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La famiglia Palomba: novant’anni di storia dell’opera tra Leo e Rossini

Raffaele Mellace

LA FAMIGLIA PALOMBA: NOVANT’ANNI DI STORIA DELL’OPERA TRA LEO E ROSSINI

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Novant’anni di storia dell’opera Novant’anni esatti (1735-1825) della storia dell’opera, a Napoli e ben oltre, sono segnati in termini significativi da un tandem di librettisti, zio e nipote: Antonio e Giuseppe Palomba. Un intervallo considerevolissimo sul piano storico: nel 1735 Carlo ha fondato da appena un anno la dinastia, nel 1825 muore dopo un regno lunghissimo e travagliato il figlio Ferdinando; non meno che su quello musicale: nel 1735 a Napoli sono in cartellone Sarro, Leo e Pergolesi, nel 1825 Mercadante, Rossini e Donizetti. L’attività di questi prolifici, talentuosi ma anche controversi drammaturghi copre in due segmenti diseguali, rispettivamente di trenta e sessant’anni, quasi un secolo di profonde trasformazioni dello spettacolo operistico, trasformazioni cui i due commediografi non fecero mancare il proprio contributo, in grado di ripercuotersi, per il tramite della collaborazione con uno stuolo di operisti di ogni calibro, non esclusi i maggiori, ai quattro angoli d’Europa. Le pagine che seguono si ripropongono di mettere nuovamente a fuoco quella pratica cruciale dell’industria culturale rappresentata dal mestiere del librettista, la cui continuità risulterà forse sorprendente, nel contesto dei mutamenti non proprio irrilevanti delle circostanze storiche e culturali.

Antonio e l’affermazione nazionale della commedia musicale

L’ambiente in cui prese avvio la carriera di poeta drammatico di Antonio Palomba, classe 1705 e membro del ceto forense («notaro», lo chiamano le fonti), è la curia del collega commediografo, di poco più anziano, Pietro Trinchera, la cui frequentazione in ambito professionale nella seconda metà degli anni Trenta del Settecento si sviluppò, se non in un vero e proprio sodalizio artistico, in una collaborazione stretta che testimonia l’ampia fiducia di Trinchera nelle qualità di Palomba.1 Il primissimo agone in cui quest’ultimo poté dar prova del suo talento dovrebbe essere il famigerato teatro della Pace o del Vico della Lava, sala di quart’ordine sorvegliata dalla polizia e spesso e volentieri chiusa per motivi d’ordine pubblico. Se lì Palomba debuttò plausibilmente con Lo creduto infedele nell’inverno 1735, con musica del bitontino Nicola Logroscino, fu soprattutto a fine anni Quaranta che vi si spese tanto come autore (tre commedie – La mogliere traduta, Lo chiacchiarone e Li dispiette d’ammore – soltanto nel 1747/48), quanto come «concertatore», cioè responsabile dell’allestimento scenico di commedie proprie e altrui.2 A quell’altezza la fama di Palomba è saldamente acquisita,

1 Cfr. GIANNI CICALI, Strategie drammaturgiche di un contemporaneo di Goldoni. Pietro Trinchera (1702-1755), «Problemi di critica goldoniana» 8, 2002, pp. 133-201: 142. 2 Cfr. STEFANO CAPONE, L’opera comica napoletana (1709-1749). Teorie, autori, libretti e documenti di un genere del teatro italiano, Napoli, Liguori, 2011, p. 81.

tanto che Trinchera, già probabilmente all’origine del coinvolgimento del collega nell’avventura al Teatro della Pace, assunta allora l’impresa della sala maggiore del Teatro dei Fiorentini, gli affida l’apertura della stagione di carnevale 1748 con L’amore in maschera, musica di Niccolò Jommelli.3 In entrambe le sale, così come in una terza frequentata regolarmente, quella del Teatro Nuovo sopra Toledo, Palomba dovette spiccare per qualità di uomo di teatro a tutto tondo, in veste di autore, concertatore e revisore di titoli altrui. Glielo riconobbe lo stesso Trinchera, che nella prefazione al proprio Tutore nnammorato (Teatro della Pace, carnevale 1749), scommetteva sulla buona riuscita dello spettacolo, sia per la qualità della musica, sia «pe lo concierto de lo Sio Donn’Antonio Palomba, che ogge non ave lo paro». Analogo apprezzamento avrebbe espresso nel 1762, in occasione dell’allestimento della Donna di tutti i caratteri ai Fiorentini, Carlo Fabozzi.4 Della consapevolezza con cui Palomba si cimentava nell’adattare lavori altrui fa fede la circospetta prefazione fatta stampare in testa al Nuovo Don Chisciotte che allestì nell’autunno 1748 ai Fiorentini, con musica del defunto Leonardo Leo e del vivente Pietro Gomes, sulla base del Fantastico dello scomparso Gennarantonio Federico:

Essendoci stato addossato il carico di dirigere la presente Commedia, ultimo parto del lepidissimo ingegno del fu Gennaro Antonio Federici […] Noi, per mancanza del di lei Autore, abbiamo accettato l’impegno; avendo avuto però il riguardo di non alterarla punto, se non se in quello, a cui siamo stati astretti dalla pura necessità […] ciò si è dovuto fare per incontrare il genio del Publico, cui tanto alletta nelle sceniche Rappresentazioni non meno la novità degli avvenimenti, che la brevità dell’azzione: ed anco per esserci stato d’uopo adattarla all’abilità de’ presenti Cantanti totalmente diversi da quelli, che la prima volta la rappresentarono.5

Nel corso di trent’anni il teatro di Palomba presidiò stabilmente i palcoscenici napoletani, dai quali fu assente sembrerebbe soltanto un anno per decennio, benché il drammaturgo, per ragioni non ancora accertate, fosse stato costretto, nella seconda metà degli anni Cinquanta, a lasciare Napoli, dove gli «si permise» di fare rientro soltanto nel 1763, ormai sotto re Ferdinando.6 E tuttavia, assai significativamente, i suoi lavori non smisero mai di andare in scena, affidati alle cure di persone di fiducia come Carlo Fabozzi,7 che nella già citata prefazione alla Donna di tutti i caratteri accenna alle

