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Le ‘serenate-cantate’ di Antonio Farina: specificità formali e risemantizzazione di stilemi cantatistici
TESI
Anita Sisino
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LE ‘SERENATE-CANTATE’ DI ANTONIO FARINA: SPECIFICITÀ FORMALI E RISEMANTIZZAZIONE DI STILEMI CANTATISTICI
La realtà musicale barocca del capoluogo partenopeo, con particolare attenzione alla seconda metà del XVII secolo, certamente costituiva un bagaglio immaginifico notevole sia per gli esecutori sia per gli spettatori, quanto a varietà e contesti di fruizione, arricchente il panorama italiano non meno di altri grandi centri quali Venezia e Roma.
Spostandoci a Napoli vi scorgiamo, assolutamente, nessuna carenza di musica all’aperto né di spettacoli durante il Seicento. [...] Durante gli anni sessanta le coste circostanti di Mergellina e di Capo Posillipo servirono per il ‘passeggio di dame’ durante i mesi estivi. Le donne dell’aristocrazia napoletana, come era d’uso, passeggiavano in carrozza lungo la ‘riviera di Chiaja’. I signori di Napoli venivano in barca seguendo l’esempio del viceré, il quale di solito arrivava a bordo della sua gondola. La gondola era seguita dalle galee e da altri vascelli dello squadrone napoletano in cui vi erano cantanti e strumentisti che cantavano e suonavano per dare godimento alle dame sulla riva. [...] Di sicuro, queste celebrazioni non erano limitate alla musica; consistevano soprattutto in fuochi artificiali, giostre, caroselli, balletti, corride, finte battaglie navali e, certamente, anche in serenate.1
I cosiddetti ‘spassi di Posillipo’, in particolare, si configuravano come veri e propri festival marittimi estivi e di ampio respiro, 2 fungendo dacontraltare pubblico e sfarzoso di altri eventi elitari e privati, che si declinavano anche nell’ascolto di serenate a voce sola, a scopo non celebrativo.
Antonio Farina, Giovanni Cesare Netti, Lorenzo Minei, Francesco Antonio Boerio e Orazio Antonio Fagilla sono alcuni tra gli autori emergenti dalle fonti come compositori di serenate; il decennio 1670, in particolare, è importante per la fioritura di questo repertorio.3
1 THOMAS EDWARD GRIFFIN, Alessandro Scarlatti e la serenata a Roma e a Napoli, in La musica a Napoli durante il Seicento,a cura di Domenico Antonio D’Alessandro e Agostino Ziino, Roma, Torre d’Orfeo, 1987, pp. 356-357. Cfr. anche ID., The Late Baroque Serenata in Rome and Naples: a Documentary Study with Emphasis on Alessandro Scarlatti, Ann Arbor, UMI, 1983, vol. I, pp. XXVIIIXXIX. 2 ANDREA FRIGGI, Una notte a Posillipo. Antonio Farina and the Neapolitan Serenata, in ANTONIO FARINA, Serenate Napoletane. Andréanne Paquin, sopranao; Anna Stegman, solo recorder; Ensemble Odyssee; Andrea Friggi, harpsichord&direction. CD, Heidelberg, Pan Classic, 2013 (libretto di accompagnamento, pp. 10-12). 3 DINKO FABRIS, La serenata a Napoli prima di Alessandro Scarlatti, in La serenata tra Seicento e Settecento: musica, poesia, scenotecnica, a cura di Nicolò Maccavino, 2 voll., Reggio Calabria, Laruffa, 2007, pp. 25-26.
Più di uno studioso ha soffermato la propria attenzione sulle fonti manoscritte, oggetto potenziale di ulteriori ed inediti studi, che tramandano le serenate monodiche e i nomi dei vari autori.4 Teresa Maria Gialdroni, in particolare, ha rilevato il contesto complesso e, talvolta, difficilmente sondabile, emergente dalle fonti stesse, conservate perlopiù presso la Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli.
In questi manoscritti, accanto a musicisti per i quali abbiamo, se non altro, alcune coordinate biografiche - e mi riferisco per esempio a Simone Coya, Giovanni Salvatore, Giovanni Solino, Orazio Antonio Fagilla, Lorenzo Minei e Giovanni Cesare Netti - ne troviamo altri per i quali si stenta a ricostruire un profilo ben definito e riconoscibile. Emblematico il caso di Antonio Farina, di cui ci è arrivato un repertorio di cantate e, soprattutto, di serenate che è notevole, non solo dal punto di vista quantitativo.5
Poche sono le notizie a disposizione sulla vita di quest’ultimo autore, per il quale la letteratura attualmente prodotta oscilla tra l’ipotesi di un’origine napoletana e l’ipotesi di un’origine veneta, non senza aver supposto probabili connessioni con Roma, come lascerebbe pensare la presenza di sue composizioni proprio in fonti di provenienza romana. Farina, ad ogni modo, evidentemente entrò in contatto con l’ambiente nobiliare partenopeo, dunque con l’ambiente di commissione e fruizione delle serenate e, in più, è significativo notare anche la presenza di un suo riferimento nell’Historische Beschreibung der Edelen Sing- und Kling-Kunst di W. C. Printz (1690), in cui viene citato come importante compositore del XVII secolo.6 Quest’ultimo dato, specificamente, andrebbe riferito alla circolazione delle musiche fariniane oltralpe, che rientra nel più generale e contemporaneo fenomeno di diffusione del repertorio cameristico italiano in Francia, Inghilterra e non solo.7
4 Oltre al già citato Fabris, a titolo di esempio si ricorda anche quanto viene scritto in TIZIANA AFFORTUNATO, ‘Qui dove il piè fermai’: una ‘serenata’ tra modularità formale e manifesto poetico, «Rivista italiana di musicologia», 43/45 (2008–2010), p. 62. 5 TERESA MARIA GIALDRONI, La cantata da camera nel Seicento napoletano, in Storia della musica e dello spettacolo a Napoli. Il Seicento, a cura di Francesco Cotticelli e Paologiovanni Maione, Napoli, Turchini Edizioni, 2019, vol. II, p. 1407. 6 WOLFGANG CASPAR PRINTZ, Historische Beschreibung der Edelen Sing- und Kling-Kunst, Dresda, J.C. Mieth, 1690, pp. 147-149: https://books.google.it/books?id=0VpGAQAAMAAJ&dq=Historische Beschreibung der edelen Sing&hl=it&pg=PP7#v=onepage&q&f=false(ultima consultazione 16 giugno 2022). Cfr. ANDREA FRIGGI, The Serenatas and Cantatas with Strings of Antonio Farina, Amsterdam, ABC Amsterdam, 2013, vol. I, p. 70-71. 7 Allo stato attuale degli studi, sono stati prodotti due lavori caratterizzati da un taglio monografico inerente a Farina e alla sua produzione: circa una decina di anni fa, Andrea Friggi si è occupato dello studio ed edizione critica in due volumi di serenate e cantate fariniane concertate da due violini (FRIGGI, The Serenatas and Cantatas with Strings of Antonio Farina cit.). Nel 2021, invece, la scrivente si è occupata dello studio ed edizione critica delle serenate monodiche di Antonio Farina per sola voce e basso continuo [ANITA SISINO, Le ‘serenate-cantate’ per voce e basso continuo di Antonio Farina: sprazzi di ‘notturno sereno’, Fermo (Conservatorio di Musica “G. B. Pergolesi”), Diss., 2021]. Si rimanda a quest’ultimo contributo per approfondire vari elementi trattati nel presente articolo, nonché per l’edizione critica delle composizioni prese in esame, corredata da ulteriori cenni sulla descrizione di tutti i mss. oggetto di analisi e dalla trascrizione integrale dei testi poetici. 114
Si soffermerà ulteriormente l’attenzione proprio su una particolare declinazione della serenata monodica come sotto-categoria del genere ‘serenata’ all’interno della produzione fariniana. In altre parole, relativamente ad un autore che si è evidentemente cimentato in tale espressione musicale, come testimoniano le serenate per voce sola e violini edite da Andrea Friggi, si propone una nuova possibilità di indagine: la selezione, all’interno del corpus fariniano per voce sola e continuo (dunque in assenza di ulteriori compagini strumentali),8 di alcune cantate definibili come ‘serenate-cantate’ sulla base della rilevazione e dell’analisi di particolari caratteristiche in esse riscontrate.
