



q u i d Giovanni Zoda


Il silenzio o del personale ripensamento interiore nella visione di un’opera d’arte. The silence or about the personal inner afterthought in the view of a work of art. Pippo Lombardo


quid Ho delle buone notizie per voi. Il 24 settembre potremo ufficialmente dichiarare morto il postmoderno. Come faccio a saperlo? Perché in quella data al Victoria and Albert Museum si inaugurerà quella che viene definita la “prima retrospettiva globale” al mondo intitolata “Postmoderno - Stile e sovversione”.

Preview page: Giovanni Zoda Apocatastasi Oil on canvas cm 154x154 2011

I’ve some good news. On 24th September, we can officially and definitively declare that pastmodernism is dead. How do I know? Because that is the date when the Victoria and Albert Museum opens what it calls ‘the first comprehensive retrospective’ in the world: ‘Postmodernism - Style and subversion’. da Addio postmoderno, benvenuti nell’era dell’autenticità di Edward Docx, la Repubblica, 3 settembre 2011 from Goodbye postmodernism, welcome to the age of authenticity by Edward Docx, in Repubblica, 3th September 2011

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questa notizia il dibattito sulla contemporaneità, quella nella quale effettivamente viviamo proprio in questo minuto, è divampato occupando le pagine di quotidiani e riviste attenti a quanto succede attorno a noi. Sostenitori e detrattori, come era prevedibile, arma in resta, si sono schierati frontalmente e tra gli uni e gli altri si annoverano nomi prestigiosi nel panorama culturale mondiale, in particolar modo del mondo occidentale e occidentalizzato, che può accedere al dibattito perché interessato ai diversi aspetti che il tema comporta quali cultura, società, politica, etica, business, ecc…. Insomma, se ne interessano quelli che di certo non hanno da risolvere problemi di sussistenza precaria, quelli che di questi problemi degli altri poco si occupano, a dimostrazione che quando entriamo in ambiti culturali così distaccati dalla quotidianità, dibattiti del genere possono sembrare addirittura futili agli occhi dell’uomo della strada. Infatti, la massa enorme degli uomini comuni, forse mai si è accorta di questo postmodernismo (Lyotard – La Condizione postmoderna, 1979), nemmeno quando ha partecipato a quegli eventi straordinari (emblema del postmodernismo) come inaugurazioni di megamusei, di megamostre, di megafiere, ovviamente con megacapolavori, perché ognuno ha ceduto stordito da un battage mediatico che col suo clangore attira, ma non stimolando una partecipazione attiva in quanto consapevole, bensì perché chi organizza ha bisogno di “fare numeri” (e soldi!). Infatti interessa che il pubblico sia numerosissimo, pagante, che si accalchi in questi nuovi santuari labirintici e ci bivacchi pure, perché lì si vende, si compra, si mangia, si beve, si chiacchiera. Insomma finalmente questa cultura che tanto ci ha affaticato sui banchi di scuola e che tanto ci sembrava polverosa e pedantesca, finalmente si presenta leggera, divertente e meglio se in ogni sua manifestazione (letteraria, artistica, musicale, teatrale, ecc…) e poi forse poco importa se a volte si

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hen this news came out, the debate about contemporaneity, the age where we are living in, has spread throughout the pages of newspapers and magazines’ which usually pay attention to everything happens all around. Supporters and detractors, as expected, went full tilt, lined up face to face, among them, the most famous names of the world cultural panorama, particularly of the Western and Occidentalized world, which can take part to the debate because it is interested in the different aspects of the subject, such as culture, society, policy, ethic, business, etc… In short, who is interested in this subject, are usually those people, who don’t have to solve problems of temporary subsistence, people who don’t care too much about problems or solutions about others lives. In fact, the ordinary man in the street can sometimes consider this sort of debates even so superficial, so distant from everyday life. In fact, the huge mass of ordinary men, maybe, has never noticed this postmodernism, (Lyotard – The Postmodern Condition, 1979), even when they took part to those extraordinary events (symbol of postmodernism) as the open ceremony of megamuseums, mega-exhibitions, mega-shows, of course with mega- masterpieces, because everyone has given in stunned by a media ballyhoo, which through its clash attracts, but does not develop an active aware participation, because the organizers need ‘numbers’ (and money!). In fact, it is important only that the viewers are very numerous, paying and crowed into these new labyrinthine sanctuaries, where they can also bivouac, because there they can buy, eat, drink and chat. So, this culture, that during the school years was so boring, dusty and pedantic, at the end becomes so light, funny and better in all its aspects and expressions (literary, artistic, musical, theatrical, etc…) and than, it is not worth if sometimes it gives also the impression of being at a fun fair! («The mercantile


ha addirittura la sensazione di essere stati a un luna-park! («La deriva mercantile trasforma l’arte in spettacolo e i musei in luna-park» - Jean Clair Critica della modernità – 1983). Questa pratica dannosa è massificazione dell’arte e non va confusa con la democratizzazione dell’arte. Insomma una sorta di sonnambulismo durante il quale ai veri collezionisti, colti e raffinati, si sono aggiunti hoarders in preda a un frenetico accaparramento compulsivo di prodotti d’arte purché siano feticci. È il trionfo dell’affararte, un ambito molto vasto dove trovano cittadinanza molti affartisti, che applicando la non ben chiara regola (ma fatta propria con molta disinvoltura) “dello sguardo che crea l’opera” (eredità ora ingombrante dell’orinatoio che Duchamp espone come opera d’arte intitolandola “Fontana”, 1917) possono anche essere spacciati per artisti. È la contemporaneità che stenta a definirsi (o non può?) e pecca di «“oscurantismo contemporaneo” che, settariamente, cerca di farci scordare che l’opera esige, sempre, una sintonizzazione culturale, senza la quale risulta incomprensibile» ancora Jean Clair. Ma è nell’ambito della stessa filosofia francese della differenza (lanciata dai post-strutturalisti Deleuze, Foucault, Derrida, Lyotard), nel cui seno si manifesta il postmoderno, che già poco dopo il suo nascere si prendono le distanze da tutti quegli atteggiamenti che vanno sotto il nome di postmoderno che ambisce a contrastare il modernismo, dimostrandosi poi un male peggiore del male che avrebbe voluto estirpare, perché veicola fenomeni conservatori e anti-illuministi. E Lucien Freud, che per molti anni ha subito l’ostracismo rispetto alla centralità e all’arroganza dei postmoderni, si prende la sua rivincita a testimonianza di un percorso artistico non solo di altissimo livello riguardo alla sua indiscussa maestria, ma soprattutto di un’autenticità che emoziona, anche l’uomo comune che quando avrà completato la visita di un’esposizione a lui dedicata, di certo, non avrà la sensazione di essere stato in un luna-park! In questo futuro epistemico al caos che confonde, che aliena, si sostituisce un ordine artistico in cui compenetrarsi. Ma al vuoto che si preannuncia per l’ estenuarsi del postmoderno sembra sostituirsi (in campo artistico) un desiderio di espressione autentica di un figurativo che prendendo le mosse dal modernismo, declinato in ogni sua possibilità (impressionismo, espressionismo, surrealismo, cubismo, ecc.), si manifesta in modi visionari, realistici, iperrealisti, intimi di giovani pittori sparsi un po’ in giro per il mondo. Tra questi Giovanni Zoda, che nel suo percorso culturale sostituisce il “contro” ad ogni

