38 minute read

Castelnuovo-Tedesco al 2. Festival Internazionale di Musica di Venezia: un Quintetto di successo, fra dubbi e seccature

Attilio Cantore

CASTELNUOVO-TEDESCO AL 2. FESTIVAL INTERNAZIONALE DI MUSICA DI VENEZIA: UN QUINTETTO DI SUCCESSO, FRA DUBBI E SECCATURE

Advertisement

Il Festival Internazionale di Musica di Venezia, prima fra le manifestazioni musicali nate durante il ventennio fascista,1 è fin dalla sua fondazione una delle realtà artistiche italiane più prestigiose. Orientando la ricerca sul piano dei rapporti fra i singoli compositori e gli organizzatori, è possibile rilevare aspetti particolarmente interessanti non solo sulla gestazione dei lavori presentati ma, più in generale, in riferimento al temperamento artistico dei singoli autori. In tal senso, tesaureggiare il patrimonio documentale custodito presso l’Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia si impone come primo punto all’ordine del giorno.

Proprio a partire dalle cosiddette ‘scatole nere’ dell’ASAC,2 il presente contributo ripercorre le tappe dell’organizzazione del 2. Festival Internazionale di Musica –all’epoca diretto da Adriano Lualdi, coadiuvato da Alfredo Casella e Mario Labroca –e in particolare della partecipazione di Mario Castelnuovo-Tedesco (1895-1968). L’11 settembre 1932 il compositore fiorentino, insieme al Quartetto Poltronieri, presenta il suo nuovissimo Quintetto in fa maggiore al Teatro La Fenice. La première veneziana è un successo ma non risulta essere esente da alcuni contrattempi, fra dubbi e seccature, come chiaramente emerge dalla corrispondenza intrattenuta fra il compositore, Lualdi e la Segreteria del Festival. Un particolare inedito che va a incastonarsi all’interno degli studi su Castelnuovo-Tedesco promossi con costanza e fervida passione dalla nipote Diana.3

Tra gli eroici fulgori dell’anno decimo

Il 1932 è un anno mirabile nella storia d’Italia. Nel decennale della ‘marcia su Roma’, tutto sembra ormai confermare fieramente i vaticini di una nuova epoca, annunciata con

1 Il debutto del Festival veneziano risale al 1930. Seguono, in ordine cronologico, quello del Maggio Musicale Fiorentino (1933), della Sagra musicale umbra (1937), del Teatro delle Novità di Bergamo (1937) e della Settimana musicale senese (1939). 2 Le ‘Scatole nere’ del Fondo Storico dell’ASAC sono una serie di fascicoli che raccolgono i documenti relativi alle prime Biennali (1894-1944). 3 Vorrei ringraziare Diana Castelnuovo-Tedesco per il suo indispensabile supporto offerto a musicisti e musicologi impegnati nello studio e nella valorizzazione del repertorio del suo illustre nonno. Negli anni mi sono occupato di Mario Castelnuovo-Tedesco a più livelli: inizialmente, in qualità di produttore esecutivo, curando una incisione discografica con il pianista Alfonso Soldano (Divine Art, 2017), per poi incentrare la mia tesi magistrale, sotto la guida di Cesare Fertonani, sul repertorio pianistico del compositore fiorentino (Università degli Studi di Milano, 2019); inoltre, ho avuto modo di approfondire differenti aspetti della carriera artistica di Castelnuovo-Tedesco in convegni (SIDM 2018, Saggiatore Musicale 2018), conferenze (Sala Accademica del Conservatorio “Santa Cecilia”, Roma 2018; Conservatorio “Barga”, Teramo 2018; Luglio Musicale Trapanese, 2018) e altre occasioni divulgative.

magniloquenza retorica dai riti della propaganda fascista,4 mentre il sogno di progresso della tecnica e delle arti si fa via via più palpabile, naturale prosecuzione di una premessa inscalfibile di gloria. Alla velocità dell’ultimo gioiello automobilistico, la FIAT 508 Balilla presentata a Milano il 12 aprile, il pensiero di ognuno sembra girare attorno a un unico motivo turbinante, a un solo tic ideologico: l’affermazione trionfale di una nuova era nel segno del superiore ingegno italico. Così, mentre gli ultimi lavori per la sistemazione urbanistica della Città Eterna suggellano un ‘prodigio sistino’ con l’approntamento del Foro Mussolini (oggi Foro Italico), a Venezia ci si attrezza infaticabilmente per fare della Biennale la più invidiabile vetrina internazionale delle moderne fucine artistiche del regno, sotto lo sguardo vigile e benedicente del Duce.

Il 13 gennaio 1930 un Regio Decreto trasforma la Biennale in un Ente Autonomo, con personalità giuridica. La blasonata istituzione veneziana viene così svincolata dal controllo municipale e posta direttamente sotto quello del governo, con un board di cinque membri selezionati rigorosamente ‘dall’alto’.5 A presiedere il nuovo assetto, Mussolini sceglie Giuseppe Volpi conte di Misurata.6 Veneziano di nascita, industriale, massone ed esponente politico, già governatore della Tripolitania (1922-1925), ministro delle Finanze (1925-1928) e futuro presidente di Confindustria. Durante l’era Volpi (1930-1943), il legame fra l’élite capitalista, il regime fascista e i circoli culturali veneziani diviene strettissimo.

Dal punto di vista della programmazione artistica, il ventaglio delle proposte culturali si allarga considerevolmente, con uno sguardo rivolto anche a ciò che di buono viene prodotto oltralpe – secondo un canone di pluralismo estetico –, mirando però principalmente a definire, in qualche maniera, un linguaggio artistico ‘nazionale’, assecondando i propositi del regime.7 Ecco perché, «confidando nel ritorno di immagine presso l’opinione pubblica italiana e straniera, il fascismo accettò volentieri la creazione di questi eventi».8 «Il compito di promuovere l’idea di un’arte italiana compatta, e pronta a sostenere il confronto con le altre nazioni, divenne centrale dal momento in cui la Biennale fu la ‘regina’ delle esposizioni di regime». 9

Sono anni frementi in cui vengono inaugurate celebri esposizioni, alcune delle quali svolgono ancora oggi un ruolo di primissimo piano nel panorama culturale mondiale. Al 1930 risale la prima edizione del Festival Internazionale di Musica Contemporanea, il

4 Cfr. LAURA MALVANO, Fascismo e la politica dell’immagine, Torino, Bollati Boringheri, 1988. 5 Cfr. ENZO DI MARTINO, La Biennale di Venezia 1895-1995. Cento anni di arte e cultura, Milano, Mondadori, 1995, ROMOLO BAZZONI, 60 anni della Biennale di Venezia, Venezia, Lombroso, 1962. 6 Cfr. SERGIO ROMANO, Giuseppe Volpi: industria e finanza tra Giolitti e Mussolini, Milano, Bompiani, 1979, in particolare il capitolo Il mito di Venezia, pp. 195-202, ROLAND SARTI, Giuseppe Volpi, in Uomini e volti del fascismo, a cura di Fernando Cordova, Roma, Bulzoni, 1980, pp. 523-546. 7 Cfr. MARLA SUSAN STONE, The Patron State. Culture and Politics in Fascist Italy, Princeton, Princeton University, 1998. 8 FIAMMA NICOLODI, Novecento in musica. Protagonisti, correnti, opere. I primi cinquant’anni, Milano, il Saggiatore, 2018, p. 148. 9 MASSIMO DE SABBATA, Tra diplomazia e arte: le Biennali di Antonio Maraini (1928-1942), Udine, Forum, 2006, p. 80.