3 Edizione critica a cura di Paologiovanni Maione, nell’ambito del progetto “Opera buffa. Napoli 1707-1750” promosso dalla Fondazione Pietà dei Turchini: <http://www.operabuffaturchini.it/operabuffa/libretti/AmoreInMaschera1748-0.jsp> (ultima consultazione 5 aprile 2021). 4 Cfr. CICALI, Strategie drammaturgiche cit., p. 143 e ID., Attori e ruoli nell’opera buffa italiana del Settecento, Firenze, Le Lettere, 2005, p. 103. 5 Il Nuovo D. Chisciotte, Napoli, Domenico Langiano, p. 6, esemplare nella Biblioteca di questo Conservatorio, segnatura Rari 8.19/11; cfr. anche l’edizione critica a cura di Paologiovanni Maione: <http://www.operabuffaturchini.it/operabuffa/libretti/Chisciotte-0.jsp> (ultima consultazione 6 aprile 2021). 6 Cfr. PIETRO NAPOLI SIGNORELLI, Vicende della coltura nelle Due Sicilie, dalla venuta delle colonie straniere fino a’ nostri giorni, Napoli, Orsini, 1810, VI, pp. 324 seg. 7 Cfr. PIETRO MARTORANA, Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori del dialetto napoletano, Napoli, Chiurazzi, 1874, p. 320.

modalità di questo rocambolesco sistema produttivo: «il celebre Sig. D. Antonio Palomba», che «da molto tempo si ritrova assente da questa Città», nel trasmettere la sua commedia «ultimamente in Napoli per porsi in musica e rappresentarsi […] nel presente Autunno non ha dubitato, per mezzo di sue lettere inviatemi, raccomandarne a me la direzione, sul riflesso dell’antica amicizia che passa tra di noi».8 Il rientro a Napoli del drammaturgo sessantenne segnò l’inizio di un’ultima, nuova fase, una «terza maniera», per dirla con Napoli Signorelli,9 che vide l’entrata in scena del nipote Giuseppe, cooptato nella stesura di nuovi drammi, così che le carriere di zio e nipote s’intrecciano e sovrappongono nello stesso lustro, portando a una certa confusione nell’attribuzione di alcuni lavori (ad esempio, proprio della Donna di tutti i caratteri), tanto più che, erroneamente, Antonio era stato dato per morto nell’epidemia del 1764, quando invece sopravvisse fino al 1769 e scrisse fino al 1766, cimentandosi nei suoi ultimi lavori: Lo sposo di tre e marito di nessuna (Nuovo, autunno 1763), La giocatrice bizzarra (Nuovo, primavera 1764) e Le quattro malmaritate (Nuovo, carnevale 1766).

Palomba contribuì alla fase cruciale dell’affermazione, nazionale e poi internazionale, della commedia musicale, proponendo un modello drammaturgico destinato a rapida fortuna, in grado di incidere sullo stesso Goldoni, che realizzò il prototipo dei propri drammi giocosi, La scuola moderna o sia La maestra di buon gusto (Venezia, S. Moisè, autunno 1748), rielaborando un titolo, allora fresco di stampa e di scene, di Palomba e Cocchi: La maestra (Nuovo, primavera 1747).10 Non meno fortunato fu L’Orazio, che Palomba aveva scritto per il Teatro Nuovo, con la musica di Pietro Auletta, già nel 1737:11 variamente rivisto e sotto titoli diversi12 il dramma approdò a Venezia nel 1743, per mettersi in viaggio per l’Europa intera con musica di differenti autori, e approdare nel 1752 a Parigi, ormai intitolato Il maestro di musica; come tale venne infine pubblicato nel Novecento all’interno degli opera omnia pergolesiani.

Il teatro di Antonia Palomba fu in particolare decisivo nell’avviamento alla carriera di più generazioni di operisti formatisi a Napoli, che con suoi testi debuttarono o perlomeno vissero alcune tra le prime, cruciali esperienze sceniche, come testimonia la tabella sottostante (l’asterisco segnala i debutti scenici assoluti):

8 Cit. in ALESSANDRO LATTANZI, La genesi di un pasticcio: «Madama l’umorista» di Pietro Guglielmi e Giovanni Paisiello, in Paisiello e la cultura europea del suo tempo, a cura di Francesco Paolo Russo, Lucca, LIM, 2007, pp. 201-229: 203. 9 NAPOLI SIGNORELLI, Vicende della coltura cit., p. 326.

10 Cfr. ANNA LAURA BELLINA, «La Maestra» esaminata, in ANTONIO PALOMBA - GIOACCHINO COCCHI, La Maestra, ed. facsimile della partitura, Milano, Ricordi, 1987, pp. IX-LXIV. 11 Disponibile in edizione critica a cura di Pasquale Ruotolo: <http://www.operabuffaturchini.it/operabuffa/libretti/Orazio-0.jsp> (ultima consultazione 5 aprile 2021). 12 Persino Trinchera lo rielaborò col titolo di Il corrivo (Fiorentini, 1751), così come l’anno dopo adattò di Palomba, sempre per i Fiorentini, La moglie gelosa come Il pazzo per amore (cfr. GIANNI CICALI, voce Trinchera, Pietro, Saverio nel Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2019, XCVI, consultabile anche in rete al link <https://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-trinchera_%28Dizionario-Biografico%29/> , (ultima consultazione 5 aprile 2021).

