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Loreto Vittori, cantore gentiluomo: nuove acquisizioni e osservazioni sulla formazione e sui primi anni di attività
SAGGI
Orietta Sartori
LORETO VITTORI, CANTORE GENTILUOMO: NUOVE ACQUISIZIONI E OSSERVAZIONI SULLA FORMAZIONE E SUI PRIMI ANNI DI ATTIVITÀ*
Famoso per la sua attività di cantore, rispettato dai colleghi, ammirato fino all’isteria per le sue interpretazioni, protetto da cardinali e pontefici, frequentato da poeti e letterati, amico di Giovanni Battista Doni, di Giano Nicio Eritreo, di Pietro della Valle, è stato oggetto in tempi moderni di molti studi che ne hanno ampiamente descritto la poliedrica attività di cantore, poeta, letterato e compositore.
Il primo ad approfondire la figura di Vittori agli inizi del Novecento fu Carl August Rau,1 allo studioso tedesco fecero seguito gli spoletini Pasquale Laureti2 e Luigi Fausti,3 e infine Bianca Maria Antolini, che nella sua tesi di laurea continuò il lavoro dei predecessori aggiungendo diverse notizie su Vittori tratte dai libri dei puntatori della cappella pontificia e da altre fonti romane.4 Ad essi, in tempi più recenti, si sono aggiunti gli studi di Roberto Gigliucci sulla produzione letteraria e sulla biblioteca posseduta a Roma dal cantante;5 di Thomas D. Dunn sulle Arie per voce sola e sul dramma La Galatea6 e di Elisabetta Frullini, che ricostruisce un quadro completo della vita e dell’attività di Vittori arricchito da ulteriori dati relativi ai rapporti con Spoleto, città natale e rifugio del cantante.7
* I primi risultati di questa indagine sono stati anticipati nella relazione I primi anni d’attività e di studio di Loreto Vittori tenuta online il 22 novembre 2020 durante il XXIV Colloquio di Musicologia de «Il Saggiatore Musicale» (20-22 novembre 2020), con la collaborazione del Centro La Soffitta, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Dipartimento delle Arti. 1 KARL AUGUST RAU, Loreto Vittori. Beiträge zur historische-kritischen Würdigung seines Lebens, Wirkens und Schaffens, München, Verlag für Moderne Musik, 1916. 2 PASQUALE LAURETI, Un grande artista spoletino Loreto Vittori, «Atti dell’Accademia Spoletina», 1915-16, 1917, pp. 3-38. 3 LUIGI FAUSTI, La cappella musicale del Duomo di Spoleto, «Archivio per la storia ecclesiastica dell’Umbria», III, 1916, pp. 1-74; ID., Un’autobiografia poetica di L. V., «Atti dell’Accademia Spoletina», 1920-22, 1922, pp. 155-168. 4 BIANCA MARIA ANTOLINI, La carriera di cantante e compositore di Loreto Vittori, «Studi musicali», VII, 1978, pp. 141-188 e EAD., Loreto Vittori musico spoletino, Spoleto, Accademia spoletina, 1984. 5 ROBERTO GIGLIUCCI, Loreto Vittori, castrato, musico e poeta, «Ludicra», 2009, pp. 235-239; ID., La biblioteca romana di Loreto Vittori, «Filologia e critica», XXXV, 2010, pp. 309-324; Tragicomico e melodramma. Studi secenteschi, Milano, Mimesis, 2011. 6 THOMAS D. DUNN, Loreto Vittori, Complete solo songs, Middleton (WI), A-R Editions, 2002; ID., Loreto Vittori, La Galatea, Middleton (WI), A-R Editions, 2002. 7 ELISABETTA FRULLINI, Il cavalier Loreto Vittori “musico famoso”. Mecenatismo, raccolte ed eredità di un grande cantante del Seicento, «Spoletium», 56, n.s. 12, 2019, pp. 33-67. A questo studio rimando per le notizie sulla vita e l’attività di Vittori che non fanno parte del presente saggio.
Nonostante che questi studi abbiano illuminato gran parte della biografia di Vittori, restavano tuttavia ancora nell’ombra gli anni di formazione e gli esordi della sua attività. Scopo del presente articolo è quello di contribuire a colmare questo vuoto e, in particolare, individuare i primi maestri di musica del cantante spoletino fino al tempo del suo trasferimento a Firenze.
Loreto Vittori nacque a Spoleto i primi giorni di settembre del 1600.8 Le doti canore del ragazzo spinsero i genitori, di umili condizioni, a farlo sottoporre prima della pubertà a castrazione.9 Varie sono state le supposizioni circa la sua formazione musicale, suggerite dall’evidente influsso della scuola romana nelle sue composizioni. Giuseppe Baini gli attribuì come maestro di canto Francesco Soto e per la composizione Francesco Soriano e i fratelli Giovanni Maria e Bernardino Nanino10 mentre Carl August Rau propendeva, in base ad argomenti basati su dati cronologici, per Bernardino Nanino.11 Gli studi successivi hanno riportato questi giudizi, seguendo di volta in volta l’una o l’altra ipotesi. È interessante per la nostra indagine sapere che il 2 giugno 1608 don Livio Cassio, organista della collegiata di Santa Maria Maggiore a Spello ebbe l’incarico «di trovar putti, quali debbia dare al Maestro di cappella, acciò l’impari di cantare per servitio della chiesa; e che questo maestro di cappella era allora messer Domenico Alegri». 12 Allegri13 quindi nel 1608 era maestro di cappella a Spello, dove probabilmente era già dal 1605, come sembrerebbe da un’adunanza capitolare del 2 maggio di quell’anno in cui due canonici riferiscono «di aver impegnato a Roma il nuovo maestro di cappella».14 Sempre dai libri capitolari si sa «che il 5 giugno 1606 venne data una regalia di dieci piastre fiorentine al maestro di