cui fuoco finalmente divampa dopo aver «covato sotto le ceneri»,10 dai tempi del terzo festival della Società Internazionale di Musica Contemporanea (Venezia 1925). A distanza di due anni viene inaugurata la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica all’Excelsior Palace Hotel del Lido (6-21 agosto 1932), primo festival di cinema al mondo.11 Non bisogna dimenticare poi il Congresso Internazionale d’Arte Contemporanea (30 aprile - 3 maggio1932), il Festival Internazionale del Teatro (1934), il Convegno Fascista dell’Arte (23-24 ottobre 1932) e le due edizioni dei Convegni di Poesia per il Premio del Gondoliere (1932 e 1934). Se da un lato il conte Volpi intreccia istituzionalmente le sillabe del proprio eccellentissimo nome al ‘corredo’ della nuova storia della Biennale, in sede organizzativa il vero demiurgo della politica culturale durante il quindicennio 1928-1943 è lo scultore e critico d’arte Antonio Maraini (18861963), già organizzatore e allestitore di mostre prestigiose e nel 1927 nominato Segretario generale dell’Esposizione veneziana.12 Tra diplomazia e arte, con Maraini la propaganda assume rilievo sempre maggiore, basandosi sull’assioma secondo cui «oltre al fatto spirituale, un’esposizione deve essere un fatto commerciale».13 In buona sostanza, «exhibitions are propaganda».14 E su questo politicizzato scacchiere artistico un ruolo decisivo lo giocano i rapporti con la Stampa nazionale e internazionale, tenuti dal conte Elio Zorzi, fautore di un accuratissimo e capillare piano di comunicazione.

La stampa quotidiana era utilizzata per tenere al corrente il pubblico sulle attività dell’ente, articoli e inserti sulla Biennale venivano pubblicati su giornali e riviste italiane e straniere. I Paesi coinvolti dalla propaganda erano numerosi in Europa, estendendosi anche alle città del Nord e Sud Africa, del Sud America e dell’Australia.15

I benefici socio-economici tratti da questa ambiziosa operazione sono evidenti. Grazie alla sponsorizzazione delle varie esposizioni, vecchie e nuove, la Direzione della

10 GIAN FRANCESCO MALIPIERO, I diciannove festival della Biennale di Venezia, opuscolo stampato per il XX Festival Internazionale di Musica Contemporanea, Venezia, Stamperia di Venezia, 1957, p. 1. 11 Nel corso di quindici serate vengono proiettati 40 film «a lungo ed a corto metraggio» di 33 case produttrici. Fra le suggestive pubblicazioni dedicate dalla Fondazione La Biennale di Venezia, cfr. Venezia 1932. Il cinema diventa arte, Venezia, La Biennale, 1992; Il Cinema in Mostra. Volti e Immagini dalla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica 1932-2018, Venezia, La Biennale, 2018; Mostra del cinema, 1932. Tra modernità e tradizione, a cura diAlfredo Baldi, Venezia, La Biennale, 2007. 12 Cfr. VITTORIO FAGONE, Arte politica e propaganda, in Anni Trenta: Arte e Cultura in Italia, catalogo della mostra, Milano, Mazzotta, 1983; PASQUALINA SPADINI, Antonio Maraini artista e critico del ventennio, in Officina della critica: libri, cataloghi e carte d’archivio (Catalogo della mostra allestita alla Biblioteca della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma dal 20 dicembre 1991 al 4 marzo 1992), a cura di Elena Di Majo, Milano, Electa, 1991, pp. 69-76. 13 Come riportato in un verbale della Commissione Straordinaria del 1931 citato da CRISTINA FONTANA, Comunicazione e graphic design della Biennale di Venezia (1895-1950), in Storie della Biennale di Venezia, a cura di Stefania Portinari e Nico Stringa, Venezia, Edizioni Ca’ Fsocari, 2019, p. 23 14 LAWRENCE ALLOWAY, The Venice Biennale 1895-1968. From salon to goldfish bowl, London, Faber & Faber, 1969, p. 38. 15 FONTANA, Comunicazione e graphic design della Biennale di Venezia cit., p. 25.

Biennale riesce a incrementare il turismo in città, contando su cooperazioni con agenzie del settore e con l’imprenditoria locale (come la Compagnia Italiana dei Grandi Alberghi), rilanciando portentosamente il Lido di Venezia fra le mete più chic del Paese.16 Un modo efficace per «consolidare il mito di spazio ideale dello svago e dell’impegno culturale adatto a un tipo di nuovi flussi turistici aristocratico-borghesi e creando per questi il massimo di occasioni “alte” di divertimento mondano».17 Non a caso, i concerti e i balletti vengono raggruppati a cavallo fra l’estate e l’autunno, cioè fra settembre e ottobre, prolungando in tal modo la consueta stagione turistica. Tutte strategie che si inseriscono nel più ampio solco della propaganda culturale e ricreativa fascista. Nel corso degli anni ’30, la Biennale di Venezia diventa fulcro centrale di tale visione politica e, per merito del binomio Volpi-Maraini, già nel 1932 la città lagunare riesce ad attirare magneticamente a sé oltre 250 mila visitatori.

Il 2. Festival Internazionale di Musica: note di backstage

Non solo l’esperimento iniziale del Festival Internazionale di Musica (7-14 settembre 1930) «non [rimane] un caso isolato nella cronaca delle manifestazioni musicali italiane» ma, a dispetto del torvo cipiglio degli scettici, costituirà addirittura «il punto di partenza per una collana di manifestazioni».18 Cosa ancor più importante, sulla scorta del bilancio artistico del 1930,19 in vista della seconda edizione si procede «al “matrimonio” fra la giovanissima manifestazione musicale e l’ormai antico e glorioso istituto veneziano per le arti figurative», permettendo «automaticamente, quella stabilizzazione della Biennale di musica».20 A presiedere il Festival c’è una personalità carismatica del calibro di Adriano Lualdi, fervido sostenitore de «l’Uomo che Dio ha dato all’Italia: Mussolini»,21 protagonista del «risorto spirito nazionale che è la più bell’opera del fascismo»,22 artista che partecipa, «con sempre maggiore consapevolezza, fuori della sua eburnea torre, all’opera di ricostruzione e di rieducazione politica».23