Nicola Logroscino (n. 1698) Lo creduto infedele* Pace 1735 Niccolò Jommelli (n. 1714) L’errore amoroso* Nuovo 1737 Gioacchino Cocchi (n. 1715?) La Matilde* Fiorentini 1739 David Perez (n. 1711) I travestimenti amorosi13 Giardino Pal. Reale / Nuovo 1740 Antonio Palella (n. 1692) L’Origille* Nuovo 1740 Girolamo Abos (n. 1715) Le due zingare simili* Nuovo 1742 Michelangelo Valentini (n. 1720) Il Demetrio* Nuovo 1745 Antonio Corbisiero (n. 1720) Monsieur Petitone* Nuovo 1749 Tommaso Traetta (n. 1733) La Costanza Fiorentini 1752 Giovanni Paisiello (n. 1740) Il Ciarlone Bologna, Marsigli-Rossi 1764 Domenico Cimarosa (n. 1749) La donna di tutti i caratteri Nuovo 1775

In generale, particolarmente stretto fu il rapporto con Niccolò Piccinni, che tra il 1754 e il 1766 intonò una decina di lavori di Palomba, tra cui un titolo notevole, per complessità di scrittura e popolarità, come La scaltra letterata (Nuovo, inverno 1758);14 ma nove ne intonò Logroscino tra il 1735 e il 1760, sei Cocchi (1739-50) e cinque Latilla (1747-74). Palomba fece in tempo a collaborare in extremis anche con Leonardo Leo, cui fornì i libretti del Giramondo (Firenze, Cocomero, autunno 1743, poi ben accolto a Parigi col titolo di I viaggiatori) e della Fedeltà odiata (Fiorentini, primavera 1744), per contribuire alla citata ripresa postuma del Nuovo Don Chisciotte, ai Fiorentini nell’autunno 1748. Per altro verso, il teatro di Palomba risultò determinante nella vicenda di Tommaso Traetta, poiché fu il fiasco incassato con La fante furba, al Teatro Nuovo nell’autunno 1756, a orientare una carriera che da allora in poi si sarebbe sviluppata interamente fuori Napoli.15

Contemporanei e posteri si espressero generalmente in termini ambivalenti nei confronti dell’opera di Antonio Palomba. Da un lato ne hanno censurato i limiti, in termini di incongruenza dell’invenzione drammatica e di approssimazione della veste linguistica; dall’altro ne hanno di norma riconosciuto l’indiscutibile vivacità dell’azione, cui

13 Disponibile in edizione critica a cura di Pasquale Ruotolo: <http://www.operabuffaturchini.it/operabuffa/libretti/Travestimenti1740-0.jsp> (ultima consultazione 5 aprile 2021). La commedia venne prima rappresentata il 10 luglio nel Giardino di Palazzo Reale in un «un teatro in mezzo delle frescure con molti giochi di acque», per l’onomastico della regina, alla presenza dei sovrani, ripresa colà il 17 e 31 luglio, e in autunno al Teatro Nuovo (cfr. AUSILIA MAGAUDDA – DANILO COSTANTINI, Musica e spettacolo nel Regno di Napoli attraverso lo spoglio della «Gazzetta» (1675-1768), Roma, ISMEZ, 2009, Appendice, pp. 607 seg.). 14 Cfr. RENATO DI BENEDETTO et alii, Libretti d’opera buffa napoletana negli anni 1750-1770: questioni metriche e formali, in Storia della musica e dello spettacolo a Napoli. Il Settecento, a cura di Francesco Cotticelli e Paologiovanni Maione, Napoli, Edizioni Turchini, 2009, II, pp. 555-592: 560562. Entro il 1772, attenendosi soltanto ai libretti superstiti e registrati in Sartori, il dramma venne ascoltato a Firenze, Milano, Mantova, Bergamo, Novara, Cadice e Lisbona (cfr. CLAUDIO SARTORI, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, Cuneo, Bertola & Locatelli, 1992, V, p. 136). 15 Cfr. LORENZO MATTEI, voce Traetta (Trajetta), Tommaso Michele Francesco Saverio nel Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2019, XCVI, pp. 552-556: 552, consultabile anche in rete al link <https://www.treccani.it/enciclopedia/tommaso-michele-francesco-saverio-traetta_%28Dizionario-Biografico%29/> (ultimaconsultazione 2 aprile 2021).

in fin dei conti viene fatto risalire un successo nel complesso meritato. Una sintesi calibrata di queste posizioni si può rinvenire, a quasi mezzo secolo dalla scomparsa del drammaturgo, in questo giudizio di Pietro Napoli Signorelli, peraltro altrove assai più critico:

Più artificioso e più vario del Trinchera […] La sua locuzione non è né sì salsa come quella del Trinchera, né sì pura e graziosa come quella del Federico; ma egli pose tutto lo studio a rendere l’azione rapida e popolare colla copia de’ colpi teatrali ancorché inverisimili, onde seppe chiamare il concorso.16

Riprende da vicino queste osservazioni Pietro Martorana, che sentenzia secco come Palomba «fece molto male al teatro inettendo sulle scene delle opere che somigliavano alle farse atellane, e questo ci fa credere che perciò fosse stato perseguitato e fuggiasco da Napoli».17 Non diversamente lo giudicava mezzo secolo più tardi Francesco Florimo,18 che, pur non amandolo, apprezzava la singolare varietà di fonti, novellistiche e romanzesche, cui Palomba aveva fatto ricorso, sortendo, nei suoi ultimi titoli, tra cui Lo sposo di tre e marito di nessuna, La donna di tutti i caratteri e Il curioso del suo proprio danno, una spiccata originalità. Nell’ultimo titolo citato (Nuovo, carnevale 1758) aveva attinto a Cervantes, così come nell’Origille si era rivolto al Furioso. 19 Con perfetta reciprocità rispetto a quanto accaduto con la Maestra, sarà invece Goldoni la fonte di una serie di titoli: La ricca locandiera (Roma, Teatro Capranica, 1759), La donna di tutti i caratteri, La giocatrice bizzarra e Il finto medico, tutti in scena al Teatro Nuovo nel corso del 1764. Testimone della voracità onnivora di Palomba è poi la citazione d’una canzone cinquecentesca in napoletano, O bella, o bella de le maiorane, che si fa strada nella Gismonda in scena ai Fiorentini nella primavera 1750.20

