10 minute read
Il giovane Brahms. Lettere e ricordi
e 24 le tonalità, richiede uno sforzo non indifferente. Questo sforzo non è superfluo, poiché la comprensione pratica e quella astratta avvengono attraverso un riscontro positivo di tipo ciclico.
A proposito di questo, Mortensen racconta la sua esperienza da studente universitario e di come i concetti riguardanti per esempio le note melodiche estranee gli siano parse inizialmente imperscrutabili e, soltanto attraverso l’uso pratico successivo, alla «…creazione della musica vera…», esse siano diventate vivide ed importanti per lui, un concetto col quale noi tutti abbiamo dimestichezza.
Advertisement
L’approccio di Mortensen all’insegnamento dell’improvvisazione distilla le scoperte chiave degli scritti accademici, delle varie monografie e dei trattati del XVIII secolo da lui studiati, traducendo il tutto in una forma chiara e diretta. The Pianist’s Guide to Historic Improvisation diventa così un contributo opportuno, immensamente pratico e necessario alle sempre più crescenti risorse per l’improvvisazione nella musica classica. Consiglio fortemente questo libro a chiunque fosse interessato all’improvvisazione storica ed al partimento.
Guglielmo Esposito
ALBERT DIETRICH, Il giovane Brahms. Lettere e ricordi, trad. a cura di Marina Caracciolo, Lucca, LIM, 2018, pp. IX + 72.
Il tributo letterario reso a Johannes Brahms (1833-1897) da Albert Hermann Dietrich (1829-1908), concorre a renderci vicino il genio amburghese degli esordi, con la sua indole ultraromantica, ma anche l’appassionato artista, erede di Beethoven e degli ‘antichi’, ormai maturo e vissuto. Suo amico di lungo corso, il direttore d’orchestra, compositore e pianista della scuola di Ignaz Moscheles, si colloca a giusto titolo fra i più duraturi affetti dell’autore di Ein Deutsches Requiem, opera della quale ci consegna, peraltro in queste pagine, la cronaca della prima assoluta del 1868 a Brema. Ed è grazie a uno slancio di generosità, intellettuale e non soltanto spirituale, che avverte l’esigenza di tramandare la documentazione in suo possesso, prendendo le mosse dal periodo della prima affermazione su più vasta scala del musicista, fino alle sue rade missive risalenti agli anni 80 dell’Ottocento.
Partito dall’antica città anseatica Brahms era approdato nella renana Düsseldorf, come lui, presso il carismatico Robert Schumann: l’uno in cerca di fortuna, l’altro impegnato negli studi di composizione col maestro, i due musicisti si trovano a condividere il sogno di una giovinezza creativa nella loro vita di artisti. Ed è, il loro, un legame stürmisch di effettiva reciprocità, sostanzialmente ascrivibile a quegli stessi valori magnificati nel trattatello ciceroniano De amicitia: un nobile afflato, infatti, sembra legarli quale tralcio d’edera e avvolgerne le vicende per tutta la vita.
In realtà quello di Dietrich è qualcosa di più di un epistolario: esso raccoglie, è vero, i testi della corrispondenza, ma propone, altresì, piccoli brani di sua narrazione, giustapposti alle missive in una sorta di florilegio cronologico dal titolo Erinnerungen an Johannes Brahms in Briefen besonders aus seiner Jugendzeit. Pubblicato da Otto Wigand a Lipsia nel 1898, il libro è uscito finalmente tradotto in italiano nel 2018, a cura
di Marina Caracciolo, nella collana “Musica Ragionata” diretta da Alberto Basso, per la Lim Editrice. È dunque alla musicologa e traduttrice milanese, formatasi a Torino con Massimo Mila e Giorgio Pestelli, che possiamo essere riconoscenti per tale nuova acquisizione sul fronte brahmsiano.