16 Non sarà certamente un caso se iconograficamente i manifesti della prima edizione del Festival Internazionale del Cinematografo, realizzati da Nuchovich, «richiamano Venezia e il Lido, accostati a rappresentazioni di pellicole e bobine, che diventano il simbolo della manifestazione», FONTANA, Comunicazione e graphic design della Biennale di Venezia cit., p. 31. 17 GIUSEPPE GHIGI, L’olimpiade del cinema sul bagnasciuga di Volpi, in Venezia 1932 – Il cinema diventa arte, a cura di Giuseppe Ghigi, Venezia, Edizione Biennale, 1992, p. 22. 18 ADRIANO LUALDI, Prefazione al Programma Ufficiale del Secondo Festival Internazionale di Musica, Venezia, Ferrari, 1932, p. 7. 19 «Il bilancio finanziario del I° Festival veneziano si è chiuso con un avanzo di L. 3549,50. Questo residuo attivo, - modesto ma abbastanza significante, se si pensa ai grossi deficit che coronano generalmente le imprese d’arte – è stato versato dall’Amministrazione del I° Festival alla Amministrazione della Biennale d’Arte appena giunta da Roma l’autorizzazione al Festival di far corpo unico con la Biennale; alla Biennale, di assumere la gestione del Festival. E questa somma costituisce, nel bilancio del II° Festival, la prima voce dell’elenco del nuovo finanziamento», in ivi, pp. 7-8. 20 Ivi, p. 7. 21 Ivi, p. 17. 22 ID., Arte e Regime, Roma-Milano, Augustea, 1929, p. 89. 23 GIUSEPPE BOTTAI, Prefazione, in LUALDI, Arte e Regime cit., p. 20.

È a Lualdi che va senza dubbio il merito di aver trovato «i mezzi materiali ed essenziali per realizzare l’ardua impresa».24 Fra mille garbugli burocratici e amministrativi, riesce a difendersi abilmente dai tiri mancini del collega deputato Carlo Delcroix; contando talvolta sulla generosità di amici e colleghi – Respighi spontaneamente non richiede alcun cachet ma solo un rimborso spese25 – ovunque si potesse va giorno e notte «fragorosamente bussando a quattrini».26 Perché, a dispetto di quel che immaginava, la Biennale d’Arte, cui il suo Festival nel 1932 andava ‘imparentandosi’, non era affatto milionaria ma decisamente «povera in canna».27

Fra sovvenzionamenti governativi strappati con i denti e le solite beghe con le istituzioni private, da par suo il Teatro La Fenice non è che faciliti molto le cose a Lualdi. Il presidente Mario Mani Mocenigo, trovandosi «nella dura necessità di non poter concedere il teatro alle condizioni di favore» praticate nel 1930, gli richiede infatti «il rimborso di tutte le spese serali di Teatro e palcoscenico, il 6% sui bordereaux serali».28 Sul finire del 1931, stremato e amareggiato da questa indigesta situazione, Lualdi è sul punto di abbandonare il progetto. Un accorato panegirico di Maraini sulle squisite virtù del non accostumarsi a certe facili arrendevolezze fungerà per il compositore molisano da provvidenziale tonico ricostituente.

Se io avessi dovuto fare così come tu dici tutte le volte che il caso mi parve disperato, a quest’ora la Biennale probabilmente sarebbe già chiusa! No no, bisogna continuare con tenacia e vedrai riusciremo. […] Insomma tu dovresti uscire un po’ dal silenzio in cui ti sei chiuso e nel quale indovino un certo malumore che io davvero non merto, perché ho sempre fatto quel che potevo per una impresa che tanto, come tu sai, mi interessa.29

Il Segretario generale dimostra a ogni ticchettio di macchina da scrivere il suo appoggio incondizionato: «desidero che tu senta che per la Biennale il Festival Musicale è altrettanto importante quanto le sue altre manifestazioni».30 L’«opera febbrile» di Lualdi, dunque, non si arresta: prosegue spedita, cadenzata dal fermento delle principali testate giornalistiche – dal «Corriere della Sera» a «Il Secolo XIX», da «Il giornale d’Italia» a l’«Educazione fascista». Il ‘bel mondo’ musicale italiano già pregustava le primizie della «importante e geniale manifestazione di propaganda musicale che avrà

24 MALIPIERO, I diciannove festival cit., p. 1. 25 Lettera di Ottorino Respighi a Lualdi del 20 agosto 1932, in Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia, Fondo Storico, serie Scatole nere, busta 66 (d’ora in poi citato nella forma abbreviata ASAC, FS, SN, b. 66). I coniugi Respighi verranno alloggiati, per tutto il periodo del Festival, al Grand Hotel Des Bains del Lido, come richiesto espressamente da Elsa in una lettera a Lualdi del 25 agosto 1932 («una camera con due letti e bagno»). 26 Da una lettera di Lualdi a Maraini del 18 gennaio 1931, ASAC, FS, SN, b. 66. 27 Da una lettera del 17 ottobre 1931 scritta da Volpi a Balbino Giuliano, Ministro dell’Educazione Nazionale. Identica dicitura viene ripetuta da Maraini a Lualdi in una lettera del 23 ottobre 1931. Entrambe in ASAC, FS, SN, b. 66. 28 Lettera del 18 febbraio 1932, ASAC, FS, SN, b. 67. 29 Da una lettera di Antonio Maraini del 14 dicembre 1931, ASAC, FS, SN, b. 66. 30 Lettera di Maraini a Lualdi del 27 agosto 1932, ASAC, FS, SN, b. 66.

luogo prossimamente a Venezia».31 Il collega Malipiero, nel marzo 1932, non può fare a meno di rivolgersi all’amico Lualdi in questi toni encomiastici:

Non chiamarmi né adulatore, né rimbambito, ma lascia che io ti esprima la mia ammirazione per quello che sei riuscito a fare, la larghezza delle tue vedute, e la tua fratellanza artistica, più ammirevole perché hai le tue idee e queste, talvolta, mi sembrano in contraddizione colle tue vere aspirazioni di uomo moderno.32

Al fianco di Lualdi, in qualità di vice-presidente, l’infaticabile Alfredo Casella: quel «tanto discusso artista» che vantava «una quantità grande di nemici» e «anche un gran numero di amici»,33 membro del Comitato Ministeriale per il disciplinamento delle Mostre, in sintonia con il fascismo «negli anni in cui la volgarità squadrista lasciava il posto all’edificazione del regime».34 Compositore e pianista che da sempre aveva contribuito «all’allargamento delle conoscenze e ad un abito mentale “culturale” verso la nuova musica»35 – suo, tra l’altro, il merito nel 1925 della scelta di Venezia come location per il festival della SIMC, «uno dei più memorabili avvenimenti musicali della città».36 Casella «dimostrava non solo la sua informazione sulla situazione musicale dei teatri e delle istituzioni sinfoniche dei maggiori paesi» ma aveva «un fiuto quasi infallibile nella segnalazione delle musiche importanti».37

Mario Castelnuovo-Tedesco, nelle sue memorie, lo ricorderà così:

