Sono una giovane donna che lavora, “emancipata”, vivo da sola in una città che ho raggiunto dopo aver vinto un concorso, ho una personalità forte. Insomma non avrei mai immaginato che storie del genere avrebbero mai potuto riguardarmi. Anche lui mi impone fin dall'inizio il suo amore totale, “sei la donna della mia vita”, “appena ti ho vista ho capito che avrei voluto stare per sempre con te”, e io sono passata sopra la mia razionalità (ma come fa a dirlo se nemmeno mi conosce? e perchè calcare sull'irreversibilità della nostra relazione?). Mi sono fatta coccolare dai suoi modi di uomo galante e dal suo amore incondizionato e piano piano ci sono finita dentro e mi sono fidata. Quello che posso raccontare l'ho realizzato bene solo dopo esserne fuggita, perchè quando sei dentro alla cosa si lacera la tua identità, non riesci più a distinguere il bene dal male (ma lui chi è, e io chi sono? boh ... chi è la vittima?). Dentro una relazione malata, perversa, si perdono i confini bene/male, si sposta continuamente il limite tra il possibile e ciò che non PUÒ e non DEVE accadere. In breve: ho accettato gesti e situazioni degradanti e umilianti per un anno, convinta di meritarmeli perchè non lo amavo abbastanza (impossibile arrivare al suo amore totale e incondizionato), ogni mio minimo gesto poteva scatenare il suo fastidio e la sua rabbia. L'ho sbattuto fuori di casa quando è passato alla violenza verbale. Ho capito che era un uragano che non riuscivo a fermare, anzi lo stimolavo ad andare sempre più in là. Come spesso capita in queste situazioni, ho provato a raccontarmi che il suo non era egoismo ... lui ti racconta che sei fantastica (anche se tu non te ne accorgi) ... in realtà non pensa a far godere te, se non dopo che lui è stato soddisfatto. E stai lì a provare ad insegnarli qualcosa sul piacere femminile (nessuna prima glielo ha spiegato?) perchè speri che a lui possa interessare, ma i risultati sono minimi. Gli ho detto, col maggior tatto possibile e nel contesto opportuno, cosa mi piaceva e questo l'ha ferito moltissimo perchè si è sentito trattare da oggetto!! Ed ecco allora che ti inibisce, che inizi a fingere l'orgasmo per far star bene lui e di conseguenza pure te, per non dare altre scomode spiegazioni. Un pomeriggio il limite si è spostato ancora, e: dopo aver sentito giudicare la mia vita e la mia persona con parole sprezzanti, dopo aver sentito insultare i miei amici, dopo aver sentito ridicolizzare la mia famiglia, dopo che mi ha chiamata puttanella ... ho chiuso la porta, ignorando le sue lacrime, i suoi ripetuti messaggi, le sue scuse, la superficialità delle sue analisi di quanto era accaduto. In questa storia non c'è stato un solo contatto fisico “violento”, eppure ... i lividi ce li ho sul cuore.
Amare significa non solo accettare l’esistenza distinta e separata dell’Altro, e dunque rispettarlo nella sua unicità, ma, soprattutto accettare, allo stesso tempo, che l’altro deve rispettarci.
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E per quanto riguarda la comunità italiana all'estero a nulla sono valse quelle caratteristiche che avrebbero dovuto tenerla unita: una storia comune, tradizioni e costumi, interessi comuni e la nostra bellissima lingua. Aver perso il senso della comunità significa non avere più valori guida condivisi e quindi, quando una comunità non ha più questi, è “allo sbaraglio”, “naviga a vista”, ed è destinata al fallimento totale. Purtroppo mi capita sempre più sovente di imbattermi in persone che hanno smarrito definitivamente (semmai lo hanno conosciuto) il senso della comunità: in loro prevalgono, sopra ogni cosa, l'egocentrismo esasperato, il bisogno sfrenato di successo ed il mirare ad uno scopo ben preciso senza scrupoli. Questi individui sono talmente ossessionati dal voler, a tutti i costi, trarre vantaggio da ogni situazione, di qualsiasi tipo, non fosse altro che per il solo gusto di apparire, che, giorno dopo giorno, tendono a trasformarsi, a perdere le loro sembianze umane per assomigliare, sempre più, a quei robot freddi e senz'anima che spesso ci vengono proposti nei film di fantascienza.