Tramite l’azione di cesello lessicale della curatrice, il testo ci consegna la figura di Brahms, nell’avvincente scorcio mitteleuropeo nel quale vediamo incedere taluni esponenti della seconda generazione romantica. Cosicché, dal loro ‘sentire’ ad ampio spettro vediamo emergere un ambiente culturale pervaso da fermenti, altresì da ripensamenti, propri di uno scenario umano forse già avviato verso il dramma della modernità. Come tutti quelli del suo genere, questo libro abbonda di particolari e di avvenimenti. Nella sua trama polifonica hanno voce molti di coloro che insistono nel circuito brahmsiano di Düsseldorf e, in seguito, di città come Lipsia, Hannover, Oldenburg, Karlsruhe, Zurigo, Baden-Baden, nelle quali il compositore si spostò. Altrettanto, vi si susseguono, alla maniera di fotogrammi in progressione, gli ultimi giorni di Schumann, con la tristezza per la sua dipartita, ma ancor prima, vi si scorge la curiosità degli ambienti intellettuali per il pianista ventenne biondo e talentoso, vi si apprende dell’origine della Sonata F-A-E, del fervore intorno alle composizioni che andavano e venivano negli scambi epistolari. In tutta semplicità, vi si narra delle passeggiate in campagna e degli incontri: conviviali, salotti musicali e concerti. Inoltre vi circolano di continuo sentimenti rigogliosi e afflati utopistici nello scorrere della vita, e pure non manca il racconto di scherzi come quello di un Brahms buontempone che, in un’escursione sul monte Grafenberg, raccoglie ravanelli da offrire alle signore per ristorarsi, mentre accenna all’amico Dietrich la sua predilezione per la spontaneità delle melodie popolari. Ancora, vi si narrano gli spostamenti compiuti dal musicista per diffondere la propria opera ed affermarsi, i bei viaggi e le vacanze all’insegna della musica, in contemplazione della natura, nella solitudine dello studio, nella laboriosità della creazione, nella trama delle relazioni umane.
È in una di queste occasioni, allorquando Brahms si trova a girovagare con Dietrich per i boschi intorno a Baden, che indica all’amico il punto preciso nel quale accadde che gli venisse in mente per la prima volta il tema del primo movimento del Trio per corno op. 40. Del resto quest’ultimo commenta con viva emozione ogni sua esibizione, che si tratti di trionfali concerti o di intrattenimenti in duo pianistico con Clara per il parterre schumanniano. La lode è sempre pronta a fiorire sul suo labbro, divenendo un peana che sgorga sincero. E Brahms lo ricambia rivolgendoglisi come segue: «Che tu abbia una così fervente passione per la mia musica, è molto importante per me, e più ancora per il fatto che io stesso non credo proprio di offrire abbastanza a ottimi musicisti come te».
Di fronte alla vicendevole stima non lascia meravigliati, dunque, la premura di Dietrich nel descrivere il genio di Amburgo, facendo attenzione ad evidenziarne più che il gradevole aspetto teutonico, le doti morali e la vibrazione umana: «L’atteggiamento modesto e tuttavia accattivante gli aprì ben presto il cuore di tutti».
Ciò considerato, bisogna dare atto alla Caracciolo di aver compiuto una di quelle fatiche intellettuali apprezzabili in primo luogo per l’ardua e responsabile opera di traduzione. Quanto a questo, il suo lavoro appare costruito con profondo impegno e
determinato da fine intuito, lasciando trapelare una colta sensibilità. Il corredo delle note a piè di pagina, tutte redatte con coerenza, non manca, come da prassi accurata, di offrire concisi profili dei nomi citati nel testo, permettendo in tal modo di collocare con esattezza ciascun personaggio. Inoltre, davvero pregevole appare lo spessore della ricerca, grazie alla quale la musicologa riporta la propria correzione di taluni dati circa la cronologia degli avvenimenti narrati, specificando che lo stesso Brahms non sempre datava i suoi messaggi e a sua volta Dietrich pecca di qualche imprecisione.
