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Anime affannate. Francesca da Rimini e Ugolino della Gherardesca nelle riletture musicali fra Otto e Novecento

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Lorenzo Corrado

Lorenzo Corrado

l’evoluzione del poeta per musica, soffermandosi in par- ticolare su Amleto, passando per il caso del Pier Luigi Farnese e per le tensioni insite nella traduzione di Tristan und Isolde, per approdare infine all’incessante lavoro su Nerone.

A seguire, la seconda partizione «Son luce ed ombra». Mefistofele, dichiara già nel titolo il desiderio di esplorare in maniera più che approfondita, attraverso otto saggi, l’opera boitiana di maggior suc- cesso. Peraltro è d’obbligo segnalare che, proprio nel 2018, ricorrevano i 150 anni dallo sfortunato debutto di Mefistofele, avvenuto nel 1868 al Teatro alla Scala a Milano. La complessa genesi e i tormentati inizi, che hanno portato Boito a rivedere profondamente la sua opera, proposta nel 1875 in una versione completamente rinnovata al Teatro Comunale di Bologna, così come gli sviluppi conseguenti all’apprezzamento della nuova edizione da parte del pubblico, sono ampiamente documen- tati nei saggi di Emilio Sala, Stefano Telve, Marco Beghelli, Ilaria Comelli, Tommaso Sabbatini, Federico Fornoni, Jean-Christophe Branger e Gerardo Tocchini.

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La terza parte, «Sul fil d’un soffio etesio». Il letterato, risulta piuttosto compatta e affronta Boito da un’angolazione diversa rispetto a ciò che si è soliti pensare in riferimento alla sua ampia produ- zione. Nei tre saggi di Ilaria Crotti, Emanuele d’Angelo e Giovanni Guanti viene infatti presa in esame la raffinata capacità linguistica di Arrigo Boito, il quale è anche abile narratore, con un gusto spiccato per i sottili giochi di parole, i dotti rimandi e la teatralità del racconto. Proprio in questa direzione muove l’ultima sezione del volume: «Tutto nel mondo è burla». L’uomo di teatro in cui Alberto Bentoglio, Federica Mazzocchi, Paola Bertolone, Mercedes Viale Ferrero e Giordano Ferrari tratteggiano un ritratto di Boito attraverso le sue amicizie con Giuseppe Giacosa e Giuseppe Primoli, oltre che nel contesto milanese. Di particolare rilievo è Boito e la tenta- zione della regia nelle opere in musica, ultimo contributo lasciato da Mercedes Viale Ferrero, in cui emerge in maniera puntale la propensione di Boito a operare in senso registico, già nel suo approc- ciarsi alla scrittura. Lo si sarà dunque potuto intendere: la prismatica figura di Boito è analizzata in ogni suo aspetto. Come ribadito più volte nell’ambito delle attività promosse dal Comitato nazionale, tale complessità, fatta di sovrapposizioni, slanci e ripensamenti, è imprescindibile per poter apprezzare a pieno la rile- vanza di Boito nel panorama culturale, non solo della sua epoca, ma anche in quello attuale. Il volume apre dunque sentieri che, intrecciandosi fra loro, presentano l’attuale stato di avanzamento degli studi in materia e offrono al contempo nuovi spunti di riflessione per il futuro.

Linda Baldassin

Anime affannate. Francesca da Rimini e Ugolino della Gherardesca nelle riletture musicali fra Otto e Novecento, a cura di Antonio Rostagno, Roma, NeoClassica, 2021.

L’ultimo volume curato da Antonio Rostagno raccoglie tre saggi sulle riscritture drammatico-musicali novecentesche dell’episodio di Francesca da Rimini tratto dal V canto

dell’Inferno, oltre a una serie di focus storico-estetici su musiche di altri autori otto e novecenteschi che hanno interagito con l’ipotesto dantesco e in particolare con le figure di Francesca e di Ugolino.