I loro gesti, il loro modo di parlare, il loro atteggiamento, non hanno più nulla che possa dare la sensazione di avere a che fare con un essere umano. Il loro cervello funziona a senso unico: è impostato unicamente per programmare, progettare, pianificare, strutturare, contabilizzare, sempre e solo nel loro personale interesse. Ebbene si, loro hanno trasformato la neocorteccia, che rappresenta circa il 76% di tutta la corteccia celebrale, che è quella adibita alle emozioni, la più sviluppata in tutto il regno animale, in settore “business” (il cervello invia loro unicamente imput su come fare affari, come raggiungere il potere, come ottenere visibilità ). Niente emozioni, niente amore, altruismo, solidarietà, niente tolleranza o generosità! E così capita che quando li incontrate, immediatamente dopo un velocissimo saluto (sempre che riusciate a salutarli dal momento che sono regolarmente alle prese con la conclusione di un' importante trattativa), vi accorgete che i loro occhi sono persi nel vuoto; comprendete che sono assorti, totalmente rapiti dal loro unico, costante assillo: scervellarsi su come portare a termine un business, studiare la strategia da adottare per raggiungere il loro obiettivo. Non azzardatavi a chiedergli un favore, anche se piccolissimo, perchè vi sentirete dire: “si, potrei farlo, ma in cambio cosa otterrò?”. Una smodata ambizione si è impossessata di loro rendendoli sordi ad ogni richiamo di ordine morale (nel linguaggio comune “l'insieme di principiguida del comportamento umano nella società civile”). Intendiamoci, penso che una giusta, sana dose di ambizione non guasti assolutamente perchè si tratta di una spinta positiva che scatta in ciascuno per migliorare il proprio status o la propria posizione professionale, ma quando l'ambizione sfocia nel più totale materialismo, tra un crescendo di misfatti, come bugie, ruberie, disonestà, sgambetti, tradimenti e prevaricazioni sugli altri, è intollerabile. E se a tutti questi “ingredienti” si aggiungono anche la superbia e la vanagloria ... si salvi chi può! E non ditemi che questi sono casi isolati ... ; patologici si, ma non isolati! 3
Un brivido mi è sinceramente corso lungo la schiena celestiale ed il mio pensiero è corso a ritroso nel mio tempo terreno, soprattutto negli ultimi e penultimi momenti della mia vita e i miei primi momenti dopo la morte fisica, quando alcuni buoni amici ebbero a maltrattarmi un pochino. Questa volta sarò sicuramente, volutamente, almeno un po’, diciamo ... orrendamente narciso ... visto come, il breve mio curriculum, sembra più una via crucis o un calvario che una passerella vanesia sul palcoscenico della vita. Il mio cranio à a Roma La mia testa è esposta a Roma nella piccola chiesa di San Silvestro in Capite. Un mio braccio è a Siena È esposto nella cattedrale di Santa Maria Assunta, donato, pensate un po’, alla vascovado da Papa Pio II nel 1464. Un mio dito è a Firenze Nel Museo dell'Opera del Duomo donato dall'anti-papa Giovanni XIII. 4
Anche a quei tempi, qualche mio simile che mi sentiva predicare, mi aveva reso attento che parlare in maniera prolissa non sempre fa bene alla salute. Non ci feci, allora, molto caso anche perché la mia Fede nel Verbo di Dio era totale ed incrollabile . Poi, però, ho dovuto fare i conti con qualche testa calda, delegata da qualche personaggio politico e religioso importante (per esempio il mio amico ErodeAntipa). Ed ecco il risultato: decapitato e fatto a pezzi ... Non male come finale! Chi , attraverso questa rivista, mi ha simpaticamente mosso qualche rimprovero oramai, sotto l'aspetto, diciamo … organico, visto come i miei contemporanei mi hanno conciato, non mi possono più far paura ... Le mie brevi surrichiamate annotazioni, mi sono detto, non potevano essere unicamente un mio sproloquio da vecchio "sermonista". Qualcuno le avrà pensate e proposte. Da Quassù mi sono guardato un po’ in giro e mi sono
FRECCIATINE imbattuto in un personaggio interessante, forse, ai più, sconosciuto. Mi hanno incuriosito soprattutto le sue riflessioni che ha lasciate scritte, in grande abbondanza, ma proposte con brevi missive. Fu un sacerdote di grande tempra e dalle idee, per lui, chiare e nette. Niente compromessi : tanta visione critica colma di tanto Amore per il prossimo gli costò tanto, nella sua vita, sotto l'aspetto morale, personale e, banalmente, fisico.