Dal punto di vista musicologico inoltre è d’uopo plaudere all’impresa realizzata nel porgere a tutti un angolo di prospettiva sull’«aquilotto» esaltato nell’articolo schumanniano ‘Neue Bahnen’, affinché possiamo godere di momenti della sua vita e avere accesso diretto a una certa Sehnsucht che altrimenti sarebbe ancora rimasta nel côté straniero della ricerca. Non sembri pleonastico, infatti, valutare la piacevolezza e il vantaggio della traduzione per tutti gli interessati. Grazie ad essa, lo scritto nella fattispecie emerge con vivezza, nel corpus arricchito dalle missive della summenzionata galleria di personaggi, accluse da Dietrich per segnare più marcatamente il tracciato diaristico nel nome del celebrato amico.
Nel novembre 1853 Brahms scrive: «Carissimo Dietrich! Mi avete procurato qui a Lipsia un’accoglienza amichevole oltre ogni misura e io sono così screanzato da privarvi completamente di missive. Non prendetevela troppo con me perché le lettere mi escono dalla penna con molta fatica». Per fortuna la bonaria affermazione è contraddetta dagli svariati carteggi compresi nei 16 volumi del Brahms Briefwechsel, editi a Berlino, a cura della Deutsche Brahms-Gesellschaft, tra il 1906 e il 1922 (ristampa Schneider, Tutzing, 1974), che ci riportano da vicino rapporti professionali ma anche relazioni confidenziali con persone incontrate lungo il cammino: i due aspetti, in vero, di rado appaiono disgiunti, soprattutto in un autore piuttosto esplicito, nonostante l’intima ritrosia, nella propria natura creativa.
Passando in rassegna i più importanti va annoverato senza dubbio l’epistolario Billroth/Brahms, nell’edizione originale completa (Billroth im Briefwechsel mit Brahms, Hg. Otto Gottlieb-Billroth, Urban & Schwarzenberg, Berlin und Wien, 1935).
Esso abbraccia gli anni dal 1865 al 1894, documentando, attraverso un dialogo intessuto di pensieri e alimentato dallo scambio di partiture, l’amicizia con Theodor Billroth (1829-94), illustre medico tra i suoi sodali eruditi. Specialista in patologia chirurgica, altresì ottimo critico della Neue Zürcher Zeitung, questi fu musicista per vocazione e per diletto. Suonava bene la viola, esibendosi spesso con Brahms in occasione di prime, quasi sempre in concerti privati. Tra i suoi migliori consiglieri, inoltre, veniva interpellato sistematicamente, anche prima del varo di un’opera. L’importanza di un simile dossier di certo non sfugge allo studioso, ma anche al cultore, che voglia avvicinare il Brahms della cerchia viennese di casa Billroth. Vi partecipavano il musicologo Eduard Hanslick, lo scrittore e critico musicale Max Kalbeck con il Quartetto Hellmesberger, e, occasionalmente, il violinista Joseph Joachim insieme ad altri amici. Va detto che esso rappresenta il sigillo del legame trentennale tra due personalità affermate, purtroppo affievolitosi verso la fine. Ciononostante restituisce la luminosità dell’alta stima e della consonanza spirituale fra i due, consentendoci di entrare in
medias res, mentre rivela alcuni indirizzi di riflessione di Brahms, da argomenti d’occasione al personale modus cogitandi nel comporre.
Procedendo tra gli epistolari brahmsiani, certamente non possiamo non includere il carteggio relativo a Clara Wieck, costituito da 759 lettere raccolte in due volumi dall’autore della sua biografia, Berthold Litzmann (Clara Schumann, Johannes Brahms, Briefe aus den Jahren 1853-1896, Im Auftrage von Marie Schumann, Hg. Berthold Litzmann, Breitkopf & Hartel, Leipzig, 1927).