origin turns art into show and museums into fun fairs. » - Jean Clair Criticism of modernity – 1983). This dangerous practice becomes art massification and it has not to be confused with democratisation of art. So, a sort of sleepwalking during which true, refined and intelligent, collectors together with hoaders, try to compulsively hoard any works of art turning then into a true fetish. It is the triumph of making art, a wide sector where many making artists, which apply the blurry (but very common) rule ‘of the look that creates the work of art’ (today, strong heritage of the urinal that Duchamp shows as work of art entitled ‘Fountain’, 1917), could be also called artists. It is the contemporaneity that finds hard to define itself (or it cannot) and makes a mistake of «‘contemporary obscurantism’ which, discriminatingly, tries to let us forget that a work of art exists, always, a cultural tuning, impossible to understand without it» Jean Clair. But it is in the French Difference philosophy (of the poststructuralists Deleuze, Foucault, Derrida, Lyotard), where postmodernism has developed, but soon after its growth it keeps the distances from that behaviour called postmodernism which craves against modernism, becoming worse than the evil it would have root out, because it transmits conservative and anti-Enlightenment ideas. And Lucien Freud, who for many years has suffered from ostracism and arrogance of modernists, gets his revenge as mark of his artist development of high level about his indisputable mastery, but also of a touching authenticity. At the end of one of his exhibitions also a common man won’t surely fell to have visit a fun fair! In this future an artistic order has replaced the muddling and alienating chaos. But the foreseen gap, caused by postmodernism, seems to be replaced (in the artistic field) by a desire of authentic expression of a figurative that, following the modernist strategy, and declined in all its possibilities (impressionism, expressionism, surrealism, cubism, etc.), is shown in visionary, realistic, iper-realistic and inner ways of young painters all around the world. Among them, Giovanni Zoda, who, in his cultural growth, replaces postmodernism ‘opposite’ by an aware ‘towards’, careful to various communicative forms of anthropological situations (Corpus Domini, 2007, oil on canvas, cm 200x150), where ‘beauty is still a project. It is his heritage’(Federico Vercellone, Oltre la bellezza, Il Mulino-2008), (N.d.t. trad.lett‘Federico Vercellone, Beyond the Beauty, Il Mulino-2008). So, in his ideas and skilful brushworks he realises his own art,

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quid costo del postmoderno con un “verso” consapevole, attento a varie forme comunicative di situazioni antropologiche (Corpus Domini, 2007, olio su tela, cm 200x150), dove «la bellezza è ancora un progetto. È questa la sua eredità, quella che ancora ci compete» (Federico Vercellone, Oltre la bellezza, Il Mulino - 2008). Così in ogni sua idea e delle sue sapienti pennellate che la realizzano, l’arte è comprensibile, una mésalliance che per giustificarsi non ha bisogno di parole, né molte né troppe, perché le basta il silenzio, che non è vuoto da riempire, ma personale ripensamento interiore che rivendica l’istanza emancipativa di un illuminismo del XXI secolo. E quel “verso” delle opere di Zoda si traduce in “fare”, quale antidoto, nella nostra epoca, di un forte desiderio di dis-fare, che ha preso di mira la struttura politica, la struttura cognitiva, la struttura erotica, la psiche dell’ individuo, l’ intero territorio del dibattito occidentale (Ihab Hassan). Infatti, dalle sue scelte intellettuali si evidenzia quel coraggio che serve per vivere con la consapevolezza che: è meglio subire l’ostracismo dei contemporanei che non quello della storia; è meglio resistere al canto ingannevole delle sirene di turno e preservare la propria autenticità. Caravaggio docet!

Giovanni Zoda Le circle de la vie Graphite and oil on canvas cm 161x231 2010

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a comprehensible art, a mésalliance that, to be justified, does not need neither a few nor many words, because its silence is enough, it has not a gap to be filled, but a inner personal afterthought which demands the emancipatory request of a XXIth century Enlightenment. And the ‘toward’ of Zoda’s works is translated into ‘making’, as antidote to a strong desire of un-making, which takes aim the political structure, the cognitive structure, heroic structure, man’s psyche, the whole Western debate (Ihab Hassan). In fact, his intellectual choices stress the strength necessary to live aware of: that is better to suffer from the ostracism of contemporaries than from the history ostracism; and that is better to resist to the deceiving voice of the mermaids and holding the personal authenticity. Caravaccio docet!


– 83 –



T

abula rasa, foglio bianco, e poi, nella trasparenza di uno sfondo bianco plausibile, ti accorgi che “qualcosa” inizia a staccarsi. Nel silenzio, un occhio puntato, un pennello sporco, una lente focale, un REC lampeggiante, e nell’aria il solo ronzio di un’idea che gira e rigira fino a ridondare persistente, fino a farsi ingombrante e assordante, traboccante e carica per ciò che sta implodendo al suo interno. Alla fine, stremata è costretta a esplodere, e come Parola Organica si fa Testo Migrante.

Maïmouna Guerresi

FocalizeMag Fashion Culture Magazine - numero 00 - march 2012 - con-fine edizioni

fashion culture magazine

Così dalla rubrica atelier, già approfondimento del dualismo che la moda intrattiene con l’arte contemporanea, oggi, su questa nuova pagina, una conquista di spazio necessaria per potenziare e formattare un’idea, che proprio come la metafora informatica suggerisce, si propone di impostare una struttura minima di accesso ai contenuti per un accostamento inedito all’interpretazione. FocalizeMag è una messa a fuoco critica sullo scenario contemporaneo, un punto di vista indipendente che indaga avvicendamenti e spazi limitrofi di forme estetiche, moda e arte, che zoommate nelle prodezze dei rispettivi addetti ai lavori, tracciano profili accattivanti della nostra modernità. Questo progetto editoriale sulla cultura della moda è allora il dispiegarsi di “racconti visivi” nutriti e caratterizzati dal vigore espressivo di una redazione di “nuovissimi” composta ad hoc. Ora, la rubrica atelier migra su una, anzi su più piattaforme autonome, per organizzare riflessioni che si scollano dalle viscere progenitrici, in una soluzione “dimostrativa” di poetiche affini al suo linguaggio. Un’entità, la moda, il cui occhio poliedrico è dialogante con le altre, alte e basse, reali e palpitanti, sfere contemporanee del visivo. Attraverso un approccio intuitivo ci apprestiamo perciò a rendere visibili delle superfici interne, per manifestare l’anatomia di un pensiero a cui proviamo a concedere aree prima intentate. In questo numero pilota, track 0, individuiamo già un percorso suscettibile di approfondimento in quel dì parallelo e comunicativo ma soprattutto interattivo e affettivo che è il web. Perché, se scrivere è pensare a qualcuno ed esplorare è un viaggio dove non si insinua mai la nostalgia del ritorno, quale sguardo più ingordo di immaginari, se non quello della moda per pro-muovere le emozioni in un processo ad attivazione gratuita di “strati esistenziali” da perimet rare?

B

lank slate, white paper, and later, in the clearness of a white plausible background, you see that ‘something’ starts turning away. In the silence, a staring eye, a dirty brush, a focal lens, a flashing REC, and in the air the single buzz of an idea turning around and around until redounding constantly, becoming deafening, overflowing and powerful for its inside explosion. At the end, exhausted it is forced to explode, and as for Parola Organica becomes Testo Migrante. So from atelier column, which is already a selection about the dualism fashion and contemporary art, today, on this new page, a necessary space to strengthen and to format an idea, as the new computer metaphor suggests, aims to offer a basic access structure to the contents for a new way of interpretation. FocalizeMag criticizes the contemporary scenery, it is an independent point of view, which investigates changes and spaces of aesthetic forms, fashion and art, which if focused on the skills of their experts, trace snappy profiles of our modernity. This publishing project about fashion culture is the development of ‘visual tales’ characterised and fed by the expressive power and enthusiasm of a new, ‘younger’, ad hoc editorial staff. Now, the column migrates on one, or rather on many independent platforms, to organise considerations that drag away from their old origins, to a ‘ demonstrative’ solution of poetics closed to its language. Fashion is an entity, whose eclectic eye enters in contact with the other, high or low, real or trembling, contemporary sphere of the visual. So, thank to an intuitive approach, some inner surfaces become visible, showing new possible areas of the thought’s anatomy. In this pilot issue, track 0, we show a special new direction, which could be further analysed according to that parallel and communicative but, above all, interactive and affective means that is the web. If writing is thinking to someone and exploring is a journey without missing the way back home, why the hungriest imaginative look couldn’t be that of fashion, so that emotions could freely spring from a new process of ‘existential stages’ to be bounded?