8 FAUSTI, Un’autobiografia poetica cit., p. 158: nato a Spoleto da Vincenzo (Cencio) e da Lorenza, fu battezzato il 5 settembre 1600. 9 GIANO NICIO ERITREO [= Giovanni Vittorio Rossi], Pinacotheca imaginum illustrium, doctrinae vel ingenii laude virorum [...] Editio nova, Lipsiae, apud Thomam Fritsch, 1712, p. 514: «atque admodum puer, voculae suavitate, ac docilitate ingenii, sectus est, & in musicis eruditus, ab exquisitis tota Italia magistris». 10 GIUSEPPE BAINI, Memorie storico-critiche della vita e delle opere di Giovanni Pierluigi da Palestrina, Roma, dalla Società tipografica, 1828, II, p. 32. 11 RAU, Loreto Vittori cit., pp. 3-6. 12 LUIGI FAUSTI, La Cappella musicale della collegiata di S. Maria di Spello, «Note d’archivio per la storia musicale», X, 1933, fasc. II, pp. 3-11: 6-7. Trascrivo da Fausti le notizie estratte dai libri delle Risoluzioni capitolari: «il 5 giugno 1606 venne data una regalia di dieci piastre fiorentine al maestro di cappella, per la scuola di canto che faceva, e per incoraggiarlo a continuare; che nel 1607 vi erano nella cappella due soprani e alcuni bassi, mentre alcuni giovani e preti venivano istruiti dal maestro; che il 2 giugno 1608 Don Livio Cassio ebbe l’incarico di trovar putti, quali debbia dare al Maestro di cappella, acciò l’impari di cantare per servitio della chiesa; e che questo maestro di cappella era allora messer Domenico Alegri (eletto non si sa da quanto tempo), cui il 17 giugno 1608 il Capitolo faceva sapere che per la scuola di canto fatta a Livio di Matteo di Rinaldo, si facesse pagare dallo stesso interessato, non figurando questi tra i giovani presentati dai canonici per essere istruiti». 13 COLIN TIMMS, Allegri, Domenico, in New Grove (The New Grove Dictionary of Music and Musicians, second edition, edited by Stanley Sadie, executive editor John Tyrrell, 29 voll., London, Macmillan, 1980), I, p. 266. 14 LUIGI POMPONI, Memorie musicali della collegiata di S. Maria Maggiore di Spello, «Note d’archivio per la storia musicale», XVII, 4-6, luglio-dicembre 1940, pp. 179-222: 186. 12
cappella, per la scuola di canto che faceva, e per incoraggiarlo a continuare»,15 e che l’insegnamento era gratuito per alcuni giovani scelti dai canonici: «il Capitolo faceva sapere che per la scuola di canto fatta a Livio di Matteo di Rinaldo, [Allegri] si facesse pagare dallo stesso interessato, non figurando questi tra i giovani presentati dai canonici per essere istruiti».16
Spello è una cittadina umbra che fino al 1772 appartenne alla diocesi di Spoleto, da cui dista circa 30 Km. Come scrive Ciliberti, fin dalla metà del XVI secolo i musicisti romani si mossero spesso in direzione delle cappelle e dei santuari umbro-marchigianolaziali.17 Non meraviglia dunque trovare a Spello Domenico Allegri, che fu così stimato dal capitolo da essere insistentemente pregato di tornare «per benefitio della Chiesa»18 quando nel 1609 decise di lasciare la cittadina umbra per tornare a Roma.19 Allegri aveva una solida preparazione didattica avendo studiato a Roma con Giovanni Bernardino Nanino,20 prima privatamente e poi nella scuola dei pueri cantus di S. Luigi dei Francesi.21 Come si legge dal contratto che il padre di Domenico, Costantino Allegri, stipulò con i fratelli Nanino22 il 16 marzo 1594, l’insegnamento doveva comprendere la lettura e la grammatica, il canto, il contrappunto e la composizione.23 Non è quindi inverosimile supporre che il piccolo Loreto Vittori sia stato affidato alla scuola gratuita di canto tenuta da Allegri. Circa un mese dopo la sua nomina a Roma diventava maestro di cappella della Santa Casa di Loreto (28 ottobre 1609) Antonio
15 FAUSTI, La Cappella musicale della collegiata di S. Maria di Spello cit., pp. 6-7. 16 Ibidem. 17 GALLIANO CILIBERTI, Un impresario in chiesa: il maestro di cappella a Roma e nello Stato pontificio nel Seicento, in Le métier du maître de musique d’église (XVIIe -XVIIIe siècles): activités, sociologie, carrières, textes réunis par Bernard Dompnier et Jean Duron, Tournhout, Brepols, 2020, pp. 183204: 195. 18 POMPONI, Memorie musicali cit., pp. 188-189. 19 Dal mese di settembre 1609 Domenico Allegri risulta essere a Roma, maestro di cappella in S. Maria in Trastevere, cfr. ALBERTO CAMETTI, La scuola dei «pueri cantus» di S. Luigi dei francesi in Roma e i suoi principali allievi (1591-1623): Gregorio, Domenico e Bartolomeo Allegri, Antonio Cifra, Orazio Benevoli, Torino, Fratelli Bocca, 1915, p. 614. Dal 4 aprile 1610 divenne maestro di cappella della basilica Liberiana subentrando a «Robertus e Flandria» maestro di cappella della chiesa cattedrale di Rieti che aveva preferito rimanere ivi, cfr. VITO RAELI, Da V. Ugolini ad O. Benevoli nella cappella della basilica Liberiana (1603-1646), Roma, Tip. Artigianelli, 1920, p. 11. 20 SAVERIO FRANCHI, Nanino, Giovanni Bernardino, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960-2020 [d’ora in avanti DBI], LXXVII, 2012, pp. 710-713; ID., Nanino, Giovanni Bernardino, in Dizionario Storico Biografico del Lazio, voll. 3, Roma, Regione Lazio, 2009 [d’ora in avanti DSBL], III, pp. 1344-1347. 21 CAMETTI, La scuola dei «pueri cantus» cit., pp. 609-616. 22 Fratello maggiore di Giovanni Bernardino Nanino fu Giovanni Maria: «i due Nanino, che vivevano in una casa vicina alla chiesa, insegnavano entrambi ai pueri cantus ed ebbero per allievi musicisti poi famosi»: FRANCHI, Nanino, Giovanni Maria, in DBI cit., pp. 713-716; ID., Nanino, Giovanni Maria, in DSBL cit., pp. 1347-1349. 23 ALBERTO CAMETTI, L’insegnamento privato della musica alla fine del Cinquecento (G. Bernardino Nanino e Domenico Allegri), «Rivista musicale italiana», XXXVII, 1, gennaio-marzo 1930, pp. 7477.