L’inquadramento storico-estetico del macrotema non può che partire da un accenno di teoria della riscrittura, i cui moventi sono individuati nella duttilità rappresentativa di determinate figure che tendono a sedimentarsi nell’immaginario con le modalità del mito. La pervasività della figura di Francesca e di Ugolino anche nelle scritture di teatro musicale novecentesche è associata alla loro connaturata disponibilità a convogliare nel lettore una reversibilità dell’identificazione: «Francesca è volta a volta [...] peccatrice e santa, corruttrice e redentrice, devota e guerriera, sensuale e algida; Ugolino è paterno e feroce, fiero e commovente, ripugnante e compassionevole» (p. 8), scrive Rostagno. Quest’apertura a ‘sintonizzare’ la tipica polarizzazione degli opposti dell’immaginazione melodrammatica ha fatto sì che proprio a partire dalle due figure si sia ristabilito un dialogo nel Novecento fra i compositori e la Commedia dantesca. Il primo saggio, di Silvia D’Anzelmo, si concentra sulla Francesca da Rimini (1914) di Riccardo Zandonai (1883-1944) sul testo di d’Annunzio del 1901. Con un approccio storico-culturale atto a calare il prodotto estetico nello scenario dell’evoluzione della borghesia italiana alle soglie dell’entrata in guerra, D’Anzelmo propone un cappello introduttivo che documenta la pervasività, prima antropologica e poi anche ‘editoriale’, di una sorta di galateo fin de siècle, in cui emerge uno scollamento fra la moralità sessuale pubblica e quella privata della borghesia italiana all’inizio del Novecento. Zandonai mette in musica il testo dannunziano in un prudente equilibrio che consente quanto basta la solidarizzazione col contenuto interdetto dell’adulterio senza che esso prenda il sopravvento. Ciò avviene attraverso una caratterizzazione del dramma cronotopicamente marcata nel senso, scrive D’Anzelmo, di un «esotismo cronologico» (p. 17) per cui il fruitore accoglie i contenuti ma a una certa distanza. D’Anzelmo sottolinea come il personaggio di Francesca contraddica per certi versi la pedagogia morale del tempo e possa esprimere l’interdetto proprio per mezzo di quella distanza di sicurezza prodotta dall’ambientazione del dramma in una Ferne metastorica.

Emanuele Franceschetti, invece, si occupa del Paolo e Francesca (1907) di Luigi Mancinelli (1848-1921) e Arturo Colautti (1851-1914). Franceschetti ricostruisce la gestazione del dramma soffermandosi ad esempio sul rapporto dialettico con la suddetta Francesca da Rimini dannunziana. Negli scambi epistolari tra Colautti e Mancinelli, si rileva criticamente l’esasperazione decadente della lingua dannunziana e del carattere del personaggio di Francesca. Deriverebbe dall’esigenza di distanziamento dal modello dannunziano la valutazione di condensare l’azione in un atto unico, scelta strutturale di cui Franceschetti sottolinea il carattere di novità in un panorama che la vedrà diffondersi in maniera più tangibile alla fine degli anni Dieci del Novecento. Franceschetti ha il merito di indagare le implicazioni concettuali della scelta strutturale attraverso riferimenti di largo respiro critico-teorico, come la Teoria del dramma moderno di Szondi, e attraverso un’analisi del sistema dei personaggi da cui emerge la centralità del Matto come funzione drammaturgica che rende possibile il generarsi dell’azione già sul punto della peripezia, oltre a suggerire, nella sua qualità di istigatore della catastrofe, il rapporto intertestuale con Jago dell’Otello di Verdi e Boito. Oltre ai

rilievi drammaturgici, da un punto di vista eminentemente estetico-musicale Franceschetti mette in luce alcune soluzioni di estrazione wagneriana, ma anche una tensione lirica tradizionalmente ottocentesca rilevabile in determinati punti e infine la peculiarità del coro di «voci dal profondo», fantasmatico nella sua non-identificabilità scenica, che intona sul finale del dramma le terzine dantesche più note del canto V.

Il contributo di Antonio Rostagno, poi, ritorna sulla Francesca da Rimini di Zandonai sottolineandone l’aspetto di novità e il carattere perturbante, unheimlich, della rappresentazione ‘belligerante’ della protagonista nel secondo atto. L’ingresso dell’eroina nell’immaginario bellico alle soglie del 1914 diviene quindi un segno dello spirito del tempo, di una tendenza interventista. Fra l’altro quello che sembra essere un modellod’Annunzio agisce anche sul problema del «falso antico» già affrontato da D’Anzelmo, che farebbe da schermo filtrante per la rappresentazione di contenuti interdetti e resi fruibili per la curiosità esotica, turistica, voyeuristica della borghesia umbertina e giolittiana. Lucida l’analisi di Rostagno che tende a interpretare la scelta estetica in relazione a un’evoluzione delle forme fortemente compromessa con l’evoluzione storicosociale, per cui

il melodramma post-verdiano non rappresenta più un’esperienza di auto-riconoscimento critico della collettività nel suo insieme, ma un momento di commozione o ancor più superficialmente di svago della nuova borghesia giolittiana, per la quale borghesia le escursioni nell’antico d’invenzione o nelle classi subalterne (anche per misurare la propria superiorità) vengono ridotte a “esotismo” [...] (p. 52).