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abula rasa, foglio bianco, e poi, nella trasparenza di uno sfondo bianco plausibile, ti accorgi che “qualcosa” inizia a staccarsi. Nel silenzio, un occhio puntato, un pennello sporco, una lente focale, un REC lampeggiante, e nell’aria il solo ronzio di un’idea che gira e rigira fino a ridondare persistente, fino a farsi ingombrante e assordante, traboccante e carica per ciò che sta implodendo al suo interno. Alla fine, stremata è costretta a esplodere, e come Parola Organica si fa Testo Migrante.

Maïmouna Guerresi

FocalizeMag Fashion Culture Magazine - numero 00 - march 2012 - con-fine edizioni

fashion culture magazine

Così dalla rubrica atelier, già approfondimento del dualismo che la moda intrattiene con l’arte contemporanea, oggi, su questa nuova pagina, una conquista di spazio necessaria per potenziare e formattare un’idea, che proprio come la metafora informatica suggerisce, si propone di impostare una struttura minima di accesso ai contenuti per un accostamento inedito all’interpretazione. FocalizeMag è una messa a fuoco critica sullo scenario contemporaneo, un punto di vista indipendente che indaga avvicendamenti e spazi limitrofi di forme estetiche, moda e arte, che zoommate nelle prodezze dei rispettivi addetti ai lavori, tracciano profili accattivanti della nostra modernità. Questo progetto editoriale sulla cultura della moda è allora il dispiegarsi di “racconti visivi” nutriti e caratterizzati dal vigore espressivo di una redazione di “nuovissimi” composta ad hoc. Ora, la rubrica atelier migra su una, anzi su più piattaforme autonome, per organizzare riflessioni che si scollano dalle viscere progenitrici, in una soluzione “dimostrativa” di poetiche affini al suo linguaggio. Un’entità, la moda, il cui occhio poliedrico è dialogante con le altre, alte e basse, reali e palpitanti, sfere contemporanee del visivo. Attraverso un approccio intuitivo ci apprestiamo perciò a rendere visibili delle superfici interne, per manifestare l’anatomia di un pensiero a cui proviamo a concedere aree prima intentate. In questo numero pilota, track 0, individuiamo già un percorso suscettibile di approfondimento in quel dì parallelo e comunicativo ma soprattutto interattivo e affettivo che è il web. Perché, se scrivere è pensare a qualcuno ed esplorare è un viaggio dove non si insinua mai la nostalgia del ritorno, quale sguardo più ingordo di immaginari, se non quello della moda per pro-muovere le emozioni in un processo ad attivazione gratuita di “strati esistenziali” da perimet rare?

B

lank slate, white paper, and later, in the clearness of a white plausible background, you see that ‘something’ starts turning away. In the silence, a staring eye, a dirty brush, a focal lens, a flashing REC, and in the air the single buzz of an idea turning around and around until redounding constantly, becoming deafening, overflowing and powerful for its inside explosion. At the end, exhausted it is forced to explode, and as for Parola Organica becomes Testo Migrante. So from atelier column, which is already a selection about the dualism fashion and contemporary art, today, on this new page, a necessary space to strengthen and to format an idea, as the new computer metaphor suggests, aims to offer a basic access structure to the contents for a new way of interpretation. FocalizeMag criticizes the contemporary scenery, it is an independent point of view, which investigates changes and spaces of aesthetic forms, fashion and art, which if focused on the skills of their experts, trace snappy profiles of our modernity. This publishing project about fashion culture is the development of ‘visual tales’ characterised and fed by the expressive power and enthusiasm of a new, ‘younger’, ad hoc editorial staff. Now, the column migrates on one, or rather on many independent platforms, to organise considerations that drag away from their old origins, to a ‘ demonstrative’ solution of poetics closed to its language. Fashion is an entity, whose eclectic eye enters in contact with the other, high or low, real or trembling, contemporary sphere of the visual. So, thank to an intuitive approach, some inner surfaces become visible, showing new possible areas of the thought’s anatomy. In this pilot issue, track 0, we show a special new direction, which could be further analysed according to that parallel and communicative but, above all, interactive and affective means that is the web. If writing is thinking to someone and exploring is a journey without missing the way back home, why the hungriest imaginative look couldn’t be that of fashion, so that emotions could freely spring from a new process of ‘existential stages’ to be bounded?

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IS LA M IC S TY LE

IN TO A SI LE N T W OR LD

o Dell’universo L’inarrestabile Mot ion of the universe The unstoppable mot ouna trizia Guerresi Maïm A meera Aamer & Pa Magda Gigliuto

Guerresi Maïmouna The Withe Virgin of the Withe Hause

G IN EN IT H AW R LT U TE EN R IA H C S A R U LT anci Rei K awakubo / Fr Veronika Aguglia

Q

uesto corpo da evocazioni freaks, da campanari gobbi, è il nuovo corpo “contro-fashion” che sfila in passerella e che non può non essere evocativo di tanta arte contemporanea…

N

egli ultimi anni si sta affermando una tendenza della quale ancora non si parla molto, ma che sarà presto al centro della scena internazionale. È l’Islamic Style. Una moda quella araba che conferma la sua essenza sottovoce, grazie anche a corrispettivi artistici come le creazioni dell’italiana Patrizia Guerresi Maïmouna…

nzi di Tacita Dean Da londra i videosile tic identit y W hite silence of stylis Arianna Rosone

I

n the few years a new trend has been developing, it is not discuss at all but soon it will be at the centre of the international scene. It is the Islamic Style. The Arabic fashion confirms its softly presence also thanks to many artistic creations, like the works of the Italian Patrizia Guerresi Maïmouna...

F

ilm ed universi di tempo, quelli dell’esposizione, lunghi tanto quanto la capacità di accogliere storie di oggetti in rischio di estinzione…

F

ilms and universes of times, those of the exposure as long as the ability to get stories of objects at risk of extinction... Tacita Dean FILM 2011 Courtesy the artist Frith Street Gallery London and Marian Goodman Gallery New York/Paris. Photo: Lucy Dawkins

UN ROMANZO VISIVO CHIAMFAATSHO MIOODN A A VI SU AL NO VE L CA LL ED

s Bacon

Monic a Ag uglia

T

his body as “ freak” evocation, as a bent bell-ringer, is the new “against-fashion” body parading on the catwalk, a body that shall be evocative of so much contemporary art…

E

che dire della bella Angelica, immortalata e fotografata storicamente durante la scena del ballo, in quel prezioso abito bianco che sembra carezzarne morbidamente i contorni in una figura che nel suo volteggiare impavido è resa eterea e definitivamente opera d’arte in movimento.

Direttore Responsabile Editor

Vincenzo Aiello Isabella Terruso Silhouettes, illustrazioni Ispired by Comme des Garçons s/s 2012

A

nd what about the beautiful Angelica, immortalized and historically portrayed in the ball scene, wearing that precious white gown which softly seems to touch her body, which, in its brave twirling, makes Angelica ethereal and at the end a moving work of art...