16 NAPOLI SIGNORELLI, Vicende della coltura cit., p. 323. Di Napoli Signorelli cfr. anche la Storia critica de’ teatri antichi e moderni, Napoli, Vincenzo Orsino, 1813, X/2, pp. 121-122. 17 MARTORANA, Notizie biografiche cit., pp. 320 sg. 18 FRANCESCO FLORIMO, Cenno storico sulla scuola musicale di Napoli, Napoli, Rocco, 1871, II, p. 2198. 19 Su questo titolo, scritto per il Teatro Nuovo, inverno 1740, musica di Antonio Palella, cfr. GERHARD ALLROGGEN, Piccinni’s Origille, in Analecta musicologia XV, Studien zur italienisch-deutschen Musikgeschichte X, a cura di Friedrich Lippmann in collaborazione con Volker Scherliess e Wolfgang Witzenmann, Köln, Volk Verlag, 1975, pp. 258-297. Con l’Origille s’inaugurò la sala palermitana del Teatro di S. Lucia nel 1742: cfr. ANNA TEDESCO, Aspetti della vita musicale nella Palermo del Settecento, in Il Settecento e il suo doppio: rococò e neoclassicismo, stili e tendenze europee nella Sicilia dei vicerè, a cura di Mariny Guttilla, Palermo, Kalos, 2008, pp. 391-401: 399. 20 Cfr. CAPONE, L’opera comica napoletana cit., p. 134 seg. Per contro, il Vocabolario napolitanotoscano di Raffaele D’Ambra (Napoli, Chiurazzi, 1873) prende esempi da ben dodici commedie di Antonio Palomba. La Gismonda è disponibile in edizione critica a cura di Marina Cotrufo: <http://www.operabuffaturchini.it/operabuffa/libretti/Gismonda1750-0.jsp> (ultima consultazione 5 aprile 2021).

La formidabile carriera internazionale di Giuseppe, auspici operisti e interpreti d’eccezione

Senza soluzione di continuità rispetto a quella dello zio è la carriera del nipote Giuseppe, che attorno al 1763-64 intraprende l’apprendistato di librettista assistendo il congiunto negli ultimi lavori, alcuni dei quali presero a circolare già col nome di Giuseppe: caso esemplare è l’ammirata Donna di tutti i caratteri, che Pietro Alessandro Guglielmi presentò ai Fiorentini nel 1763 sotto il nome di Antonio ma che oltre mezzo secolo più tardi, nel 1818, figurava nel cartellone del San Benedetto di Venezia col titolo rivisto di Donna di più caratteri, la paternità di Giuseppe e la musica di Pietro Carlo Guglielmi. I primi titoli autonomi di Giuseppe andranno riferiti al 1765. Uno di questi, Il corsaro algerino, in scena ai Fiorentini con musica di Gennaro Astaritta, esprime bene la continuità con la tradizione della librettistica napoletana nel cui solco s’inserisce naturalmente l’attività del giovane librettista. Recita infatti così l’avvertenza dello Stampatore al lettore:

La presente comedia si rappresentò nel Teatro nuovo nell’anno 1726, ora comparisce per la seconda volta su questo de’ Fiorentini. Speriamo che incontri lo stesso compatimento d’allora. La troverai per altro varia dalla prima edizione, ma ciò è addivenuto per moderarla al buon gusto moderno; che per ciò si è dovuto cambiare l’idioma napoletano in toscano, per maggiormente adattarla all’abilità degli presenti attori. Il tutto si è fatto accomodare dal Signor D. Giuseppe Palomba Napoletano, e tutte quelle cose accomodate dal medesimo si distingueranno col seguente segno*.21

Modello del dramma è infatti Lo corzaro, commedia ppe mmusica dedicata al nipote dell’allora viceré Michele d’Althann, andata effettivamente in scena nell’autunno 1726 al Teatro Nuovo, costruito appena due anni prima, con musica dell’oscuro Angelo Antonio Troiano, come si è desunto da una polizza di pagamento, dato che il libretto tace sulla paternità della musica.22 È sufficiente un sommario confronto tra gli incipit dei due drammi per riscontrare le diverse esigenze a quarant’anni di distanza. Se infatti nel 1726 Selimmo, sedicente capo corzaro algerino, sbarcava a Ischia in compagnia del fido Carababà accontentandosi d’un avvio in recitativo semplice («Già simmo ad Isca; priesto fa trasire | nnante, che schiara juorno | sti corzare llà ddinto a chella grotta»), nel 1765 occorrerà un concertato in piena regola come introduzione: un terzetto («Vi ringrazio, o fresche aurette») che coinvolge la prima buffa Zoraida ed è complicato dal plurilinguismo che vede esprimersi contestualmente in toscano Selimmo e Zoraida, e in napoletano Carababà. Un piccolo sondaggio in tal senso potrà già fornire qualche elemento sulle potenzialità del drammaturgo in erba nel muoversi con una certa abilità

21 Si cita dall’esemplare della princeps (Napoli, Bernardo Lanciano, 1765) custodito presso la Music Division della Library of Congress, collocazione ML48 [S377], disponibile online al link <https://www.loc.gov/item/2010664717/> (ultima consultazione 2 aprile 2021). 22 Il testo è pubblicato in edizione critica a cura di Ferdinando De Rosa: <http://www.operabuffaturchini.it/operabuffa/libretti/Corzaro26-0.jsp> (ultima consultazione 2 aprile 2021). Sul Corzaro del 1726 si esprime entusiasticamente il Vocabolario napoletano lessigrafico e storico, Napoli, Dalla Stamperia Reale, 1845, I, p. 379.

sul crinale tra continuità del genere e aggiornamento rispetto a gusti del pubblico ed evoluzione drammaturgico-morfologica.