L’interesse per un «esotismo interno» all’immaginario cronotopico della nuova Italia nel dramma tardoborghese di inizio Novecento è letto nell’ambito della riscoperta dell’antico a scopo nazionalista, promossa dalla élite culturale ed editoriale del Paese. È il caso delle ricerche filologiche sull’Ars nova come antica musica ‘italica’ promosse da Luigi Torchi e inneggiate dallo stesso d’Annunzio. Fra l’altro già nella Francesca da Rimini del 1901 trovava posto un calco medievale di ballata in stile arsnovistico che d’Annunzio mise a punto, con tanto di caratteri tipografici anacronistici, con l’aiuto di Antonio Scontrino e Guido Alberto Fano. Poi rientrerà in Zandonai in forma più elaborata e relativamente svincolata dal calco antico, oggetto di una close reading da parte di Rostagno. Esprimendo cautela nell’assegnare un giudizio di valore negativo e slegato dalla sua pertinentizzazione storico-culturale, Rostagno compara le scelte estetiche di Zandonai con soluzioni apparentemente analoghe del modello verdiano, ma ne mette in luce il carattere slegatamente episodico nella decadente macchina narrativa, mentre in Verdi c’è una precisa funzione drammaturgica nella costruzione complessiva del dramma. È il caso della ballata delle fanciulle nella Francesca da Rimini e dell’entrata di Desdemona circondata da fanciulli nel secondo atto dell’Otello. In ogni caso Rostagno osserva come anche a partire da Zandonai si inauguri questa fase in cui l’ambiente scenico e sonoro, con carico ideologico più o meno conscio, assume una funzione semantica ancor più rilevante nell’azione drammatica; non a caso più avanti si analizzano anche le modalità attraverso cui l’immaginario dei ferventi anni Dieci si riflette sulle scelte di suono, sul Klangwelt del dramma di Zandonai.

In seguito Rostagno si sofferma sulla peculiare convergenza nel dramma di Zandonai fra la tendenza arcaizzante e quella verista o, meglio, sulla peculiare commistione di scene d’estrazione verista decontestualizzate dall’inerenza critico-sociale che ne aveva caratterizzato in una certa misura la rappresentazione nel secondo Ottocento e assimilate a una più vacua curiositas borghese per scene pittoresche di popolo e di violenza, oltre che al segno dei tempi che preannunciavano, scrive Rostagno, una «etnogenesi del nuovo italiano che in breve porterà frutti nefasti» (p. 64). In questo clima belligerante si innesta anche il discorso su Francesca guerriera. Sono gli anni in cui un modello simile alla valchiria wagneriana non può che trovare ampia suggestione nell’immaginario. Più in generale, la rappresentazione belligerante del femminile, se letta in termini di rispecchiamento col reale, può sottendere un’istanza simbolica di determinazione sociale che, seppur in contrasto con lo status quo, non è di facile interpretazione come istanza di solidarietà col ‘represso’ sociale. Essa comunque si realizza nella mimesi come uscita del femminile dal consueto spazio privato e ingresso nello spazio pubblico sin lì consacrato al maschio.

Nei focus storico-estetici che seguono alla prima sezione del volume, Matteo Macinanti introduce la Francesca di Arimino di Vincenzo Fiocchi (1767-1845), che sembra detenere il primato della riscoperta dell’episodio dantesco nei testi per musica di età moderna. Seguono altri focus firmati da Rostagno, tra cui spiccano quelli sulle cantate di Zingarelli e Donizetti tratte dall’episodio di Ugolino nel canto XXXIII dell’Inferno, oggetto di analisi relativamente ampie. Oltre poi ad altre schede, per citarne alcune, su musiche rossiniane e pucciniane, sul balletto di Vincenzo Schira, su brani di Amilcare Ponchielli, Ciro Pinsuti e Hans von Bülow in rapporto con l’archetipo dantesco.

Nel suo insieme il volume è un valido strumento di attestazione dei rapporti che la cultura musicale italiana tra Otto e Novecento ha intessuto con la convenzione narrativa dantesca, in particolare con i suddetti episodi della Commedia. Nell’ambito dei lavori per il settecentenario dantesco, oltre ad essere esito felice di un modello di ricerca interistituzionale, corale e orizzontale per le diverse generazioni di studiosi coinvolti, il principale pregio dello studio collettaneo sta nel coniugare la contestualizzazione storico-culturale degli oggetti di analisi a un vaglio in linea di massima ben ravvicinato delle loro peculiarità stilistiche, con aperture interdisciplinari a un milieu di strumenti critici, non sfoggiati futilmente, che ha distinto sempre il lavoro del compianto Rostagno.

Nicola De Rosa

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