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Copisti ‘creativi’: note sul sistema di tradizione dei melodrammi nella Venezia di metà 700
Giovanni Polin
COPISTI ‘CREATIVI’: NOTE SUL SISTEMA DI TRADIZIONE DEI MELODRAMMI NELLA VENEZIA DI METÀ 700
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Intorno agli anni Cinquanta del secolo dei lumi Venezia era ancora uno dei principali centri non solo di produzione ma anche di disseminazione dell’opera in musica (in special modo di quella di genere comico) in Italia e, per certi versi, in Europa. Come è risaputo, nella città lagunare si formavano e da lì partivano molte compagnie itineranti per battere le piazze teatrali di buona parte dell’Italia settentrionale, ma non solo: nella capitale della Serenissima molti impresari e collezionisti acquisivano partiture parziali e o complete del repertorio colà inscenato in vista di futuri riallestimenti, dell’incremento delle proprie raccolte o per farne altri usi (performance domestiche di pezzi staccati, acquisizione di testi base da adoperare per costruire parodie sacre o profane ecc.). Non è sempre agevole oggi comprendere nel dettaglio sulla base di quali regole non scritte, ma più o meno tacitamente accettate, si fondasse la trasmissione di un testo musicale melodrammatico (e non solo) a quest’altezza cronologica in quest’area geografica e, soprattutto, quali limiti avessero (o non avessero) questa sorte di norme che paiono frutto di un diritto consuetudinario, pare, piuttosto diffusamente condiviso.
Per comprendere dunque meglio modi e ragioni di questo fenomeno storico è necessario, a mio avviso, definire, seppure in modo sommario e sintetico, alcuni dati fondamentali del suo manifestarsi. Ho raccolto nella modesta e limitata epitome fornita della Tabella 1 un quadro di massima, che non pretendo certo esaustivo, in cui cerco di dare un’immagine, spero non troppo semplificatoria, di quelli che erano i principali operatori professionali impegnati nella non sempre lucrosa attività della trasmissione e diffusione dei testi musicali attraverso copie manoscritte, delle loro modalità operative (e delle conseguenze del loro agire) in un’area geografica (quella veneta) ed in un momento storico (i decenni a intorno alla metà del XVIII secolo) in cui l’editoria musicale locale svolgeva ancora un ruolo relativamente marginale (almeno per il repertorio operistico e quello sacro).
Vorrei sottolineare subito un dato che salta agli occhi evidente da questa tabella: l’importanza, in apparenza, piuttosto scarsa degli autori di versi e note nella diffusione del testo da loro creato in questo contesto socio-economico prima ancora che culturale. La cosa, vista con occhi moderni, potrebbe stupire, in realtà la funzione di questi operatori (gli «autori» di parole e note di un melodramma) si esauriva dopo il primo allestimento scenico, a meno che il compositore (e o il poeta) non svolgessero pure un ruolo produttivo di carattere impresariale, o che, casualmente in contatto con la compagnia che riallestiva un lavoro, non dovessero intervenire per introdurre modifiche nel testo princeps per adattarlo a nuove esigenze (un fatto attestato un certo numero di volte, ma non così comune). Ribadisco questi concetti, che ormai paiono attestati da un numero altissimo di casi e, in realtà, potrebbero darsi come dati oramai acquisti e ben assodati da decenni di studi storici, economici e filologici sul funzionamento del
sistema produttivo operistico spettacolare settecentesco italiano (in particolare a Venezia) perché sporadicamente alcuni studiosi, specie in voci di carattere biografico inserite anche in autorevoli lessici, utilizzano in modo deterministico riprese di drammi per musica di un certo maestro per congetturare, senza fondamento, spostamenti e viaggi di compositori al seguito delle loro opere: dovrebbe essere ormai noto che le partiture si spostavano al seguito di impresari come molte arie seguivano vari cantanti e, ben più di rado, assieme ai compositori. Certo non mancano i casi in cui il creatore della musica di un’opera, trovato un impiego fisso o temporaneo in un luogo (corte o teatro che sia), riutilizza in toto o in parte lavori che ha nel proprio baule ma si tratta sempre di situazioni relativamente poco comuni: per fare un esempio nella tradizione di un’opera buffa come Il filosofo di campagna di Goldoni / Galuppi che poté vantare ben oltre cinquanta riallestimenti nell’arco di oltre una ventina d’anni, solo due o al massimo tre di questi sono in qualche modo riconducibili (e nemmeno in modo del tutto sicuro) agli autori del testo princeps.
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A Venezia i copisti professionali, oltre a vendere a collezionisti privati, lavorano anche per istituzioni di ecclesiastiche e di carità quando non siano in grado provvedere da loro stesse, ma soprattutto hanno per clienti gli operatori impegnati nelle varie produzioni operistiche. I teatri della Serenissima a quest’altezza cronologica non sono istituzioni e ben di rado vengono finanziati da soggetti forti che ne possano influenzare la programmazione in senso politico. Essi sono sale di proprietà privata locate a impresari e o gruppi di operatori in associazione temporanea (le cosiddette compagnie a caratto).2 Dopo che nel 1752 a Venezia venne introdotto l’obbligo di versare una cospicua cauzione preventiva3 per avere l’autorizzazione a mettere in piedi una stagione teatrale operistica entrò in campo una nuova figura, estranea al mondo degli operatori artistici, che sovente pretendeva di avere un peso diretto nella gestione amministrativa e artistica
1 GIOVANNI POLIN, Tradizione e recezione di un’opera comica di metà ’700: viaggi, trasformazioni e fortuna del Filosofo di campagna di Goldoni / Galuppi nel XVIII secolo, Tesi di dottorato in Musicologia, Università di Bologna a. a. 1994-1995. 2 Secondo la tradizione commerciale internazionale, «carato» o «caratto» era la ventiquattresima parte di proprietà di una nave mercantile, detta anche «caratura», divisibile anche in frazioni di «carato»; quindi per estensione era sinonimo di quota di partecipazione al capitale di una società. Per Giuseppe Boerio (Dizionario del dialetto veneziano, Venezia, Cecchini, 1829, p. 102) «carato» è definito «quella porzione che i mercanti metton per corpo della compagnia e vale contingente [...]. Pagar a carato: pagare a ragguaglio o a proporzione in corrispondenza della quantità e dell’obbligo di cadauno». A Venezia nelle compagnie operistiche a carato si dividevano gli utili della stagione (se ve n’erano), detratte le uscite, in ragione della proporzione della quota versata a copertura delle spese sostenute costituendo la società. 3 Visto il consistente numero di cause per insolvenza che venivano a crearsi durante e dopo le stagioni operistiche, a Venezia nel 1753 venne emanato un dispositivo giuridico che rendeva obbligatorio, per chi volesse esercitare l’impresariato teatrale, versare un deposito cauzionale vincolato prima di 3000 poi di 4000 ducati (pari a 32.000) per poter onorare in ogni caso i contratti degli operatori ingaggiati. Cfr. I-Vas, Consiglio dei X. Comune reg. 203 cc. 261-262 e Consiglio dei X. Comune, filza 1061 in data 21 gennaio 1754 more veneto. Al riguardo cfr. le considerazioni di NICOLA MANGINI, I teatri di Venezia, Milano, Mursia, 1974, pp. 96-97. 34
delle produzioni melodrammatiche: il pieggio. Si tratta in pratica di un garante finanziario, un fideiussore, che depositava presso il Consiglio dei X la somma posta a copertura in solido di eventuali dissesti delle imprese teatrali. Le azioni del pieggio si esplicavano molto sovente attraverso scritture extragiudiziali poste in essere per tentare di ovviare a situazioni critiche organizzative che potessero compromettere il ritorno delle somme date a garanzia al termine della stagione teatrale. Insomma questa figura aveva tutto l’interesse a far sì che incontrassero successo le opere inscenate dalle compagnie di cui era fatto mallevadore e per ottenere ciò non lesinava sforzi. In tal senso vanno letti, ad esempio, i contatti del conte Sarègo per poter avere Galuppi come maestro in determinate stagioni alla fine degli anni ‘50 e altre scritture di cui mi sono occupato in un’altra occasione.4 Poco si è indagato finora sulla fondamentale figura del pieggio, confondendola spesso con quella dell’impresario (che aveva invece un ruolo di gestione diretta della produzione).