In particolare, uno studio di Tiziana Affortunato dedicato proprio alle ‘serenate-cantate’ della seconda metà del XVII secolo costituisce il presupposto teorico fondamentale della ricerca proposta: in esso si trattano alcune peculiarità della serenata monodica come sotto-genere della forma serenata in generale e, inoltre, si propone la possibile inaugurazione di una nuova prospettiva di ricerca basata su un approccio induttivo, quindi mirante a far emergere quanto può riferire una singola fonte, al fine di poterla definire come ‘serenata’.9
L’individuazione di una tipologia poetico-musicale di ‘nicchia’ - quale è appunto quella delle ‘serenate’ vocali della seconda metà del Seicento, non pensate in funzione celebrativa e/o encomiastica - potrebbe a mio avviso costituire un primo strumento di indagine non solo per i rapporti tra poeti, musicisti e committenti orbitanti negli stessi contesti sociali, ma anche per l’evoluzione della ricerca poetica di un secolo per cui la ‘crisi’ si è intesa probabilmente troppo a lungo come scadimento.10
La studiosa, inoltre, si colloca sulla falsariga di Dinko Fabris richiamando il testo poetico come elemento specifico da indagare per comprendere quali caratteristiche permettano il riconoscimento di eventuali ‘serenate-cantate’.11
Riassumendo, sono essenzialmente due i fattori di identificazione delle ‘serenate’ vocali italiane per voce e Basso continuo circoscrivibili tra gli anni Sessanta e Ottanta del XVIII secolo, ed entrambi focalizzati sul testo. Il primo concerne l’aspetto contenutistico, e il secondo la dinamica performativa, ossia l’eventuale presenza di una modalità dialogica non agita, senza scenografia, ma non per questo inconsapevole ed estranea ad una drammaturgia intenzionale. La particolare tipologia di ‘serenata’ che qui si è voluto individuare si inserisce, a mio avviso, nel dibattito più generale sulla contestualizzazione formale del genere, e proprio per la sua delimitazione a un ridotto numero di esempi - le ‘serenate’ più modeste per pretese performative e più simili a una cantata ordinaria - si presta quale specimen di una metodologia analitica che rifugge ogni prescrittivismo a favore dell’attenzione mirata alla fonte, nella sua duplice veste di testo e musica.12
8 FRIGGI, The Serenatas and Cantatas with Strings of Antonio Farina cit., vol. I, pp. 46-50. 9 Cfr. TIZIANA AFFORTUNATO, Le ‘serenate-cantate’ della seconda metà del Seicento: appunti per la definizione di un genere, in Musicologia come pretesto. Scritti in memoria di Emilia Zanetti, a cura di Tiziana Affortunato, Roma, Istituto Italiano per la Storia della Musica, 2010, pp. 13–25. 10 Ivi, pp. 23-24. 11 Cfr. FABRIS, La serenata a Napoli prima di Alessandro Scarlatti cit., p. 44. 12 AFFORTUNATO, Le ‘serenate-cantate’ della seconda metà del Seicento cit., pp. 24-25 (le sottolineature sono della scrivente). Credo che l’autrice intenda ‘XVII’ in luogo di ‘XVIII’ secolo.
In particolare, per quanto riguarda il primo fattore (l’aspetto contenutistico), l’indagine consiste nel rilevare l’eventuale presenza di topoi tipici del genere, tra i quali si ricordano soprattutto l’ambientazione notturna, i rimandi più o meno espliciti alla ciclicità degli eventi, la definizione di un ‘qui ed ora’ temporale e l’immagine delle ‘mura’ dell’amata dormiente, che la proteggono ma isolano dall’io lirico.13
Invece, la dinamica performativa, costituente il secondo fattore, rimanda proprio alla presenza di un «dramma non agito, non scenico»,14 ovvero ad una «modalità dialogica ‘ideale’, tra un amante non corrisposto che indirizza le sue preghiere ad un’amata inevitabilmente dormiente e quindi ‘sorda’ a tali sofferenze».15
Tra le composizioni fariniane per voce sola e basso continuo, a fronte di alcuni titoli che condividono solo alcuni, episodici topoi del genere e che non possono essere definiti, pertanto, come ‘serenate-cantate, cinque sono le composizioni che, invece, mi pare rispondano pienamente ad entrambi i criteri espressi (aspetto contenutistico e dinamica performativa) e possano essere definite, quindi, come ‘serenate-cantate’ fariniane:
1. Sotto il latino cielo; 16 2. Là dove il vasto Gange; 17 3. Là ne’ veneti lidi; 18 4. Rallegratevi amici; 19 5. Regie paludi addio.
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Sotto il latino cielo presenta un dramma non agito, ovvero una modalità dialogica ideale tra lo sconsolato e ‘solingo’ Fileno e una lontana e irraggiungibile Filli («Stanco di trar Fileno innamorato | Dal suo nume adorato | Lontano i giorni e sconsolato gl’anni»). La lontananza dall’amata si riverbera in un disperato monologo rivolto alle ‘stelle ree’ («Stelle ree che pretendete | Dal valor di mia costanza | Che in sì lunga lontananza | Di tormentarmi ancor satie non siete»): proprie dell’ambientazione notturna, esse fanno parte della bellezza naturale, dalla quale risulta escluso l’io lirico e il suo affanno; gli astri e il loro influsso, in altre parole, rimandano metaforicamente alla
13 Ivi, pp. 19-21. 14 Ivi, p. 15. 15 Ivi, p. 19. 16 Sotto il latino cielo (Clori- Archivio della Cantata italiana: I-Nc 35.5.25): http://cantataitaliana.it/query_bid.php?id=4969 (ultima consultazione 16 giugno 2022). 17 Là dove il vasto Gange (Clori- Archivio della Cantata italiana: I-Nc 35.5.25): http://cantataitaliana.it/query_bid.php?id=4968 (ultima consultazione 16 giugno 2022). 18 Là ne’ veneti lidi (Clori- Archivio della Cantata italiana: I-Nc 35.5.25): http://cantataitaliana.it/query_bid.php?id=5028 (ultima consultazione 16 giugno 2022). 19 Rallegratevi amici (Clori- Archivio della Cantata italiana: I-Nc 33.5.25): http://cantataitaliana.it/query_bid.php?id=4994 (ultima consultazione 16 giugno 2022). 20 Regie paludi addio (Clori- Archivio della Cantata italiana: I-Nc 33.5.25): http://cantataitaliana.it/query_bid.php?id=4991 (ultima consultazione 16 giugno 2022): Regie paludi addio (CloriArchivio della Cantata italiana: I-Nc 33.5.38): http://cantataitaliana.it/query_bid.php?id=6540 (ultima consultazione 16 giugno 2022). 116
precarietà del destino dell’amante («Forse ch’ai vostri rai la fe’ vacilli», «D’influenza più ria | Armate pure i vostri raggi ancora», «Trofei del mio soffrire | Saran de’ vostri rai l’ire ostinate», «Così sempre costante | A vostri empi folgori | Martire della fe’ voi mi vedrete»). Per l’ambientazione, oltre all’espressione ‘latino cielo’ è interessante notare anche il puntuale riferimento alla stella Arturo, appartenente alla costellazione del Boote e tra i più luminosi astri osservabili, e al suo moto («Veloce il tardo Arturo»). L’espressione ‘latino cielo’, inoltre, concorre a definire in apertura uno concreto ‘qui ed ora’ temporale, declinato in un complemento di luogo («Sotto il latino cielo»), che definisce sia la localizzazione dell’io lirico all’aperto e in un luogo naturale (forse marittimo, come suggerirebbe l’espressione «su passeggiata arena»), sia l’ambientazione in un momento serale/notturno. In ultimo, la ciclicità degli eventi è indirettamente riferita dall’ossimorica espressione «sole oscuro»: in altre parole, l’immagine della sera mesta, ma placida e raccolta, lascia spazio al ‘sole oscuro’ (immagine del giorno in tempesta) in un discorso paradossale in cui si allude all’impossibile venir meno della fede dell’amante nei confronti dell’amata (Ah pria ch’all’idol mio | Manchi l’alma di fede).
Là dove il vasto Gange presenta a propria volta una dinamica performativa consistente nel solitario monologo dell’innamorato Lidio («Colà Lidio piangea | Indi così spargea | Suoi dolorosi accenti»). Si esplicita chiaramente un ‘qui ed ora’ temporale, come esemplifica il deittico in apertura («Là dove il vasto Gange»), collocando l’ascoltatore/spettatore in medias res, cioè in un momento di scoramento già in atto che sta per sfociare nel lamento dell’io lirico. Anche in questo caso si tratta di un’ambientazione all’aperto («Là dove il vasto Gange | Agitato da turbini e da vento», «Al cielo all’onde ai sassi all’aria ai venti», «le selve», «i sassi il mar le belve»), nuovamente vicina all’acqua («Gange», «l’onda al lito», «all’onde», «il mar»). È presente un paesaggio-stato d’animo di derivazione petrarchesca, nel quale gli elementi naturali compartecipano agli affanni dell’amante («E al mio duol al mio mal al mio tormento | Mormoran l’aure e ne sospira il vento»), ma anche in questo caso si evidenzia la lontananza tra l’affanno dell’io e le implacabili stelle, simbolo di un destino nefasto («Quando vi satiarete | Di tormentarmi più stelle spietate | Quando vi mostrarete | Contro un misero cor meno adirate», «Ma voi del mio destino | Arbitri onnipotenti | Astri ch’in ciel splendete | Se pur da voi dipende | Il flagellar un’anima innocente | Cangiate homai vicende»). Per l’ambientazione notturna, oltre ai già citati riferimenti al cielo e agli astri (cfr., in più, «Non ha il cielo tante stelle | Quante sono le mie pene»), valga anche la personificazione metaforica consistente nel «piè d’argento» del Gange, in riferimento al riflesso brillante e luminoso attuato dalla luce lunare sulla superficie del fiume.
Là ne’ veneti lidi presenta un dramma non agito consistente nel soliloquio di un ‘gentil passaggiero’ che, colpito dalla bellezza del cielo notturno («Lo spettacolo altero | Delle beltà volanti | A gentil passaggiero | In nodi di stupor legò gl’affetti | E disciolse la lingua in questi detti»), lascia emergere la propria interiorità («Che baleni fugaci | M’empion gl’occhi di luce | E mi lascian nel sen fiamme voraci»). Anche in questo caso il ‘qui ed ora’ temporale è veicolato dal deittico e dal complemento di luogo iniziali («Là ne’ veneti lidi»), lasciando emergere un chiaro riferimento alla bellezza dell’atmosfera serale nella laguna veneta («Ne i tepidi confini | Mille piccioli pini |
D’aure fresche corsali | A predar zeffiretti impennan l’ali», «Ah che a passarmi il core | Nel passar di quei pini | Un lucido momento adopra Amore», «Oh d’un mar di bellezza | Flusso e reflusso caro | Ond’io mai resto a secco di dolcezza», «Tra le cose più rare | Dirò ne’ patrii lidi | Che qui nell’Adria è così dolce il mare | Dirò caldo d’amore | Le venete delizie | Di freschi han nome e sono incendi al core»).21 L’ambientazione notturna, in particolare, è veicolata dalla ricorrenza del lessico astronomico in vari luoghi: in particolare, si cita Sirio, stella della costellazione del Cane Maggiore, e la sua luminosità («All’hor che Sirio bolle | Del giorno e della notte»);22 altri astri sono intesi per antonomasia come ‘Veneri’, in un singolare riferimento al fenomeno di propagazione dei raggi luminosi e al moto diretto e retrogrado dei corpi celesti («Le Veneri più belle | Per quel ciel cristallino | Che ricevendo rai fiamme riflette | Alternano il camino | Hora stelle retrograde hor dirette»). In ultimo, è possibile avanzare un’ulteriore ipotesi sul contesto di tale serenata-cantata: i versi finali («Dirò caldo d’amore | Le venete delizie | Di freschi han nome e sono incendi al core») potrebbero riferirsi ai ‘freschi veneziani’: una consuetudine estiva di passeggio serale (non dissimile, dunque, dagli ‘spassi di Posillipo’), nella quale era permesso alle donne veneziane di camminare liberamente per le pubbliche vie.23 Alcuni riferimenti astronomici («Veneri», «beltà volanti», «baleni fugaci»), dunque, potrebbero avere anche una connotazione più ‘terrestre’, in qualità di ‘lubriche bellezze’ godibili in quell’ipotetico ‘mar di bellezza’ costituito, appunto, dai ‘freschi veneziani’. Il che si ricollega, quindi, all’avvampamento interiore dell’io lirico espresso nei versi finali della composizione, oltre che in precedenza (cfr. «E mi lascian nel sen fiamme voraci»).
Rallegratevi amici offre una dinamica performativa piuttosto singolare, definibile come una specie di ‘variazione su tema’ della serenata monodica: in questo caso, infatti, l’io lirico non si appella né all’irraggiungibile Lilla né ad astri luminosi e lontani, bensì agli amici-spettatori, con i quali condivide la propria liberazione dalla servitù d’amore («Rallegratevi amici | Sono al fine in libertà | Vivo lieto i dì felici | Cieco amor del mio cor | Crudo scempio più non fa»). Una ciclicità di eventi è dunque espressa, in questo caso, dall’insistenza metaforica con la quale si evidenzia il cambio di stato dell’amante da una condizione di sudditanza («Scocchi pur senza pietà | Ciglio arciero
21 Premesso che non si sa nulla sull’autore del testo poetico, ci si chiede in via del tutto ipotetica se l’espressione ‘patrii lidi’ possa alludere alla possibile origine veneta di Farina. Ciò sarebbe veridico se l’autore del testo poetico coincidesse con quello della musica, o se Farina avesse musicato il testo letterario di un suo ‘connazionale’. Ma entrambe le opzioni, al momento, sono indimostrabili. 22 ‘Del giorno e della notte’ potrebbe riferirsi al sorgere eliaco della stella, ovvero all’apparizione di Sirio subito prima del sorgere del Sole, quindi a ridosso dell’alba. ‘Bolle’, invece, richiama l’origine greca del nome della stella (cfr. σείριος: ‘splendente’, ma anche ‘ardente’, ‘bruciante’). 23 «Alla fine del seicento, Saint-Didier [...] ha scritto che partecipare ai freschi veneziani era una delle libertà più grandi che i mariti concedessero alle loro mogli» (GIAN PAOLO CHIARI, La passeggiata Italiana. Una storia culturale, Venezia, Museo del Camminare, 2019, p. 60). Oppure: «Descrivendo i freschi veneziani negli anni venti dell’ottocento, Renier Michiel [...] ha raccontato come le gentildonne vestite elegantemente facessero rallentare le loro gondole per permettere agli altri equipaggi di ‘pascersi delle loro attrattive’ o, più spesso, ‘col lanciare sguardi lusinghieri, cercavano di aumentare il loro trionfo sottomettendosi novelli schiavi’» (ivi, p. 61). Anche a p. 47 del medesimo contributo è presente un altro riferimento alla consuetudine dei ‘freschi veneziani’. 118
e dardi e strali») ad una ritrovata autonomia («Più non mi fuggi no | O cara libertà»). In particolare, si ricorre all’immagine dei legami/vincoli amorosi («Amante ravveduto | Ritraggo il cor da’ lacci ond’era involto | E s’un dì fui legato hoggi son sciolto»; «Formi pur quanto che sa | Biondo crin ceppi fatali»), oppure ad una metafora marina («Entro il pelago d’amore | Mai non vidi calma alcuna | Minacciò sempre fortuna | I naufragi a questo core»), corredata dal motivo dell’’attracco in porto’ («Dei passati perigli hor fatto accorto | Doppo tante procelle eccomi in porto»). L’ambientazione raccolta e notturna è relegata, pertanto, alla sola dimensione memoriale, espressa in conclusione assieme ad un altro topos tipico della serenata: il riferimento alle mura della dimora muliebre, adorate e pregate in qualità di gelose custodi della donna amata («Idolatra pentito | Dell’albergo di Lilla a cielo oscuro | Non bacio più, più non adoro il muro»). Quindi, in tale serenata-cantata si richiamano alcuni elementi tipici del genere per attuare un vero e proprio rovesciamento o, in altre parole, una loro evidenziazione secondo un procedimento e contrario.
In Regie paludi addio, invece, riemerge un dramma non agito similmente alle prime tre composizioni oggetto di analisi. Si assiste allo scorato monologo, rivolto all’assente Clori, dell’io lirico («Addio Clori idol mio | Mio ben mia vita»), che si accinge ad allontanarsi dalle mura dell’amata («Addio marmi ch’in sen Clori chiudete»). La definizione di un ‘qui ed ora’ temporale non è in questo caso espressa per mezzo di deittici o complementi di luogo; piuttosto, l’amante apostrofa direttamente gli elementi intorno alla dimora della donna («Regie paludi addio»), che forniscono, dunque, la tipica ambientazione naturale e all’aria aperta, sotto un cielo sì sereno, ma al quale non corrisponde l’eguale serenità dell’io. L’ambientazione notturna, infatti, è indirettamente testimoniata dal riferimento a una ‘stella crudele’, che metonimicamente va a rappresentare la volta stellata, la quale assurge a metafora del ‘fato perfido e rio’ che induce alla partenza («Può stella crudele | Sforzarmi a partire | Negarmi pietà»). Il soliloquio dell’amante dà anche conto della ciclicità di eventi che lo vede protagonista: la sorte avversa induce ad un cambiamento di stato, ovvero la dipartita dalle soglie dell’amata («Fato perfido e rio | Ch’a miei desir prescrive anguste mete | La partenza fatale hora m’addita»). Ma tale ciclicità di eventi è solo esterna all’io lirico, che sottolinea come il suo sia un allontanamento solo fisico dall’oggetto del suo amore («Da voi bella partirò | Non coll’alma ma solo col piè | E la piaga ch’amore mi fe’ | Sempre aperta serberò»). Si giunge ad identificare la partenza con la morte (come evidenziano le parolerima ‘partire’:’morire’); nondimeno, la fedeltà dell’innamorato si eternizza e supera la concreta distanza («Può farmi morire | Ma farmi infedele | Già mai non potrà»). Infine, è possibile soffermarsi ulteriormente su un’ipotesi relativa al contesto di tale serenatacantata: forse l’io lirico si esprime in un momento prossimo alla sua partenza da Napoli, trovandosi, in particolare, sulla strada di Poggioreale. Quest’ultima all’epoca era la strada di uscita dalla città partenopea a Settentrione, leggermente sopraelevata su estesi acquitrini derivati da un ramo del Sebeto: le cosiddette ‘paludi regie’, che costituivano una zona di caccia riservata ai regnanti.24
24 «Nell’area, ricca d’acqua e oggetto di bonifiche dall’inizio dell’epoca angioina, si trovavano le paludi regie, almeno in parte riservate alla caccia di riviera, e masserie private», in PAOLA MODESTI, 119
Dunque, esclusa l’eccentricità esemplificata da Rallegratevi amici, le serenate-cantate oggetto di studio ci immergono in un contesto notturno e raccolto, un’atmosfera tendenzialmente idillica.25 Tuttavia, alla placidità del contesto fa da contraltare l’assenza della donna amata, l’’avvampamento interiore’ dell’io lirico e il suo solitario monologo.
Sulla base della cernita attuata da Andrea Friggi dei mss. contenenti composizioni fariniane per voce sola e basso continuo, si riportano di seguito i testimoni delle serenatecantate oggetto di studio.26
Titolo delle composizioni Sotto il latino cielo
Là dove il vasto Gange
Là ne’ veneti lidi
Rallegratevi amici
Regie paludi addio Testimoni
I-Nc 33.5.25 Gb-Och Mus. 958
I-Nc 33.5.25 I-Nc 33.5.17 I-Nc 22.1.4(11) I-Nc 33.4.14_b Gb-Och Mus. 958 D-Hs ND VI 2259b
I-Nc 33.5.25 Gb-Och Mus. 958
I-Nc 33.5.25 Gb-Och Mus. 958
I-Gl B-2-6 I-Nc 33.4.10 I-Nc 33.4.16 I I-Nc 33.5.25 I-Nc 33.5.38 I-MOe Ms. Mus.F.1349 I-MOe gamma.L.10.27 Gb-Och Mus. 958
Com’è evidente, tre composizioni su cinque sono conservate solamente da due testimoni (Gb-Och Mus. 958 e I-Nc 33.5.25), mentre si aggiungono a quest’ultimi mss. altri quattro e sei testimoni rispettivamente per Là dove il vasto Gange e Regie paludi
Le delizie ritrovate. Poggioreale e la villa del Rinascimento nella Napoli aragonese, Firenze, Olschki, 2014, p. 2. 25 Essa è confortata dalla ricorrenza di vari nomi arcadico-bucolici: Filli e Fileno (Sotto il latino cielo), Lidio (Là dove il vasto Gange), Lilla (Rallegratevi amici), Clori (Regie paludi addio). Di fatto, l’argomento arcadico è un topos già consolidato nel coevo repertorio cantatistico (cfr.TERESA MARIA GIALDRONI, Francesco Provenzale e la cantata a Napoli nella seconda metà del Seicento, in La musica a Napoli durante il Seicento cit., p. 135. 26 Vedi nota 8.
addio. Gb-Och Mus. 958 e I-Nc 33.5.25 costituiscono gli elementi centrali e su di essi si incentrerà l’attenzione, pertanto, in quanto entrambi contengono un testimone di ognuna delle serenate-cantate analizzate.
Sembrerebbe ipotizzabile la derivazione di Gb-Och Mus. 958 e I-Nc 33.5.25 da un antigrafo comune, con una diversificazione nella tipologia di ms. e differente contestualizzazione dei due testimoni per quanto riguarda la destinazione d’uso. I-Nc 33.5.2527 è un ms. napoletano unitario28 e sembrerebbe essere, sulla base della categorizzazione proposta da Murata,29 una miscellanea redatta da copisti di professione destinata all’uso privato. Un ms. ‘ad uso e consumo’, pertanto, come attesta la varietà dei contenuti e una veste grafica chiara ma non sistematicamente sorvegliata dal punto di vista estetico (si nota, ad esempio, la difforme presenza di capilettera ornati all’inizio delle composizioni).
Situazione differente per Gb-Och Mus. 958, 30 che invece sembrerebbe essere un tipico ms. in carta d’ariette da collezione privata: omogeneo per struttura e grafia, presenta anche una veste estetica sistematicamente curata. Non ultimi, anche il formato31 e il contenuto ne confermerebbero la natura: tranne che per alcuni casi, si tratta interamente di composizioni di Antonio Farina. Costituiscono un’eccezione quattro cantate adespote (Gelosia nemica audace, Tenti pur l’alma stancarmi, Perch’io viva sempre in pene, Già del Perso Tiranno). Inoltre, la composizione Sventurati miei pensieri è attribuita a G.B. Bassani da una mano diversa dal copista di testo e musica,32 mentre un’ulteriore scrittura a matita attribuisce Cara e dolce libertà ad A. Cesti.33 In ultimo, tra tutte le musiche presenti si segnala il duetto fariniano Gran Dio delle battaglie (Venere e Marte), in cui le voci impiegate (soprano e basso) sono accompagnate da due violini oltre al basso continuo.
27 Delle schede descrittive edite di tale ms. sono presenti tanto in MAURO AMATO, Le antologie di arie e cantate tardo-seicentesche alla biblioteca del Conservatorio “S. Pietro a Majella” di Napoli. Tesi di dottorato di ricerca in filologia musicale, Cremona, Diss., 1997, vol. II, pp. 135-142, quanto nell’apparato critico di GIOVANNI CESARE NETTI, Cantate e serenate a una, due voci e basso continuo (Napoli, 1676-1682), a cura di Giovanni Tribuzio, seconda ristampa aggiornata e ampliata, Perugia, Morlacchi Editore, 2020, pp. 43-46. Cfr. anche FRIGGI, The Serenatas and Cantatas with Strings of Antonio Farina cit., vol. I, pp. 50-51. 28 AMATO, Le antologie di arie e cantate tardo-seicentesche cit., vol. I, pp. 44-45. 29 Ivi, pp. 22 e 25-27 e MARGARET MURATA, La cantata romana fra mecenatismo e collezionismo, in La musica e il mondo. Mecenatismo e committenza musicale in Italia tra Quattro e Settecento, a cura di Claudio Annibaldi, Bologna, il Mulino, 1993, pp. 253-266. 30 http://library.chch.ox.ac.uk/music/page.php?set=Mus.+958&msflag=0#MSTAB (ultima consultazione 16 giugno 2022). La scheda descrittiva di tale ms. è edita in FRIGGI, The Serenatas and Cantatas with Strings of Antonio Farina cit., vol. I, pp. 164-165 (cfr. anche pp. 52-54). 31 ANGELA ROMAGNOLI, Il manoscritto di musica nel Seicento, in Il libro di musica: per una storia materiale delle fonti musicali in Europa, a cura di Carlo Fiore, Palermo, L’epos, 2007, pp. 219 e 225. 32 In I-PAp Sanvitale Sanv.B.1/XIV, invece, risulta attribuita ad A. Scarlatti. 33 L’attribuzione a Cesti di tale composizione ricorre anche per I-Nc 33.5.16, mentre per I-Nc 34.5.1ter è attribuita a Scarlatti.
È vero che nel ms. sono quasi del tutto assenti i riferimenti ai compositori ma, potendoci basare sulle attribuzioni di prima e seconda mano in tutti gli altri vari testimoni,34 ovviamente salta all’occhio in Gb-Och Mus. 958 l’implicita attenzione ed ‘insistenza antologica’ dedicata ad un singolo autore (Farina, appunto); caratteristica, quest’ultima, nuovamente associabile ad un ‘intento collezionistico’.
In aggiunta, si elencano le composizioni comuni sia a Gb-Och Mus. 958 che a I-Nc 33.5.25; di quest’ultimo si indicano anche i copisti coinvolti.35 Oltre alle serenate-cantate oggetto di analisi, figurano altre tre composizioni di Farina:
Sotto il latino cielo (mano Amato B in I-Nc 33.5.25); Là dove il vasto Gange (mano Amato B in I-Nc 33.5.5); Là ne’ veneti lidi (mano Amato A in I-Nc 33.5.25); Rallegratevi amici (mano Amato B in I-Nc 33.5.25); Regie paludi addio (mano Amato B in I-Nc 33.5.25); Aure lievi che sentite (mano Amato D in I-Nc 33.5.25); Lumi miei m’ingannate (mano Amato A in I-Nc 33.5.25); Crudo verme dell’anime amanti (mano Amato B in I-Nc 33.5.25). L’intervento significativo della mano Amato B permette di rimarcare il legame tra GbOch Mus. 958 e I-Nc 33.5.25, in quanto tali mss. sembrano il frutto di attività non avulse l’una dall’altra.36 Basti pensare al fatto che sia la mano Amato B che il copista di Gb-Och Mus. 958 (probabilmente romano)37 contribuiscono alla redazione di GbOch Mus. 948:
Gb-Och Mus. 948: Volume oblungo di 275x105 mm. Filigrane: tre monti in doppio cerchio e agnello pasquale in doppio cerchio.Legatura in pelle chiara morbida. Tre copisti italiani di cui la mano napoletana Amato B presente anche in Gb-Och Mus. 952, Gb-Och Mus. 955 e Gb-Och Mus. 956. Repertorio: musica vocale di G. Corsi, A. Masini, L. Rossi, A. Stradella, A. Farina, G. C. Netti, P. Cesti.38
34 AMATO, Le antologie di arie e cantate tardo-seicentesche cit., vol. II, p. 141. 35 Ivi, p. 135. Cfr. pp. 42-46 (vol. I) del medesimo contributo, inoltre, per la disamina e le relative denominazioni dei copisti studiati. 36 Si ringrazia Alessio Ruffatti per la preziosa condivisione delle informazioni successive. 37 Vedi nota 30. Friggi, tuttavia, sulla base di evidenze codicologiche emergenti in I-Nc 33.5.33, non esclude la possibile origine napoletana di tale copista. Cfr. FRIGGI, The Serenatas and Cantatas with Strings of Antonio Farina cit., vol. I, pp. 53-54 (nota 158 in particolare). 38 Trattasi di una scheda mai pubblicata di Gb-Och Mus. 948, redatta da Alessio Ruffatti. Cfr. anche http://library.chch.ox.ac.uk/music/page.php?set=Mus.+948&msflag=1#MSTAB (ultima consultazione 16 giugno 2022). Si evidenzia, in particolare, come tale ms. presenti filigrane compatibili con quelle usate a Napoli e Roma nel secondo Seicento. Un’altra descrizione di tale ms. è presente in NETTI, Cantate e serenate a una, due voci e basso continuo cit., pp. 37-38: in questo singolo caso il copista di Gb-Och Mus. 958 è nominato come ‘B’ (cc. 20r-41r, 54r-59v). 122
Del resto, è nota la diffusione e l’ampiezza del lavoro della mano Amato B anche in mss. ora conservati presso istituzioni straniere,39 il che si ricollega al già citato fenomeno di diffusione europea della cantata da camera del Seicento e la disseminazione oltralpe del lavoro dei copisti romani e napoletani.40 Anche Gb-Och Mus. 958, pertanto, sembrerebbe rientrare in questa dinamica: basti pensare al rapporto istituibile tra tale ms. e la temperie culturale oxoniense legata a figure come Henry Aldrich.41 Queste considerazioni, unite alle caratteristiche già trattate della veste esterna di Gb-Och Mus. 958, portano a considerare quest’ultimo come uno dei tanti mss. oggetto di interesse e conservazione da parte di ‘curiosi e bramosi oltramontani’.42 Il che potrebbe essere riferito anche alla nota presente nel ms. relativa all’ipotetico possessore precedente («Mr. Jones March ye 25th.»).43 In ultimo, un terzo ms. conservato a Napoli, estraneo alle cinque composizioni considerate, risulta interessante per la valutazione dei rapporti tra Gb-Och Mus. 958 e I-Nc 33.5.25: I-Nc 33.5.28.44 I due mss. partenopei, in primis, sembrerebbero considerabili alla stregua di un unico ms. distinto in due volumi per la rilevante presenza della mano di Amato A e Amato B, perché si notano, a luoghi, delle somiglianze tra le varie ed ulteriori mani secentesche che attribuiscono le composizioni e, non ultimo, per la presenza di svariate musiche fariniane. Inoltre, I-Nc 33.5.28 ha delle caratteristiche codicologiche simili a quelle di I-Nc 33.5.25.
In I-Nc 33.5.28 ricorrono titoli fariniani in comune con l’esemplare oxoniense, ma non con quello napoletano: proprio questo fatto, ulteriormente, conforterebbe la visione dei due mss. partenopei come elementi di un’unitaria, ideale antologia, il che si lega
39 ALESSIO RUFFATTI, La collection de cantates italiennes d’Henry Prunières, in Henry Prunières (1886-1942). Un musicologue engagé dans la vie musicale de l’entre-deux-guerres, a cura di Catherine Massip, Florence Gétreau e Myriam Chimènes, Parigi, Société Française de musicologie, 2015, pp. 189-226 (cfr. la sezione finale del paragrafo dal titolo Entre Naples et Rome: la musique de la génération d’Alessandro Scarlatti). 40 ID., From Patronage to Collectionism: Dissemination of Roman Cantata Score in France, in Musical Text as Ritual Object, a cura di Hendrik Schulze, Turnhout, Brepols Publishers, 2015, pp. 5972; ID., La cantata ‘Dite o cieli se crudeli’: un esempio di conflitto di attribuzione tra Rossi e Carissimi e la diffusione delle cantate italiane fuori d’Italia, in L’opera musicale di Giacomo Carissimi. Fonti, catalogazione, attribuzioni, a cura di Daniele Torelli, Roma, Futura Grafica srl, 2014, pp. 81106; ID., La diffusion des cantates de Luigi Rossi en Europe, «Le jardin de musique», 4/1-2 (2007), pp. 51-69. 41 Per un approfondimento sulla figura di Aldrich cfr. ROBERT SHAY, ‘Naturalizing’ Palestrina and Carissimi in Late Seventeenth-Century Oxford: Henry Aldrich and His Recompositions, «Music & Letters», 77/3 (1996), pp. 368-400. 42 ALESSIO RUFFATTI, «Curiosi e bramosi l’oltramontani cercano con grande diligenza in tutti i luoghi». La cantata romana del Seicento in Europa, «Journal of Seventeenth-Century Music», 13/1, (2007): http://www.sscm-jscm.org/v13/no1/ruffatti.html (ultima consultazione 16 giugno 2022). 43 Vedi nota 30. 44 La scheda descrittiva di tale ms. è edita in FRIGGI, The Serenatas and Cantatas with Strings of Antonio Farina cit., vol. I, pp. 165-166 e NETTI, Cantate e serenate a una, due voci e basso continuo cit., pp. 40-42. Si evidenzia, in particolare, l’originaria provenienza dalla collezione di Andrea De Gennaro, caratteristica non condivisa con I-Nc 33.5.25.
sia ai condivisi interventi dello stesso gruppo di copisti, sia alla ricorrenza di un repertorio simile e focalizzato sulla figura di Antonio Farina.
Pertanto, i tre mss. sembrerebbero determinare una costellazione di testimoni fariniani sia per i vari punti in comune (tra I-Nc 33.5.25 e Gb-Och Mus. 958 e tra I-Nc 33.5.28 e Gb-Och Mus. 958), sia per gli elementi di separazione ipoteticamente non casuali (I-Nc 33.5.25 e I-Nc 33.5.28).
Questa circostanza può essere utile per rilevare ulteriori particolari del processo produttivo e di diffusione dei mss. antologici. Il che, inoltre, rende interessante la musica di Farina anche per la differenziazione materiale dei mss. testimonianti tale repertorio, miscellanee destinate all’uso privato o ms. da collezione che siano, per i quali è ulteriormente ipotizzabile la presenza di un eventuale antigrafo in comune. Vale ribadire il ‘ruolo di cerniera’ che ha Gb-Och Mus. 958 rispetto agli esemplari partenopei, in quanto da ciascuno ricorrono varie composizioni di Antonio Farina al quale, anzi, è destinata la predetta insistenza antologica.
Seguono, infine, due prospetti recanti i titoli fariniani presenti in I-Nc 33.5.28 (si sottolineano quelli condivisi con Gb-Och Mus. 958) e quelli presenti in I-Nc 33.5.25 (anche in questo caso si sottolineano le composizioni condivise con Gb-Och Mus. 958, ad esclusione delle serenate-cantate oggetto di analisi).45 Si ricorda, in più, la ricorrenza dei copisti comuni ad entrambi i mss. napoletani.46
I-Nc 33.5.28 Mano Amato A (cc. 2r-42r, 111r-113r, 119r128r, 129r-150r); mano Amato B (cc. 87r-110v, 114r-118r); mano Amato D (cc. 68r-80v). Ci si riferisce alla cartulazione moderna a matita.
Amor ci fui colto I-Nc 33.5.28 B-Bc 15322
Crudeltà ferità in amore I-Nc 33.5.28 Gb-Och Mus. 958 Costanza in bella donna è vanità I-Nc 33.5.28 Dal mio sen che più volete I-Nc 33.5.28 Di due ciglia al bel fulgore I-Nc 33.5.28 Gb-Och Mus. 956 Gb-Och Mus. 958
Dove amor si stia nol so I-Nc 33.5.28 Gb-Och Mus. 958
Fermati o mio pensier O ministre di pianto I-Nc 33.5.28
I-Nc 33.5.28 Gb-Och Mus. 958
Quando mai mio cor sarà I-Nc 33.5.28
45 Vedi nota 8. 46 Nello specifico, la ricorrenza dei copisti di I-Nc 33.5.25 è desunta da AMATO, Le antologie di arie e cantate tardo-seicentesche cit., vol. II, p. 135. 124
Udite amanti
Un sol bacio
Vorrei pur fingere I-Nc 33.5.28 I-Nc 60.1.49 Gb-Och Mus. 958
I-Nc 33.4.4 I-Nc 33.5.28
I-Nc 33.5.28 Gb-Och Mus. 958
I-Nc 33.5.25 Mano Amato A (cc. 1r-18v, 147r-153v); mano Amato B (cc. 19r-87r, 97r-104v, 116r-136v, 142v-146v, 154r-168v); mano Amato D (cc. 90r96v, 105r-115v, 137r-142v).
Aure lievi che sentite I-Nc 33.5.25 Gb-Och Mus. 958
Crudo verme dell’anime amanti I-Nc 33.5.25 Gb-Och Mus. 958
Fermatevi sospiri Havete il torto affé I-Nc 33.5.25
I-Nc 33.5.25 I-Nc 33.3.4 I-Nc 33.4.4 I-Nc 33.4.36a
Lumi miei m’ingannate
Non è sol la lontananza
Ricordati mio core
Solitari miei pensieri I-Nc 33.5.25 Gb-Och Mus. 958
I-Nc 33.5.25
I-Nc 33.5.25
I-Nc 33.5.25
Conformemente a quanto avviene nelle coeve cantate, la pluralità di recitativi, ariosi ed arie sopperisce all’esigenza espressiva di significare l’assolo drammatico del soggetto, che a luoghi si rivolge anche agli elementi dell’ambiente circostante, oltre che al proprio amore. Si riporta, pertanto, la situazione emergente nelle cinque serenate-cantate in relazione a tale aspetto. In particolare, l’elenco che segue rispecchia la divisione in movimenti ricorrente nei testi poetici.
Sotto il latino cielo (do minore): • recitativo/arioso: «Sotto il latino cielo»; • aria: «Stelle ree che pretendete»; • recitativo: «Forse ch’ai vostri rai la fe’ vacilli»; • refrain: «Stelle ree che pretendete»; • recitativo/arioso/recitativo: «D’influenza più ria»; • refrain: «Stelle ree che pretendete»;
Là dove il vasto Gange (sol minore): • recitativo/arioso: «Là dove il vasto Gange»; • aria: «Fra catene deh chi mi legò»; • recitativo: «Quando vi satiarete»; • aria: «Non ha il Gange tante arene»; • arioso: «Tante sono le stille»; • aria (2a): «Imparato hanno le selve»; • arioso/recitativo/cavata: «E al mio duol al mio mal al mio tormento».
Là ne’ veneti lidi (re minore): • recitativo/arioso: «Là ne’ veneti lidi»; • recitativo: «Le Veneri più belle»; • aria: «Che vaga scena oh dio»; • aria: «Ah che a passarmi il core»; • arioso: «Così quel bel ch’io scerno»; • aria: «Oh d’un mar di bellezza»; • recitativo/arioso/cavata: «Tra le cose più rare».
Rallegratevi amici (la minore): • aria: «Rallegratevi amici»; • recitativo/arioso/cavata: «Amante ravveduto»; • aria: «Entro il pelago d’amore»; • recitativo/cavata: «Dei passati perigli hor fatto accorto»; • aria: «Scocchi pur senza pietà»; • recitativo/cavata: «Idolatra pentito».
Regie paludi addio (do minore): • arioso/recitativo/cavata: «Regie paludi addio»; • aria: «Da voi bella partirò»; • aria: «Può stella crudele».
Com’è evidente, ogni serenata-cantata è caratterizzata da tonalità di impianto in modo minore, che di tali composizioni veicola «la natura prevalentemente lirica e la Stimmung melanconica».47
Sono assenti arie col ‘da capo’, ma non mancano altre forme di ripetizione. In Sotto il latino cielo il refrain melodico-testuale della prima aria («Stelle ree che pretendete»), contorna i movimenti successivi e conclude la composizione, come a voler ribadire, nel prosieguo del lamento amoroso, il singolo leit motiv dell’implacabilità del fato (simboleggiata dagli astri). Là dove il vasto Gange presenta un’aria strofica, le cui parti
47 Caratteristiche che Gialdroni attribuisce ad alcune cantate di Francesco Provenzale, ma che sono perfettamente associabili anche alle serenate-cantate oggetto di analisi (vedi nota 25). 126
(«Non ha il Gange tante arene», «Imparato hanno le selve»), caratterizzate quasi dallo stesso andamento melodico, sono inframezzate da un arioso («Tante sono le stille») che, tramite il motivo del pianto, approfondisce il discorso e collega semanticamente le due strofe dell’aria. Anche Regie paludi addio presenta un’aria strofica («Da voi bella partirò»): in questo caso la seconda strofa (il cui inizio coincide col verso «L’occhio nero che m’infiammò») succede direttamente alla prima e ne ricalca la stessa melodia.
Al di là delle arie, inoltre, emerge una frequente alternanza tra recitativi, ariosi e cavate, spesso senza soluzione di continuità.48 La varietà, ovviamente, sopperisce ad un’esigenza di diversificazione diegetico-testuale: se lo ‘stile arioso’ è concomitante al dispiegamento interiore dell’io lirico, lo ‘stile recitativo’ si presta a momenti più narrativo-descrittivi.
A tal proposito, è opportuno rilevare come le prime tre serenate-cantate presentino un esordio simile, tipico di varie cantate dello stesso periodo.
L’esordio della Serenata di Caproli ricalca una tipologia precisa della produzione vocale da camera coeva, quella della cantata a carattere narrativo, il cui testo, a mo’ di narrazione, prevede inevitabilmente un recitativo introduttivo, deputato a ‘introdurre’ l’ascoltatore in una storia, preludio all’espressione ariosa del protagonista.49
È quanto ricorre all’inizio dei primi recitativi di Sotto il latino cielo e Là dove il vasto Gange e nei primi due movimenti di Là ne’ veneti lidi. 50 In Rallegratevi amici e Regie paludi addio, invece, emerge fin da subito la prima persona, dunque la diretta espressività dell’io lirico.
Queste considerazioni stilistico-compositive permettono di introdurre un’ulteriore riflessione in merito alla serenata monodica, sotto-genere della serenata vocale come forma: se ne richiama l’eccentricità formale, al contempo mimetica ed inedita rispetto al coevo repertorio cantatistico, evidenziata varie volte in letteratura.
Come sottolineato da Stefanie Tcharos, ad esempio, «on a fundamental level, the serenata was a chamber cantata donned with the potential for instrumental performance
48 GIALDRONI, Francesco Provenzale e la cantata a Napoli nella seconda metà del Seicento cit., pp. 129-130. Vale anche quanto rileva Affortunato in merito alla generazione di autori nati nel primo ‘600 (tra i quali parrebbe rientrare anche Farina): «La morfologia testuale e musicale del repertorio cantatistico di Caproli e degli altri musicisti della sua generazione denuncia fluidità e assenza di nette cesure tra sezioni recitative e ariose, caratteristiche tipiche della ‘prima’ fase del genere» (AFFORTUNATO, ‘Qui dove il piè fermai’ cit., p. 49). 49 Ivi, p. 50. Anche Marie Louise Catsalis nota la medesima dinamica per alcune serenate a voce sola scarlattiane: «Two of the solo serenatas of Scarlatti, All’hor che stanco il sole and Sotto l’ombra d’un faggio, open with a short recitative in the third person, setting the scene as would a narrator, but both works adopt the use of the first person for all that follows» (ALESSANDRO SCARLATTI, Solo Serenatas, a cura di Marie-Louise Catsalis e Rosalind Halton, Middleton, A-R Editions Inc., 2011, p. XXI). 50 Invece, tra le serenate fariniane per voce sola e violini, è Di Pausillippo in su l’herbosa sponda a condividere questa stessa peculiarità (FRIGGI, The Serenatas and Cantatas with Strings of Antonio Farina cit., vol. I, pp. 176-179).
of grand proportions».51 In altre parole, la studiosa afferma il sostanziale ‘imprinting cameristico’ della serenata vocale in generale, la quale, poi, risulta modulabile a seconda di occasioni e contesti e si declina, pertanto, nell’uno o nell’altro sotto-genere. 52
Tali considerazioni possono legarsi a quanto riferisce Talbot in vari contributi sulla serenata vocale.53 È opportuno sottolineare come tale autore concentri la propria attenzione principalmente sulla prima metà del Settecento: un periodo in cui la serenata si cristallizza principalmente in una forma polivocale e dotata di accompagnamento strumentale. Tuttavia, le sue considerazioni sono da esaminare anche per il periodo precedente, poiché contribuiscono ugualmente alla riflessione e definizione del carattere poli-prospettico della serenata monodica, di meno ampio respiro e target ristretto: è considerabile, appunto, come espressione musicale autonoma, la quale fonda la propria indipendenza proprio nello statuto proteiforme che l’ha condotta a prendere in prestito e far propri stilemi di altre espressioni musicali.
Is it correct to uphold our original definition of the serenata as a species of cantata rather then, say, a cross between cantata and opera or even a form of opera tout court? The answer is in a sense academic, for the serenata is distinctive enough to be regarded as an independent genre separate from both cantata and opera. But if we consider the question historically, we see that the operatic elements are superimposed rather than fundamental - and many of them were commonly adopted also by the chamber cantata in the general process of ‘operatization’ [...]. So the informal description of many serenatas as ‘cantatas’ corresponds to their essential nature.54
Com’è giusto pensare, il discorso sui generi e forme musicali non dovrebbe indulgere in atteggiamenti prescrittivi di matrice positivista, atti a sclerotizzare in ‘compartimenti teorici stagni’ ciò che, specialmente in passato, doveva essere recepito come inoppugnabilmente fluido.55 Il che, ad esempio, è proprio dimostrato dal generale processo di ‘drammatizzazione’ delle forme cameristiche attuato dall’opera, genere ‘principe’ del secolo. La musica vocale da camera, a propria volta, passa per un’ibridazione che rende modulabili e rimodulabili specifici pattern e topoi compositivi, in quanto le singole composizioni finiscono per riflettere, più o meno indirettamente, la varietas e la stratificazione sociale sia delle destinazioni d’uso che della committenza.
At the same time that the large occasional cantata or serenata of explicit political import enjoyed a vogue in italy, the older custom of the amorous, intimate serenade in a
51 STEFANIE TCHAROS, The Serenata in Early 18th-Century Rome: Sight, Sound, Ritual, and the Signification of Meaning, «The Journal of Musicology», 23/4 (2006), p. 532. 52 Ivi, p. 566. Per una trattazione puntuale e approfondita sui sotto-generi della serenata vocale, cfr. MARIE-LOUISE CATSALIS, A Movable Feast: Alessandro Scarlatti and the Serenata, in Music Research. New Directions for a New Century, a cura di Michael Ewans, Rosalind Halton e John Philips, Amersham, Cambridge Scholars Press, 2004, pp. 15-26. 53 Si veda, ad esempio, MICHAEL TALBOT, Serenata, in The New Grove Dictionary of Music and Musicians. Second edition, Londra, Macmillan Publishers Limited, 2001, XXIII, pp. 113-15. 54 ID., Vivaldi’s Serenatas: Long Cantatas or Short Operas?, in Vivaldi. Teatro musicale cultura e società, a cura di Lorenzo Bianconi e Giovanni Morelli, Firenze, Olschki, 1982, pp. 78-79. 55 A tal proposito, cfr. anche FABRIS, La serenata a Napoli prima di Alessandro Scarlatti cit., p. 15. 128
lady’s honor continued to be observed. The performance of such a serenade, especially when presented by or to members of the nobility, would have likewise required a cantata. At its performance the conspicuous public display of wealth, power, and prestige associated with the political serenata would have been entirely inappropriate, however, as privacy and discrection were jealously guarded commodities in aristocratic circles. Consequently, public records of the era preserve few telling accounts of these exclusive events. Of the private serenades in noble settings of the era, all that remain as a rule are musical scores bearing the designation serenata on the cover of the title page. In certain respects such serenatas more closely resemble the chamber cantata.56
In altre parole, da un punto di visto contenutistico (cioè inerente al testo poetico), la serenata a voce sola racchiude in sé l’immagine del poeta-amante e il suo desiderio di cantare il proprio amore all’amata nelle ore serali. Da un punto di vista pratico ed esperienziale ciò si traduce nella fruizione privata di composizioni di non lunga portata accostabili, appunto, alla cantata da camera. 57
Come precedentemente accennato, tale dinamica trova la sua originale e precipua declinazione proprio nell’ambiente napoletano degli ‘spassi di Posillipo’.
Le serenate autoctone napoletane anteriori al 1683 erano indistinguibili dalle normali cantate da camera, tranne che per la presenza sistematica degli strumenti (2 violini) e soprattutto per l’ambientazione del testo, che rispettava il canone funzionale dell’etimo serenata: atmosfera notturna, spesso in riva al mare, con personaggi mitologici o arcadici, musica destinata a ‘serenare’ gli animi oppressi dal dolore o sofferenti per amore. Si sfata la supposta differenza dalla cantata per estensione (queste serenate sono tutte molto brevi), per ampiezza vocale (quasi tutte sono ad una sola voce o al massimo due) e interventi strumentali (molto ridotti e poco elaborati).58
Per la realtà partenopea (ma non solo), il già citato studio di Tiziana Affortunato sulle ‘serenate-cantate’ della seconda metà del XVII secolo costituisce un contributo essenziale proprio per ribadire l’ipotesi di una più netta e possibile diversificazione tra le espressioni musicali cameristiche del periodo: «Per quanto corretto, il parallelo tra cantata e serenata vocale dei decenni centrali del XVII secolo non dà pienamente ragione
56 THOMAS EDWARD GRIFFIN, Historical Introduction, in ALESSANDRO SCARLATTI, Venere, Amore e Ragione. Serenata a 3, a cura di Judith L. Schwartz, Madison, A-R Editions Inc., 2000, p. XI. 57 Cfr. AFFORTUNATO, ‘Qui dove il piè fermai’ cit., p. 61. Si richiama, inoltre, quanto affermato da Griffin: «In the seventeenth-century monodic repertory there are numerous other pieces suitable for evening performance by a courting lover [...]. It is likely that many of them served as serenatas» (GRIFFIN, The Late Baroque Serenata in Rome and Naples cit., vol. I, p. 9). A p. 53 (vol. I) del medesimo contributo, l’autore richiama tale assunto: «Other serenatas, such as those mentioned above on page 9, are virtually indistinguishable from chamber cantatas a voce sola». 58 FABRIS, La serenata a Napoli prima di Alessandro Scarlatti cit., p. 29. La sistematica presenza di due violini concertanti è sostenuta precedentemente in JULIANNE CHARLOTTE BAIRD, The Vocal Serenata of the Seventeenth and Eighteenth Centuries, Rochester, Diss., 1976, p. 97. Viene ripresa anche da Carolyn Gianturco, ma non è condivisa in AFFORTUNATO, Le ‘serenate-cantate’ della seconda metà del Seicento cit., pp. 14 e 18. Friggi, a sua volta, considera questo singolo aspetto: «The majority of these compositions involves the presence of two violins, although this might not be a mandatory element of this genre» (FRIGGI, The Serenatas and Cantatas with Strings of Antonio Farina cit., vol. I, p. 31). Cfr. anche p. 37 (vol. I) di quest’ultimo contributo.
di un repertorio di nicchia, che [...] denuncia delle specificità formali che giustificano l’appellativo ‘serenata’ apposto nelle fonti».59 Il che permette sia di richiamare quanto già espresso da Griffin sulle evidenze codicologiche possibilmente valutabili,60 sia di superare l’indistinguibilità formale tra serenate e cantate monodiche affermata da Griffin stesso nella sua tesi dottorale,61 sia, non ultimo, di ricordare la distinzione tra serenata a voce sola e le altre sotto-categorie di più ampio respiro.
Dobbiamo rilevare, tuttavia, la presenza di una tipologia di serenata che si discosta da quella occasionale e allegorica [...] e che nel contempo ha delle caratteristiche di articolazione formale diverse da quelle della cantata coeva. Lo dimostrano le stesse fonti musicali, dal momento che in esse il termine serenata è presente con maggiore frequenza rispetto a quello di cantata in testa alle composizioni in questione. Credo che questo indichi una precisa consapevolezza formale da parte degli autori della seconda metà del Seicento, epoca a cui è ascrivibile la tipologia della ‘serenata’.62
È proprio questo il punto: le caratteristiche delle cinque composizioni fariniane considerate confortano, come esempi, tale discorso. In particolare, da un punto di vista musicale e compositivo, la loro distinguibilità come serenate monodiche passa attraverso l’’apparente indistinguibilità’ con il coevo genere cantatistico. Proprio tramite questo indiretto ‘inganno costitutivo’, questo ‘travestimento’, esse fondano un possibile statuto di individualità formale, evidenziata dal già citato binomio ‘aspetto contenutisticodinamica performativa’ inerente al testo poetico.
In conclusione, si offre un quadro riassuntivo dei vari elementi esaminati per le cinque serenate-cantate oggetto di studio.
Un primo prospetto richiama alcune caratteristiche formali trattate. Tenendo conto delle considerazioni precedenti, esse ricorrono variamente nella cantata da camera della seconda metà del Seicento e potrebbero suggerire, pertanto, sì un’identificazione con tale genere, ma solo apparente, proprio in virtù dell’indiretto processo di ‘risemantizzazione’ di stilemi cantatistici cui si alludeva poc’anzi.
Titolo
Alternanza, spesso fluida, tra ‘stile arioso’ e ‘stile recitativo’
Modalità minore di impianto (atmosfera malinconica)
Forme di ripetizione altre dall’aria col ‘da capo’ Recitativo iniziale in terza persona singolare di carattere narrativo
Sotto il latino cielo x x x (refrain melodico-
x
59 AFFORTUNATO, ‘Qui dove il piè fermai’ cit., p. 71. 60 Cfr. nota 56. 61 Cfr. nota 57. 62 AFFORTUNATO, ‘Qui dove il piè fermai’ cit., p. 62. Per un riferimento alla serenata e ai suoi sotto-generi, vedi nota 52. 130
Là dove il vasto Gange x Là ne’ veneti lidi x
Rallegratevi amici x Regie paludi addio x testuale) x x (aria strofica) x
x x
x
x x (aria strofica)
Ne emerge la visione delle cinque composizioni considerate come singoli specimina arricchenti il panorama cameristico del secondo Seicento, con precisa attenzione alla realtà partenopea e alla serenata monodica. Il tutto secondo una metodologia analitica e induttiva, favorente l’approccio mirato alla fonte nella sua duplice veste di testo poetico e testo musicale.
La seguente schematizzazione, invece, riproduce in maniera sinottica la costellazione di mss. venutasi a creare tra I-Nc 33.5.25, I-Nc 33.5.28 e Gb-Och Mus. 958 rispetto alle composizioni fariniane variamente contenute e condivise, rilevando, specificamente, i casi coinvolgenti ulteriori testimoni per i rispettivi titoli.
A fronte di alcuni esempi costituenti degli unica, si considera la presenza di varie composizioni tramandate da due testimoni; altri titoli sono conservati da tre testimoni (in I-Nc 33.5.28 non si supera mai questo livello di trasmissione), mentre per I-Nc 33.5.25 si evincono elementi più considerevoli: Havete il torto affé, con i suoi quattro testimoni e i casi significativi di Là dove il vasto Gange e Regie paludi
addio, rispettivamente con sei e otto testimoni. Sulla base di quanto è giunto fino a noi e allo stato attuale della ricerca, pertanto, l’ideale e unitaria antologia composta dai mss. partenopei vede nella parte relativa a I-Nc 33.5.25 una maggiore presenza di musica fariniana e, a luoghi, una maggiore diffusione manoscritta.
In ultimo, si ricordano gli elementi che hanno condotto, sulla base della proposta di Affortunato, ad identificare le cinque composizioni considerate come serenate-cantate in seno alla produzione di Antonio Farina per sola voce e basso continuo. Si ricorda, in particolare, la ricorrente presenza di un dramma non agito, in unione a certi aspetti contenutistici inerenti al testo letterario, tra i quali l’ambientazione notturna assume, di certo, uno spiccato rilievo. In ultima analisi, quindi, anche nella produzione vocale fariniana priva di strumenti ulteriori al basso continuo, così come in quella in cui essi figurano, è possibile rilevare alcuni sprazzi di ‘notturno sereno’.63
Titolo Dramma non agito Aspetto contenutistico-testuale
Ambientazione notturna Ciclicità di eventi ‘Qui ed ora’ temporale Immagine delle ‘mura’
Sotto il latino cielo
Là dove il vasto Gange Là ne’ veneti lidi
Rallegratevi amici
Regie paludi addio
x x x x
x x x
x x
x x x x
x
x x x x x
63 Espressione coniata in riferimento alla doppia radice etimologica caratterizzante il termine ‘serenata’, fatto derivare da serus in quanto brano da eseguirsi in ore serali, notturne, o da serenum in riferimento alle condizioni ambientali necessarie all’ambientazione all’aperto. Di fatto, il testo letterario delle serenate-cantate oggetto di studio è caratterizzato da questo doppio aspetto. Cfr. ROBERTO PAGANO, La serenata nei secoli, in La serenata tra Seicento e Settecento: musica, poesia, scenotecnica cit., p. 1. 132