Direttore Creativo Creative Director

Veronika Aguglia . veronikaguglia@con-fine.com Isabella Terruso

Direttore Editoriale Executive Editor

Gino Fienga . ginofienga@con-fine.com

Isabella Terruso artwork ispired by Un Romanzo Visivo Chiamato Moda Monica Aguglia

Graphic Design

Roberto Di Fresco . info@robertodifresco.it

LA (M AI SO N) M A R TI N M A R G IE

entita’ stilistica Bianco silenzio d’id tic identity White silence of stylis

Francis Bacon Seconda versione del Trittico 1944, 1988 olio e acrilico su tela, cm 198 x 147,5 Londra, Tate dono dell’artista, 1991 © Tate, London, 2011

Silvia Scorcella

E

versivo e iconoclasta, Margiela si scaglia su ciò che la moda nasconde dietro la sua superficie di apparente perfezione. La furia della decostruzione svela i segreti nascosti nell’invisibilità delle tracce sartoriali. La mente deve essere pronta ad un ulteriore rovesciamento. Non solo reinventare: Martin Margiela invita ad inventarsi…

www.focalizemag.com

S

ubversive and iconoclastic, Margiela is against what fashion hides behind its surface of outward perfection. The rage of the deconstruction reveals the hidden secrets in the invisibility of tailoring signs. Our mind has to be ready for a new reversal. Not only reinventing: Martin Margiela suggests to invent...

Redazione Editorial Staff

Magda Gigliuto . magda87m@libero.it Silvia Scorcella . silvia.scorcella@alice.it Collaboratori Contributors

Monica Aguglia . moni_1986@hotmail.it Arianna Rosone . ariannarosone@gmail.com Isabella Terruso . isabella.terruso@virgilio.it Web Communication

Celeste Priore . celestepriore.tumbler.com Traduzioni Translations

Maura Forlazzini

Abstract | focalizemag n.00 www.focalizemag.com follow us


IS LA M IC S TY LE

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o Dell’universo L’inarrestabile Mot ion of the universe The unstoppable mot ouna trizia Guerresi Maïm A meera Aamer & Pa Magda Gigliuto

Guerresi Maïmouna The Withe Virgin of the Withe Hause

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egli ultimi anni si sta affermando una tendenza della quale ancora non si parla molto, ma che sarà presto al centro della scena internazionale. È l’Islamic Style. Una moda quella araba che conferma la sua essenza sottovoce, grazie anche a corrispettivi artistici come le creazioni dell’italiana Patrizia Guerresi Maïmouna…

nzi di Tacita Dean Da londra i videosile tic identit y W hite silence of stylis Arianna Rosone

I

n the few years a new trend has been developing, it is not discuss at all but soon it will be at the centre of the international scene. It is the Islamic Style. The Arabic fashion confirms its softly presence also thanks to many artistic creations, like the works of the Italian Patrizia Guerresi Maïmouna...

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ilm ed universi di tempo, quelli dell’esposizione, lunghi tanto quanto la capacità di accogliere storie di oggetti in rischio di estinzione…

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UN ROMANZO VISIVO CHIAMFAATSHO MIOODN A A VI SU AL NO VE L CA LL ED

s Bacon

Monic a Ag uglia

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his body as “ freak” evocation, as a bent bell-ringer, is the new “against-fashion” body parading on the catwalk, a body that shall be evocative of so much contemporary art…

E

che dire della bella Angelica, immortalata e fotografata storicamente durante la scena del ballo, in quel prezioso abito bianco che sembra carezzarne morbidamente i contorni in una figura che nel suo volteggiare impavido è resa eterea e definitivamente opera d’arte in movimento.

Direttore Responsabile Editor

Vincenzo Aiello Isabella Terruso Silhouettes, illustrazioni Ispired by Comme des Garçons s/s 2012

A

nd what about the beautiful Angelica, immortalized and historically portrayed in the ball scene, wearing that precious white gown which softly seems to touch her body, which, in its brave twirling, makes Angelica ethereal and at the end a moving work of art...

Direttore Creativo Creative Director

Veronika Aguglia . veronikaguglia@con-fine.com Isabella Terruso

Direttore Editoriale Executive Editor

Gino Fienga . ginofienga@con-fine.com

Isabella Terruso artwork ispired by Un Romanzo Visivo Chiamato Moda Monica Aguglia

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Roberto Di Fresco . info@robertodifresco.it

LA (M AI SO N) M A R TI N M A R G IE

entita’ stilistica Bianco silenzio d’id tic identity White silence of stylis

Francis Bacon Seconda versione del Trittico 1944, 1988 olio e acrilico su tela, cm 198 x 147,5 Londra, Tate dono dell’artista, 1991 © Tate, London, 2011

Silvia Scorcella

E

versivo e iconoclasta, Margiela si scaglia su ciò che la moda nasconde dietro la sua superficie di apparente perfezione. La furia della decostruzione svela i segreti nascosti nell’invisibilità delle tracce sartoriali. La mente deve essere pronta ad un ulteriore rovesciamento. Non solo reinventare: Martin Margiela invita ad inventarsi…

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con-fine rispetta l’ambiente respect enviroment tutte le pubblicazioni sono su carte certificate all pubblications are on certificated papers


-fine

L’

incomunicabilità sembra essere diventato uno dei problemi principali del ‘sistema arte’ italiano. Gli operatori non dialogano fra di loro, le istituzioni pubbliche non entrano in contatto con le aziende private, il pubblico ‘non capisce’ e si allontana sempre di più o, nel migliore dei casi fruisce dell’offerta culturale in maniera superficiale e consumista. Non ci si riesce a mettere in relazione perché i protagonismi e il forte radicamento di quei pochi che hanno potere nel sistema non riescono a guardare in lontananza e a capire la necessità di creare relazioni e valori nuovi che permettano di ricominciare a ‘comunicare’ verso l’esterno l’immagine di un mondo ‘sano’ e ‘trasparente’ dove le cose succedono perchè hanno un valore sociale e non solo quello di mercato. Inoltre i ‘luoghi istituzionali’ (musei, ma soprattutto gallerie) si stanno allontanando sempre di più dalla gente, con un atteggiamento ‘borghese’ ed elitario che tiene a debita distanza tutte quelle persone a cui semplicemente ‘interessa guardare’ una mostra senza necessariamente dover comprare qualcosa. E intanto si moltiplicano le fiere di settore, togliendosi pubblico a vicenda, strozzando i budget - peraltro sempre più esigui - dei partecipanti e facendo selezioni di dubbio gusto ed efficacia. Tutti continuamente a caccia della ‘trovata’ che porti qualche visitatore in più, creando eventi sempre più off e continuando ad investire sulle chiacchiere più che sulla sostanza. È sotto gli occhi di tutti il risultato fallimentare di questi ultimi anni, ma tutti fanno finta di non vedere: si avvicendano i curatori, si sostituiscono i direttori, cambiano i format, ma alla fine nessuno convince. Restano le riviste di settore. Cosa comunicano? Poco o niente: notizie inutili, migliaia di eventi dimenticabili che si susseguono freneticamente, riproducono all’infinito gli stessi comunicati stampa o si vendono - fin che ce n’è - le pagine al miglior offerente. Che immagine stiamo dando della cultura italiana al mondo? Come possiamo pretendere che lo Stato (ma lo Stato, poi, non siamo noi?) sia attento nei confronti di questo settore se siamo noi operatori i primi che in realtà stiamo svendendo e svilendo il nostro lavoro? Facciamoci un esame di coscienza, parliamone, ritorniamo a confrontarci in maniera costruttiva e forse, da questo difficile momento ne usciremo tutti migliori.