Don Primo Mazzolari (Boschetto di Cremona 1890 - 1959), sacerdote, nasce da famiglia umile. Si fa conoscere per qualche sua idea sulla Vita di Chiesa e subito riceve, al suo tempo, severi rimproveri dal Sant'Uffizio seguiti da precise condanne da parte del nascente regime fascista. Appoggia, come controaltare, direi obbligato, la Resistenza partigiana. Nel 1949 fonda, cocciuto, un quindicinale, “Adesso”, che conduce fino alla sua morte, sempre osteggiato dagli Alto Locati della Chiesa. Poco prima della sua morte, 1959, viene sorprendentemente riabilitato da Papa Giovanni XIII, alle porte del Concilio Vaticano II. Cosa diceva o meglio scriveva Don Primo? Vediamo. “... Uomini non ci si improvvisa, e nella lotta politica italiana ciò che più dolorosamente sorprende è appunto la mancanza dell' “Uomo”: non dell'uomo grande, di cui non vogliamo neanche sentir parlare, ma dell'uomo reale, col modesto, insostituibile corredo di qualità morali. Sono così semplici e così vere queste poche considerazioni che nessuno osa nergale: anzi, non c'è partito che non le dichiari enfaticamente. Poi se ne scordano subito perché s'accorgono che non c'è tornaconto immediato con uomini che si lasciano muovere soltanto dalla ragione e dalla coscienza. E son proprio quei partiti che non ne hanno molta dalla loro parte sia di ragione che di coscienza, oppure non hanno la pazienza di usarle, che non solo scavalcano l'uomo, ma ne impediscono la crescita e la maturità …” 10 settembre 1945 “... non parliamo dei prepotenti d'istinto, che la libertà disarciona o disartiglia. Costoro, che sono assai numerosi in ogni ceto, anche fra i più umili, e mal sopportano il mestiere o l'impiego, e sono sempre in attesa che qualcuno li assoldi e li addestri alla furfanteria con qualsiasi divisa o gallone per quanto basso questo e abbietta l'altra, salutano con giubilo l'affacciarsi d'un epoca d'intolleranza e di soverchieria ...” 25 settembre 1945 “... Democrazia vuol dire non soltanto le strade sicure, le banche sicure, ma anche il pane, anche la giustizia, anche il lavoro sicuro. Vuol dire far lavorare e aver voglia di lavorare per non essere a carico di nessuno, finché ci possiamo provvedere da noi; che non ci deve essere uno Stato che fa tutto e dei cittadini che si lasciano far tutto, quasi fossero pensionati o mantenuti. Democrazia vuol dire che
Don Primo Mazzolari
l'andare in chiesa o il non andarci, avere un'opinione o un'altra, quando è un'opinione da galantuomo, si possa averla senza essere messi alla berlina ...” 24 settembre 1946 “… Non ci interessa la donna se ce la presentate come femmina soltanto ... 11 febbraio 1949 “... Questo ti offre una spiegazione meno ignobile, quindi più verosimile, della conversione di molti al fascismo. Speravano che venisse da quella parte il bene che la babele democratica dell'altro dopo-guerra (il primo) non era riuscita a procurare ...” 10 marzo 1950 “... Il fariseismo rivive in tanti modi e temo che questo sia uno dei più attuali. La giustizia è a sinistra, la libertà al centro, la ragione a destra. E nessuno chiede più niente a se stesso e incolpa gli altri di tutto ciò che manca, attribuendosi la paternità di ogni cosa buona ... La sinistra è la giustizia, la destra è la ragione il centro la libertà. E siamo così sicuri delle nostre equazioni, che nessuno s'accorge che c'è gente che scrive con la sinistra e mangia con la destra, che in piazza fa il sinistro e in affari si comporta come un destro, che l'egoismo di sinistra è altrettanto lurido di quello di centro, per cui, destra, sinistra e centro possono divenire tre maniere di "fregare" allo stesso modo il paese, la giustizia, la libertà, la pace? ...” 24 marzo 1950 “Roma non è una città pulita e chi ci arriva, dopo un primo senso di nausea, accoglie come condizione indispensabile dello stare a galla e del prosperare, la sua aria d'insen-sibilità morale. Altrimenti bisognerebbe darsi attorno per buttar all'aria ogni cosa o tornare a piantar cavoli nell'orto di casa. ... C'è anche l'aspetto morale e spirituale del paese, che finora non si è ripreso. Direi che ci veniamo sporcando di più ... Sta bene che ci si batta per una politica cristiana, ma se il lavoro di rinnovamento politico non viene accompagnato da un adeguato sforzo morale per disintossicare e pulire il paese, la politica marxista avrà il sopravvento sulla politica cristiana … 5