Cifra,24 anche lui allievo di Bernardino Nanino. Tre anni dopo, Vittori è registrato tra i cantori soprani della cappella lauretana (1° dicembre 1612 - settembre 1614).25 Si potrebbe ipotizzare che dopo la partenza di Allegri, forse su consiglio dello stesso, il talentuoso cantore abbia continuato la propria formazione musicale sotto la guida dell’ex compagno di studi di Domenico, Antonio Cifra.26 La tesi che Loreto sia stato uno dei “putti” da affidare ad Allegri per imparare a “cantare per servitio della chiesa” , pur suggestiva, è solo un’ipotesi mentre è certa la presenza di Vittori all’età di dodici anni nella cappella lauretana dove appunto era maestro di cappella Antonio Cifra; ciò conferma una discendenza musicale dalla scuola romana di Bernardino Nanino che Vittori, senza andare a Roma, ha assorbito; probabilmente da Domenico Allegri, sicuramente da Antonio Cifra. Si può notare che nella cappella lauretana era all’epoca organista anche un altro ottimo maestro, Pietro Pace,27 che fu insegnante dei figli di Ippolito Della Rovere, in particolare di suor Maria, come ricorda nel Quinto libro de motetti a una, due, tre, quattro, e cinque voci, op. 10 (Venezia 1615) a lei dedicato.
28 Un documento dell’archivio del duomo di Rieti, fatto conoscere da Sacchetti Sassetti, ci informa che un giovane castrato spoletino fu chiamato dal maestro di cappella a cantare per la festa di S. Barbara [4 dicembre] insieme ad altri cantori forestieri: «Pagato a m. Uberto maestro di Cappella d’ordine del Capitolo nella festa di S. Barbara per haver fatto venir di fuora molti cantori, et particolarmente quel Eunucho de Spoleti per cavalli, spese et pagamento scudi tre per le mie mano, et tre per le mano de D. Battista Reveccie - sc. 6».29 Se, come ritengo probabile, l’«Eunucho de Spoleti» va
24 GIOVANNI TEBALDINI, L’Archivio musicale della Cappella lauretana, Loreto, a cura dell’Amministrazione della S. Casa, 1921, p. 79; FLORIANO GRIMALDI, La cappella musicale di Loreto tra storia e liturgia, 1507-1976, 2 voll., Loreto, Fondazione Cassa di Risparmio, [2007], p. 568 e JEROME ROCHE, Cifra, Antonio, in New Grove, IV, pp. 394-395. 25 Tebaldini affermò che Vittori iniziò lì la sua carriera di cantante, senza però citare la provenienza della notizia; questa è stata in seguito confermata da Grimaldi che cita i documenti relativi alla presenza di Vittori a Loreto dal 1612 al 1614. 26 Un’osservazione sorge spontanea: se il primo insegnante non è stato Allegri nella vicina Spello, cosa può aver spinto il padre del fanciullo a mandarlo a Loreto? La notorietà della cappella musicale della Santa Casa sembra essere un buon motivo ma un indizio potrebbe trovarsi anche nello stesso nome di battesimo del fanciullo, indicativo di una devozione alla Madonna lauretana. A Spoleto era molto venerata una cappella con un affresco votivo dedicato alla Santa Casa di Nazareth fatta costruire nel 1537 da un nobiluomo spoletino, Jacopo Spinelli; la devozione cittadina era tale che il vescovo Fulvio Orsini promosse verso la fine del secolo la costruzione di un santuario che la
inglobasse (LAMBERTO GENTILI - LUCIANO GIACCHÉ - BERNARDINO RAGNI - BRUNO TOSCANO, L’Umbria, manuali per il territorio, Spoleto - Roma, Edindustria, 1978). 27 Pietro Pace fu organista a Loreto dal mese di settembre 1611 alla morte; cfr. TEBALDINI, L’Archivio cit., p. 79; GRIMALDI, La cappella musicale cit., pp. 558-559; GREGORIO MOPPI, Pace, Pietro, in DBI, LXXX, Roma, Treccani, 2014, pp. 83-85. 28 «Riconoscierà V. E. Illustrissima in queste mie compositioni que principij appunto che fin dai suoi primi anni nella faculta ch’ io professo le furno da me, per mia buona ventura, e sua particolare gratia e benignità dimostrati. Reducendosi insieme a memoria l’antica mia servitù verso di lei, e dell’Illustrissima Sua Casa». 29 ANGELO SACCHETTI SASSETTI, La cappella musicale del Duomo di Rieti, «Note d’archivio per la storia musicale», XVII, 4-6 (luglio-dicembre), 1940, pp. 121-170: p. 133. La notizia del 5 giugno 1613 si riferisce al dicembre dell’anno precedente; il maestro Uberto era il tedesco Roberto Gaii che, 14
identificato con Vittori il ragazzo, allora dodicenne, doveva già essere abbastanza famoso. Poiché negli studi di Giovanni Tebaldini e Floriano Grimaldi sulla Santa Casa di Loreto, Vittori è nominato tra i cantori soprani della cappella musicale a partire dal 1° dicembre 1612,30 probabilmente fu dato al fanciullo un permesso speciale per andare a Rieti. Sacchetti Sassetti ipotizza che durante la breve permanenza reatina Loreto ebbe notizia delle lotte secolari tra Rieti e Cantalice che in seguito lo ispirarono nello scrivere il suo poema giocoso La troia rapita.