– 90 –

I

ncommunicability seems to have become one of the Italian ‘art system’ major problems. Art workers do not speak with each other, public institutions do not establish contacts with private companies, the audience do not ‘understand’ and so it turns away or, in the best situations, it enjoys the cultural offer in a superficial and consumerist way. They all fail to relate to each other because the protagonists and the strong rooting of the few ones who have power in the system are unable to look ahead and understand the necessity to create new relations and values, which would allow once again to ‘communicate’ towards the exterior the image of a ‘healthy’ and ‘transparent’ world, where things happen because of their social value and not their market one. Furthermore the ‘institutional places’ (museums and especially galleries) are turning away more and more from the people, with a ‘bourgeois’ and elitist attitude, which keeps at a distance all those who simply ‘like to look’ at an exhibition without necessarily having to buy anything. Meanwhile art fairs grow in number, stealing each other’s audience, strangling the participants’ budgets – which by the way are fewer and fewer – and selecting with questionable taste and effectiveness. All in perpetual search for the ‘discovery’ that would attract a couple of guests more, creating events which are more and more off and keeping investing more on chitchat than on matter. The ruinous result is under everybody’s eyes, but they all pretend not to see: curators alternate, directors are replaced, formats are changed, but in the end nobody is convincing. The only ones left are art magazines. What do they communicate? Very little: useless news, thousands of forgettable events that frantically succeed one another, reproducing the same press releases over and over, or selling – until they can – pages to the highest bidder. What kind of image of the Italian culture are we giving to the world? How could we expect the State (although, aren’t we the State?) to be careful with this field, if we art workers are the first ones to sell off and depreciate our own work? Let’s do a self-examination, let’s talk about it and go back to confronting ourselves in a constructive way and maybe we will all get out of these hard times even better. GF


L’incomunicabilità del Sistema. The incommunicability of the System.


Con Roberto Papini e Arting159 si vola oltreoceano: da Milano a Lissone, da Miami a Shangai, da Parigi a Hong Kong… Collezionista da vent’anni e giovane imprenditore Roberto Papini (Lecco, 1970) ha dato vita nel 2010 ad Arting159, galleria d’arte e al contempo associazione culturale. A due anni dalla sua nascita questo progetto include trecentosessantuno membri tra artisti e amatori, curatori e critici. Una delle novità più accattivanti di Arting159 è la viva unione avviata con paesi, poli fieristici, artisti e gallerie oltreoceano. «Dal 19 al 22 aprile abbiamo esposto alla fiera del lusso di Shanghai con uno stand di 28 mq, dal 18 al 21 ottobre dell’anno in corso ci esibiremo a Cutlog, fiera di Parigi, lungo il perimetro di due stand ampi 17 mq l’uno – confida Papini – Dal 4 al 9 dicembre 2012 saremo presenti a Miami con uno stand di venticinque metri quadri e per il 14 maggio 2013 saremo alla fiera di Hong Kong fino al 19 maggio del medesimo anno». Oggi come oggi non sono in molti a dare il giusto valore all’arte in sé, né in particolare ad almeno uno dei suoi vari aspetti rappresentativi, forse anche per la crisi economica che si è abbattuta sull’Europa, sull’occidente. Certamente non si può negare che l’arte venga considerata futile, distante dai bisogni e dalle necessità quotidiane. Non si deve dimenticare però: «È l’arte, opera del genio. Essa riproduce le idee eterne, colte nella pura contemplazione, ciò che in tutti i fenomeni del mondo è essenziale e permanente e, a seconda della materia in cui le riproduce, è arte figurativa, poesia o musica. - scrisse a suo favore Arthur Schopenhauer (Danzica 1788 – Francoforte sul Meno, 1861) nel primo volume (§ 36) del testo intitolato “Il mondo come volontà e rappresentazione” – Sua unica origine è la conoscenza delle idee; suo unico fine la comunicazione di questa conoscenza». Probabilmente attraverso l’arte, materia dello spirito in grado di cogliere l’”autentica essenza del mondo”, è possibile per l’essere umano l’apertura a un’educazione incentrata sul vivere meglio la propria quotidianità. Arting159 si ramifica in più versanti artistici, coinvolgendo di volta in volta teatro, musica, arte figurativa e astratta, fotografia, in un elegante spazio che si estende per quattrocento metri quadri (a Lissone in via San Rocco 77). Il progetto include sia l’arte moderna, con l’esposizione e la vendita di opere storicizzate e sia l’arte contemporanea, letta e interpretata da piccoli e grandi talenti, con dipinti, sculture, disegni… «È da quando avevo 20 anni che notai l'insufficienza di finanziamenti pubblici per l'acquisto di opere. – racconta Roberto Papini - Per questo Arting159 diventa una partnership privata aperta a tutti, poiché il mecenatismo privato diventa indispensabile». Ci si domanda che qualità debba possedere un creativo per essere considerato un artista di talento. «Dietro ogni creazione vi è una ricerca, una sperimentazione. – sottolinea Papini – L'artista di talento nel mondo non ha nessun ruolo. Ha bisogno di un re guida che gli dia attraverso la comunicazione la meritata visibilità». In un certo qual modo, facendo fronte al mercato dell’arte, si viene a creare un gioco di ruoli che è indispensabile per l’andamento ed eventualmente per il successo della carriera di un artista. Un’altra questione da analizzare è se attualmente esiste ancora un mercato dell’arte e come funziona. Sicuramente nel periodo attuale l’orizzonte espressivo dell’artista deve ricalcare palcoscenici internazionali e comunicare con l’estero a trecentosessanta gradi oltre a riflettere su un continuo confronto con la realtà che lo investe. «Bisognerebbe innanzitutto agevolare fiscalmente i privati che investono in cultura e coinvolgere gli imprenditori a gestire e ristrutturare i musei; trovare un escamotage che conduca i visitatori di musei su tutto il territorio italiano e non solo all’interno di quei pochi musei che fanno, ora come ora, l’85% di ingressi. – suggerisce Roberto Papini – Chi ha acquistato dal 2008 a oggi in Italia arte contemporanea, ha in mano una promessa di valore e non un valore effettivo. Sono investimenti simbolici che la crisi sta erodendo; la gente continua a investire molto più nell’arte antica custodita nelle piccole o grandi botteghe d’antiquari».

Arting159

Valentina Cavera

Via San Rocco 77 – 20035 Lissone (MB). Telefono e fax: 039 2454573. E-mail: architetturearting159@hotmail.it