Avviata nel decennio che segnerà il dilagare dell’opera buffa su scala internazionale, la carriera di Giuseppe Palomba si estende per sei decenni interi, configurandosi come una delle più longeve e feraci dell’intera storia dell’opera. S’arresterà infatti soltanto con L’ombra notturna, musica di Carlo Assenzio, in scena al Teatro Nuovo nell’inverno 1825, quando la sala sarà ormai centenaria. Se non è possibile allo stato azzardare il numero esatto dei lavori usciti dalla penna di Giuseppe Palomba, numero che potrebbe attestarsi attorno ai 150, l’autore stesso nel 1813 si ascriveva «dugento e nove libri».23 La produzione, che si concentra sui palcoscenici dei Fiorentini e del Nuovo condivisi con lo zio, cui si aggiunge il Teatro del Fondo, vive d’un ritmo frenetico tra il 1779 dell’inaugurazione del Teatro del Fondo e il 1816 della trasformazione istituzionale dello Stato in Regno delle Due Sicilie: quasi quattro decenni in cui raggiunge fino a otto titoli all’anno. Si riducono invece comprensibilmente a una manciata i drammi realizzati dall’anziano drammaturgo nell’ultimo decennio. Al pari dello zio, Giuseppe si concentrò sul versante comico, benché vadano segnalate alcune sparute ma notevoli eccezioni: due drammi sacri con parti in napoletano, L’apparizione di san Michele Arcangelo nel Monte Gargano e Il ravvedimento del figliuol prodigo, entrambi proposti al Teatro S. Carlino nelle Quaresime rispettivamente 1788 e 1790; il dramma serio Admeto, in scena al Fondo nella primavera 1794 con musica di Pietro Alessandro Guglielmi; i drammi “semiseri” Paolo e Virginia, che Pietro Carlo Guglielmi intonò ai Fiorentini nel carnevale 1816, ma si vide ancora al Teatro alla Scala nel 1830, e l’Adelaide ravveduta, 1807, quest’ultima rimasta plausibilmente nel cassetto per i rivolgimenti politico-istituzionali di quel frangente (Ferdinando IV era stato appena destituito da Giuseppe Bonaparte), ma trasmessa dalla partitura del dilettante marchese Pietro Cuffari custodita nella biblioteca di questo Conservatorio.24 Accanto alla tipologia dominante della commedia per musica, variamente denominata, due generi meritano senz’altro attenzione. Da un lato la farsa, di cui Napoli Signorelli indica come esempio particolarmente fortunato Lo scavamento (Fiorentini, 1810, musica di Silvestro Palma), al quale si potranno aggiungere Gli sposi per accidenti collocati a conclusione dei Finti nobili (Fiorentini, carnevale 1780, Cimarosa), titolo in cui compare un Robinsone, che anticipa nell’onomastica il più celebre Conte del Matrimonio segreto, e L’inganno felice (Fondo, inverno 1798, musica di Paisiello); dall’altro lato il genere, indicato come “melodramma” nella Poetessa errante (Nuovo, 1822, musica di Giuseppe Mosca), corrispondente a uno spettacolo misto di canto e prosa, influenzato dal

23 Cit. in PAMELA PARENTI, L’opera buffa a Napoli. Le commedie musicali di Giuseppe Palomba e i teatri napoletani (1765-1825), Roma, Artemide, 2009, p. 44. 24 I-Nc 64.120 olim 34.5.3. La partitura è disponibile online al link <http://www.internetculturale.it/jmms/iccuviewer/iccu.jsp?teca=MagTeca+-+ICCU&id=oai:www.internetculturale.sbn.it/Teca:20:NT0000:IT\\ICCU\\MSM\\0155067> (ultima consultazione 3 aprile 2021). Su questo titolo cfr. PAOLA DE SIMONE, Amore a dispetto e in gioco: fra ‘eros’ e ‘risus’, le tecniche del comico nei libretti di Giuseppe Palomba per i teatri di Napoli, in Commedia e musica al tramonto dell’Ancien Régime: Cimarosa, Paisiello e i maestri europei, a cura di Antonio Caroccia, Avellino, il Cimarosa, 2017, pp. 331-376: 349-376; alle pp. 356-376 ne viene pubblicato per intero il libretto.

teatro francese. A questo filone, cui Giuseppe dedicò molte energie nella fase declinante della carriera, si rifanno la già citata Adelaide ravveduta, L’audacia delusa (Fiorentini, 1813, Luigi Mosca: nella prefazione Palomba attribuisce alla ritardata composizione della musica la scelta di mantenere alcune sezioni in prosa), La diligenza a Joignì (Fiorentini, 1813, Giuseppe Mosca) e tutti e tre gli ultimi titoli di Palomba: la citata Poetessa errante, La caccia di Enrico IV (Fondo, 1822, Pietro Raimondi) e L’ombra notturna (1825), concepiti tutti per il grande buffo Carlo Casaccia (‘Casacciello’).25 Decisivo per la riuscita dei drammi di Giuseppe fu sicuramente, come già per quelli dello zio, l’apporto degli interpreti, in particolare dei bassi buffi al cui talento istrionico era regolarmente destinata almeno una parte in napoletano, ma anche di buffe di grande talento, come Anna Benvenuti e Celeste Coltellini. Se Antonio Palomba aveva collaborato strettamente con il leggendario Antonio Catalano perlomeno dalla Fedeltà odiata, ai Fiorentini con musica di Leo nella primavera 1744, nella quale scrisse per lui la parte di Nastasio, maestro di casa di Don Tristano, e se il Gioacchino Corrado di pergolesiana memoria era stato il protagonista, Valerio, dell’Errore amoroso, sempre di Antonio, che aveva segnato il debutto di Jommelli nel 1737,26 Giuseppe fu legato a filo doppio con una delle più cospicue dinastie attoriali napoletane, quella dei Casaccia (Giuseppe, Antonio e Carlo), né meno stretta fu la collaborazione con un quarto, formidabile basso buffo, Gennaro Luzio. Tre titoli, tutti sulle assi dei Fiorentini, saranno probabilmente sufficienti a indicare come questo tenace sodalizio accompagni e illustri l’intera carriera di Giuseppe Palomba: Il fanatico per gli antichi romani (primavera 1777, musica di Cimarosa), che vide insieme Giuseppe e Antonio Casaccia;27 Le