Vittori lasciò la cappella lauretana nel mese di settembre 1614 per tornare a Spoleto, dove il padre Vincenzo il 16 ottobre fece domanda affinché il figlio venisse remunerato; la richiesta ebbe esito positivo per cui gli venne concesso un premio di dieci scudi l’anno, poi aumentato nel mese di giugno 1615. Loreto rimase nella cappella del Duomo fino al 10 febbraio 1617.31 Durante la permanenza di Vittori a Spoleto, era arcivescovo della città il cardinale Maffeo Barberini, futuro papa Urbano VIII; da ciò che scrive Vittori nella propria autobiografia, la protezione del cardinale, continuata anche dopo la propria elezione a papa, cominciò fin dal suo arcivescovado.32 Non si può essere certi che la partenza per Roma di Loreto sia collegata direttamente a quella del cardinale, che lasciò l’arcivescovado il 17 luglio 1617, cioè cinque mesi dopo l’ultimo attestato della presenza di Vittori a Spoleto ma comunque, da ciò che Loreto scrive nella sua autobiografia, arrivò a Roma grazie al favore di Maffeo. La protezione del Barberini fu certamente importante, ma da alcuni indizi si può supporre che i contatti che Antonio Cifra e il cardinal Antonio Maria Gallo, vescovo di Osimo, protettore e governatore perpetuo della S. Casa avevano a Roma non furono meno significativi per introdurlo nella corte romana e per la conoscenza con il cantore umbro Girolamo Rosini.33
Il cardinale Gallo era buon cultore di musica e patrono di vari compositori. Tra questi era Cifra, come risulta dai Diversi Scherzi op. 12 che il compositore gli dedicò il 1° marzo 1613.34 Al ringraziamento per avergli concesso “la commodità” di comporre «questi miei Scherzi musicali», segue la speranza di poterli eseguire nei suoi appartamenti: «sperano poter’anco entrar nell’intime camere dove per scherzo, e per
eletto maestro di cappella della basilica Liberiana, preferì la cappella musicale di Rieti (ivi, p. 144). Raeli lo cita come «Robertus e Flandria» (cfr. qui nota 19). 30 TEBALDINI, L’Archivio cit., p. 115 e GRIMALDI, La cappella musicale cit., pp. 389, 571. 31 FAUSTI, La cappella musicale cit., p. 15. 32 «L’alto Pastore, da cui mai sempre beneficj ottenni, e con la scorta sol del suo favore giovanetto garzone al Tebro io venni» (VITTORI, La troia rapita, VIII,29). 33 BIANCA MARIA ANTOLINI, Il cantore perugino Girolamo Rosini, in Arte e musica in Umbria tra Cinquecento e Seicento, in Arte e musica in Umbria tra Cinquecento e Seicento, Gubbio, Centro di studi umbri, 1981, pp. 357-366. 34 SAVERIO FRANCHI, Annali della stampa musicale romana dei secoli XVI-XVIII. Edizioni di musica pratica dal 1601 al 1650, vol. I, tomo 1. Ricerca storica, bibliografica e archivistica condotta in collaborazione con Orietta Sartori, Roma, IBIMUS, 2006, p. 144: «Escono in luce Illustrissimo Signore questi miei Scherzi musicali con tanto ardire, quanto può pretendere ogn’uno che stà sotto la protettione di V. S. Illustrissima. Da lei hanno riceuto, & ricevono il tempo & la commodità, di esser fatti, & sperano poter’anco entrar nell’intime camere dove per scherzo, e per suavità di canto si sogliono tenere piccioli ucellini».
suavità di canto si sogliono tenere piccioli ucellini». Chissà se gli uccellini a cui si riferisce Cifra non fossero una metafora per i cantori a lui affidati!
Il cardinale Gallo era anche protettore dei cantori della cappella pontificia ed aveva fatto assumere in prova il castrato Girolamo Rosini (7 aprile 1599).
Fig. 1: Ritratto di Girolamo Rosini (ANDREA ADAMI, Osservazioni per ben regolare il coro dei Cantori della Cappella Pontificia, Roma, per Antonio de' Rossi, 1711)
Dopo pochi mesi il perugino fu licenziato d’ordine del papa a causa di un diverbio avuto con due falsettisti spagnoli nella cappella Sistina in presenza del collegio dei cantori. Fu poi riassunto motu proprio dello stesso Clemente VIII che aveva voluto ascoltarlo durante la funzione della domenica delle Palme (15 aprile 1601).35 Primo soprano italiano della cappella pontificia, fu giubilato il 28 aprile 1626.36 Al servizio del cardinale Pietro Aldobrandini fin dai primi anni del Seicento Girolamo Rosini, oltre ad essere famoso per le qualità canore, fu molto stimato come persona e financo il papa
35 CLAUDIO ANNIBALDI, La Cappella Musicale Pontificia nel Seicento da Urbano VII a Urbano VIII (1590-1644), Palestrina, Fondazione Giovanni Pierluigi da Palestrina, 2011, pp. 83, 90 n. 9. 36 ENRICO CELANI, I Cantori della Cappella Pontificia nei secoli XVI-XVIII, «Rivista Musicale Italiana», XIV, 1907, pp. 752-790: 766. 16
tenne in alta considerazione il suo giudizio. Cifra gli dedicò i Moctetta et Psalmi a 8 voci riconoscendolo come fonte d’ogni sua scienza musicale37 e celebrandone l’abilità canora e la saggezza. Secondo la biografia di Rosini scritta da un confratello della Congregazione filippina dell’Oratorio, Paolo Aringhi, anche Maffeo Barberini, quando era ancora cardinale, frequentava l’Oratorio della Vallicella facendo cantare a Rosini le sue composizioni.38 Non meraviglia che arrivato a Roma Vittori facesse conoscenza con l’eunuco perugino con cui instaurò un rapporto di amicizia che si protrasse nel tempo; anni dopo Rosini influì sulla riabilitazione papale accordata al cantore dopo la sua caduta in disgrazia per il «lieve error di giovanil desio».39 È noto che Vittori frequentò l’ambiente filippino fin dai primi anni giovanili,40 collaborò alla musica dell’Oratorio della Vallicella41 a cui destinò i Dialoghi sacri e morali42 e partecipò assiduamente agli esercizi vespertini della Chiesa Nuova. Rosini fu molto importante anche per il favore accordato a Vittori dal cardinal Ludovico Ludovisi e da papa Gregorio XV, che lo fece ammettere senza concorso, con motu proprio del 23 gennaio 1622, come soprano nella cappella pontificia43 e lo nominò cavaliere dell’Ordine di Cristo.44