Arting159, galleria e associazione culturale diretta e fondata da Roberto Papini, nasce nel 2010. L’obiettivo che si è posto l’imprenditore si misura costantemente con varie questioni: la scoperta di nuovi talenti, il mercato dell’arte, il giudizio di critici e curatori, suoi collaboratori, nella selezione degli artisti da promuovere, la possibilità di esporre oltre i confini europei, in paesi oltreoceano... Aperta sempre a nuove proposte, Arting159 si occupa di teatro e musica, tratta opere contemporanee e d’arte moderna coinvolgendo artisti appartenenti a differenti generazioni anche perché la bellezza di alcune opere d’arte travalica il tempo. Arting159 accompagna il destino di un cospicuo gruppo di pittori, scultori, fotografi, differenti nello stile e di diverso background culturale come, per esempio Francesco Alberti, pittore della realtà e Chiara Maresca, artista poliedrica che dal figurativo si spinge fin da subito oltre i limiti dell’astratto. Pianista, compositrice e pittrice, Chiara Maresca (Napoli, 1950) ha condotto studi musicali a Napoli e a Torino e quelli artistici a Roma frequentando i corsi di disegno, doratura e mosaico all’Officina delle Tecniche Antiche; inoltre ha seguito il corso di decorazione e di trompe l’oeil presso l’Accademia di Belle Arti. Musica e pittura sono forme artistiche che si stringono l’una all’altra in Chiara. Il suo primo approccio al mondo della creatività è avvenuto in chiave musicale. Dopo un periodo di vita nel quale queste due trame si sono amabilmente amalgamate in un unico percorso, da dieci anni l’artista si dedica solamente alla pittura. Nel suo gioco di collage materici Chiara insegue il vento, ascolta l’ultimo respiro dell’Amazzonia e osserva il dolce fluire del Delta. Questi sono i temi tra i quali derivano i titoli di alcune sue opere, contornate spesso da cornici barocche o di stampo arabeggiante. In tutti i suoi lavori compare un titolo che li rappresenta, poiché esiste sempre «una suggestione, anche nei pannelli a sfondo monocromatico. La prima suggestione mi viene da impressioni visive che raccolgo dall’osservazione della natura – racconta Chiara – Quando ho composto “La luna è inquieta”, possedevo un’immagine dell’idea della luna che si sfaldava e si muoveva… e tutto quell’arancio spazzato via al momento finale per me significa inquietudine: è il mio modo di tradurre un’impressione anche sicuramente emotiva». Ed inoltre aggiunge: «Il colore è fondamentale. La prima cosa con cui traduco un’idea è il colore, dunque esso è strettamente legato al profilo del soggetto raffigurato». La ricerca dell’artista si indirizza involontariamente verso due tipologie di lavori. Una denominata home – collection, composta da quadri realizzati con pannelli monocolori su carta intelata; l’altra s’imprime su tele di grande formato, dipinte con tecnica mista. Francesco Alberti (Locate di Triulzi, 1941 – 1996) ricordato da tutti quelli che lo conoscevano come un amico sincero, una persona umile e genuina si rispecchia nei suoi stessi dipinti comprensivi di queste caratteristiche e fuoruscenti autentici stati d’animo. I paesaggi, le sue colte nature morte, raffiguranti spartiti di musica, violini e testi antichi, ma anche i volti e la pelle dorata dei corpi femminili tra i veli che il pittore ritrae, seducono lo sguardo per la loro vicinanza alla realtà: interpretazioni di momenti magici e indimenticabili della vita quotidiana trattenuti sulla tela e resi eterni. Discendendo da una famiglia di operai, Francesco Alberti inizialmente s’iscrive a un corso di disegnatore tecnico e successivamente per necessità inizia a lavorare come litografo. Attirato dall’arte decide però di frequentare un corso quadriennale serale di affresco alla scuola del Castello Sforzesco di Milano. Una volta realizzatosi, a cavallo tra il ’57 e il ’58 vince il primo premio con San Sebastiano e nel ’60 – ’61 vince il secondo premio. Questo successo lo condurrà a realizzare il primo lavoro rilevante, ovvero il restauro degli affreschi dell’altare nella chiesa parrocchiale natale. Personalità avventurosa e amante della natura, Francesco Alberti viene notato non solo per la sua dote pittorica ma anche per la sua estrosa indole, suggellata da un’impresa che compì da ragazzino con un amico, costruendo una zattera molto particolare che partendo dal fiume Lambro e transitando poi per il Po’ li porterà fin a Venezia. Il ’66 è l’anno del suo matrimonio, dopo il quale darà alla luce due figli, un maschio e una femmina. La sua prima mostra personale è datata 1969 a Locate di Triulzi, dopodiché ne seguirono molte altre: a Milano, in Galleria Arsitalica, a Como, Genova, Bergamo, Montreal, Miami… Questo trionfo è stato reso possibile grazie a un inaspettato avvenimento. Decisivo nel percorso artistico di Alberti fu infatti l’incontro con il maestro Rino Pianetti che cambiò il corso della sua vita, convincendolo a lasciare il lavoro da litografo per dedicarsi interamente alla pittura e introducendolo per il suo talento nel mondo dell’arte. Valentina Cavera

Convivono in Arting159 pittura astratta e del reale con Chiara Maresca e Francesco Alberti

Chiara Maresca - La Luna è inquieta

Francesco Albert - Tre nudi



Villa Luisa: Clinica della Scultura Laboratorio per l’Arte

e per il Restauro

Armonia di riflessi

Dipinto su tavola lignea di forma trapezoidale. Tecnica mista con pirografia, colori ad olio e foglia in oro a 23kt Anno 2009 - cm 81x83x83x86

Lucia Schiavone Il restauro del gruppo scultoreo policromo di S.Antonio da Padova in Bitonto. Edizioni Helicon, 2011

Piatto in terracotta policroma a freddo dipinto con smalti su una doratura in similoro applicata a missione Anno 2012 - cm 20

Villa Luisa: Clinica della Scultura. Laboratorio per l’Arte e per il Restauro di Lucia Schiavone dott.ssa in Beni Culturali. Via F. Speranza n.18 - 70127 Bari - S. Spirito - Italia cell. +39 340 7799445 - lulu.schiavone@live.it

Lucia Schiavone San Pasquale di Baylòn. Il restauro del gruppo scultoreo policromo. Edizioni Helicon, 2010

Lucia Schiavone

Pubblicazioni:


Fondazione Carvelani Brancati Pittura e Segni La Fondazione, diretta dalla Prof. Bianca Brancati Carlevani, è stata istituita a Catania il 13 Settembre 2007. Promuove attività di tutela e valorizzazione dei beni di interesse artistico e storico. A cadenza periodica promuove premi di letteratura dedicati a scrittori di rilevanza nazionale, nonché di personalità che si sono affermate e che si distinguono in campo letterario, musicale scientifico e artistico. In collaborazione con l’Università degli Studi di Catania vengono organizzate manifestazioni ed eventi, mostre d’arte, convegni, seminari, concorsi letterari e attività editoriali a contenuto artistico e letterario. Cromatismi letterari, Collage, 20×35 cm

S ED E

The Foundation, headed by Prof. White Carlevani Brancati, was established in Catania on September 13, 2007. It promotes the protection and enhancement of artistic and historical interest. Periodically it promotes awards of literature dedicated to writers of national importance, and qualified persons who have established themselves and are distinguished in the literary, musical, scientific and artistic. In collaboration with the University of Catania it organizes exhibitions and events, art exhibitions, conferences, seminars, essay contests and publishing activities in artistic and literary content.

V.le Regina Margherita n. 15 95125 Catania Tel. 095 327310 - 095 321401 brancatib@intefree.it www.admajora.net www.literary.it

Cromatismi letterari, Collage, 20×25 cm.

Bianca Brancati Carlevani: Pittrice, grafica, scultrice, designer e poetessa, ha collaborato con vari periodici in qualità di critico d’arte.


Grazia Traverso The woman depicted in this painting invites us to love us. Very often we do not remember to exist, taken by a thousand thoughts and commitments we forgetting that we reset within each of us is preserved and hidden treasure, one’s heart, his emotions, memories, their lives, everything is secure, protected , is never forgotten our uniqueness. This is the message I heard while I painted the woman in the painting. He has strong arms as seen by her muscles, shaking knees to his chest to protect his heart, but his is not a closure to the other, the fingers are open and his eyes gentle, almost invites the viewer to share these feelings with her. The colors I used to retract are hot, tied to the earth and fire to confirm its strength and warmth and the position gives us the whole shape of a heart that includes another heart. This painting has given me much, reminded me that we all have a great potential for love and support staff, we are never alone, we always have our interiority. Others prefer not to leave space to add comments, observations and emotions that the viewer can grasp.