OPINIONI
Il comunismo può essere fermato con mezzi politici, ma superato soltanto sul fronte del costume. Un paese non pulito è un vaso inquinato, che guasta qualsiasi cosa: anche la libertà, anche la giustizia, anche l'ordine ...” 15 giugno 1950 “... La situazione interna del nostro paese non è buona. Chi pensa che “adesso” ci provi gusto nel vedere scuro, si risparmi la lettura di queste note che abbiamo sguarnito di ogni colore per mantenere fatti e giudizi nella loro naturale credibilità. Quanti sono i disoccupati ? Il ministero del lavoro non pubblica statistiche, per cui le voci circa l'aumento della disoccupazione, prendono credito. Quando saremo davanti all'inverno, assisteremo al solito brusco risveglio, provocato al solito modo e seguito dai soliti affrettati rimedi che non rimediano affatto, anche se gravano sul bilancio più delle provvidenze che si sarebbero potute apprestare tempestivamente qualora, governo, parlamento, partiti, sindacati, organi tecnici volessero veramente ciò che dicono di volere ...” E potrei continuare con questi richiami, già nella storia, che si adattano perfettamente alla realtà che viviamo oggi. Principi tanto semplici ma tanto inarrivabili: tanto antichi ma mai, come ora, cosi moderni ! Mi sento oggettivamente in buona compagnia predicando la saccenza, il populismo, la demagogia ... Vulpem pilum mutare, non mores. NDR: Don Primo Mazzolari: “Come pecore in mezzo ai lupi”, edizioni: www.chiarelettere.it 6
Dagli inizi degli anni cinquanta don Primo sviluppa un pensiero sociale vicino alle classi deboli (Nessuno è fuori della carità) e ai valori del pacifismo che attireranno le critiche e le sanzioni delle autorità ecclesiastiche fino a portarlo all'isolamento nella sua parrocchia di Bozzolo. Se l'istituzione lo reprimeva con durezza, non per questo il messaggio di Mazzolari si spense; ebbe anzi una notevole influenza, anche se per vie più nascoste. Veniva regolarmente invitato da Ernesto Balducci agli incontri annuali dei preti scrittori. Gli echi della riflessione di Mazzolari sull'obiezione di coscienza si ritroveranno così nel mondo fiorentino di Ernesto Balducci, sino ai livelli politici di Giorgio La Pira e di Nicola Pistelli, e fino al punto più noto della "germinazione fiorentina", rappresentato nel 1965 dal don Lorenzo Milani di L'obbedienza non è più una virtù. Anche don Milani aveva collaborato con Mazzolari scrivendo articoli per Adesso. Con la pubblicazione anonima di Tu non uccidere, nel 1955, Mazzolari attaccava a fondo la dottrina della guerra giusta e l'ideologia della vittoria, il tutto in nome di un'opzione preferenziale per la "nonviolenza", da sostenere con un forte «movimento di resistenza cristiana contro la guerra» e per la giustizia, vista come l'altra faccia della pace. Al fondo c'era la nuova consapevolezza del significato dirompente della bomba atomica, che aveva cambiato il campo razionale entro il quale il realismo aveva potuto muoversi per giustificare l'extrema ratio della guerra. È solo verso la fine degli anni cinquanta, negli ultimi mesi di vita, che don Primo Mazzolari cominciò a ricevere le prime attestazioni di stima da parte delle alte gerarchie ecclesiastiche. Nel novembre del 1957 l’arcivescovo di Milano Montini, futuro Papa Paolo VI, lo chiama a predicare presso la propria diocesi, nel febbraio del 1959 Papa Giovanni XXIII lo riceve in udienza privata e lo saluta pubblicamente “Tromba dello Spirito Santo in terra mantovana”.