25 Su questo genere cfr. PAOLOGIOVANNI MAIONE, Pulcinella in musica nell’Ottocento napoletano, in Quante storie per Pulcinella / Combien d’histoires pour Polichinelle, a cura di Franco Carmelo Greco, Napoli, ESI, 1988, pp. 143-186; ID., L’opera buffa con Pulcinella in età borbonica, in Pulcinella: una maschera tra gli specchi, a cura di Franco Carmelo Greco, Napoli, ESI, 1990, pp. 391426; ID., La drammaturgia minore di Andrea Leone Tottola: recupero di una identità teatrale partenopea, in Festival Belliniano 1992, Catania, Teatro Bellini, 1992, pp. 51-63; ID., Adelaide e Comingio: vicissitudini di un’idea teatrale, in L’officina del teatro europeo, a cura di Alessandro Grilli e Anita Simon, 2 voll., Pisa, Edizioni Plus, 2001, II (Il teatro musicale), pp. 13-31; ARNOLD JACOBSHAGEN, The origins of the recitativi in prosa in Neapolitan opera, «Acta musicologica» LXXIV/2, 2002, pp. 107-128; MARCO MARICA, La prima versione dell’“Adelson e Salvini” e la tradizione napoletana dell’opera buffa ‘alla francese’, in Vincenzo Bellini nel secondo centenario della nascita, a cura di Graziella Seminara e Anna Tedesco, 2 tt., Firenze, Olschki, 2004, I, pp. 77-95 e PAMELA PARENTI, Un moderno ‘cliché’: la prosa nel teatro comico musicale a Napoli nel periodo francese del primo Ottocento, <https://www.italianisti.it/pubblicazioni/atti-di-congresso/moderno-e-modernita-la-letteratura-italiana/Parenti%20Pamela.pdf> (ultima consultazione 3 aprile 2021). 26 Edizione critica a cura di Paologiovanni Maione <http://www.operabuffaturchini.it/operabuffa/libretti/ErroreAmoroso-0.jsp> (consultato da ultimo il 5 aprile 2021). L’aria di Fiammetta «L’accorto uccellatore» (III.2) s’intrufola ancora nel Mondo alla roversa di Goldoni e Galuppi in scena a Barcellona nel 1752: cfr. MICHELE GEREMIA, Il mondo alla roversa o sia le donne che comandano di C. Goldoni - B. Galuppi: introduzione storica ed edizione critica, I Tradizione e fortuna dell’opera. diss. Università degli studi di Padova, XXVII ciclo, 2015, p. 56. 27 La collaborazione di quest’ultimo con Antonio Palomba era stata evidenziata già da Napoli Signorelli: lo storico attribuisce alla «verità inimitabile» del basso buffo il successo dello Sposo di tre e marito di nessuna: cfr. NAPOLI SIGNORELLI, Vicende della coltura cit., p. 326.

astuzie femminili (1794, Cimarosa), in cui il più giovane Carlo Casaccia, che aveva preso a collaborare con Palomba sin dalle Astuzie villane (Fiorentini, 1786, musica di P.A. Guglielmi), è affiancato dal collega Giovanni Codecasa; infine La gazzetta, in scena nell’autunno 1816 con musica di Gioachino Rossini, unica opera rossiniana a contemplare il dialetto per la parte chiave di Don Pomponio Storione, concepita per Carlo Casaccia in completa autonomia rispetto alla fonte del dramma.28 Quattro anni prima, nel 1812, Gennaro Luzio era stato il Capitan Marcantonio nei Vampiri (musica dell’allievo di Paisiello Silvestro Palma): il titolo, dal sapore romantico, non dovrà trarre in inganno, poiché l’intera faccenda, incentrata su un travestimento truffaldino, si mantiene nel collaudatissimo ambito comico, tenendosi alla larga dall’incipiente gusto nordico dell’orrido.

Assai più che non quella dello zio, la produzione di Palomba conobbe uno straordinario successo internazionale, oltre che in virtù della sua longevità, grazie soprattutto alle collaborazioni con Domenico Cimarosa e Giovanni Paisiello. A Cimarosa, conosciuto probabilmente nel 1775 per la riscrittura della Donna di tutti i caratteri dello zio, Giuseppe fornì ben undici drammi, tra cui Il fanatico per gli antichi romani e L’Armida immaginaria (Fiorentini, 1777), I finti nobili, che per terz’atto ha la farsa Li sposi per accidenti (Fiorentini, carnevale 1780),29 Il falegname (Fiorentini 1780; dal 15 luglio 1789 al 14 gennaio 1790 in scena a Vienna rivisto da Da Ponte e Salieri),30 La ballerina amante (Fiorentini, 1782) e Chi dell’altrui si veste presto si spoglia (Fiorentini, 1783). Nell’agosto 1794 Palomba trasse dalla farsa di Cimarosa Amor rende sagace (Vienna 1793, libretto di Giovanni Bertati) la commedia per musica in due atti Le astuzie femminili, che reimpiega una porzione consistente del testo e della musica originari. I due baroni di Rocca Azzurra, scritti per il Teatro Valle di Roma nel 1783, prima della revisione per Napoli (Teatro del Fondo, 1793) si guadagnarono l’attenzione di Wolfgang Amadé Mozart, che nell’agosto 1789 scrisse per una ripresa viennese l’aria sostitutiva «Alma grande e nobil core» K 578, destinata al soprano Louise Villeneuve, futura prima Dorabella di Così fan tutte, qui interprete della parte di Madama Laura. Cinque i drammi scritti da Palomba per Paisiello tra il 1785 e il 1798: La grotta di Trofonio (Fiorentini, autunno 1785), riscrittura del recentissimo dramma di Giambattista Casti e Antonio Salieri dato a Vienna,31 Le gare generose (Fiorentini, primavera 1786), L’amor contrastato, cioè La molinara (Fiorentini, autunno 1788), tra i capolavori di Paisiello, rimasto in scena fino al 1828, i fortunati Zingari in fiera (Fondo, 1789) e il già citato Inganno felice. Da quest’ultimo titolo Giuseppe Maria Foppa