37 «Malo te musicarum mearum scriptionum patronum, quam arbitrum; quippe cum sis musicae peritissimus, adeo. ut voce canens in tui admirationem Romam rapias universam, & quod caput est ea virtutis laude excellas, ut merito ab omni male interpretandi labe remotissimus haberi debeas; non eris rerum mearum iniquus iudex; sed, si res ferat, pro tua sapientia, & animi æquitate ab omni me obtrectatorum calumnia vindicabis: me autem? immò vero te ipsum; ex tuo enim fonte, si quid est in me Musicæ scientiae, derivavi» (Venezia, Gardano/Bartolomeo Magni, 1629). 38 PAOLO ARINGHI, Le vite e detti de padri e fratelli della Congregazione dell’Oratorio (Roma, Biblioteca Vallicelliana, ms. 059), c. 348v. 39 La troia rapita, poema giocoso del Cavalier Loreto Vittori da Spoleto, Macerata, Per li Grisei e Giuseppe Piccini, 1662, VIII, 33: Loreto definisce così nel capitolo autobiografico il presunto rapimento di una giovane donna di cui venne accusato. L’episodio è descritto in Fabrizio Antolini, Il «lieve error di giovanil desio» del cavalier Loreto, «Spoletium», 23, 1978, pp. 70-75. 40 ARNALDO MORELLI, Il teatro armonico. Musica nell’oratorio dei filippini in Roma (1575-1705), Laaber, Laaber-Verlag, 1991, pp. 32-34. 41 ID., Omaggio a un collega: una Messa a 16 voci di Orazio Benevoli in onore di Loreto Vittori, in Tra musica e storia. Saggi di varia umanità in ricordo di Saverio Franchi, a cura di Giancarlo Rostirolla ed Elena Zomparelli, Roma, IBIMUS, 2017, pp. 197-212: 200. 42 ID., Il Theatro spirituale ed altre raccolte di testi per oratori romani del Seicento, «Rivista Italiana di Musicologia», XXI, 1986, pp. 61-143: 68-69, 111-113, 140. 43 CELANI, I Cantori della Cappella Pontificia cit., p. 776. 44 Biblioteca Apostolica Vaticana, fondo Cappella Sistina, Diario 41: in data 12 febbraio 1623 Vittori viene citato per la prima volta “Cavaliere”; CELANI, I Cantori della Cappella Pontificia cit., p. 776. 17
Fig. 2: OTTAVIO LEONI, Ludovico Ludovisi, 1628, bulino (Parigi, Bib. Nat., Dép. des estampes, inv. D 199516)
Nell’intento di colmare il vuoto intorno alla formazione e all’attività di Vittori durante il periodo romano compreso tra il 10 febbraio 1617, ultima data certa della sua permanenza a Spoleto, e la partenza per Firenze, avvenuta probabilmente intorno al 1619, mi sono soffermata su alcune informazioni autobiografiche contenute nel poema giocoso La troia rapita.45
45 VITTORI, La troia rapita, VIII, 1-43. La mia indagine si è fermata al 25 marzo 1620 quando nel diario del Tinghi viene nominato per la prima volta il “castrato del Doni” in occasione della festa dell’Annunziata in cui Vittori interpretava l’arcangelo Gabriele (CESARE TINGHI, diario riprodotto parzialmente in ANGELO SOLERTI, Musica, ballo e drammatica alla corte medicea, Firenze, Forni, 1905, p. 154). Dopo questa data la vita del Vittori è stata ampiamente trattata dagli studi precedenti. 18
Fig. 3: Frontespizio del poema giocoso di LORETO VITTORI, La troia rapita, Macerata, Per li Grisei, e Giuseppe Piccini, 1662
Già dalla dedica rivolta al granduca di Toscana Ferdinando II si apprende che gli studi di Vittori furono molto presto rivolti alla formazione umanistica: «Questo picciol Poema ebbe il suo primo bozzo ne gli anni miei giovanili, allora ch’io esercitando la Musica trattava anche la Poesia». Loreto fu buon letterato e tenne in modo particolare ad essere definito poeta, tanto da far scrivere allo stampatore: «Da un virtuoso Cavaliere, che fra gli altri suoi studj più gravi tratta anche quello della Poesia, mi fu trasmesso il presente Poema» e da far incidere sull’iscrizione funebre «ob miram canendi artem, eximiam vocis suavitatem, Hetruscae poesis praestantiam apud principes, apud pontifices acceptissimum».46
46 Iscrizione posta nella chiesa di S. Maria sopra Minerva trascritta in VINCENZO FORCELLA, Iscrizioni delle chiese di Roma dal sec. XI fino ai nostri giorni, Roma, Tip. delle scienze matematiche e fisiche, 1869, I, p. 501, n. 1932.
Fig. 4: Iscrizione sulla lapide di Loreto Vittori nella chiesa romana di S. Maria sopra Minerva
La tomba è posta, come da volontà testamentaria, nella chiesa romana di S. Maria sopra Minerva, vicina a quella del suo compaesano Pietro Benedetti nella cappella di S. Raimondo di Peñafort; l’iscrizione è sormontata dall’arme di Vittori: scaglione accompagnato da tre stelle a sei punte, due in capo ed una in punta, sormontato da elmo cavalleresco (in marmo, non sono noti gli smalti).
Fig. 5: Arme di Loreto Vittori, posta sopra la tomba di Loreto Vittori nella chiesa romana di S. Maria sopra Minerva
Le sue qualità di gentiluomo sviluppate fin da giovane grazie alla frequentazione con famiglie nobili e con uomini di vasta cultura, gli valsero l’ammirazione anche dell’ambiente letterario; Virginio Cesarini gli dedicò una poesia: Che dall’armonia de gli affetti solamente, e da Dio felicità dee sperarsi;47
Fig. 6: Poesia di Virginio Cesarini, Che dall’armonia degli affetti solamente, e da Dio felicità dee sperarsi, dedicata a Loreto Vittori (Poesie liriche toscane, e latine, In Roma, Per Angelo Bernabò dal Verme, MDCLXIV)
Giovanni Lotti scrisse versi encomiastici nella Galatea48 del 1639, sua unica opera drammatica della quale sopravvive la musica, come pure Domenico Benigni nel libretto della Galatea stampato a Spoleto nel 1655. A sua volta Vittori, che nel poema La troia rapita non dimentica di ricordare con affetto i cardinali e pontefici suoi patroni, volge la propria ammirazione agli accademici Lincei «perspicace coro d’ogni più chiuso arcano aprir l’idea» e ai suoi due amici: il poeta Giovanni Ciampoli e il dotto Virginio Cesarini: «Ciampoli e Cesarini, i due gran cigni nati in su l’Arno l’un, l’altro in su’l Tebro, | sì de le grazie lor mi fur benigni, ch’innestarono il lauro al mio ginebro,
47 VIRGINIO CESARINI, Poesie liriche toscane, e latine, In Roma, Per Angelo Bernabò dal Verme, 1664, p. 174. 48 LORETO VITTORI, La Galatea, Roma, per Vincenzo Bianchi, 1639: «Molto espressivi sono al riguardo gli ultimi versi del sonetto encomiastico di Giovanni Lotti stampato nei preliminari: lodando Vittori come poeta, come compositore e come cantore (dunque assistito da tre Muse), e giocando sul significato del suo nome, Lotti conclude «Ad onta dell’invidia, e dell’oblio | Sorgi Laureto in triplicato alloro» (FRANCHI, Annali I/1 cit., p. 789)
e de gl’invidi ad onta, e de’ maligni | ne gij d’onda Castalia asperso, ed ebro, | e con vanto maggiore, alzato a volo fui su le penne lor, ch’ergeansi al Polo».49 L’ammirazione di Vittori per Ciampoli e Cesarini sembra essere sincera ed anche ricambiata; lo dimostra la poesia dedicatagli da Cesarini e la corrispondenza mantenuta con Ciampoli anche dopo che questi cadde in disgrazia.50 Si conferma così una frequentazione decisiva per la formazione del “giovanetto garzone”.