Contacts: cell. 348 8085090 e.mail: grazialibera@hotmail.it

La donna raffigurata in questa tela ci invita ad amarci. Molto spesso non ci ricordiamo di esistere, presi da mille impegni e pensieri ci azzeriamo dimenticando che dentro ciascuno di noi è conservato e nascosto un tesoro, il proprio cuore, le proprie emozioni, i ricordi, la propria esistenza, tutto ciò va custodito, protetto, mai dimenticato è la nostra unicità. Questo è il messaggio che ho sentito mentre dipingevo la donna del quadro. Ha braccia forti come si vede dalla sua muscolatura, stringono al petto le ginocchia per proteggere il suo cuore, ma la sua non è una chiusura agli altri, le dita della mano sono aperte e il suo sguardo dolce, quasi invita l'osservatore a condividere queste sensazioni con lei. I colori che ho usato per ritrarla sono caldi, legati alla terra e al fuoco a confermare la sua forza e il suo calore e la posizione nell'insieme ci riporta la sagoma di un cuore che include un altro cuore. Questo dipinto mi ha dato molto, mi ha ricordato che abbiamo tutti quanti un grande potenziale di amore e di sostegno personale, non siamo mai soli, abbiamo sempre la nostra interiorità. Altro non aggiungo preferisco lasciare spazio ai commenti, alle osservazioni e alle emozioni che l'osservatore può cogliere.


M A P O Luigi Mapelli

L’illusionismo della vita - Olio su tela di lino - cm 60x80

Via Nota, 22 - 20126 MILANO

www.artemape.com info@artemape.com

arte interdisciplinare


La ricerca visionaria di Luca Tornambè passa attraverso un mondo che va al di là della realtà, percorrendo un’interiorizzazione dei dubbi sulla strada scoscesa delle grandi questioni esistenziali. In Cronovisioni la poesia trova una sua gestualità nella pittura e si fa così materia e mezzo di indagine che mette a nudo l’Anima e ne fa misterioso dono universale. Bianca dopo volta si scopre un libro dove ogni pagina è trattata come opera a se stante ma che trova compimento nel corpus finale che come uno scrigno racchiude in sè un unico e coerente progetto-oggetto prezioso. Un cammino che dalla pioggia lascia intravedere in lontananza la luce da seguire perchè si possa essere ispirati ad una vita nuova, piena di poesia e di bellezza.

Luca Tornambé www.leisoledelsogno.eu lutorgiove@alice.it - Cell./Mobile (+39) 3343102407

The visionary query of Luca Tornambè passes trough a word that goes beyond reality, following a special interiorisation of doubts along the hard way of the existential questions. In Cronovisioni poetry finds its own gestural expression in painting, so it becomes matter and mean of the query revealing the Soul and making it a mysterious universal gift. White, later it is turned into a book where each page is a single work of art, but which find its own unity in the final corpus, as a case, which holds a single and coherent project – valuable object. A path that, starting from rain, let making out, in the distance, a light to be followed in order to find inspiration for a new life, rich in poetry and beauty.

Per acquistare il libro - To buy the book http://stores.lulu.com/lutorgiove


ELVIRA LAGUARDIA

Collection 2012 - Domani penso... - cm. 70x50 plastopittura

Un tratto è una assicurazione contro il tempo, la logica divina delle geometrie, i pesi e le misure dove il creato si è rannicchiato come un presepio di eterna similitudine. Questo il tratto unusuale dell'uomo, della sua creazione giornaliera, una linea di confine delle peripezie del proprio animo ed è questo il campo dove Elvira Laguardia si lascia vagare compiaciuta della sua ininterrotta avidità nel creare il creato. Adepta nello sfarzo del tratto minimalista, quasi uno sfregio alla civiltà che vuole l'armonia delle linee perfettamente identiche a se stesse, Elvyart ci richiama ai campi elisi dell'immaginazione, della nostra primitiva gloria dell'immaginare ciò che il vuoto denso di immagini ancora da scoprire deve ancora donarci. Sensi e fantasie sono l'impasto dei pennelli che alla fine si rincorrono tra parole in forma nuova, un libro da guardare e non leggere, da farsi scorrere dentro agli occhi come acqua fredda che rinvigorisce la nostra fantasia sopita dalla civiltà preventivamente perfetta. J.B.Karia

Con estrema leggiadrìa una figura, identificabile in un angelo, si staglia nello spazio blu notte. È sospesa, china la testa, mentre le ali la sostengono in equilibrio. Il momento sembra quello del riposo e della riflessione, un momento dovuto, forse a seguire una tempesta di emozioni. L’informale non è che una leggera e piacevole essenza che aleggia nell’aria, appena percepibile, perché ciò che tocchiamo con mano è la plastopittura, ovvero quel perfetto equilibrio di volumi di gesso da Elvira modellati con un soffio . Il blu che lei utilizza è metafora di spiritualità e trascendenza, mentre l’argento è espressione dell’autorità spirituale e dell’anima purificata, quindi anche la cromia evidenzia che la figura che ci troviamo davanti è androgina e pura come lo sono gli angeli, ed emerge da uno dei magici sogni di Elvira Laguardia. Dalila Tossani

A line is an insurance against time, the divine logic of geometry, weights and measures where creation was curled like a creche of eternal similarity. This is the unusual line of man, of his daily creation, a boundary line of the adventures of his soul. This is the field where Elvira Laguardia is left wandering complacently of his eagerness to create continuous creation. Adept in the luxury of minimalist line, almost an affront to civilization that wants the perfect harmony of lines identical to themselves, Elvyart calls us to the Elysian fields of imagination, of our primitive glory of imagining what a vacuum full of still images has yet to be discovered give us. Senses and fantasies are the mixture of brushes that at the end run between words in a new form, a book to look and not read, to be flowing into the eyes as cold water that refreshes our imagination soothed by the previously perfect civilization. J.B.Karia With extreme loveliness, a figure, identified in an angel, midnight blue stands out in space. She is suspended, she lower head, while the wings to maintain balance. The moment seems to rest and reflection, a time when due, perhaps to follow a storm of emotions. The informal is only a slight and pleasant essence wafting in the air, just perceptible, because what we touch is the plastopittura, or that perfect balance of volumes of plaster modeled by Elvira with a breath. The blue that she uses is metaphor for spirituality and transcendence, while silver is an expression of spiritual and soul purified, so also the colors that the figure shows that we are facing is androgynous and pure as are the angels, and it emerges from one of the magical dreams of Elvira Laguardia. Dalila Tossani

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Gian Reverberi’s new research, present on the artistic scene for quite some time, revolves around materials and visual story as the exhibition name suggests: <Panneggio & società > (Drapery & society). An allusive title to direct towards a material which is not sculpture anymore in the sense of digging, shaping, but as a sculpture it is taking real and concrete shapes of narrative identity. Sails that <move> to an imaginary wind where the conquest of the space goes hand in hand with the composition fluidity, draperies that become dresses, expression of living in a society that revolves around itself. Reverberi’s journey takes the shape of a formal journey through the composition specificity where nothing is left to chance, not the choice of a material, not the fold of a sheet, whether it is meant to be sailed towards an ideal, or being the tension of existence. The artist is revealed in search of new interpretative ways, of a renewal that investigates in the concreteness of the present, although looking elsewhere, beyond the sails of a stormy sea like our present society.