28 Cfr. FABIO ROSSI, «Quel ch’è padre, non è padre…». Lingua e stile dei libretti rossiniani, Roma, Bonacci, 2005, p. 230 seg.; su questo titolo cfr. anche il recentissimo DANIELE CARNINI, Dall’‘età rossiniana’ all’‘età di Rossini’: La gazzetta (ovvero La conquista della kamčatka), «Il Saggiatore musicale» 27/2, 2020, in corso di stampa. 29 Edizione in PARENTI, L’opera buffa cit., pp. 155-176. 30 Cfr. OTTO MICHTNER, Das alte Burgtheater als Opernbühne, Wien, Verlag der österreichischen Akademie der Wissenschaften, 1970, p. 500. 31 Cfr. FRANCESCO BLANCHETTI, Avventure di Trofonio fra Salieri e Paisiello, in Antonio Salieri (1750-1825) e il teatro musicale a Vienna. Convenzioni, innovazioni, contaminazioni stilistiche, a cura di Rudolph Angermüller ed Elena Biggi Parodi, Lucca, LIM, 2012, pp. 273-302.

avrebbe tratto il libretto omonimo che un Rossini neppure ventenne avrebbe messo in scena nel carnevale 1812 al San Moisè di Venezia. Tre titoli isolati spiccano poi per il successo riscosso: innanzitutto La quakera spiritosa di Pietro Alessandro Guglielmi32 (Fiorentini, primavera 1783), di ambientazione nordamericana, come le già citate Gare generose, ispirate ad Amiti e Ontario di Raniero de’ Calzabigi;33 per una produzione a Eszterháza nel giugno 1787 Haydn, che tra il 1783 e il 1790 allestì sette opere su libretto di Palomba (quattro di Cimarosa, due di Paisiello e una di Guglielmi), scrisse l’aria sostitutiva «Vada adagio, signorina», Hob. XXIVb:12, mentre nel 1790 l’opera fu rimaneggiata a Vienna da Lorenzo Da Ponte con musica aggiuntiva di otto compositori, tra cui Paisiello, Cimarosa, Haydn e Mozart. Nel 1798 andarono invece in scena ai Fiorentini, con musica di Valentino Fioravanti, le metateatrali Cantatrici villane, che Napoleone vide a Schönbrunn nel 1809, Goethe allestì a Weimar nel 1813 e attraversarono l’Europa anche in traduzione francese, tedesca e russa. L’ultimo decennio di carriera del drammaturgo, plausibilmente già settantenne, si aprì nel segno della collaborazione con Rossini per la citata Gazzetta (1816), libretto che Palomba trasse dall’Avviso al pubblico di Gaetano Rossi per Giuseppe Mosca (1814), a sua volta basato sul Matrimonio per concorso di Goldoni (1763): un titolo, quest’ultimo, coevo agli esordi del commediografo napoletano. Sembra così realizzarsi una sorta di cortocircuito tra i Palomba, zio e nipote, e Goldoni, che dalla Maestra alla Gazzetta, passando attraverso i già citati titoli di Antonio e l’ugualmente goldoniana Locandiera di spirito di Giuseppe (Nuovo, autunno 1768, musica di Piccinni), si trasforma da imitatore a imitato. Tra i musicisti, infine, cui Giuseppe Palomba offrì i propri versi compare, insospettabilmente, anche l’autore della Fuga in maschera in scena al Teatro Nuovo nel carnevale 1800 con Carlo Casaccia nella parte di Nardullo: un Gaspare Spontini ancora per un biennio sul suolo patrio, prima di spiccare il volo per i trionfi europei.

Sin dalle prime fasi – lo testimonia l’ostilità manifestatagli da Luigi Serio, revisore regio delle opere teatrali: uno scontro risalente al gennaio 1785 per un dramma destinato al Nuovo è riferito da Croce34 – la produzione di Giuseppe Palomba è stata guardata con sospetto e sufficienza, se non con aperta avversione. A suo carico sono stati addebitati scarsa originalità, abuso di espedienti come i travestimenti, carenze nella concezione drammaturgica e nella versificazione, sia in lingua sia in dialetto, senza peraltro che gli siano stati accordati le attenuanti e i meriti generalmente riconosciuti allo zio. Inutile ricordare come Da Ponte non esitasse a includere il suo nome nell’elenco dei «ciabattini teatrali» che nulla gli avrebbero potuto insegnare.35 Una

32 Guglielmi, che già aveva intonato quattro titoli di Antonio, ne musicò tra il 1776 e il 1794 almeno 14 titoli di Giuseppe. 33 Cfr. PIERPAOLO POLZONETTI, Quacqueri pistoleri: rappresentazione del personaggio americano nell’opera buffa tra esoticismo e rivoluzione, in Le arti della scena e l’esotismo in età moderna, a cura di Francesco Cotticelli e Paologiovanni Maione, Napoli, Turchini Edizioni, 2006, pp. 365-579 e ID., Italian Opera in the Age of the American Revolution, Cambridge, Cambridge University Press, 2011. 34 BENEDETTO CROCE, I teatri di Napoli, Napoli, Pierro, 1891, p. 596. 35 LORENZO DA PONTE, Memorie, I, parte I, New York, Gray & Bunce, 1829, p. 24

valutazione oggi più distaccata ed equilibrata dovrebbe probabilmente tenere in maggior conto le qualità di Palomba nel modulare i propri testi rispetto alle condizioni date, la capacità di far risaltare le doti sceniche dei numerosi, eccellenti interpreti con cui collaborò tanto a lungo, offrendo al contempo a musicisti di più generazioni meccanismi buffi che si sarebbero rivelati infallibilmente efficaci. La padronanza del mestiere da parte di Palomba è ben esemplificata da un lavoro tardo come La gazzetta per Rossini, in cui fu necessario integrare ampie porzioni di pezzi musicali preesistenti, di cui Palomba seppe abilmente riprendere il testo originario.36 Lo studio della produzione drammatica dei Palomba è insomma una storia ancora tutta da scrivere. Se meritoria è la pubblicazione in edizione critica dei testi di Antonio Palomba a cura della Fondazione Pietà de’ Turchini nell’ambito del citato progetto “Opera Buffa. Napoli 17071750”, che ha attualmente al suo attivo 11 titoli,37 l’unico lavoro monografico, relativo peraltro al solo Giuseppe, è il libro di Pamela Parenti, cui andranno aggiunti i saggi che si occupano, spesso tangenzialmente, di testi singoli, che sono stati citati in nota.38 È altamente auspicabile che all’ampia e articolata produzione drammatica dei Palomba, che tanta fortuna ha incontrato sui palcoscenici d’Europa per un secolo intero, venga