Era ambiziosissimo, ma non solo per sé, anche per gli altri, e direi, in genere, per la musica italiana moderna, che desiderava vedere all’avanguardia del ‘movimento europeo’. Aveva inoltre il raro dono (come non l’ebbero forse, prima di lui che Schumann e Liszt) di saper scoprire nuovi talenti; e li incoraggiava e li appoggiava con una generosità senza pari.38

Alla seconda edizione del festival veneziano Caella presenta La favola di Orfeo, opera dalla «visione mitologica stilizzatissima»39 per la quale era «preso fino alla

31 Lettera della Direzione amministrativa del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano (27 luglio 1932, prot. n. 45) indirizzata a Lualdi: si chiariscono i termini delle prove dell’Orchestra da camera del Teatro alla Scala, in vista del festival veneziano. ASAC, FS, SN, b. 67. 32 Da una lettera di Malipiero a Lualdi del 28 marzo 1932, ASAC, FS, SN, b. 66. 33 ADRIANO LUALDI, Il rinnovamento musicale italiano, «Quaderni dell’Istituto Nazionale Fascista di Cultura», III, 1931, pp. 65-68. 34 GUIDO SALVETTI, Storia della musica, vol. 10: La nascita del Novecento, Torino, EDT, 19912, p. 304. 35 ID., La «Generazione dell’80» tra critica e mito, in Musica italiana del primo Novecento. La «Generazione dell’80», a cura di Fiamma Nicolodi, Firenze, Olschki, 1981, p. 62. 36 MALIPIERO, I diciannove festival cit., p. 1. 37 GIOVANNI GAVAZZENI, Aperture europee negli scritti di Casella, in Alfredo Casella e l’Europa, a cura di Mila De Santis, Firenze, Olschki, 2003, pp. 343-360: 345. 38 MARIO CASTELNUOVO-TEDESCO, Una vita di musica (un libro di ricordi), a cura di James Westby, Fiesole, Cadmo, 2005, p. 100. 39 SALVETTI, Storia della musica cit., p. 304.

stratosfera»40 e che termina di scrivere a meno di un mese dalla prima esecuzione del 6 settembre 1932.

Nel team di Lualdi figura anche Mario Labroca, direttore del Consorzio Enti Lirici, cooptato per il coordinamento della Segreteria del Festival, insieme alla sorella del collega Aldo Finzi, Ada, Mario Giuranna e Alberto Zaiotti.

Figura 1: Copertina del programma ufficiale del 2. Festival Internazionale di Musica di Venezia (© Archivio Storico della Biennale di Venezia – ASAC, Fondo Storico, serie Musica, b. 1).

Prima di diventare direttore del Conservatorio “San Pietro a Majella” di Napoli (1936-1944), Adriano Lualdi lega quindi il suo nome alle prime tre edizioni del festival veneziano, garantendo così ai ‘rinnovatori della musica’ l’appoggio della intellighenzia e dei vertici fascisti e consegnando contestualmente al Duce, per così dire, il ‘certificato di paternità’ del progresso musicale.

D’altronde, la sua più recente pubblicazione, Il rinnovamento musicale italiano (1931), nel tracciare la storia musicale del Paese dal 1863 alla contemporaneità, termina riconnettendo «la grandiosa mole di lavoro e la grandiosa opera di rinnovamento

40 Così scrive Lualdi il 9 agosto 1932, riferendo all’amico Alfredo alcune apprensioni di Malipiero, in ASAC, FS, SN, b. 66. Casella gli risponderà il giorno successivo rassicurandolo: «domani parte a Roma l’ultimo fascicolo della partitura dell’Orfeo. Puoi dormire tranquillo».

compiuta, e ancora in atto, dai nuovi musicisti d’Italia in quest’ultimo ventennio» direttamente con «il ventennio della guerra vittoriosa, e della Rivoluzione Fascista».41 Chi sono questi «nuovi musicisti d’Italia»? Con le parole di Lualdi, si potrebbero catalogare sinteticamente per virtù anagrafica:

I più anziani di essi sono oggi fra i 55 e 56 anni di età [gli ‘ottantisti’]; i più giovani, Labroca, Mortari, Rota-Rinaldi, vanno da un massimo di 35 a un minimo di 20 anni. Alcuni hanno già dato molto, ma non tutto; altri hanno dato poco, ma promettono, per segni sicuri, molto per l’avvenire. Lasciamo tempo al tempo.42

In un periodo in cui «i profeti della nuova musica italiana […] si chiudono a coltivare la propria differenza»43 – senza alcuna ‘scuola’ compatta ognuno rappresentando, per così dire, «una fortezza, con ponti levatoi, fossati pieni d’acqua (spesso stagnante) cannoni ecc. ecc.»44 – il Festival si configura come palcoscenico ideale sul territorio nazionale per dar voce al «fervore di attività» e alla «vastità e varietà di geniali fatiche che caratterizza questo bello e confortante momento storico della rinascita musicale italiana».45 Venezia andava confermandosi come «luogo di creazione e proiezione, di convergenze e irradiazioni […] città ‘contemporanea’ perché segue l’evolversi e il divenire delle forme, perché sa incastrare il passato nella vita di oggi, sicura che essa integrerà a sua volta quella di domani».46

La seconda edizione (3-15 settembre 1932) si fregia dell’Alto Patronato della principessa di Piemonte, Maria José del Belgio,47 proseguendo nel segno della musica da camera o per piccola orchestra; in più, questa volta, prevedendo anche l’opera da camera (L’alba di Don Giovanni di Franco Casavola, Pantèa di Malipiero, La favola di Orfeo di Casella, El retablo de maese Pedro di De Falla, Maria Egiziaca di Respighi, La Grançèola di Lualdi, Il caffè di Bach, La Passione di Fernando Liuzzi e Il combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi) oltre a un concorso, e relativo concerto, di ‘musica radiogenica’ italiana (con Guarini, Pedrotti, Gorini, Dallapiccola, Rota, Marzollo, Longo e Sonzogno), «in omaggio al nuovo e più potente mezzo di diffusione, la radio, ed anche per lasciare adito di rivelarsi ai più giovani e men conosciuti

41 LUALDI, Il rinnovamento musicale italiano cit., p. 82. 42 Ivi, p. 58. 43 FRANCESCO FONTANELLI, «Non posso, non devo, non voglio». Il Maestro Pizzetti nella “lega” dei modernisti, «Chigiana Journal of Musicological Studies» III/1, XLIX, 2019, pp. 29-57: 50. 44 Lettera di Malipiero a Pizzetti del 18 giugno 1928, conservata a Roma presso l’Archivio Storico dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana: Fondo Ildebrando Pizzetti. Riportata in FONTANELLI, «Non posso, non devo, non voglio» cit., p. 50 (n. 56). 45 LUALDI, Il rinnovamento musicale italiano cit., p. 58. 46 MARIO LABROCA, Il festival internazionale di musica contemporanea, in Teatri nel mondo. La Fenice, Milano, Nuove edizioni, 1972, p. 259. 47 Lualdi la interpella opportunamente per imbastire il programma del concerto di musica francese e belga. Il Gentiluomo di Corte di Servizio Flavio Borghese, XII principe di Sulmona, scriverà da Napoli il 15 maggio 1932 trasmettendo a Lualdi i ringraziamenti della «Augusta Principessa», ASAC, FS, SN, b. 66.