In un convegno dal titolo “Leggere e sapere: la scuola degli italiani”, svoltosi recentemente su iniziativa del Consiglio regionale toscano nella città natia del sommo autore del “dolce idioma nazionale” Dante Alighieri, l’illustre linguista italiano Tullio De Mauro presentando l’esito sconfortante di un’indagine internazionale, con particolare rilievo ha affermato che “il 71 % della popolazione italiana si trova al di sotto del livello minimo di lettura e di comprensione di un testo scritto di media difficoltà”. Volendo tradurre in termini aritmeticamente più semplici la summenzionata costatazione dell’insigne linguista, si potrebbe desumere con assiomatica certezza che sette Italiani su dieci non capiscono e non parlano adeguatamente “la propria lingua madre”. Ciò rivelerebbe una situazione culturale nel nostro Paese estremamente sconfortante, infausta e penosa, in quanto risulta pedagogicamente dimostrato che un buon dominio della “propria lingua” costituisce premessa essenziale per lo sviluppo di un’integra identità culturale e nel contempo presupposto indispensabile per un’efficace inserimento sociale del singolo nella collettività. Nella sua pubblicazione del 1963 “Storia linguistica dell’Italia unita”, un’eminente opera classica in cui l’autore professor De Mauro effettua in diagonale una scrupolosa disamina attraverso il panorama culturale e linguistico della penisola italiana delineandovi l’evolu7
ATTUALITÀ zione storica della nostra lingua dall’Unità d’Italia ad oggi in un complesso ordito di attività intellettuale, letteraria e politica nel corso del primo centenario del paese unito. Nel suo capolavoro linguistico il professore De Mauro non indugia a evidenziare il consistente apporto all’efficacia di apprendimento della lingua italiana non solo della scuole ma anche della televisione, che ha consentito il superamento storico degli idiomi regionali. Pier Paolo Pasolini
Il poeta dialettale friulano Pier Paolo Pasolini , unitamente ad Antonio Gramsci e Benedetto Croce, avversava pedagogicamente e letterariamente l’ abbandono dei dialetti locali considerandolo come un commiato dalla fase dell’innocente spontaneità infantile che avrebbe reso possibile nella penisola l’ingresso alla barbarie consumistica, alla corruzione e alla amoralità. La concezione pedagogica di numerosi assertori, auspicanti l’ideale obiettivo dell’acquisizione “di un codice linguistico ristretto dell’italiano popolare” con effetto universale da parte dell’intero “ceto subalterno”, implementando il conseguimento di una competenza comunicativa di base avrebbe consentito a tutti i beneficiari l’ascesa sociale in simbiosi con il progresso economico del momento potenziato da una reciprocità di vantaggio. Proprio in quel momento la televisione italiana, immediatamente dopo la sua completa affermazione sull’intero territorio nazionale, istituiva un corso elementare di alfabetizzazione dal titolo “Non è mai troppo tardi”, i cui ipotetici utenti erano cittadini italiani di tutte le età, prevalentemente anziani, che durante la loro infanzia non avevano usufruito in parte o per intero dell’offerta scolastica pubblica, con l’obiettivo precipuo di estirpare radicalmente il cospicuo analfabetismo nella nazione. Una recente ricerca statistica effettuata su un campione rappresentativo di composizioni scritte in Italiano prodotte da studenti di scuole secondarie superiori, sulla base di dati oggettivamente incontestabili, rivela un’amara realtà sul versante della padronanza della lingua italiana nell’attuale generazione scolastica: una situazione di emergenza didattica caratterizzata da un profondo disorientamento linguistico per incapacità logica nell’argomentazione, periodare sconnesso e privo di logica, patrimonio lessicale impoverito e imbastardito da un sovente intercalare di americanismi 8
inesatti di cui il parlante medesimo non conosce il significato, competenza comunicativa complessivamente fragile, l’uso errato della punteggiatura e numerosi strafalcioni di ortografia; un abissale deficit culturale-linguistico che, su parere di numerosi esperti, può accompagnare lo studente per l’intero itinerario scolastico ed oltre. Con riferimento alla parte “ideativa” è possibile costatare l’incapacità mentale di organizzare tecniche e strategie per una coerenza logica di argomentazione concettuale e coordinamento sistematico di contenuti e riflessioni con assenza di creatività, elementi trainanti in una situazione culturalmente molesta che rivelando un disagio mentale nelle giovani generazioni , potrebbe divenire una sciagura gravissima sia per il singolo soggetto quanto per l’intera comunità di appartenenza. Non è sorprendente che gli studenti a livello di scuola secondaria superiore e universitario, attraversando una momento critico di disorientamento comunicativo, si esprimano in un codice linguistico ristretto, conformemente alla posizione scientifica dell’intellettuale britannico Basil Bernstein il quale nel 1968 formulava la teoria sociolinguistica del “restricted code” (limitata competenza lessicale-sintattica) peculiare svantaggio sociale del proletariato, e dell’ “elaborated code” (elaborata competenza lessicale sintattica) esclusivo privilegio sociale della media ed alta borghesia: inoltre i medesimi studenti scrivono con sciatteria nell’uso del modo congiuntivo (sostituendolo comunemente con il modo indicativo) e con l’omissione totale della “consecutio temporum”: il sistema logico/ sintattico che disciplina la concordanza dei tempi verbali tra la proposizione subordinata (solitamente al modo congiuntivo) e la sua reggente, nel rispetto dei concetti temporali di contemporaneità, di anteriorità e di posteriorità.