Carolina Ferrara La cosa che più colpisce nell'arte di Carolina Ferrara è la straordinaria attualità delle sue opere. Chi ha mai detto (ahimè lo hanno detto in molti!) che l'arte visiva per essere moderna debba essere astratta, debba cioè negare la figurazione della realtà esterna, come se questa non esistesse? The most striking thing in the art of Carolina Ferrara is the extraordinary relevance of his works. Who ever said (unfortunately many have said it!) that the visual art to be contemporary has to be abstract, that has to deny the representation of reality, as if that did not exist? Bruno Rosada

cell . 3312077011 mail.carolinaferrara@gmail.com www.carolinaferrara.biz www.art-mine.com

Donatella Saladino «Il mio genere è sicuramente surreale e vedo nella pittura un modo per comunicare con il mondo mi coinvolge e mi affascina guardare al di là delle apparenze, l’interiorità non l’oggetto, l’ignoto la realtà che sfugge all’occhio umano sono la mia ricerca, amo dipingere con gli occhi dell’anima, esprimermi liberamente seguendo i pensieri l’irrazionalità [...]» «My gender is definitely surreal painting and see a way to communicate with the world affects me and fascinates me to look beyond appearances, the interior is not the object, the unknown reality that escapes the human eye are my research, i love painting with the eyes of the soul, to express myself freely following the irrational thoughts [...]»

via Libero Grassi n.°6 94100 Enna Tel. 0935/20006 cell. 3406113619

Via Dell'Angelo olio su tela oil on canvas cm 60x80 2007

Luisella Furlan La sua cultura visiva, lontana dall’impressionismo o da esasperate accensioni espressioniste, elabora una personale soluzione di realismo magico ed interiore. La luce, i colori, la freschezza della composizione sono ulteriori elementi stilistici e formali che invitano al confronto, alla lettura del coerente percorso pittorico dell’artista. Her visual culture, away from impressionism or by excessive firing expressionist, develop a personal solution of magical realism and interior. The light, the colors, the freshness of the composition are more formal and stylistic elements that invite comparison, to the reading of the coherent pictorial artist.

Valeria Mariotti Valeria Mariotti è alla ricerca di un linguaggio pittorico che appartenga esclusivamene al suo mondo. Ama dipingere perché la pittura esprime la vita, quella vita assaporata nella natura, nello spirito, nella danza, nel cuore… È possibile vedere le sue opere a LECCE - Borgo Cardigliano -Specchia, dal 16 giugno al 20 luglio a cura di Carlo Franza. Valeria Mariotti is looking for a pictorial language that belongs to his world. She loves painting because the painting expresses the life, that life tasted in nature, in spirit, in dance, in the heart... You can see his works in Lecce - Pand’Amuri-Mirror, from 16 June to 20 July by Carlo Franza.

cell. 3471454915 valeriamariotti@tiscali.it www.federartisti.org www.artecomunication.com


Milena Nicosia via Mentana,100 Vittoria, (RG) Italy milenanicosia@hotmail.com www.milenanicosia.com

Milena Nicosia racconta la quotidianità del corpo e dell’anima femminile indagandone l’intimità attraverso una tecnica che muove dalle sperimentazioni fotografiche di Man Ray, arrivando però a soluzioni materiche più legate al concetto di reperto archeologico e quindi del ‘ritrovamento’. Milena Nicosia tells about women, about their body and soul, investigating their privacy through an original technique ranging from Man Ray’s photographic experimentations but coming to material solutions closer to the concept of archaeological find

Patrizia Polese via Gentilin 4/B Carbonera – Treviso - Italy patrizia.polese@gmail.com www.patriziapolese.com

«Ho affidato a queste opere il compito di perlustrare la relazione dinamica e provvisoria che si crea tra l’individuo e il suo ambiente, ciò che i singoli individui pongono al centro della propria vita le loro convinzioni di base o volontà di richiamo (…)» «These works aim at studying the dynamic and temporary relation between individual and environment, what the single individual places in the centre of her or his own life, basic conviction or wills (…)»

Lydia Lorenzi via A. Meucci, 6 24020 Ranica (BG) info@lydialorenzi.it www.lydialorenzi.it

L’iter della Lorenzi è quello di una rappresentazione nata dalla immediatezza del connubio tra arte ed espressione in una lenta elaborazione del fatto artistico secondo una connotazione che è quella di ridurre la realtà ad una serie di simboli i quali rappresentino e raffigurino nel contempo l’idea dell’Artista. […] The process of Lorenzi is a performance born from the immediacy of the marriage of art and expression in a slow development of the artistic connotation that a second is to reduce reality to a series of symbols which represent and depict while the idea of the Artist. [...] Antonio De Santis

Vladimir Zibrov via Gregorio VII, 172 - ROMA vladimir.zibrov@fastwebnet.it

Nato a Mosca nel 1972. Sin dall'infanzia adorava disegnare le storie a fumetti. In età di 8-9 anni frequenta la scuola di pittura. Attualmente lavora a Roma come giornalista. Ha riscoperto la vecchia passione all’improvviso, ma questa volta per la pittura ad olio, alla quale si dedica con certa continuità dal 2000. Ha hartecipato a varie mostre collettive e personali presso l'associazione romana SpaziOfficina. He was born in Moscow in 1972. Since childhood, he loved drawing comics. In the age of 8-9 years at the school of painting. He currently works as a journalist in Rome. He suddenly rediscovered the old passion for oil painting, which devotes some continuity since 2000. He hartecipato in various group and solo exhibitions at the Roman association SpaziOfficina.


I.T.V. Holz-Art Gallery

…I colori si rincorrono e si concludono in un clima soffuso che nulla lascia all’improvvisazione; le forme, appena accennate, se osservate con attenzione, svelano i particolari che racchiudono: vedute di villaggi, prati in fiore, scorci con casolari, alberi, sentieri. Annemarie Ambrosoli dipinge visioni pittoriche di spontanea e vivace liricità che ci portano a sognare evasioni lontane, dove le immagini acquistano in energia ciò che perdono in dettagli… Ella, inoltre, pare soffermarsi su quegli aspetti che permettono di captare il tempo e di rendere percepibile il mistero. Le sue tele suadenti, magiche e suggestive, sprigionano riflessioni autentiche che aiutano a ritrovare la bellezza trasfigurata della natura. The abstract atmosphere of these paintings hides soft and elegant landscapes, to be caught among chromatic elements of the palette… Annemarie Ambrosoli paints pictorial visions of spontaneous and vivacious lyricism that lead us to dream far away escapes, where images gain energy as they lose in detail … Moreover, she seems to indulge on those aspects that allow to catch the time and make mistery perceivable. Her mellow, magic and suggestive canvas release authentic reflections that help find again the transfigured beauty of nature. Paolo Levi

www.itv-holz-art.at A-9640 Kötschach-Mauthen Tel. +43 (0) 664 8558485

Annemarie Ambrosoli


Collana Passeurs Le pubblicazioni degli artisti contemporanei Series Passeurs Contemporary artist editions L’artista ci accompagna sul confine fra l’arte e le parole, alla ricerca di un nuovo rapporto sinestetico che si snoda in due narrazioni parallele: una fatta di racconto e l’altra di opere d’arte.

The artist takes us on the border between art and words, looking for a new synaesthetic relationship that is divided into two parallel tellings: the first one is made like a novel, the other one made of artworks.

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2011-12

Ogni anno con-fine nell’ambito della sua mission di promozione e sostegno dell’Arte Contemporanea seleziona l’opera di un artista fra tutti i lettori della rivista d’arte con-fine. L’opera verrà acquistata dalla casa editrice, entrerà a far parte della collezione permanente e verrà pubblicata sul numero di settembre. Per partecipare compilare il presente modulo (esclusivamente l’originale), inserire un’immagine di ottima qualità dell’opera e spedirlo all’indirizzo:

Inserire qui un’immagine dell’opera Insert here an image of the art work

con-fine each year as part of its mission of promoting and supporting contemporary art, selects one work of an artist among all the of con-fine art magazine readers. To participate fill out this form (only the original one, no copies will be accepted), insert an high-quality picture of your work and send it at

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Antoine Gaber

25 anno year i s s u e 25 7 numero

international

art

magazine ISSN 1827-9562

9 771827 956009 25 ISBN 978-88-96427-25-5

9 788896 427255


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