ingegni».48 Una limitazione, quella del repertorio cameristico, «volentieri accettata»49 dagli organizzatori che in questo modo definiscono meglio il carattere del loro festival: «inconfondibilmente personale in confronto di tutti gli altri istituti del genere stranieri, e di quelli che in un avvenire più o meno prossimo, potessero sorgere anche in Italia».50 La selezione dei compositori avviene unicamente per inviti, escludendo il metodo per esaminazione da parte di una giuria. Una novità introdotta da Maraini per la XVIII Biennale d’Arte (28 aprile-28 ottobre 1932). In verità, «una novità per modo di dire» essendoci stati in passato alcuni precedenti.51 Inoltre, sempre uniformandosi ai criteri adottati dalla Biennale d’Arte, nel 1932 Lualdi prevede per la sua ‘esposizione’ «la divisione in Padiglioni musicali». Il programma ufficiale – con copertina illustrata da Casorati52 – accoglie pertanto sei ‘padiglioni’ dedicati ai compositori italiani e cinque a quelli stranieri.53 Vengono scelte solo «musiche italiane nuovissime, e, straniere, di

48 MARIO CASTELNUOVO-TEDESCO, La seconda Biennale di musica a Venezia, «Scenario» I, 9 ottobre 1932, pp. 30-35, in ID., La penna perduta. Scritti 1919-1936, edizione critica di Mila De Santis, Ariccia, Aracne, 2017, p. 433-448: 444. 49 LUALDI, Prefazione cit., p. 7. 50 Ibidem. 51 Cfr. ANTONIO MARAINI, La XVIII Biennale d’Arte a Venezia, estratto dal n. 8 (agosto 1931) de «Le Tre Venezie», Venezia, Tipografia del «Gazzettino illustrato», 1931. 52 Sulla copertina del programma ufficiale del 2. Festival Internazionale di Musica, un’opera di Felice Casorati (1883-1963) particolarmente emblematica (Figura 1). Un languido Orfeo, seduto, braccia raccolte compostamente sulle gambe e testa piegata verso sinistra, è attorniato da tre uccelli e tre pesci, attratti dal suono della sua lira, che giace a terra dopo aver creato il portentoso incanto sonoro. Il legame fra Casorati e il mondo musicale, come è noto, non è riferibile solo ad astratte suggestioni iconografiche – oltre questo Orfeo basti ricordare Suonatore di flauto (1920), Suonatore di fisarmonica (1924), Maschere (1929), Suonatrice (1930), Donna seduta e chitarra (1938), L’isola delle sirene (1949), Uova e pifferi (1959). Dal 1933 (La Vestale di Spontini al Maggio Fiorentino) al 1952 (Il Principe di legno di Bartòk-Millos al Teatro alla Scala), infatti, Casorati è impegnato nell’elaborazione dei bozzetti per le scene e i costumi di spettacoli operistici – al pari dei colleghi, di poco più giovani, Mario Sironi e Giorgio de Chirico – collaborando con Malipiero (Ecuba), Casella (La donna serpente), Petrassi-Millos (Le follie d’Orlando), Ghedini (Le Baccanti), Montemazzi (L’amore dei tre re), Dallapiccola (Job), De Falla (L’amore stregone). 53 Il respiro internazionale del cartellone del 1932 è evidente, fin dall’inaugurazione del 3 settembre, con un concerto di «musica moderna di varie nazioni» diretto Antonio Guarnieri alla testa di 25 professori dell’Orchestra del Teatro La Fenice. In programma Gioachino Rossini (Sinfonia da La Scala di Seta), Riccardo Zandonai (il poemetto per flauto e piccola orchestra Il Flauto Notturno), Igor Stravinskij (Pastorale), Theodor Rogalsky (Deux danses roumaine: pour instruments à vent, piano à quatre mains et batterie) ed Ernst Bloch (i quattro Episodi per orchestra da camera). Diretto da Desiré Defauw, il «Concerto di musica francese e belga» del 5 settembre, «sotto il Patronato di S.E. M.me Beaumarchais, Ambasciatrice di Francia presso il Quirinale», offriva un impaginato dove convivevano in adiacenza Albert Roussel (Divertissement op. 6 per quintetto di fiati e pianoforte), Henri Tomasi (Chansons Corses per corno e pianoforte), Francis Poulenc (Concerto in re minore per due pianoforti dedicato a Winnaretta Singer, con Poulenc e Jacques Février al pianoforte), Marcel Delannoy (Figures sonores), Jacques Ibert (Suite pour petit orchestre), Joseph Jongen (la suite Tableaux pittoresques op. 56). L’8 settembre, nell’ambito di un «Concerto di musica nord-americana» («sotto il patronato di S.E. Mrs. Garret, Ambasciatrice d’America presso il Quirinale») diretto da Fritz Reiner, alla guida di 25 componenti dell’Orchestra del Teatro alla Scala di Milano, viene eseguito parzialmente il Concerto in Fa di George Gershwin, con Harry Kaufmann impegnato nella parte solistica, insieme alla Rhapsody di Leo Sowerby, le Oriental Impressions di Henry Eichheim, le Litanies of Women di Lazare Saminsky e la Golem Suite di Joseph Achron. Il 9 settembre un «Concerto di musica sud-americana» diretto da Adriano Lualdi, «allo scopo di iniziare un’azione quanto più proficua possibile d’interscambio culturale fra le Nazioni dell’America

prima esecuzione in Italia». Ma qualcuno non ha potuto fare a meno di evidenziare degli «inconvenienti» nella diramazione degli inviti: come un tal quale cameratismo che ha portato inevitabilmente a «una netta preferenza per i compositori di estrema destra».54 Ad ogni modo, nelle linee guida annunciate, la Direzione del festival ricerca «nei lavori scelti a formare i vari programmi delle sue manifestazioni, solo le qualità d’arte che li rendano degni d’essere eseguiti e resi noti all’infuori d’ogni scuola e d’ogni chiesuola».55 Come nel caso del Quintetto in fa maggiore per pianoforte e archi di Mario Castelnuovo-Tedesco.