Prof. Basil Bernstein
SOCIETÀ Il linguista americano Noam Chomsky, sulla scia filosofica del filosofo partenopeo Benedetto Croce e di Antonio Gramsci, sostiene che una qualificata competenza comunicativa sulla base di un buon dominio della propria lingua madre consente il raggiungimento di una profonda maturità logico-speculativa positivamente affiancata da una formazione psichico/cognitivo integrata da un’intatta identità culturale; obiettivi precipui da raggiungere per il tramite un efficiente sistema di pubblica istruzione. Antonio Gramsci
Il nostro paese da oltre un quindicennio è culturalmente oppresso dall’oscurantismo berlusconiano, un genere di potere politico democraticamente anomalo imperniato sul selvaggio binomio di partiti PDL e Lega Nord, i cui principali protagonisti Berlusconi e Bossi avevano giustamente intuito che il loro regime poteva basarsi unicamente su un elettorato culturalmente poco qualificato con enorme prevalenza di volgari semianalfabeti e analfabeti di ritorno. In tal senso i due incompetenti improvvisati politici ma furbi pseudo statisti, operando nel personale interesse e della propria “family” e dinastia, hanno escogitato numerosi strategie per distruggere la scuola pubblica e lasciare poltrire nell’ignoranza il loro incolto elettorato, per questo motivo al delicato incarico di ministro della pubblica (d)istruzione è stata assegnata l’imbelle ed incapace figura di un “avvocaticchio” di provincia la Gelmini che ha realizzato una vergognosa riforma distruttiva della scuola statale sottraendo circa dieci miliardi di Euro al bilancio della medesima istituzione, determinando in tal modo un letale deterioramento pedagogico che ha causato un esponenziale incremento dell’analfabetismo di ritorno per così poter stabilizzare la durata ad oltranza del loro oligarchico potere politico. Il poeta dialettale friulano dalla “sensibilità intuitiva di genesi metapsichica “ nella di lui summenzionata valutazione culturale avrà opportunamente profetizzato il pernicioso avvento di un’inciviltà di edizione berlusconiana
che ha intenzionalmente distrutto il “dolce idioma nazionale” e la nostra universalmente stimata cultura letteraria-umanistica con le sue volgari ed incolte emittenze televisive con operatori fungenti da pseudoeducatori, esemplarmente rappresentati da Emilio Fede e Maria De Filippi, considerati come gli autentici educatori della nazione per le giovani generazioni in virtù della loro volgarità, mediocrità intellettiva, incompetenza culturale e pessima conoscenza della lingua italiana. Non è sorprendente che le nuove generazioni di studenti a livello accademico e di scuola secondaria superiore per incapacità comunicativa si espamano in un alieno codice linguistico come se parlassero una lingua straniera
Imparare a parlare, ad esempio secondo N. Chomsky, è una cosa naturale che non ha bisogno dell’educazione, proprio come crescere in altezza o raggiungere la pubertà. Tuttavia, se è vero che, in determinate condizioni, tutti i bambini imparano a parlare se non hanno problemi di linguaggio o di sviluppo, è anche vero che il linguaggio ha dei margini di ampliamento molto considerevoli, che vanno al di là del nostro corredo naturale. La scrittura e la lettura, per fare un primo esempio, sono competenze che l’essere umano acquisisce su stimolo e non per natura. Anche le abilità oratorie, teatrali si affinano con il tempo e la dedizione e non si sviluppano da sole. M. A. K Halliday ha proposto di chiamare questo margine di abilità linguistiche, che si conquistano, il “potenziale funzionale del linguaggio.” Imparare a leggere, scrivere e parlare e agire in modo funzionale nelle diverse situazioni sono abilità che si apprendono, di solito con l’esempio o attraverso l’educazione. L’educazione pone spesso l’attenzione sulle aspettative sociali su come le cose devono essere dette o fatte, ha cioè un atteggiamento normativo. A questo dovrebbe essere complementare un atteggiamento descrittivo, esplorativo, libero da giudizi: infatti, ad esempio, insegnare che ‘non si grida’ è un