L’ambiente accademico che frequentò grazie a loro arricchì le sue conoscenze e lo rese noto a potenti patroni. Il fiorentino Ciampoli era stato compagno di giochi del granduca di Toscana Cosimo II, aveva conosciuto nel 1610 a Padova i nipoti di Clemente VIII, Giangiorgio, Ippolito e Aldobrandino Aldobrandini; nel 1615 aveva conosciuto Federico Cesi da cui fu aggregato nel 1618 all’Accademia dei Lincei e, oltre alla forte amicizia con Virginio Cesarini, quando fu eletto papa Gregorio XV divenne segretario delle lettere latine del nipote, il cardinal Ludovico Ludovisi.
Cesarini, figlio di Giuliano duca di Civitanova Marche, fu molto amico di Maffeo Barberini, che divenuto papa con il nome di Urbano VIII, lo nominò maestro di camera. Uomo di grande erudizione, per influsso di Federico Cesi, suo parente, si interessò anche di matematica e di astronomia divenendo amico di Galileo Galilei; nel 1618 fu ascritto insieme all’amico Giovanni Ciampoli all’Accademia dei Lincei.51 Virginio era esperto anche in campo musicale, così come si apprende da Antonio Cifra che nel 1619 gli dedicò il Primo libro dei ricercari e canzoni francese «hò voluto ornarlo del nome di V. S. Illustrissima, sicuro che piacendole, piacerà à tutti, e che non ardirà alcuno di lacerarlo per non offender il suo giuditio, per non s’opporre à lei, che è uno de’ più rari ingegni di questo secolo». Lo stretto rapporto tra Cifra e Cesarini è così descritto: «questo picciol dono, che le offerisco, in testimonio delle molte obligationi, che le debbo, e dell’infiniti benefitij, e favori, che hò ricevuti da lei».52 Virginio non fu il solo contatto che Antonio Cifra ebbe con la famiglia Cesarini; nel 1617 dedicò Li diversi scherzi lib. 5 op. 23 a Cornelia Caetana de Cesarini duchessa di Civitanova Marche. Dalla dedica si evince che i rapporti dovevano risalire già ad anni precedenti: Cornelia Caetani era figlia del duca Filippo e aveva sposato pochi mesi prima Giangiorgio Cesarini duca di Civitanova; l’omaggio che le fa Cifra, ricordando le lodi da lei ricevute per precedenti composizioni, sembra riferirsi perciò ad incontri nella casa paterna, prima delle nozze. Al riguardo va ricordato che Cifra nacque in diocesi di Terracina, probabilmente a Bassiano, terra feudale dei Caetani. Si può osservare che la frequentazione di Cifra, con i Caetani prima e con i Cesarini poi, sembra rafforzare l’ipotesi che il compositore possa aver fatto da tramite tra Loreto e Virginio.
49 VITTORI, La troia rapita, VIII, 20. 50 GIOVANNI CIAMPOLI, Lettere di monsignor Giovanni Ciampoli, parte II, in Opere di monsignor Ciampoli. Cioè, Poesie sacre, funebri, e morali. Prose, lettere, e fragmenti, vol. 2, Venezia, Per il Pezzana, 1676, pp. 213-220. 51 VITTORI, La troia rapita, VIII, 24: «In quel dotto Liceo, dove il tesoro | d’ogni rara virtù ricco splendea | quanti cigni vid’io cinti d’alloro | trattar con plettro d’or cetra Dircea, | e di Stagira il perspicace coro d’ogni più chiuso arcano aprir l’idea, ond’oggi i parti di sì rari ingegni son di stupor, non che di gloria degni!». 52 FRANCHI, Annali I/1 cit., pp. 321-322. 22
L’Eritreo al quale si debbono gran parte delle notizie su Vittori – di cui era amico e di cui scrisse la biografia quando era ancora in vita – lo definisce un nuovo Orfeo per il canto, con bella lode per l’espressione e per l’eleganza tecnica53 mentre Giovan Battista Doni sottolinea che Vittori diventò un esponente del canto a voce sola e della teoria degli affetti «ex quo Academicorum Florentinorum opera, Monodici cantus quammodo revixerunt, atque explanata vocum expressio, & elegantior intervallorum ecphonensis, sive prolatio haberi coepit in praetio: quam in hanc Urbem maxime intulit Loretus».54
Fig. 7: Ritratto di Giano Nicio Eritreo [= Giovanni Vittorio Rossi]
53 ERITREO, Pinacotheca imaginum illustrium cit., pp. 513-519. 54 GIOVANNI BATTISTA DONI, De praestantia musicae veteris libri tres, Florentiae, Typis Amatoris Massae Forolivien., 1647.
Fig. 8: Ritratto di Giovanni Battista Doni
Comparando i testi di Giovanni Battista Doni e di Giano Nicio Eritreo è emerso che le due testimonianze presentano una piccola differenza nel documentare la partenza del giovane Vittori per Firenze: nel riferire che Loreto partì con un membro della famiglia Doni, l’Eritreo lo chiama “Octavio”55 mentre Giovanni Battista Doni lo chiama Nicolò.56 I due nomi della famiglia Doni citati, Nicolò e Ottavio, non furono un lapsus
55 ERITREO, Pinacotheca imaginum illustrium cit., p. 514. 56 DONI, De praestantia cit., p. 85. 24
calami di uno dei due letterati, ma i nomi di due fratelli della famiglia Doni che avevano preso sotto la propria protezione il giovane Loreto. Avevano entrambi studiato musica con Domenico Massenzio,57 che aveva loro dedicato due sue raccolte nel 1618: a Ottavio, i Psalmi lib. 1, e a Nicolò, i Sacrarum modulationum lib. 4.58
Fig. 9: Frontespizio dei Psalmi lib. 1 di Domenico Massenzio
57 JEROME ROCHE, Massenzio, Domenico, in New Grove, XI, p. 811; SAVERIO FRANCHI, Massenzio, Domenico, in DBI, LXXI, 2008, pp. 776-778; ID., Massenzio, Domenico, in DSBL cit., III, pp. 12531254; Domenico Massenzio, Opera omnia, a cura di Claudio Dall’Albero e Mauro Bacherini, voll. 6, Milano, Rugginenti, 2009; ivi nel vol. 1, il saggio di ANTONELLA NIGRO, Domenico Massenzio: una nuova biografia con documenti inediti, pp. XVII-XXIII e SAVERIO FRANCHI, Annotazioni sulle edizioni musicali di Domenico Massenzio, pp. LX-LXV. 58 FRANCHI, Annali I/1 cit., pp. 284-286, 288-290.