Castelnuovo-Tedesco alla seconda Biennale di musica

Fra le varie ‘occasioni’ della destinerranza artistica di Mario Castelnuovo-Tedesco, la partecipazione al 2. Festival Internazionale di Musica occupa certamente un ruolo privilegiato. Ebreo sefardita, nato a Firenze nel 1895, pupillo e ‘principe ereditario’ di Ildebrando Pizzetti, Castelnuovo-Tedesco è probabilmente il miglior ‘figlio del reggimento’ della generazione dell’80. Concertista e compositore di eccezionale caratura, furoreggia per un ventennio prima di espatriare negli States a causa delle leggi razziali introdotte dal regime fascista (1939).56 Fin dal 16 marzo 1917 – nell’ambito dei pionieristici concerti della Società Nazionale di Musica (S.N.M.) – Castelnuovo-Tedesco si impone come protagonista di primo piano della vita musicale moderna italiana.57 Il pianoforte è per lui lo strumento d’elezione e il suo «confidente».58 Durante la prima parte della sua carriera, nella doppia veste di compositore e interprete, si dedica infatti intensamente al repertorio pianistico – fra lavori solistici, cameristici e orchestrali – in uno stile la cui quintessenza risiede nella melodia. Molti virtuosi dello strumento, in Italia e all’estero, eseguono regolarmente le sue composizioni: primo fra tutti Casella,59 suo ‘scopritore’,60 ma anche Renzo Lorenzoni (1887-1951), Walter Gieseking (1895-

del Sud e l’Italia» – da uncomunicato stampa in ASAC, FS, SN, b. 66. Infine, un «Concerto di musica tedesca» («sotto il Patronato di S.E. Schubert, Ambasciatrice di Germania presso il Quirinale), con la Filarmonica di Dresda diretta da Fritz Busch: musiche di Ernst Toch (Vorspiel zu einem Märchen), Paul Hindemith (Eine Spielmusik), Gottfried Muller (Variationen und Fuge), Paul Graener (Die Flöte von Sansouci), Adolf Busch (Capriccio). 54 CASTELNUOVO-TEDESCO, La seconda Biennale di musica a Venezia cit., p. 434. 55 Programma Ufficiale del Secondo Festival Internazionale di Musica, Venezia, Ferrari, 1932, p. 36. 56 Si imbarca il 13 luglio sul Saturnia, insieme a moglie e figli, arrivando il 27 luglio a New York. Assorbito poi dalla babelica industria cinematografica, si trasferirà a Los Angeles, lavorando per la Metro Goldwyn Mayer. Nel 1946 ottiene la cittadinanza statunitense. 57 In quell’occasione Alfredo Casella esegue Il raggio verde op. 9 (composto nel 1916, edito da Forlivesi nel 1918), brano che pone subito Castelnuovo-Tedesco al crocevia fra lodi sperticate e critiche infiammate. 58 «My favorite among instrument is the piano, my own instrument, and my confidant». NICK ROSSI, Mario Castelnuovo-Tedesco: Modern Master of Melody, «American Music Teacher» 25, 4 (febbraio-marzo 1976). 59 CASTELNUOVO-TEDESCO, Una vita di musica cit., p. 97: «Insomma devo a lui se il mio nome fu ben presto noto all’estero insieme a quello dei quattro maggiori contemporanei italiani: Respighi, Pizzetti, Malipiero e Casella stesso (io ero di tutti il più giovane: un po’ “il figlio del Reggimento”!)». 60 Ivi, p. 100: «Fui, in Italia, la sua prima scoperta; poi venero – insieme – Rieti, Massarani e Labroca; quindi Virgilio Mortari e Nino Rota; e infine Goffredo Petrassi e Luigi Dallapiccola: tutti i migliori insomma. E non c’è nessuno che a lui non debba qualche cosa!».

1956) ed Ernesto Consolo (1864-1931) –alla cui memoria è dedicato il primo Quintetto per pianoforte e archi. All’altezza del 1932 Castelnuovo-Tedesco ha all’attivo un catalogo vastissimo, fiorente in ogni genere musicale, che nulla ha da invidiare ai colleghi della sua generazione. Il suo rapporto con il festival veneziano inizia l’8 settembre 1930, quando presenta una selezione di Shakespeare Songs61 e di Heine Lieder62 per canto e pianoforte, accompagnando su un gran-coda Bechstein la divina Madeleine Grey – prediletta di Ravel – con cui da tempo collaborava. Nella stessa serata, sempre in duo con la Grey, esegue il Salmo 22 di Ernest Bloch. Successivamente al 1932, prenderà parte al festival veneziano ancora nel 1937, 1947 e 1948.

In vista della seconda edizione del Festival, la corrispondenza fra Castelnuovo-Tedesco e Lualdi prende avvio il 7 marzo 1932.63 «Per guadagnar tempo» il direttore del festival invita informalmente il collega fiorentino esponendogli i caratteri generali della manifestazione e le opere che potranno essere accolte, richiedendo «una composizione solistica o d’assieme, vocale od istrumentale, o per piccola orchestra» e pregandolo vivamente di non fargli mancare la sua «desideratissima adesione». Il 15 marzo Castelnuovo-Tedesco, scartata l’opzione di una prima esecuzione italiana della Sonata per pianoforte64 o del poema per violino e pianoforte L’allodola, propone di presentare e interpretare – «ti avverto che desidererei eseguirlo io al pianoforte» – un Quintetto per pianoforte e quartetto d’archi65 – primo lavoro realizzato per questo specifico organico – la cui esecuzione era prevista durante l’ultima soirée della Accademia Filarmonica Romana.66 Il fatto che questa première sarebbe stata relegata, appunto, al termine della stagione non doveva costituire certo il massimo della gratificazione per il compositore – «non desideravo farlo a “fine stagione” e preferivo lanciarlo all’inizio della stagione prossima». Così, coglie al volo l’occasione di sfruttare il festival organizzato da Lualdi per «il varo» della sua nuova opera. Ma a quale ensemble affidare la parte degli archi? Ancora nessuna idea all’orizzonte!

L’invito ufficiale arriva a Firenze il 26 marzo. Nel rispondere a Lualdi, il 28 marzo Castelnuovo-Tedesco comunica che, «d’accordo con l’Ufficio Concerti di Milano»,

61 The Pedlar dal libro VIII (1924), The Willow e Roundel dal libro V (1923), Caliban dal libro XI (1924) della raccolta The Passionate Pilgrim. 33 Shakespeare Songs. Six Shakespeare Songs op. 24 (1921-1925), pubblicata dalla J. & W. Chester di Londra fra il 1921 e il 1926. 62 Am Leuchtturm, dalla seconda serie dei Drei Heine Lieder op. 60/1 (1929, Forlivesi 1933); Die drei Könige, dalla terza serie dei Drei Heine Lieder op. 60/2 (1929, Forlivesi 1933); Am Teetisch, dalla prima serie dei Drei Heine Lieder op. 40 (1926, Universal Edition 1929). 63 ASAC, FS, SN, b. 66. 64 La Sonata per pianoforte op. 51 (1928) dedicata a Gieseking e pubblicata nel 1932 dalla Universal Edition. 65 Il Quintetto per pianoforte e quartetto d’archi n. 1 op. 69, dedicato alla memoria di Ernesto Consolo, è in quattro tempi: I - Lento e sognante; II - Andante; III - Scherzo (Leggero e danzante); IV Vivo e impetuoso. Verrà pubblicato dalla casa editrice musicale fiorentina Forlivesi nel 1934 con il titolo Quintetto in fa per due violini, viola, violoncello e pianoforte. È stato inciso dall’Arman Ensemble per l’etichetta Albany (1996) e dall’Aron Quartet insieme a Massimo Giuseppe Bianchi per la Cpo (2015). 66 Nel 1932, per la Direzione artistica della Accademia Filarmonica Romana si danno il cambio il violinista Mario Corti e Alfredo Casella, entrambi molto legati a Castelnuovo-Tedesco.