La lunga corrispondenza di Brahms con l’«amica adoratissima», era stata da lei stessa data alle fiamme, pare per un cospicuo numero di pagine, allorquando, come conferma la figlia Marie, la vedova di Schumann decise di optare per una privacy definitiva circa la tanto discussa liaison col protetto di suo marito. Frattanto, però, altre loro numerose missive restavano, com’è noto, ad alimentare fiumi di inchiostro, confluiti in interpretazioni psicologiche spinte anche al di là del reale.
Ulteriore carteggio da considerare è senza dubbio quello con il fraterno amico violinista Joseph Joachim (Johannes Brahms im Briefwechsel und Joseph Joachim, Hg. Andreas Moser, Berlin, Deutsche Brahms Gesellschaft, 1908), alla stregua dell’altro, condiviso con l’artefice della Bach Renaissance, Philipp Spitta (Johannes Brahms im Briefwechsel mit Philipp Spitta, Hg. Carl Krebs, Berlin, Deutsche Brahms Gesellschaft, 1920). Si tratta di due carteggi imprescindibili per la conoscenza di un fecondo rapporto fra fuoriclasse.
In aggiunta va ricordata la corrispondenza con Julius Otto Grimm, con i coniugi Heinrich ed Elisabet von Herzogenberg, con le famiglie Hecht e Fellinger solo per segnalare qualche nome di una lunga lista, nonché con editori quali Simrock, Breitkopf und Härtel, Rieter-Biedermann, Peters, ecc.
Come afferma in apertura la stessa Caracciolo, se paragonato alle numerose pubblicazioni esistenti, tra epistolari e memoriali il volumetto di Dietrich risulta essere quello più breve dedicato a Brahms, ma dalla premessa dell’autore apprendiamo che certamente gli amici e gli ammiratori vi troveranno «diverse cose per loro preziose e interessanti». E tale assicurazione trova conferma nel corso di una lettura che rivela, come è facile prevedere, pagine di sicura attrattiva. Commovente risuona infine la dichiarazione di intenti del devoto amico: «Possano dunque queste righe senza pretese contribuire a completare ed approfondire il ritratto del grande musicista. Se nelle pagine seguenti avrò raggiunto lo scopo, in ciò potrò ravvisare il mio successo più bello». Concetto riportato dalla stessa traduttrice nella sua personale introduzione e da Dietrich così ribadito nell’accomiatarsi dal lettore: «Nel mettere in ordine queste lettere ho rivissuto ancora una volta i tempi passati e tutti i bei ricordi che per noi e per una cerchia ramificata di amici sono annodati al nome di Brahms. Possa la sua cara figura, per mezzo di questo libriccino, avvicinarsi alla grande schiera dei suoi ammiratori, così che essi, insieme all’artista, abbiano sempre davanti agli occhi la fedele, eccellente persona. Se con questi fogli avrò raggiunto lo scopo, allora sarò lieto di aver contribuito per la mia parte all’onore e alla gloria di Johannes Brahms».
Senz’altro, al tempo di simili idealisti il sentimento dell’amicizia doveva essere vigoroso. Il suo fremito, talora veemente, talora delicato, nell'alternarsi di situazioni vivaci e ilari e momenti drammatici, riaffiora dalle pagine vergate durante le ore della
loro esistenza e in tal modo torna presente ad ogni lettura. Insieme alla musica, tale squisito dono ci è di conforto, restituendo intatto un antico nitore dell’animo, offuscato, forse, dal pragmatico vivere moderno. Inevitabilmente, rispetto all’odierna ‘società liquida’ teorizzata da Zygmunt Bauman esso appare purtroppo lontano. Compromesso dal cinismo esistenziale del progresso resta relegato in quel mondo spirituale ormai passato. Allora, tutto il ‘bene’ era ancora possibile, tanto che per il suo raggiungimento si lottava strenuamente e con energica convinzione ontologica. Se dunque l’uomo è ciò in cui crede, questi sono stati grandi uomini. Inequivocabilmente, la musica di Brahms lo conferma.
Cinzia Dichiara
282