36 Cfr. PHILIP GOSSETT –FABRIZIO SCIPIONI, Prefazione a GIUSEPPE PALOMBA –GIOACHINO ROSSINI, La gazzetta, ed. critica a cura di Philip Gossett e Fabrizio Scipioni, Pesaro, Fondazione Rossini, 2002, pp. XXI-LVI: XXVII. 37 <http://www.operabuffaturchini.it/operabuffa/indice_a.jsp> (Edizione critica a cura di Paologiovanni Maione <http://www.operabuffaturchini.it/operabuffa/libretti/ErroreAmoroso-0.jsp> (ultima 5 aprile 2021). 38 A quelli già citati si aggiungano STEFAN KUNZE, Per una descrizione tipologica della Introduzione nell’Opera buffa del Settecento e particolarmente nei Drammi giocosi di Carlo Goldoni e Baldassarre Galuppi, in Galuppiana 1985. Studi e ricerche, a cura di Maria Teresa Muraro e Franco Rossi, Firenze, Olschki, pp. 165-177: 175; GERARDO TOCCHINI, Libretti napoletani, libretti tosco-romani: nascita della commedia per musica goldoniana, in Studi musicali 26, 1997, pp. 377-415; MARY HUNTER, The Culture of Opera Buffa in Mozart’s Vienna, Princeton, Princeton University Press, 1999; PAOLO FABBRI, La farsa mutò in commedia: per una storia di «Le astuzie femminili», in Domenico Cimarosa: un ‘napoletano’ in Europa, a cura di Marta Columbro e Paologiovanni Maione, Lucca, LIM, 2004, pp. 211-224; ALFRED NOE, Geschichte der italienischen Literatur in Österreich, Teil 1: Von den Anfängen bis 1797, Wien, Böhlau, 2011; INGRID SCHRAFFL, Opera Buffa und Spielkultur. Eine spieltheoretische Untersuchung am Beispiel des venezianischen Repertoires des späten 18. Jahrhunderts, Wien, Böhlau, 2014, “Wiener Musikwissenschaftliche Beiträge” 25, che discute esempi da diversi libretti di Giuseppe Palomba, soprattutto con musica di Luigi Caruso; diversi saggi contenuti nel già citato Commedia e musica al tramonto dell’Ancien Régime, in particolare LORENZO MATTEI, «Con più lieti canti»: il coro nell’opera buffa, pp. 43-78, LUCIO TUFANO, La stagione operistica 1781-1782 al Teatro dei Fiorentini di Napoli: meccanismi gestionali e occasioni creativi, pp. 431-454, e FRANCESCA SELLER, La nuova organizzazione dell’opera buffa al Teatro de’ Fiorentini di Napoli (1813), pp. 455-476; PAOLOGIOVANNI MAIONE, Intermezzi al tramonto nella Napoli di Carlo?, in Entremets e Intermezzi: lo spettacolo nello spettacolo nel Rinascimento e nel Barocco, a cura di Gaetano Pitarresi, Reggio Calabria, Edizioni del Conservatorio di Musica “F. Cilea”, 2020, pp. 231-254. Per un compendio della bibliografia sui Palomba fino al 2014 mi permetto di rimandare alla mia voce Palomba, Antonio (la cui seconda parte è dedicata a Giuseppe Palomba) nel Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2014, LXXX, pp. 627-631, consultabile anche in rete al link <https://www.treccani.it/enciclopedia/antonio-palomba_>(DizionarioBiografico, ultima consultazione 28 marzo 2021).

riservata un’attenzione che superi la sufficienza con cui questa è stata storicamente considerata, così da mettere a frutto gli accurati strumenti analitici elaborati negli scorsi decenni dagli studi sulla librettistica. Il campo è vasto, più che sufficiente per molti ricercatori. D’altra parte, se «Nel cor più non mi sento»39 ha saputo ispirare Paisiello, e tramite lui Beethoven, Paganini (ma anche Vanhal, Sor, Giuliani, Legnani, Bottesini e gli altri), trasformandosi in un vero e proprio tormentone che ha attraversato i decenni, un qualche merito andrà pur attribuito ai versi, come questi, di Giuseppe Palomba:

Mi stuzzichi, mi mastichi, mi pungichi, mi pizzichi. Che cosa è questa, ohimè?

Se riferiamo quest’ultima domanda alla poesia drammatica di Antonio e Giuseppe Palomba, è auspicabile che un’indagine seria e approfondita possa, in un futuro non troppo lontano, offrire risposte utili ad apprezzare un fenomeno storico che, con le sue luci e le sue ombre, resta di indubbio rilievo e interesse.

39 Tratta notoriamente dall’Amor contrastato (La molinara, Fiorentini, autunno 1788), la “canzonetta” compariva, trapiantata di peso, già nell’Impostore punito (II.7) con musica di Pietro Alessandro Guglielmi, nella primavera 1789 al Teatro Zagnoni di Bologna; il libretto della princeps è disponibile online al link <https://www.google.it/books/edition/L_impostore_punito_dramma_giocoso_per_mu/V7oXSkPHOggC?hl=it&gbpv=1&dq=%22impostore+punito%22&pg=PP1&printsec=frontcover> (ultima consultazione 3 aprile 2021). Della persistente vitalità della Molinara, anche presso le generazioni di interpreti più giovani, è testimone la recente produzione, fresca, brillante ed elegante, registrata in lingua lettone il 24 aprile 2019 all’Operastudio “Figaro” dell’Accademia Lettone di Musica presso la Sala Grande della Società Lettone di Riga e disponibile al link <https://www.youtube.com/watch?v=jnK2yFUqlcc> (ultima consultazione 3 aprile 2021).

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