sarebbe stato il Quartetto Poltronieri67 a eseguire il suo Quintetto – «è in quattro tempi e dura circa mezz’ora». Fugando ogni possibile ‘inconveniente organizzativo’, fonte di attriti e malumori, il compositore mette subito le mani avanti: «ti dico fin d’ora che non vorrei fosse messo in fondo a un programma ma in principio, o, preferibilmente, in mezzo». Lualdi accetta, «senz’altro», ma il 30 marzo insiste nel voler «unire un pianista» diverso, «il quale possibilmente fosse già stato in formazione di Quintetto col Poltronieri, oppure anche, addirittura qualche nuovo elemento, (si intende di primo ordine), che non abbia già preso parte al Festival del 30». Ma Castelnuovo-Tedesco è irremovibile, anche perché, come spiega nella lettera del 31 marzo, lo lega un impegno contrattuale con l’Ufficio Concerti: «io ne sarò, per questa prima stagione concertistica, il solo interprete». Lualdi si vede costretto ad acconsentire, pur di avere il collega nel cartellone del suo festival. Quando tutto sembra essere serenamente concordato, ecco insorgere i primi fastidiosi contrattempi. Il 26 aprile Castelnuovo-Tedesco rimprovera al collega di aver previsto l’esecuzione del suo lavoro nella sala grande de La Fenice, un ambiente «del tutto inadatto».

Ho letto nel Corriere di ieri il “calendario” del Festival veneziano, e vedo che il mio Quintetto fa parte del programma di orchestra da camera che sarà diretto dal Mo Guarnieri al Teatro della Fenice: la sede è magnifica e la compagnia ottima, ma l’ambiente mi sembra del tutto inadatto al carattere e alla sonorità del mio lavoro, che non appartiene all’ “orchestra da camera” (più ricca di sonorità e di risorse) ma alla “musica da camera” (nel senso più modesto e consueto della parola).

67 All’epoca formato da Alberto Poltronieri (I violino), Guido Ferrari (II violino), Florencio Mora (viola) e Antonio Valisi (violoncello). Il Quartetto Poltronieri riceverà un cachet di 2.000 lire, come si evince dai resoconti del Festival e come già era stato annunciato da una lettera del 28 agosto 1932 inviata dalla Segreteria ad Alberto Poltronieri in cui si specifica «che il compenso che il Quartetto (quartetto solo) riceverà, è di Lit. 2.000 (duemila)», in ASAC, FS, SN, b. 66.

Figura 2: Una foto di Mario Castelnuovo-Tedesco nella sua casa di Firenze, negli anni Trenta.

(© Mario Castelnuovo-Tedesco Collection, The Library of Congress, Washington D.C., USA. Per gentile concessione di Diana Castelnuovo-Tedesco).

Senza conoscere né la grandezza né tantomeno le qualità acustiche della Sala Apollinea, Castelnuovo-Tedesco propone su due piedi a Lualdi di modificare la programmazione e di prevedere lì l’esecuzione del Quintetto: «immagino sarà un ambiente più raccolto». Ma, come si sa, «la certezza intuitiva non può sostituire la conoscenza empirica accuratamente verificata».68 Per di più, chiede di poter fare cambio di location con il collega marchigiano Mezio Agostini69 – chiamato a presentare un Quartetto nel concerto di mercoledì 7 settembre nella Sala Apollinea – sicuro del fatto che gli avrebbe fatto «più piacere di essere “esposto” in teatro». L’aut aut fa presto ad arrivare: «altrimenti proprio non so se convenga di presentare per la prima volta il mio Quintetto in un ambiente così inadatto». I toni della lettera dovevano essergli sembrati tanto infervorati da indurlo a smorzarli in chiusura:

68 ISAIAH BERLIN, Appunti sul pregiudizio, «Adelphiana. Pubblicazione permanente», 1, 2002, pp. 97-102: 100. 69 Mezio Agostini (1875-1944) era all’epoca il direttore del Liceo musicale di Venezia, «un tipico musicista decadente, consapevole fino in fondo della propria decadenza e ben deciso a viverla coerentemente» (Cfr. MICHELANGELO ZURLETTI, Nel centenario di Mezio Agostini, discorso letto presso la Sala Morganti del Palazzo Malatestiano di Fano il 6 dicembre 1975). Di Agostini anche Casella non era un estimatore e non ne faceva certo mistero all’amico Lualdi durante l’organizzazione del festival: «si vedono occupare posti importanti degli Agostini, Bianchini, Sinigaglia persino, non siano l’ideale dell’interesse che dovrebbe offrire una simile manifestazione» (lettera del 9 aprile 1932, ASAC, FS, SN, b. 66).

Spero che non mi darai del “seccatore” e che comprenderai le mie ragioni. Penso che forse tu sarai già partito per la tournée in America e che quindi troverai la mia lettera al tuo ritorno, che, se ben ricordo, avverrà alla fine di giugno, saremo quindi sempre in tempo per prendere opportuni accordi. Ad ogni modo non ho voluto attendere ad esprimerti i miei dubbi.

In effetti Lualdi qualche giorno prima era partito per la sua tournée in America Latina.70 In sua assenza, si occuperà la Segreteria del Festival del ‘seccante’ CastelnuovoTedesco. Tocca ad Ada Finzi rispondere al compositore fiorentino, il 7 maggio: «data la compilazione dei programmi del Festival (compilazione quasi definitiva), crediamo difficile spostare il Suo quintetto, e portarlo, come Ella proporrebbe, nel primo concerto italiano». Cui segue una breve ma risoluta perorazione dei meriti della sala grande del Teatro La Fenice, senza dubbio adatta alla «esecuzione di musiche per piccoli complessi e per solisti, come e meglio di molte Sale da Concerto». Insomma, i «dubbi» del compositore non avrebbero avuto neppure motivo di sorgere. Castelnuovo-Tedesco, alla fine, si vede costretto ad accettare le condizioni predette, ma solo perché rassicurato da alcuni suoi colleghi, di cui non specifica i nomi e sui quali si potrebbero fare solo fumose supposizioni: «già altri amici competenti mi avevano fatto notare le qualità di acustica della Fenice, e mi avevano sconsigliato lo spostamento del mio Quintetto ad altro programma».

Per il Concerto di musica da camera dell’11 settembre (VIII manifestazione del Festival), diretto da Franco Ghione alla guida di un drappello di professori dell’Orchestra del Teatro alla Scala, viene messo a punto un impaginato che pone in adiacenza il Quintetto di Castelnuovo-Tedesco con le Quattro canzoni napolitane di Mario Pilati per canto (Maria Rota) e orchestra da camera,71 il Concertino per oboe (Mario Colombo) e orchestra da camera di Ermanno Wolf-Ferrari, il poemetto Euridice per canto (Ginevra Vivante) e orchestra da camera di Vincenzo Davico, l’Allegro da concerto per pianoforte (Valeria Navach) e orchestra da camera di Arrigo Pedrollo e il Rondò per violino (Remy Principe) e orchestra da camera di Leone Sinigaglia.