Un esempio di come poteva funzionare il sistema di trasmissione e diffusione più comune dei testi melodrammatici anche al di fuori di Venezia (e che in pratica si replicava ogni qualvolta un lavoro entrava in possesso di un nuovo atelier di copisteria) si può evincere da alcune righe5 di un copista, probabilmente bolognese,6 Pietro Martelli, inserite in una antologia manoscritta di brani di Arcifanfano re de’ matti di Goldoni / Galuppi oggi in I-MC.
Da questa particolare testimonianza si evince che in quel momento storico e in quella situazione commerciale:
• il copista acquistava gli antigrafi dei pezzi che poi procacciava ai propri clienti dal signor Baglioni, verosimilmente il cantante e impresario
Francesco Baglioni, noto come commerciante di partiture per altri teatri come quello di Torino;7
4 «Per la dovuta esecuzione della scrittura li patti tutti stabiliti alla buona direzione e vantaggio dell’impresa». Due storie esemplari su tempi e modi della creatività (Venezia 1759 e 1762), in Attraversamenti. Studi sul teatro e i generi para-teatrali fra Sette e Novecento, a cura di Elena Randi, Padova, CLEUP, 2012, pp. 15-26. 5 Vedi Appendice A. Nota del copista bolognese Pietro Martelli inserita in un’antologia di pezzi staccati tratti da Arcifanfano re de’ matti di Baldassarre Galuppi, ms. I-MC 126 G 20 (databile ai primi anni ’60). Il documento era stato reso noto in ROBERTO SCOCCIMARRO, L’«Arcifanfano re dei matti» di Goldoni-Galuppi: una fonte musicale sconosciuta, «Nuova rivista musicale italiana», XL/4 (2006), pp. 417-448: 418. 6 Un certo Pietro Martelli che esercitava l’attività di copista e mediatore in Bologna viene citato in una scrittura extragiudiziale del notaio veneziano Marcantonio Cavagnis del 16 novembre 1759. In essa Martelli aveva svolto a Bologna il ruolo di intermediario per la redazione di una scrittura del cantante Felice Novelli in vista di un suo impegno nella successiva stagione di carnevale da tenersi presso il teatro di Pesaro. I-Vas Notarile Atti, Busta 4290, c. 556 r. 7 Cantanti come Francesco Baglioni sono attestati come rivenditori di copie di partiture da documenti relativi agli allestimenti torinesi di varie opere buffe negli anni ’50 del Settecento (cfr. I-Tac collezione IX [Conti della Società de’ Cavalieri] vol. 39 passim) ed esercitavano sovente tale attività, per così dire, integrativa dei loro guadagni, certo anche in altre piazze teatrali come Roma o Firenze (cfr. GIANNI CICALI, Attori e ruoli nell’opera buffa del Settecento, Firenze, Le Lettere, 2005, p. 111).
• il repertorio disseminato era quello delle opere comiche inscenate a
Venezia tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60; • il testo che veniva diffuso era selezionato in base alle richieste e alle disponibilità, motivo per cui di un’opera comica si potevano vendere più facilmente i pezzi buffi e i concertati (la parte meno variabile probabilmente nella tradizione di testi di questo tipo a quest’epoca) e era invece problematico smerciare i brani delle parti serie (che subivano una maggiore variabilità durante le diverse riprese di un titolo).
In questo quadro non sembra scorretto considerare le botteghe di copisteria come imprese che vendono un bene di cui detengono il possesso (seppur in modo non assoluto, giacché in qualche modo limitato alla città dove agiscono tali atelier) in un mercato non amplissimo ma, evidentemente, tanto vivace da poter consentire di ricavare profitti tali da far prosperare queste attività. A Venezia piccole aziende come, ad esempio, quelle di Pietro Mauro, Francesco Trogian o Iseppo Baldan, che impiegavano un ridotto numero di dipendenti, producevano codici manoscritti musicali, talora in confezioni lussuose, ed erano del tutto svincolate da tutti i limiti legali e di controllo cui era sottoposta l’attività editoriale dove erano impiegati i torchi per la stampa. Appare evidente che era considerato un dato acquisito dal diritto consuetudinario che fossero queste microimprese e non gli autori dei testi a poter ricavare un lucro dal commercio e dalla diffusione tramite copie, parziali o totali di melodrammi (e anche di musica di altro genere). A conferma di questo stato di cose vorrei citare una scrittura extragiudiziale8 del 21 novembre 1774, ma il cui contenuto riflette, secondo me, di certo una pratica di accordi legali in auge da decenni nella città lagunare. Essa è rivolta dal ben noto copista Giuseppe Baldan a Ferdinando Cerri, all’epoca impresario dei teatri di S. Samuele e S. Moisè per le stagioni d’autunno e del successivo carnevale. Da questo documento possiamo facilmente desumere che vi fosse stato un preventivo accordo sull’esclusività dei diritti di copia e diffusione della partitura e che questi fossero detenuti da Baldan. In questa scrittura difatti il copista, dopo aver ribadito che aveva accettato di essere remunerato sulla scorta «dell’incontro incerto» delle opere inscenate, avvisava preventivamente Cerri che lo riteneva responsabile di eventuali danni di mancato guadagno che potessero derivare dal fatto che altri (in special modo degli orchestrali) e non lui potessero trarre copie intere o parziali, manoscritte o a stampa della musica dei melodrammi che sarebbero stati rappresentati in quei due teatri9 e lo invitava a vigilare perché ciò non avesse luogo. Presupposto implicito delle richieste di
8 I-Vas, Notarile Atti, Busta 4298, carta 1222 verso. Il complesso testo dell’atto è trascritto nell’Appendice C. 9 Secondo un anonimo, ma preziosissimo, testimone coevo, ossia il compilatore della Continuazione aggiunta esattissima al Catalogo stampato delli drammi musicali in seguito a quello stampato alla stagione dell’inverno della primavera dell’anno 1745 sino all’autunno dell’anno 1782, ms. an. sec. XVIII (1745-1792), I-Mb Racc. dramm. 5669, che si distingue per la estrema cura riguardo alla calendarizzazione degli spettacoli al S. Moisè andarono in scena: Il conte Baccellone (C. Goldoni e ? G.Rust), Il marito che non ha moglie (G. Bertati – G. Astaritta), L’amor bizzarro o sia la gelosia di 36
Baldan è il suo diritto esclusivo al ricavare lucro dalla musica che gli viene data da copiare. Per comprendere il motivo dei timori alla base della scrittura inviata da Baldan bisogna pure tenere conto del fatto che Luigi Marescalchi, il noto impresario ed editore di musica, era da poco attivo a Venezia e, oltre ad avere composto la musica per i balli del dramma giocoso Il tutore ingannato dato al S. Samuele nel carnevale 1774, a partire dal 1773 aveva cominciato a pubblicare a stampa tutta una serie di pezzi staccati di drammi seri e buffi dati a Venezia in quegli anni,10 arrivando nell’ascensione del 1775 a far imprimere, fatto straordinario per l’epoca, tutti i pezzi chiusi del Rinaldo di Antonio Tozzi inscenato al S. Salvatore.
Insomma una volta che le partiture entrano nelle copisterie esse sono di fatto e, implicitamente, de iure nella loro disponibilità. I titolari degli atelier ne possono far produrre copie totali o parziali, lussuose11 o portatili,12 e ne detengono in buona sostanza
sé stessa (G. Bertati – G. Rust), Il mondo della luna (C. Goldoni e F. Livigni – G. Astaritta); al S. Samuele: Il geloso in cimento (G. Bertati – P. Anfossi), La frascatana (F. Livigni – G. Paisello), La contadina incivilita (F. Livigni – P. Anfossi), La discordia fortunata (C. Mazzolà – G. Paisiello). 10 Ne sono esempio tutti questi brani impressi da Marescalchi, presenti nei database RISM e SBN, ossia la sinfonia, i rondò «Chi manca di fede», «Se mai vedi il mio tesoro, «Sospiri del cor mio», «La sposa, l’amante», e il duetto «Prendi la destra in pegno» del Solimano di Naumann dato nel teatro di S.Benedetto nel carnevale del 1773; le arie «Pensa la duol d’un padre amante», «Contro il destin che freme», il duetto «Non temer, non son più amante» e il rondò «Negli Elisi ombra adorata» nell’Antigono di Anfossi rappresentato nella ascensione del 1773 al S. Benedetto; il recitativo con aria «Empia mano» dal Ricimero di Giovanni Battista Borghi inscenato l’autunno del 1773 al S. Benedetto; la cavatina «La donna a bella rosa si asomiglia» dalla Villanella incostante di Naumann data al S. Moisè nell’autunno del 1773, il rondò «Ah non sai che l’idol mio» e il duetino «Questo amplesso» dal Lucio Silla di Anfossi dato nel teatro di S. Samuele l’ascensione del 1774, una partitura che sappiamo era nella disponibilità della bottega di Baldan come si evince dal ms. in D-Mbs (Mus. ms. 523) vergato con ogni evidenza nel suo atelier, come si evince, tra l’altro, dal caratteristico frontespizio. Cfr. http://daten.digitale-sammlungen.de/~db/0003/bsb00035716/images/ (ultima consultazione 16 giugno 2022). Su Marescalchi cfr. SILVIA GADDINI, s. v. Marescalchi, Luigi in Dizionario Biografico degli Italiani, LXX, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana 2008, pp. 62-65. 11 Se ne può vedere online uno straordinario esempio nella sfarzosa copia della partitura di Idaspe di Riccardo Broschi rappresentata nel carnevale 1730 a Venezia presso il teatro di S. Giovani Grisostomo e redatta da una copisteria veneziana ora in A-Wn (Mus.Hs.18281) cfr. http://archiv.onb.ac.at:1801/view/action/nmets.do?DOCCHOICE=2997982.xml&dvs=1470134015379~344&locale=it_IT&search_terms=&adjacency=&VIEWER_URL=/view/action/nmets.do?&DELIVERY_RULE_ID=1&divType=&usePid1=true&usePid2=true (ultima consultazione 16 giugno 2022). 12 Si vedano ad esempio partiture prodotte da botteghe di copisteria romane come quella di NICCOLÒ JOMMELLI, Achille in Sciro in I-Mc Noseda H.55.1-2 con misure di cm 17 x 23,5, o di GIUSEPPE SELLITTO, Orazio in I-Vnm cod. It. IV, 254-256 (=9825-9827) con misure di cm 16 x 22 visibile in http://www.internetculturale.it/jmms/iccuviewer/iccu.jsp?id=oai%3A193.206.197.121%3A18%3AVE0049%3AARM0003335&mode=all&t eca=marciana (ultima consultazione 16 giugno 2022), o come quella di VINCENZO CIAMPI, Amore in caricatura in DK-Kk mu 683.713 con misure di cm 18 x 25,5 visibile in http://img.kb.dk/ma/umus/ciampi_amore_2-m.pdf (ultima consultazione 16 giugno 2022) e di GAETANO LATILLA, Amore artigiano in DK-K mu 6410.0832 con misure di cm 18,7 x 25,5, visibile in http://img.kb.dk/ma/umus/lattilla_amore_1-m.pdf (ultima consultazione 16 giugno 2022), prodotte 37
il diritto di diffusione in esclusiva (almeno nella loro città). Ai soggetti che gestiscono queste attività si rivolge chi voglia acquisire una partitura completa e o una o più arie ma anche perfino i recitativi di un’opera. Lo testimonia una curiosa lettera13 del nove novembre 1748 in cui il copista veneziano Iseppo Baldan, scusandosi per il ritardo col committente, il direttore degli spettacoli del teatro di Milano, dichiara implicitamente di avere fornito copia dei recitativi del Demetrio di Hasse dato a Venezia l’anno prima. Si può congetturare che questa fornitura fosse avvenuta su richiesta del maestro Pietro Pulli, per completate la partitura che egli stava componendo sui medesimi versi metastasiani al fine di metterla in scena nel carnevale 1749 al Ducale di Milano. Forse il compositore era in ritardo e i recitativi erano una delle prima cose che dovevano essere consegnate da un maestro per avviare le prove della messinscena di un dramma per musica in quanto erano la parte più lunga da memorizzare e, a onta dei molti luoghi comuni che affliggono a tutt’oggi l’opera italiana del ’700, andavano appunto recitati e quindi dovevano essere studiati con cura, anche se il successo dello spettacolo veniva decretato indubbiamente dalla fascinazione esercitata dai pezzi chiusi. Lo testimonia pure una lettera di qualche decennio prima di Hasse,14 che ben conferma questa pratica. Per farla breve nel 1748 a Milano si pensò dunque di ricorrere ai recitativi, nuovi comunque per il teatro ducale, del Demetrio musicato dal Sassone facendoseli inviare, ovviamente a pagamento, dal copista che aveva evidentemente preparato le parti per le rappresentazioni veneziane del lavoro di Hasse nel carnevale 1747 al San Giovanni Grisostomo. In realtà, come sappiamo dal bilancio del 1749 del teatro,15 i recitativi inviati da Baldan non vennero utilizzati (forse perché inadatti o forse perché giunti troppo tardi) e venne incaricato di scriverli Giuseppe Torti, che per questo lavoro venne compensato con 225 £ (Pulli ne prese solo 1500 per il resto dell’opera come Galuppi nel carnevale 1748, quando si assentò per oltre 30 delle 55 recite dell’Olimpiade).
I copisti potevano poi vendere partiture a cantanti che le acquistavano su richiesta di società di gestione dei teatri: lo fecero, per conto della società dei cavalieri che gover-
entrambe dall’atelier di copisteria veneziana di Pietro Mauro. Sulla valutazione critica delle prime due fonti cfr. GIOVANNI POLIN, Per una recensio dell’Olimpiade. Una prima indagine sui ms. completi, «Studi Pergolesiani – Pergolesi Studies», VII (2012), pp. 127-177 (con 5 tabelle e l’appendice I copisti dell’Olimpiade di Pergolesi. Immagini di esempio e ipotesi di apparentamento con mss. coevi in CD ROM allegato); sulle ultime due fonti citate cfr. GIOVANNI POLIN, From Venice to Copenhagen: Sarti’s rewrite of L’ amore artigiano by Goldoni and Latilla in 1762, in Giuseppe Sarti –Individual Style, Aesthetical Position, Dissemination and Reception of His Works, a cura di Christin Heitmann, Dörte Schmidt e Christine Siegert, Schliengen, Edition Argus, 2019 pp. 84-103. 13 Il documento è trascritto nell’Appendice B. 14 In una lettera del 29 marzo 1733 al conte Pepoli il Sassone scriveva, relativamente ad una prossima opera da inscenare a Bologna: «Eccellenza, conforme scrissi l’ordinario passato, mi do l’honore di inviare all’eccellenza vostra le parti de’ recitativi dell’atto primo, acciocché i virtuosi non perdano punto di tempo». La fonte, conservata in I-Bas (Carteggi, Lettere al conte Sicinio Pepoli) è stata pubblicata da Raffaele Mellace, che ringrazio per la cortese segnalazione, in RAFFAELE MELLACE, Johann Adolf Hasse, Palermo, L’Epos, 2004, p. 109. 15 I-Mas, Spettacoli pubblici. Parte antica, busta 30-31. 38
nava il Carignano di Torino, i buffi Giovanni Leonardi e Andrea Masnò, Giacomo Caldinelli e, come dicevo prima, Francesco Baglioni rispettivamente nel 1753, 1755, 1759 e 1760.16
Ma quali erano e come erano organizzate le botteghe di copisteria a Venezia a metà ’700, dopo l’era vivaldiana? E quali di loro riscossero maggior successo?
Una risposta alla prima domanda ci viene, oltre che da quanto relato sinteticamente da Sylvie Mamy17 e dal bel saggio di Michey White e Michale Talbot su Pietro Mauro,18 anche e soprattutto dalle carte di un processo intentato a Venezia dagli Esecutori contro la Bestemmia tra il dicembre 1754 e il febbraio 1755 le cui vicende sono state accuratamente narrate circa vent’anni fa da Gaetano Cozzi19. Riassumo qui in breve le informazioni che ci interessano. Baldan, che oltre ad essere un copista era anche un prete, venne accusato di avere ingravidato la propria domestica Angela Magnifico e di averla aiutata a partorire indossando una maschera per non farsi riconoscere, per poi affidare l’infante alle opere di carità. Al di là del fatto che Baldan venne assolto (nonostante l’accusa fosse stata provata da evidenti elementi testimoniali) e che la denuncia probabilmente fosse stata posta in essere da un copista concorrente (don Andrea Noal) che si riteneva professionalmente danneggiato da Baldan perché, Andrea Corner, probabilmente pieggio del teatro di S. Moisé per l’autunno 1754, aveva fatto in modo che gli fosse affidata la copiatura delle opere di quella sala, è interessante che in occasione di questo processo vennero chiamati a deporre in qualità di persone informate sui fatti, tutta una serie di copisti e si viene a sapere come e dove essi fossero impiegati. Dagli atti giudiziari si evince dunque che:
a) per Baldan lavoravano i copisti Carlo Vivaldi, Orazio Stabili, Pietro Maschietto,
Daniel Mauro e Zuanne Francesco Borromeo; b) era attivo come copista Francesco Trogian (con cui lavorava il figlio Momolo, diminutivo di Gerolamo) e presso di lui era prima impiegato lo stesso Baldan; c) attivi erano anche i copisti Zuanne Francolin, Pietro Laganà e Antonio Pavini poi emigrato in Germania.
Da questi dati è facile desumere che in questi laboratori fossero impiegati, oltre al titolare, anche diversi altri copisti e si capisce bene quindi come nelle partiture prodotte in
16 Cfr. MARIE THÉRESE BOUQUET, Storia del Teatro Regio di Torino. Il teatro di corte dalle origini al 1788, Torino, Fondazione CRT, 1976, p. 291-292 e I-Tac, Conti della Società dei Cavalieri, Collezione IX, vol. 30 (p. 22), vol. 31 (p. 18) e vol 39 (pp. 41 e 71). 17 SYLVIE MAMY, La musique à Venise et l’imaginaire français des Lumières, d’après les sources vénitiennes conservées à la Bibliothèque nationale de France, Paris, Éditions de la Bibliothèque Nationale de France, 1996, pp. 95-101. 18 MICHEY WHITE - MICHALE TALBOT, Pietro Mauro, detto ‘il Vivaldi’: Failed Tenor, Failed Impresario, Failed Husband, Acclaimed Copyist, in Vivaldi, Motezuma and the Opera Seria. Essays on a Newly Discovered Work and its Background, a cura di Michael Talbot, Turnhout, Brepols, 2008, pp. 37-61. 19 GAETANO COZZI, Una disavventura di pre Iseppo Baldan, copista del Galuppi in Galuppiana 1985. Studi e ricerche, a cura di Maria Teresa Muraro e Franco Rossi, Firenze, Olschki, 1986, pp. 127-131. 39
tali atelier siano riscontrabili financo quattro o cinque mani di scrittura nel medesimo lavoro.
Non abbiamo certezze sul numero di botteghe di copisteria presenti a metà ’700 nella città lagunare, sappiamo solo per certo che erano attivi i laboratori di Andrea Noal, Iseppo Baldan, Pietro Mauro e Francesco Trogian. Da quasi tutti questi atelier ci sono giunte varie partiture firmate sicuramente riconducili a loro e utili per attribuire con certezza anche la paternità delle mani di numerosi testimoni attraverso confronti di apparentamento condotti tenendo conto anche della tipologia di carta impiegata, individuata attraverso l’ovvio esame delle filigrane e con il confronto delle misure delle impronte rastrografiche. Qualche esempio di quest’epoca: dall’attività di Pietro Mauro proviene una copia della Diavolessa di Galuppi in I-MOe (Mus F 438) firmata nel frontespizio «Pietro Mauro copista di musica al ponte del Lovo Venezia 1756»; da quella di Trogian un codice dell’Amante di tutte di Baldassare Galuppi in D-W (cod. Guelf. 68 Mus.) che a c. 33 e 39 riporta «io Gerolamo Trogian Copista di musica al guerier in frezaria a. S. Marcho Venezia». Numerossime le partiture riconducibili a Baldan, con l’indicazione «Don Giuseppe Baldan copista al ponte di S. Giovanni Grisostomo» o «copista a S. Giovanni Grisostomo» sparse per le biblioteche di mezzo mondo, solo qualche esempio scelto a caso: B. Galuppi, Il mondo alla roversa B-Bc (2089); B. Galuppi, Il filosofo di campagna in F-Pn (X 776); T. Traetta Buovo d’Antona in A-Wn (Mus. Hs. 17858); I. Fiorillo, Vologeso in D-Wa (46 Alt 459-461); F. Gassman, Gli uccellatori in E-Mp (Mus. Mss 342-343); A. Boroni, La notte critica in DRtt (Boroni 4); F. Bertoni, La bella Girometta in P-La (44 II 49); G. Paisiello, La Frascatana in I-Rsc (G.Mss.142-143); B. Galuppi, Il sagrifizio di Jephte in US-SFsc (*M2.1 M141), G. M. Clari, Duetti in US-Wc (M1529.A2 C59); P. Anfossi, Rondò «Negli Elisi ombra adorata» da Antigono in I-MC (1-A-9/6c); ecc.
Un esame codicologico anche sommario delle partiture prodotte in questi laboratori non lascia dubbi sul fatto che esse fossero sovente realizzate grazie ad una collaborazione che potremmo quasi definire di tipo fordista da più mani, che si dividevano con razionalità i vari fascicoli da vergare. Che questi manoscritti fossero il risultato di una serie di assemblaggi modulari delle diverse unità fascicolari corrispondenti alle strutture musicali chiuse che, poste in sequenza costituivano le opere, un dato ben noto da decenni, non fa altro che facilitare questo tipo di strutturazione dei codici musicali. Ne abbiamo un perfetto esempio in un testimone del Mondo della luna di Galuppi oggi in I-BRc (Soncini 57 1 A 4-6) in cui abbiamo una mano che copia solo la sinfonia iniziale e i concertati, altre che trascrivono solo alcune arie e altre che sono responsabili dei recitativi e di altri pezzi chiusi20 tutte usando carta simile.
Il vero marchio di fabbrica delle copisterie, non solo a Venezia, era costituito dal frontespizio che rendeva subito riconoscibile la provenienza di un codice.21 Dopo il
20 Per una dettagliata descrizione del codice http://www.variantiallopera.it/public/schede/scheda/id/1 (ultima consultazione 16 giugno 2022). Sulla tradizione del titolo vedi GIOVANNI POLIN, Il mondo della luna di Goldoni-Galuppi: uno studio sulla tradizione settecentesca, «Fonti musicali italiane», XIII (2008), pp. 39-92. 21 Vedi le Tavole 1 e 2a e 2b, relative a frontespizi prodotti da Pietro Mauro e Giuseppe Baldan. 40
frontespizio potevano poi comparire un numero variabile di mani nel corso dell’opera e il titolare della bottega poteva esserci o meno. Attenzione: vista la mobilità dei dipendenti poteva benissimo accadere che uno stesso copista avesse collaborato in tempi diversi con più atelier, il che, in mancanza di indizi espliciti come il nome per esteso della copisteria, dovrà sempre rendere prudente l’ascrivere una fonte alla produzione di una determinata bottega, consigliando in tal caso una più generica, ma sicura, semplice attribuzione geografica della provenienza del codice preso in esame.
Venendo ora alla risposta sul successo e sul peso commerciale di queste botteghe di copisteria, bisogna dire che è difficile dare una valutazione oggettiva sulla scorta dei dati in nostro possesso. In apparenza possiamo rilevare senz’altro l’enorme diffusione paneuropea delle partiture create nell’atelier di Baldan, ma oltre a ciò resta difficile andare. Va secondo me invece ridimensionata l’opinione di Talbot e White sul successo dell’attività di Pietro Mauro. Il fatto che questi vendesse i suoi prodotti anche al re di Svezia pare la base per constatare la fama di Mauro e deriva da una notizia dei Notatori Gradenigo, 22 come riportato dai due studiosi. Tale informazione va però letta nel contesto in cui è inserita giacché il diario veneziano trascrive una serie di annunci di carattere pubblicitario esposti al di fuori di botteghe artigianali come, ad esempio, l’avviso di un costruttore di pettini per il velluto che forniva anche i rastri per rigare i fogli di musica23 ecc. In questo contesto quanto riportato su Mauro pare più una notizia fatta circolare per richiamare i clienti che l’attestazione di una raggiunta leadership nel commercio di musica copiata a Venezia. Lo stesso Gradenigo solo pochi mesi prima aveva d’altronde copiato un altro annuncio di un altro copista, cioè l’arcinoto Baldan24 che ne attestava l’attività.
Per completare un po’ il quadro sul modus operandi di queste copisterie, capendo come potevano giungere ad assemblare i fascicoli dei drammi per musica, di cui poi detenevano il commercio, mi pare opportuno esaminare un caso esemplare in cui fu, a mio avviso, determinante l’intervento di una copisteria nella costituzione di una particolare linea di tradizione testuale. Premessa implicita di questo agire è il bisogno di fornire alla clientela sempre testi comunque completi. Nel caso gli antigrafi fossero lacunosi (ad esempio perché le parti serie nelle opere buffe potevano avere impiegato pezzi provenienti dal proprio baule o, magari, certi fascicoli erano andati dispersi perché la musica ivi contenuta era stata cassata dopo le prime esecuzioni) vi era la necessità di integrare le parti mancanti in modo ragionevole, adoperando, se possibile, musica comunque inedita perché creata per qualche occasione particolare: è un po’ quello che succede nel caso del testo tràdito dal testimone in I-BRc del Mondo della luna di Galuppi (e, come vedremo, non solo di quello).
22 I-Vmc, Notatori Gradenigo, ms. Gradenigo 67 vol. 6 c. 91 v in data 4 novembre 1760: «il miglior copista di note di musica è Pietro Mauro veneziano, sta di bottega al ponte del Lupo e di casa a Sant’Agostino e carteggia sino col medesimo Re di Svezia». 23 Ivi, c. 84 r in data 21 ottobre 1760: «il solo fabricator di pettini per rigare fogli di carta da scrivere le note della musica egli è il signor Tarabini, sta in Canalregio». 24 Ivi, c. 57 r in data 24 agosto 1760: «Uno dei più noti copisti di note per cantare et sonare sopra la parte nella musica è il sacerdote Giuseppe Baldan, sta a S. Gio. Grisostomo».
Questa fonte, datata peraltro nel frontespizio «1750» anno della prima dell’opera del Buranello, venne sicuramente creata da una bottega veneziana non meglio identificata, come ho dimostrato in altra sede,25 e presenta una particolarità testuale degna di nota: reca la sostituzione delle tre arie per la parte seria di Flaminia26 con brani che hanno la peculiarità di provenire non da testi operistici precedenti, coevi o successivi alla prima ma da una serenata teatrale, La vittoria d’Imeneo. Questa composizione era stata creata da Galuppi su versi di Giuseppe Bartoli come pezzo d’occasione da eseguire durante i festeggiamenti per le nozze di Vittorio Amedeo III di Savoia con Maria Ferdinanda di Spagna che ebbero luogo nel giugno 1750 a Torino.27 Data la natura particolare del lavoro appare sensato ipotizzare una circolazione in pratica nulla di questa partitura galuppiana dopo la prima, se non per motivi strettamente collezionistici. Ma non è tutto: questi tre brani non trovano, almeno finora, attestazioni nei testi (libretti e partiture) legati a rappresentazioni sicuramente datate che documentano la più che decennale tradizione esecutiva del dramma giocoso di Goldoni / Galuppi. Per spiegare l’inserimento di questi brani nel corpus di questo testimone del Mondo della luna, visto che nessuno dei cantanti della composizione d’occasione (Gaetano Majorana detto Caffariello, Anton Raaf, Giovanna Astrua e Teresa Mazzola) che erano quasi tutti grandi star dell’opera seria ebbe mai a che fare con quest’opera del Buranello, restano, a mio avviso, due possibili ipotesi. Prima di formularle è però opportuno chiedersi chi potesse essere in possesso nel 1750 della partitura di questi tre brani e, almeno in via ipotetica si possono congetturare ragionevolmente queste risposte: i destinatari dei brani, il compositore e credo forse almeno due copisterie (la prima, veneziana, che aveva potuto disporre dell’antigrafo per preparare una copia, almeno parziale, su istruzione di Galuppi da inviare a Torino, la seconda, torinese, che aveva preparato le parti per l’esecuzione).
Tra chi era in possesso di queste arie della Vittoria d’Imeneo di certo i destinatari non avevano alcun interesse a fornire i brani perché fossero inseriti in un’opera comica. Esaminiamo ora due possibili ipotesi per spiegare la presenza di questi pezzi in una fonte di un dramma giocoso per musica del 1750.
Nella prima il compositore avrebbe potuto compiere lui l’operazione di sostituzione dei pezzi in vista di una qualche esecuzione ma poiché, al momento, non è documentata alcuna performance del Mondo della luna con queste arie, non si capisce perché il Buranello avrebbe dovuto effettuare queste mutazioni (che, tra l’altro, sono contestuali ad altri cambi di arie di parti serie presenti nel testimone con pezzi non sicuramente galuppiani).
25 POLIN, Il mondo della luna cit., pp. 39-92. 26 Si tratta di tre arie sostitutive dei pezzi chiusi per la parte seria di Flaminia: in I.7 (Quando in core) II.11 (In questo giorno assai) e III.3 (Va’: chi son io rammenta). 27 Su questo lavoro cfr. tra gli altri MERCEDES VIALE FERRERO, La Vittoria d’Imeneo (1750): una festa musicale di Galuppi e l’organizzazione spettacolare, in Galuppiana 1985 cit., pp. 301-326 e, soprattutto, ANNARITA COLTURATO, Mettere in scena la regalità. Le feste teatrali di Gaetano Pugnani al Regio di Torino, Lucca, LIM, 2012, pp. 25-31. L’autografo galuppiano, forse parziale, sta, sotto il titolo di Imeneo e Venere, in GB-Lbl Add. 31644. 42
Nella seconda ipotesi, decisamente più verosimile a mio avviso, l’inserimento dei nuovi pezzi per Flaminia avvenne su autonoma iniziativa della copisteria. Si possono a questo punto formulare varie congetture sui motivi per cui questi pezzi entrarono nel ms. ora in I-BRc. La prima, più banale, ma forse più realistica è che, siccome i codici musicali per essere copiati venivano tenuti in fascicoli non rilegati (ma rigorosamente segnati dai numeri di fascicolazione presenti nell’angolo in alto a sinistra del retto della prima carta di ciascuna unità) di modo da poter servire come antigrafi a più amanuensi che lavoravano separatamente e nello stesso momento, ci sia stata qualche dispersione al momento del riordino e che le vecchie arie di Flaminia siano state rimpiazzate con altri pezzi prontamente disponibili nel momento in cui si dovesse fornire al cliente una partitura completa dell’opera. La seconda ipotesi è che siano state richieste dal committente del codice, magari un impresario delle arie differenti per le parti serie che fossero davvero nuove e non quelle originali, forse ritenute inadatte o insoddisfacenti (e che forse a loro volta erano già di baule). Certo è che, in ogni caso, l’inserimento venne fatto cum grano salis e il testo verbale venne mutato in ogni pezzo cercando di adattarlo al nuovo contesto drammatico.28 La cosa interessante è che, in almeno un caso (quello della seconda strofa dell’aria «In questo giorno assai»), queste modifiche fecero prendere al testo un senso opposto a quello originario, con l’oggetto dell’attenzione femminile che invece di rendere fosco il ciglio lo rende lieto e invece di «far di doglia, il core palpitar», fa di gioia «il cor palpitar».29 La musica in corrispondenza del testo non viene mutata e si ha così un curioso effetto di distonia tra senso dei versi e armonia musicale che appare evidente nell’esempio musicale 1. Questa, secondo me, potrebbe essere considerata come una prova dell’ipotesi che quest’intervento adattativo avvenne all’interno della copisteria e non fu concepito da Galuppi.
Comunque, sia che prendiamo per buona l’ipotesi che la lezione del Mondo della luna tràdita dal ms. I-BRc sia il risultato di scelte avvenute all’interno di una copisteria (magari per accontentare un cliente), sia che si prendano in considerazione altre possibili ipotesi per spiegare come si siano costituite queste particolari varianti testuali, pare plausibile che poi questa versione modificata rimase nell’atelier veneziano come antigrafo riutilizzabile per ricavare altre copie. Il che effettivamente avvenne. Esiste difatti un altro testimone di quest’opera galuppiana oggi in E-Mp (ms. 298-300) che è, ad ogni evidenza, basato sullo stesso antigrafo del codice in I-BRc per un numero impressionante di micro e macrovarianti comuni (non ultima la persistenza delle tre arie dalla Vittoria d’Imeneo). Questa partitura madrilena venne poi di certo utilizzata per delle esecuzioni come si può evincere da un cospicuo numero di interventi di adattamento, taglio, trasporto inseriti da mani posteriori presumibilmente in Spagna (visto che molte annotazioni sono aggiunte sono in lingua iberica). Purtroppo il testo relato da questo testimone d’uso non appare legato ad alcun libretto che chiarisca dove e quando venne adoperato. Come ho già dimostrato in altra sede, il testo in I-BRc è chiaramente apparentabile per un cospicuo numero di caratteri codicologici (copisti comuni, tipologia
28 Cfr. i testi a confronto nell’esempio musicale 1. 29 Si veda l’esempio musicale 1 in cui si evidenziano le modifiche inserite al testo originale di Bartoli. 43
della carta impiegata, impronte rastrografiche simili ecc.) a una ampia famiglia di fonti di opere date a Venezia tra fine anni ’40 e primi anni ’50 e vergate da mani che sicuramente agivano all’interno di un laboratorio operante nella città lagunare. Il ms. del Mondo della luna in E-Mp nello strato anteriore agli interventi di aggiustamento esecutivo venne redatto su carta veneziana (con la classica filigrana a tre lune) ma di provenienza diversa da quella della fonte in I-BRc giacché, come tutte le fonti a lei apparentate, quella recava la contromarca30 A S (identificativa della cartiera Antonio Seguito di Toscolano) e questa31 porta invece la contromarca V B (riferibile a un altro opificio dello stato veneto, ossia la cartiera Vincenzo Bottarelli di Carsina in val Trompia presso Brescia). Le parziali diversità codicologiche tra i due testimoni in I-BRc e E-Mp che, in realtà nello strato base riportano un testo simile, non può che far ipotizzare che la fonte ora madrilena sia posteriore, verosimilmente di almeno un paio di lustri, rispetto al testimone ora bresciano, visto che negli anni ’60 diverse partiture comiche veneziane vennero importate nella penisola iberica e, talora, adattate32 a Zarzuelas. Colla partitura del Mondo della luna in E-Mp ci troviamo, pare, a un caso di testo base utilizzato per scopi esecutivi probabilmente generato dalla creatività di un copista, un fatto senz’altro eccezionale ma nondimeno molto significativo dell’importanza attiva che ebbero questi ateliers nella trasmissione dei testi. Nulla di strano allora che in un’antologia delle arie dell’Olimpiade di Pergolesi in D- B (Mus. ms. 17180/1), redatta a Venezia33 in un periodo forse vicino alla metà del XVIII secolo, fosse inserito un brano dell’Adriano in Siria del maestro di Jesi come «Lieto così talvolta», non attestato da alcuna tradizione esecutiva, ma che ben serviva allo scopo di completare una raccolta altrimenti troppo scarna con un pezzo di grande qualità musicale, vista la evidente scarsa disponibilità di arie pergolesiane serie nella città lagunare.
Al di là delle attribuzioni di responsabilità possibili nei casi qui brevemente esaminati credo che comprendere modi e ragioni dell’attività delle copisterie veneziane, detentrici delle possibilità e della capacità di diffusione delle moltissime opere loro affidate, sia di fondamentale importanza per chiunque voglia o debba valutare con piena
30 Nel 1767 un decreto dei Cinque Savi alla Mercanzia istituì l’obbligo che tutta la carta fabbricata nella Serenissima avesse in filigrana un marchio approvato e registrato con cui ogni produttore si distinguesse dagli altri. Elenchi di questi marchi, in uso da ben prima del 1767, sono consultabili in I-Vas, Savi alla Mercanzia, buste 464 e 465; Inquisitorato alle arti, busta 23. Parte di queste sigle sono state pubblicate in IVO MATTOZZI, Le filigrane e la questione della qualità della carta nella Repubblica Veneta della fine del ‘700: il caso delle carte filigranate esportate nell’impero ottomano, «Ateneo Veneto», CLXXXI (XXXII n.s.) (1994) pp. 109-136. 31 Ringrazio di cuore Sara Erro e Josè Maria Dominguez per aver generosamente condotto in mia vece un’accurata analisi codicologica del ms. in E-Mp. 32 Su questo fenomeno esiste oramai una vasta letteratura, anche molto recente, basti qui il riferimento a quanto ampiamente documentato da VÍCTOR MANUEL PAGÁN RODRÍGUEZ, El teatro de Goldoni en España. Comedias y dramas con música entre los siglos dieciocho y veinte, Tesi di dottorato, Madrid, Universitat Complutense, 1997 e a JOSÉ MÁXIMO LEZA, El mestizaje ilustrado: influencias francesas e italianas en el teatro musical madrileño (1760-1780), «Revista de Musicología», XXXII/2 (2009), pp. 504-546. 33 POLIN, Per una recensio dell’Olimpiade cit. pp. 170-173. 44
consapevolezza critica le numerosissime partiture da loro prodotte che hanno fatto giungere fino ai nostri giorni una parte importante del patrimonio culturale musicale italiano settecentesco, per questo auspico che in un futuro sia possibile giungere ad una mappatura sistematica della loro produzione e attività attraverso progetti di ricerca opportunamente concepiti a tal fine.
APPENDICE
Esempi di documenti34 concernenti attività di copisteria musicale a metà Settecento nell’Italia settentrionale
A.Nota35 del copista bolognese Pietro Martelli inserita in un’antologia di pezzi staccati tratti da Arcifanfano re de’ matti di Baldassarre Galuppi, ms. I-MC 126 G 20 (databile ai primi anni ’60)
Il copista Pietro Martelli fa sapere alla persona che ha ordinato le arie della Cascina [di Giuseppe Scolari] e questa presente dell’Arcifanfano che ha facilitato nel prezzo la presente perché il signor [Francesco] Baglioni non ha mai voluto meno di zecchini otto per tutto questo originale e questo si è avuto questa volta per un caso straordinario, onde occorrendo altri spartiti buffi la servirò, che ne tengo molti e, per solo le arie buffe e finali, fuori delle arie serie, il prezzo sarà di zecchini due e mezzo, sì che abbiamo il [Signor] dottore [di Domenico Fischietti], [Gli] uccellatori [di Florian Gassmann], Bove d’Antona [di Tommaso Traetta], Bona figliola [di Salvator Perillo] e molti altri che qui non spiego per non render confusione.
B.Lettera del copista veneziano Giuseppe Baldan al direttore degli spettacoli del teatro di Milano (9 novembre 1748). I-Mas, Atti di Governo. Spettacoli pubblici. Parte antica, Busta 1
Illustrissimo signore mio, signore colendissimo, invio con queste due righe gli recitativi del Demetrio del Sassone [Johann Adolf Hasse], raccomandatimi dal signor maestro [Pietro] Pulli. Se tardo fui nell’obbedirla, intenderà mie giuste cause nel ben servirla dalla propria voce del signor Pietro [Pulli] e desidero sperare degno compatimento e di acquistare nel proseguimento del tempo l’alto patrocinio di vossignoria illustrissima con che mi dichiaro di vossignoria illustrissima devotissimo obbligatissimo servitore. Don Giuseppe Baldan. Venezia li nove novembre 1748.
C.Scrittura extragiudiziale del copista veneziano Giuseppe Baldan contro l’impresario Ferdinando Cerri (Venezia, 21 novembre 1774) I-Vas, Notarile Atti, Busta 4298, carta 1222 verso
Die lune 21 mensis novembris 1774. Con la presente scrittura estragiudiziale, che punto non derogherà alla stima che professo verso la persona di lei, signor Ferdinando Cerri, impresario delli due teatri di San
34 Nella trascrizione per favorire la leggibilità dei testi si sono sciolte tutte le abbreviazioni e, per quanto possibile, si ammodernata la punteggiatura. 35 Una trascrizione leggermente differente di questo brano in SCOCCIMARRO, L’«Arcifanfano re dei matti» di Goldoni-Galuppi cit. p. 418. 46
Samuele e San Moisè, io, don Giuseppe Baldan, copista di musica di tutte le opere musicali che si debban e che si dovranno rappresentare in detti teatri, come siamo rimasti intesi tra lei e me di operare io in tutto e per tutto senza alcun di lei esborso, solo che dall’incontro incerto di dette opere, così non essendo giusto che le mie fatiche et operazioni et spese grandiose venghino da alcuno pregiudicate come ho presentito esser nato e di poter nascere, con la presente protesto amplamente a lei, signor Ferdinando Cerri come impresario et patrone ut supra, tutti li danni et pregiudizi che mi potessero essere inferiti e mi venissero apportati o dal stampatore o da qualunque altra persona o dal corpo delle di lei orchestre riguardo a qualunque parte di dette oppere musicali quali sortir potessero in città proprio come in ogni altra parte la copia di dette opere, sì in arie come in stampa quanto manoscritte e chiunque altra cosa sotto qualunque conzetto o pretesto come pure qualunque spesa ordinaria et estraordinaria a cui dovessi soggiacere per preservazione e salvezza del mio, in qualunque maniera fosse pregiudicato, interesse protestando a lei li risarcimenti e compensationi che giustamente mi fossero dovute per li pregiudicii e danni per tal effetto fossi per risentire per li quali mi rivolgiessi alla di lei risponsabilità per l’effetto dei dovuti miei risarcimenti et compensationi. Tanto le sta detto, protestato et intimato ad ogni buon fine ed effetto e senza alcun mio benché minimo pregiudicio salvi e la presente sarà presentata in atti del notaio Antonio Cavagnis suddetto in Venezia.
Fig. 1: Frontespizio di BALDASSARE GALUPPI, La diavolessa, I-MOe Mus F 438. Si notino la data, 1756, e la firma di Pietro Mauro in basso a destra
Fig. 2a: Frontespizio di BALDASSARE GALUPPI, La calamita de’ cuori, A-Wn Mus.Hs.18058/1-3 Mus. Si noti, sotto l'indicazione della copisteria di provenienza di Baldan
Fig. 2b: Frontespizio di BALDASSARE GALUPPI, La calamita de’ cuori, A-Wn Mus.Hs.18058/1-3 Mus.
Si noti, sotto l'indicazione della copisteria di provenienza di Baldan