Fig. 10: Frontespizio dei Sacrarum modulationum lib. 4 di Domenico Massenzio
Franchi dà su di loro alcune interessanti notizie: «Massenzio ebbe il sostegno di due facoltosi fratelli, suoi allievi, Nicolò e Ottavio Doni, i quali erano appaltatori della cosiddetta «Salara» di Roma presso il grande stagno di Ostia, nonché fabbricanti di polvere e salnitro per tutte le milizie dello Stato Pontificio. Ciò non toglie che si trattasse di autentici appassionati di musica, non solo come allievi di Massenzio, ma come promotori della pubblicazione dell’ottavo libro di Madrigali del defunto Pomponio Nenna (1618)».59 Infatti, nello stesso 1618, fu dedicata da Ferdinando Archilei a uno dei due fratelli Doni una raccolta dei Madrigali postumi di Pomponio Nenna;60 nella dedica Nicolò è definito “generosissimo” confermando la definizione di «munifica gens» data da Massenzio nella dedica dei Psalmi. Che Ottavio Doni fosse allievo di Massenzio è indicato nella dedicatoria dei Psalmi «con sufficiente chiarezza, anzi l’autore ne trae occasione per una garbata lezione di estetica musicale; né manca un esplicito, grato riconoscimento alla “munifica gens” Doni. Questa è la prima raccolta di salmi di Massenzio, che in questo genere diverrà un vero specialista».61 Nella dedica dei mottetti, Massenzio scrive a Nicolò «Poiché, per tuo comando naturalmente, ti ho nutrito dei miei precetti e se qualcosa di musica v’è in me te li ho infusi, chi non s’accorse che io avessi qualcosa per cui svelarti il mio rispetto? E se qualcuno per caso si meraviglia della mia felicità nell’aver potuto educare e condurre fin dentro i cori delle Muse un uomo tanto grande, si ricordi che ad Achille insegnò la musica il centauro Chirone».62 Pur sfrondando la dedica dall’enfasi consueta nelle epistole dedicatorie, è evidente che Massenzio fu maestro di musica anche di Nicolò, come pure se ne deduce che l’allievo seguì proficuamente le sue lezioni. Sui frontespizi delle tre edizioni è incisa l’arme della famiglia Doni: un leone rampante, alla banda attraversante, caricata di tre crescenti rivolti, sormontata da elmo cavalleresco.
Fig. 11: Arme della famiglia Doni
59 SAVERIO FRANCHI, Annotazioni sulle edizioni musicali di Domenico Massenzio, in Domenico Massenzio, Opera omnia cit, pp.LX-LXV. 60 FRANCHI., Annali, I/1 cit., pp. 293-295. 61 IVI, pp. 288-290: 289. 62 IVI, pp. 284-286: 286.
Grazie alle testimonianze di Giovanni Battista Doni «Loretus; quem domi suae aliquot annos perhumaniter aluit Nicolaus Donius familiaris illius nostri consanguineus: ac musicis studijs diligentissime institui curavit»63 e dell’Eritreo «ab Octavio Donio Florentino, qui illuc eum perduxerat, acceptus, magno in precio habitus, ac domi suae innutritus. ubi deinde, tum sua tum magistrorum diligentia, tantos profectus fecit, ut scenicis in ludis [...] celebre ejus nomen & clarum existeret»,64 si viene a conoscenza che i due fratelli, oltre ad avvalersi di altri insegnanti per completare l’educazione di Vittori, lo seguirono personalmente, trasmettendogli così gli insegnamenti di Domenico Massenzio.
Anni dopo, nel 1649, troviamo un’altra notizia su Nicolò Doni: dalla corrispondenza intercorsa con Paolo Giordano II Orsini,65 che attesta rapporti di vecchia data e di reciproca stima, si evince che il duca di Bracciano si impegnava a far mettere in musica dai suoi virtuosi un Lamento di Doralice che Doni gli aveva inviato. I Doni non furono gli unici protettori di Vittori; un indizio in tal senso emerge dal lascito testamentario di una testina dell’Albani fatto dal cantore «alla Ecc.ma Sig.ra Duchessa di Bracciano mia antica Sig[no]ra».66 Questo dono, fatto a distanza di tanti anni, è un indizio della dimestichezza di Vittori durante gli anni giovanili con la sorella del cardinal Ludovisi, Ippolita, diventata duchessa di Bracciano avendo sposato nell’aprile 1621Giovanni Giorgio Aldobrandini ed è testimonianza della fedeltà del cantore verso i Ludovisi ancora alla fine della propria vita.
A Firenze la protezione dei due fratelli fece conoscere Loreto e gli valse anche il favore della corte granducale: il «castrato del Doni», come era chiamato, fu nominato il 1° luglio 1620 “musico, con titolo di aiutante di camera” al servizio di Cosimo de Medici e andò ad abitare dal suo nuovo maestro, Marco da Gagliano.67 Dopo la morte del granduca (28.2.1621) e il ritorno a Roma, le notizie su Vittori risultano molto più complete e il favore accordatogli dal suo protettore Ludovico Ludovisi nonché la nomina a cavaliere dell’Ordine di Cristo sono così ricordati da Vittori: «Due lustri io vissi in servitù gioconda del porporato eroe gran Lodovico, | e ne ritrassi da la man feconda | tanto tesor, che non fui più mendico».68 È noto infatti che Ludovisi permetteva solo a pochi fortunati d’alto rango di udir cantare Loreto, che per queste esibizioni riceveva laute regalie, così come era già successo a Firenze dove per l’esecuzione della Regina Sant’Orsola il 6 ottobre 1624 (poesia di Andrea Salvadori, musica di Marco da Gagliano) gli fu regalata una catena d’oro del valore di 200 scudi.69
63 DONI, De praestantia cit., p. 85. 64 ERITREO, Pinacotheca imaginum illustrium cit., p. 514. 65 VALERIO MORUCCI, Baronial Patronage of Music in Early Modern Rome, London-New York, Routledge, 2018, pp. 116-117, 127-128. 66 Testamento rogato a Roma dal notaio Lamperini, il 14 aprile 1670 (30 notai capitolini, uff. 24, testamenti, 14 aprile 1670, cc. 131-153v: c. 151). 67 WARREN KIRKENDALE, Emilio de’ Cavalieri “gentiluomo romano”, Firenze, Olshki, 2001, p. 448. 68 VITTORI, La troia rapita, VIII, 28. 69 Diario del Tinghi in SOLERTI, Musica, ballo e drammatica cit., p. 177. 28
Si può perciò concludere indicando come, senza aver fatto i suoi primi studi a Roma, la vena compositiva di Vittori mostri influenze della scuola romana derivate da Bernardino Nanino, apprese attraverso Antonio Cifra, forse da Domenico Allegri e, se non proprio dallo stesso compositore, attraverso gli allievi di Domenico Massenzio. ***
La notizia della messa composta da Stefano Fabbri, Virgilio Mazzocchi, Francesco Foggia e Giacomo Carissimi, a cui parteciparono 150 cantori divisi in sei cori e una quarantina di strumentisti eseguita alla Chiesa Nuova il 25 gennaio 1643 per l’ordinazione sacerdotale di Vittori, a cui si unirono le voci del principe di Gallicano, Pompeo Colonna, e del duca di Castiglion del Lago, Fulvio Alessandro della Corgna, 70 dà la misura della notorietà raggiunta dal cantore. Nonostante i canoni conciliari prescrivessero l’integrità di corpo e di mente per l’ordinazione sacerdotale, Vittori fu uno dei casi (non raro nel Seicento) di dispense concesse a castrati di qualità confermando di riflesso l’influenza dei protettori potenti di cui poté godere.