Quali le caratteristiche principali del Quintetto op. 69 di Castelnuovo-Tedesco? Già il compositore le esplicita in un articolo apparso sulla neonata rivista Scenario, diretta da Silvio d’Amico e Nicola de Pirro.72

70 Lualdi parte pochi mesi prima del festival veneziano: si imbarca da Genova il 21 aprile 1932, per ritornare il 6 luglio, come ardito ‘legionario’ della propaganda per la diffusione all’estero della produzione musicale italiana, antica e moderna, sinfonica e da camera. Le memorie di quella esaltante esperienza confluiscono poi nel Viaggio musicale nel Sud-America, Milano, Istituto Editoriale Nazionale, 1934. 71 Mario Pilati inizialmente non era stato invitato al Festival, «pur avendo pronto, come già ebbi a dirLe a Milano l’ultima volta, un quartetto che non ho voluto far eseguire quest’anno appunto per serbarne la prima esecuzione al Festival» (lettera a Lualdi del 17 aprile 1932, ASAC, FS, SN, b. 66). Per intercessione di Casella, verrà chiamato a presentare una trascrizione per canto e orchestra da camera di suoi precedenti lavori per canto e pianoforte facenti parte di Tre canti napoletani op. 35 (1925-1926) e Due epigrammi napoletani op. 44 (1926). 72 In qualità (anche) di membro della Stampa, a Castelnuovo-Tedesco vengono riservate «2 poltrone dal 4 settembre» (il secondo posto era per la moglie Clara Forti), come si evince in un foglio non datato in ASAC, FS, SN, b. 66.

Dirò solo che questo lavoro – diversamente da quella tendenza oggi diffusa che, scavalcando un secolo, si riallaccia direttamente al Settecento – non vuol dimenticare le ampie conquiste che, nel campo della musica strumentale, ci ha dato l’Ottocento, e intende riaffermare una sicura fede nella possibilità di un’espressione romantica eppur moderna.73

E ancora nella sua autobiografia avrà modo di tornare a ricordare quei momenti veneziani, confessando che, fra le molte composizioni cameristiche del suo periodo italiano, il lavoro «migliore è senza dubbio il primo Quintetto in fa per pianoforte ed archi».

È un lavoro emotivo e robusto (e, in un certo senso, romantico) dove i due tempi estremi sono ampiamente sviluppati e i due centrali molto più brevi: un Andante pensoso e raccolto (dove si può ritrovare – e non per l’ultima volta – il carattere malinconico e contemplativo dei Cipressi) e un vivacissimo Scherzo, leggero e danzante, di uno spirito che alcuni critici definirono mendelssohniano (c’era forse, nel loro commento, una punta di spregio? per parte mia lo considero il massimo elogio!, poiché ritengo Mendelssohn il più perfetto compositore di Scherzi che io conosca). A Venezia i pareri furon divisi: chi (come Gatti) preferiva i due tempi estremi; chi (come De Falla e Segovia e, posso aggiungere, come me!) mostrò una predilezione per quelli centrali.74

La prima esecuzione nella «preziosa cornice d’oro opaco»75 del teatro veneziano conosce un esito splendido, tanto che addirittura il pubblico, entusiasta, richiede il bis sia dell’Andante che dello Scherzo. 76 Il «varo» del brano poteva dirsi concluso nel migliore dei modi. E fu solo il primo di una serie di successi che il compositore riscuoterà in tournée con il Quartetto Poltronieri nel corso del 1933.

Oltre il festival

La partecipazione al 2. Festival Internazionale di Musica di Venezia risulta ancora più importante per la carriera e la produzione di Castelnuovo-Tedesco se si considera il fatto che proprio in quell’occasione si consolida la sua amicizia con Andrés Segovia Torres (1893-1987), che tanta rilevanza rivestirà negli anni successivi. Il chitarrista spagnolo darà, infatti, risonanza notevolissima alla musica del compositore fiorentino, rimanendo fino alla fine uno degli amici più affezionati di Castelnuovo-Tedesco.

Al Festival Internazionale di Venezia del 1932 c’erano […] anche Segovia e De Falla; Segovia anzi era venuto per accompagnare il vecchio e fedele amico, che diresse in quell’occasione [la prima esecuzione italiana de] il suo delizioso Retablo de maese Pedro, l’operina con marionette [del Teatro delle marionette del Kunstgewerbemuseum di Zurigo con la collaborazione della compagnia Carlo Colla & figli del Teatro Gerolamo di Milano] derivata dal Don Chisciotte. Con Segovia ci eravamo già incontrati in precedenza (a Firenze, in casa Passigli e in casa Rosselli), e più volte avevo avuto occasione di ammirare, nei concerti che tenne alla Sala Bianca, la sua arte

73 «Scenario» I, 9 ottobre 1932, pp. 30-35, riportato in CASTELNUOVO-TEDESCO, La penna perduta cit., p. 444. 74 ID., Una vita di musica cit., p. 251. 75 ID., La seconda Biennale di musica a Venezia cit., p. 436. 76 In sala 275 spettatori (fra platea e palchi, galleria e loggione) con un introito complessivo di L. 2822, come risulta dal bordereau della serata conservato in ASAC, Fondo Storico, serie Musica, b. 1.

sovrana di chitarrista. Quell’anno, a Venezia, ci trovammo più spesso insieme, nell’atmosfera movimentata e chiassosa del Festival, ma, si può dire, non avemmo mai l’opportunità di parlare di musica, o per lo meno di specifici progetti chitarristici. Fu solo l’ultimo giorno che Segovia incontrò Clara [Forti] sul vaporetto (che da Venezia conduce al Lido) e le disse: «Io no ho mai osato di chieder nulla a suo marito, ma mi farebbe tanto piacere se volesse scriver qualche cosa per me; glielo dica lei da parte mia».77

Rientrato nella casa di campagna a Usigliano, Castelnuovo-Tedesco risponde a Segovia, confessandogli con genuina modestia di non avere una conoscenza approfondita della tecnica e della ‘voce’ dello strumento – «non ho la più vaga idea di come si scriva per chitarra!» – ma che volentieri avrebbe composto qualcosa per lui. Col senno di poi, queste affermazioni fanno sorridere se si tiene conto che già nel 1932 CastelnuovoTedesco scrive le Variations à travers les siècles op. 71. Per citare altri capolavori, l’anno seguente vede la luce il celeberrimo Capriccio diabolico (Omaggio a Paganini) op. 85, nel 1934 la Sonata (Omaggio a Boccherini) op. 77 e nel 1937 il Concerto in re op. 99. La collaborazione fra i due grandi artisti, che vissero ‘in musica’ e per la musica, poteva dirsi dunque felicemente avviata e destinata a essere testimonianza di un affettuoso e longevo sodalizio. Ma questa è un’altra storia.

77 CASTELNUOVO-TEDESCO, Una vita di musica cit., p. 251.

This article is from: