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Cinzia Dichiara
1808, fino alle prime stagioni di balletto sotto Gioacchino Murat. La seconda sezione ripercorre le tappe della sua carriera da Parigi a Napoli, fra il 1784 e il 1836, dagli esordi coreografici ai viaggi, con particolare attenzione rivolta alla ricezione (non sempre univoca) dei suoi lavori; non mancano, nello sviluppo del suo percorso artistico lungo l’asse Napoli-Parigi- Vienna, aperte accuse di plagio rivolte a Filippo Taglioni –coreografo che la storiografia tradizionale ha posto al vertice delle innovazioni romantiche in Europa. Particolare attenzione è rivolta al rapporto di Henry con il coreodramma, essendo stato per troppo tempo considerato principalmente come epigono di Salvatore Viganò e al cui stile si era dovuto avvicinare per conquistare il pubblico milanese. Ma August Bournonville, nella propria autobiografia, annoverava il suo nome tra i coreografi italiani appena dopo quelli di Viganò e Gioia, sottolineandone l’ingegnosità e la precisione, talvolta la bizzarria. Nel terzo capitolo si analizza infine, nello specifico, il corpus di balli creati a Napoli, nell’intenzione di individuare tecniche compositive, strategie narrative e pratiche sceniche in relazione alle contingenze politiche del momento.
Si delinea così un profilo di Henry quale creatore versatile a muoversi nell’ambito della tradizione, ma anche capace di rinnovare quest’ultima tentando «nuove formule di balletto», anche mediante la sperimentazione di esiti differenti appartenenti a filoni già inaugurati con successo altrove (come quello coloniale), che tuttavia a Napoli non trovano riscontro positivo da parte della critica.
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Le ricche appendici che corredano il testo forniscono un quadro sinottico dell’attività coreografica di Henry fra il 1805 e il 1836 (Appendice A) e dei balli nei Teatri di San Carlo e Fondo durante il Decennio francese (Appendice B), in un habitus complessivo che riflette l’importanza dei contenuti di questo volume.
Maria Venuso
ANDREA MALVANO, Voci da lontano. Robert Schumann e l’arte della citazione, Torino, EDT, 2003, pp. 179.
Il percorso compiuto da Andrea Malvano intorno alla tecnica della citazione nell’arte di Schumann abbonda di argomentazioni, documentate attraverso un lavoro di fino che va a innestarsi su un rilevante pregresso degli studi musicologici. Che si tratti di riferimenti testuali ad autori fondamentali, quali nella fattispecie Beethoven e Schubert, oltre al sommo Bach, o che si tratti di riferimenti in codice volti ad evocare nomi, di persone, di personaggi fantastici, di luoghi, l’esplorazione della produzione musicale del compositore conduce di frequente per le impervie, quanto affascinanti, vie dell’allusione. Ciò avviene soprattutto dopo che, nel Novecento, si è dato impulso alla decodificazione di suoi temi cifrati da parte di musicologi esperti di crittografia. Nella musica di Schumann infatti circolano quasi ovunque matrici musicali riconducibili a prestiti, a citazioni, a parafrasi. Fra di esse sembra talora prevalere la citazione legata al nome di Clara, creatura amata sopra ogni cosa, bussola di un’esistenza eccentrica, e inquieta, quanto dolorosa. Talune citazioni sembrano infatti scaturire da composizioni della consorte e la loro precisa funzione è richiamarne il pensiero
nonché l’essenza. In qualche occorrenza può trattarsi anche della parola ‘Clara’ messa in musica, ovvero delle lettere del suo nome trasferite alle note corrispondenti nel sistema di notazione anglosassone, quand’anche non compaiano altre forme-motivo a lei riferite. Cosicché, sembra che Schumann abbia inseguito per l’intera esistenza l’amato nome, ripetendolo a ogni piè sospinto in taluni fonemi, e dunque nelle note ad essi corrispondenti, come se certa sua produzione artistica prendesse forma e sostanza da quell’unico bene. Basti pensare al tema della Fantasia op. 17, il cui segmento iniziale, di cinque note discendenti per grado congiunto nella parte della melodia, viene indicato come appassionato richiamo alla più nota pianista dell’Ottocento. Alle «citazioni da Clara», di volta in volta declinate da Schumann secondo una diversa immagine emotiva, Malvano dedica un capitolo della sua brillante disquisizione, per passare, quindi, ad esaminare anche le «autocitazioni». Sono, queste, un altro punto di Archimede che rende manifesto «il concetto di una continuità ideale ed estetica tra lavori diversi», impiegato dal compositore quale «mezzo simbolico per esprimere i propri ideali musicali». In qualche modo, dunque, citava sé stesso «cercando di rendere l’indefinitezza di un ricordo attraverso un uso raffinato dei mezzi musicali a sua disposizione. Egli conosceva il potenziale poetico di tutto ciò che sembra venire da lontano, e tentava di applicarlo anche a materiale in realtà molto vicino.» Era, la sua, una poetica della lontananza, tipicamente romantica. A muoverne il senso è la dimensione di Ferne (distanza) dall’oggetto amato, secondo un concetto di ascendenza beethoveniana che si ritrova in una delle citazioni schumanniane più note. Precisamente, la citazione è tratta dal ciclo di Lieder An die ferne Geliebte op. 98 (batt. 9 e sgg.) del genio di Bonn e compare nella Fantasia op. 17 (batt. 307 e segg.) rivolta alla ferne Geliebte (lontana amata), che per Schumann è Clara. Perciò, soltanto il potere comunicativo della musica è in grado di raggiungerla ed è attraverso di essa che si realizza la vicinanza spirituale più forte tra i due innamorati. Ora, non v’è dubbio che perlustrare il gioco di rimandi interno alla partitura schumanniana sia impresa, peraltro avvolta dal manto della soggettività, che si snoda attraverso regioni talora insidiose, non tanto per i riferimenti evidenti o dichiarati, quanto per i motivi criptati e quindi suscettibili di interpretazione. Tuttavia da una simile indagine affiorano risultati davvero avvincenti, e con essi emerge affascinante la logica delle rispondenze. Immancabilmente, in certi disegni interpretativi e nella loro comparazione si viene addentrati nel noûs della musica. A motivo di una loro connessione interna e di una loro confluenza in un pensiero coerente, vien dato di cogliere in partitura sentieri sotto traccia, come elementi di un circuito segreto, e fatato, che animi la sostanza musicale. E una volta che tali elementi siano stati scoperti, non si può più guardare alla musica di Schumann senza considerarne la complessità inventiva, anzi, questa viene percepita a fondo, nei suoi aspetti non soltanto musicali. A tale riguardo, opere quali Papillons, Carnaval, Davidsbündlertänze, finanche i Klavierstücke für die Jugend, sembrano costituire un serbatoio di motivi in una rete di riferimenti molteplici. Uno dei meriti di Malvano è altresì quello di chiarire con obiettiva scrupolosità concetti basilari circa la citazione, onde ampliarne la sfera di comprensione. Egli parte dall’evidenziare ciò che questa rappresenta in musica, e in particolare nella musica del compositore di Zwickau, seguendo un procedimento sul doppio binario poesia-musica.
E prosegue compiendo un’opera di ripartizione fra le diverse tipologie alle quali il genio smisurato di Schumann fa ricorso via, via che l’arte di celare significati profondi e arcani entro il pentagramma lo stimola artisticamente come forza prorompente ispirata dalla sua Sensucht psichica e intellettuale. Il bagaglio delle citazioni testuali o citazioniomaggio rivolte a musicisti, oppure al contesto letterario di autori come Goethe, Hoffmann e l’idolatrato Jean Paul Richter, è infatti da Malvano passato al vaglio e classificato con attenzione. Cosicché egli distingue tra simulazioni-omaggio, parafrasi- omaggio, criptomnesie, mettendo ordine in un sistema apparentemente senza contorni definiti.
Se facciamo un passo indietro, tutto ciò è stato oggetto di studi piuttosto singolari, per venire poi ampiamente descritto in ambito musicologico. Com’è noto, molta parte del lavoro iniziale di decrittazione dei codici cifrati di Schumann si deve a Eric Sams, esperto di crittografia e autore di diversi saggi magistrali pubblicati da The Musical Times dal 1965 al 1980. Nel volume Il Tema di Clara. I codici cifrati, i Lieder, la malattia e altri saggi su Schumann lo studioso inglese ci consegna i messaggi criptati contenuti nelle vesti sibilline della musica schumanniana, decodificati sfruttando appieno le proprie profonde conoscenze di frasari e codici nascosti, in qualità di volontario per l’Intelligence britannica durante la seconda guerra mondiale. Ora tutto ciò potrebbe apparire forse fantasmagorico e, invece, quanto più vi si legge, tanto più si penetra entro la ben nota dimensione schumanniana Doppelgänger e, in tal modo, nel duplice pensiero, musicale e letterario del compositore, in tal modo avvicinandosi realmente alla sua anima e al suo intelletto. E fu così che Sams coniò la ‘teoria dei motivi’, cosiddetta dal suo migliore critico Erik Battaglia, in ciò preceduto dall’articolo del 1964 per The Musical Times A Schumann mistery, di Roger Friske, il quale cerca di svelare il mistero dell’arte di Schumann affrontandone anche l’aspetto criptico. Se Sams ha aperto la strada a una verifica del simbolismo enigmatico schumanniano, riuscendo a decifrare numerosi temi, tra gli altri scritti musicologici sopravvenuti in tempi successivi giunge la ratifica di Nicholas Marston. Infatti, in un approfondito studio intorno alla Fantasia op. 17 (Cambridge University Press, 1992) lo studioso compie un vero e proprio excursus tra i motivi tematici, esaminando le diverse sezioni del brano e discutendone le possibili relazioni con Beethoven, con Clara, e dunque con i versi conclusivi di Die Gebüsche (I cespugli) di Schlegel, citati nel sottotitolo: Fra tutti i suoni risuona nel variopinto sogno terrestre/ un tenue suono tenuto per colui che segretamente ascolta. È dato acquisito, in conclusione, che una congerie di significati extramusicali attraversi, si sovrapponga e si accompagni senza sosta alla scrittura musicale di Schumann. Ecco, dunque, il lavoro di Malvano, venirci incontro nel fare il punto su un argomento complesso che ogni musicista dovrebbe conoscere per poter accedere in modo idoneo alla creazione del compositore portabandiera del romanticismo tedesco. Avendo assimilato la lezione del passato, che conduce avanti con fede e razionalità, Malvano ne raccoglie i frutti, porgendoli in un volume accattivante e ben strutturato, il cui preciso intento, concretizzato a dovere, è quello di avanzare nel suo itinerario di ricerca. Questo viene infatti arricchito dallo studioso di ragionamenti, corredati