La recente osservazione fatta da Arnaldo Morelli, che ha messo in relazione il titolo della messa a 16 voci in quattro cori di Orazio Benevoli, Missa Victoria, con il cognome di Vittori, 71 arricchisce ulteriormente le notizie riguardanti la stima goduta tra i contemporanei da Loreto. Questa messa fu eseguita sette mesi dopo la sua ordinazione sacerdotale (25 agosto 1643) in occasione della festa di S. Luigi dei Francesi nella chiesa omonima, avendo come cantante lo stesso Vittori. Curiosamente la Missa Victoria fu composta ed eseguita dal maestro di cappella di S. Luigi dei Francesi, Orazio Benevoli, nello stesso luogo in cui insegnò Bernardino Nanino e studiarono Domenico Allegri, Antonio Cifra e Domenico Massenzio.
Pur conoscendo lo stemma di Vittori, conservato sullo scudo in marmo esposto sopra la sua tomba,72 e impresso in oro sulla coperta in pergamena della parte di Organo primo coro della Missa Victoria,73 non conosciamo il suo volto.
70 GIANO NICIO ERITREO [= Giovanni Vittorio Rossi], Epistolae ad diversos, Amsterdam, Jost Kalckhoven & C., 1645, pp. 265-270 (liber V, epistola XXVII). 71 MORELLI, Omaggio a un collega cit., pp. 197-212. 72 Vedi qui p. 12. 73 MORELLI, Omaggio a un collega cit., descrizione a p. 202 e fig. 2 a p. 205. In questa impressione dello stemma di Vittori le stelle hanno otto punte.
Fig. 12: Stemma di Loreto Vittori, in scudo timbrato da elmo cavalleresco piumato, impressa sulla coperta in pergamena dell'Organo primo coro della Missa Victoria di Orazio Benevoli
Non è sopravvissuto nessun ritratto del cavalier Loreto nonostante si abbia testimonianza dall’inventario dei beni redatto dopo la sua morte74 che in casa vi erano tre suoi ritratti, uno dei quali «del Paduano vecchio» – forse Ottavio Leoni75 – Vittori lo lasciò al collega Bonaventura Argenti.76
74 Roma, Archivio di Stato, 30 Notai Capitolini, notaio Lamperini, uff. 24, 23-25 aprile 1670: Inventario dei beni di Loreto Vittori, cc. 507 sgg. 75 YURI PRIMAROSA, Ottavio Leoni (1578-1630). Eccellente miniator di ritratti, Roma, Ugo Bozzi Editore, 2017, p. 306. 76 Nell’inventario dei beni di Bonaventura Argenti redatto da Giuseppe Ghezzi, un ritrattino a pastello del Cavalier Loreto è inventariato insieme al ritrattino a pastello di don Gilberto Pio, entrambi «del Paduanini» (FEDERICA GASPARI, La musica e i quadri: Bonaventura Argenti, «Bollettino d’Arte», 143, 2008, p. 138). 30
Concludo con una osservazione: Vittori nell’istituire la «dozzina lauretana» che consentiva il mantenimento allo studio a promettenti giovani, inserisce una clausola: i giovani della “dozzina” dovevano essere «giovanetti di buona presenza di buona indole, e n[on] infermi»;clausola che viene ripetuta fissando nel testamento i criteri per scegliere un erede dei suoi beni: si farà un “bussolo” tra alcune famiglie spoletine a cui non potranno concorrere se non quelli «che siano sani n[on] stroppi ne ciechi ne muti, ma liberi e che n[on] patischino alcuna mostruosità ò altro difetto del corpo che li renda apparentem.te manchevoli». Vittori si vedeva probabilmente “manchevole” in quanto castrato: riflesso di un disagio psicologico espresso nelle sue ultime volontà: quasi un atto di ribellione verso una pratica crudele che pur avendogli donato successo e ricchezza lo aveva privato dell’amore e di una propria discendenza. Forse fu anche questo intimo dolore che contribuì a rendere commoventi e altamente coinvolgenti le sue interpretazioni della quaerimonia della Maddalena77 o dei lamenti da lui composti.78
Al contempo, il suo animo di poeta gli consentì di reagire con ironia scrivendo anche due frizzanti commedie: la Fiera, del Cavalier Olerto Rovitti (anagramma di Loreto Vittori), dedicata a Taddeo Barberini, in cui descrive la fiera nella città di Palestrina, feudo del Barberini, e Le zittelle canterine: una ironica rappresentazione delle velleità delle giovinette romane di diventare cantanti, forse con velato riferimento alle figlie della virtuosa Adriana Basile, Leonora e Caterina Baroni, entrambe ammirate cantanti; la commedia fu prudentemente stampata a Genova. Infine il poema giocoso La troia rapita: un ambiguo titolo che al di là del genere letterario in cui si inscrive, sembra riferirsi con malizia al «lieve error di giovanil desio».
77 CLAUDIO GALLICO, La “Querimonia” di Maddalena di D. Mazzocchi e l’interpretazione di L. Vittori, «Chigiana», IV, 1966, pp. 133-147. 78 LORETO VITTORI, Arie a voce sola, Venetia, Alessandro Vincenti, 1649.