insegnamento solo parziale, perché ci sono situazioni e circostanze in cui si può o si deve gridare! Educare i bambini all’osservazione e alla riflessione sul linguaggio, e in particolare sul linguaggio in uso, può avere molti vantaggi per i bambini. Nel sistema scolastico inglese, ad esempio, è entrato in uso l’acronimo KAL (knowledge about language) per descrivere la competenza metalinguistica, l’abilità cioè di riflettere su come funziona e come si usa la lingua. L’esperienza empirica e un numero crescente di studi stanno dimostrando che la KAL ha un effetto di potenziamento sulle abilità orali e su quelle di lettura e scrittura, tanto che è in discussione l’idea di inserire questa materia in modo trasversale nelle diverse discipline, perché il linguaggio è il mezzo fondamentale di istruzione per tutte le materie e non solo per le lingue. Oltre ad essere, come si è detto, il mezzo fondamentale anche per molte delle nostre azioni. 9
ATTUALITĂ€ di Mauro Vecchi
Neil Armstrong, epitaffio alla Luna 10
PERSONAGGI
Poche le apparizioni pubbliche di Armstrong da quella estate del 1969, quando il fiato del mondo restava sospeso per l'impresa a stelle e strisce del “primo uomo sulla Luna”. Era toccato al Presidente John Fitzgerald Kennedy il compito di riassumere il senso ultimo di quella sfida: “Non abbiamo deciso di andare sulla luna perché è facile, ma perché è difficile”, anche se purtroppo non avrà modo di conoscerne l’esito.
A venticinque anni dall'impresa portata a termine con il ProgettoApollo,Armstrong aveva incoraggiato l'umanità ad andare oltre, alla continua caccia di “idee nascoste”. Il viandante Neil si è spento mentre Curiosity inizia la sua passeggiata sul suolo di Marte. Personaggio schivo e tranquillo, Armstrong preferiva il “bilancio del nostro lavoro quotidiano” ai brevi fuochi d'artificio. All'indomani della sua triste morte - nel vano tentativo di liberare quattro arterie coronariche - l'attuale Presidente Barack Obama ha parlato di “un eroe americano, un eroe dell'intera umanità” Purtroppo per Armstrong, la sua vita verrà celebrata per quell'etichetta del primo essere umano sulla Luna. Il fuoco d'artificio prevale sul bilancio del lavoro quotidiano. Con tanto di medaglia d'oro offerta dal Congresso di Washington nell'estate 2009, a 40 anni esatti dallo sbarco che infiammò i sentimenti di una nazione intera. Ora resta il toccante invito dei suoi familiari: “Per coloro che potrebbero chiedere cosa fare per onorare Neil, abbiamo una richiesta semplice. Onorate il suo esempio di servizio, successo e modestia, e la prossima volta che passeggiate all'aperto in una notte limpida e vedete la Luna che vi sorride, pensate a Neil Armstrong e fategli una strizzatina d'occhio”. (Punto Informatico) 11
ATTUALITÀ di La fabbrica di Nichi
Antonio Ingroia e la deputata del PD, Laura Garavini, saranno alla Casa d' Italia a Zurigo (giovedì 27 settembre, ore 19.00) per una serata intitolata “La lotta alla mafia a 20 anni da Capaci e via D' Amelio” per parlare di lotta alla mafia, in Italia e nel mondo. Antonio Ingroia è un magistrato di spicco nella lotta alla mafia, opera a Palermo dove ha collaborato con Falcone e Borsellino e ne ha raccolto idealmente il testimone. Ha istruito alcuni importanti processi sulle relazioni tra la mafia e il mondo imprenditoriale del nord come ad esempio il processo a Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa, e più recentemente, quello sulla trattativa stato/mafia che fece seguito alle stragi Falcone e Borsellino. Laura Garavini è parlamentare del PD eletta nella circoscrizione Europa ed è capogruppo del Partito democratico nella commissione Antimafia. Vive da anni in Germania dove, a seguito dell'attentato di Duisburg, ha fondato “Mafia? Nein Danke”: un movimento che, ispirato all'esperienza di addio pizzo in Sicilia, ha squarciato il velo di omertà sulle estorsioni subite da ristoratori italiani all'estero, portando in breve tempo alla più grande ribellione al pizzo mai vista fuori d’Italia. Tuttavia, la coscienza della presenza della mafia all'estero è scarsa perfino tra gli italiani emigrati, anche se, nella mente di tutti sono ben impresse le immagini della strage di Capaci e di Via D’Amelio, per menzionare solo gli episodi più famosi degli ultimi vent’anni. In più, siamo tutti al corrente dell’azione della mafia nelle regioni del sud, dove il racket è purtroppo una piaga diffusa, che conosciamo perché alcuni eroi contrastano la pratica del pizzo e vi si ribellano. 12
Meno diffusa è la consapevolezza che, per citare Leonardo Sciascia, la penetrazione mafiosa è come la linea della palma: sale sempre più a nord, insediandosi in zone dove mai si pensava potesse arrivare. Ciò nonostante, nell’Italia settentrionale e nei paesi dell’Europa del nord come la Germania e la Svizzera, la percezione del fenomeno mafioso è totalmente inesistente: spesso la si immagina “una cosa da meridionali”, che non può certo attecchire e prosperare in zone più benestanti economicamente. Invece, la criminalità organizzata è presente soprattutto nelle zone più ricche e prospere, laddove può meglio compiere i propri affari e vi è un’economia viva da poter parassitare, come una sanguisuga con un qualunque organismo. L’infiltrazione mafiosa nella realtà svizzera è oramai acclarata. Nel comunicare a fine marzo 2012 le priorità della strategia di lotta alla criminalità per il periodo 2012-2015, il governo svizzero scriveva: “Il pericolo maggiore è costituito dalla ‘Ndrangheta”. Nel maggio 2011, ad esempio, un pericoloso esponente di questa organizzazione residente a Frauenfeld, nel cantone Turgovia, è stato arrestato a Genova. Due mesi prima nell’operazione Crimine 2; la Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Reggio Calabria ha evidenziato le infiltrazioni della ‘Ndrangeta proprio a Frauenfeld e Zurigo. Questi fatti cominciano ad avere risonanza anche a livello italiano: si pensi alla recente inchiesta pubblicata sul sito internet del giornale “La Repubblica”. Si tratta però di un fenomeno che ha origini lontane nel tempo: proprio il giudice Giovanni Falcone, venticinque anni fa, aveva avvisato i suoi omologhi svizzeri riguardo il possibile arrivo degli esponenti mafiosi in terra elvetica, dopo l’arrivo dei loro soldi. Con l' iniziativa “La lotta alla mafia a venti anni dalle stragi di Capaci e via D' Amelio”, la Fabbrica di Nichi – Zurigo, insieme a l' Altraitalia intende sensibilizzare le realtà istituzionali, associative, commerciali e soprattutto i comuni cittadini sull’importanza della lotta alla mafia, specialmente in quelle zone, dove essa è presente in maniera silente, senza quindi attirare l’attenzione dei più. La mafia si combatte innanzi tutto con l’informazione, facendo luce sulle sue attività illecite, poiché essa preferisce il silenzio e l’omertà.
Nata nel 1966 in una famiglia contadina a Vignola (Modena), sposata, mamma di una ragazza bilingue, nel 1989 va a lavorare in Germania. Dopo avere conseguito la laurea in Scienze Politiche, indirizzo sociologico, all’Università di Bologna con il massimo dei voti, insegna all’Università di Kiel. In seguito si impegna per quasi vent’anni per la comunità italiana all´estero, sia in istituzioni italiane che tedesche, promuovendo l´integrazione dei migranti. Collabora con un progetto per giovani immigrati ad Amburgo; dal 1996 coordina a Colonia un progetto del Ministero del Lavoro tedesco per immigrati disoccupati. Dal 1999 dirige un patronato sindacale a Berlino e dal 2003 cura un’associazione senza fini di lucro presente a livello internazionale per la tutela degli italiani all’estero. È in questo contesto che all’indomani della strage della’ndrangheta a Duisburg, nell’agosto del 2007, dà vita, fra gli italiani in Germania, ad un movimento della società civile sul modello diAddioPizzo: “Mafia? Nein danke!”. Laura Garavini, che nel frattempo ha acquisito anche la cittadinanza tedesca, sensibilizza esponenti della piccola e media imprenditoria italiana in Germania ad unirsi in quest’associazione, impegnandosi a respingere ogni eventuale richiesta di pizzo. Nel giro di qualche mese l’iniziativa raccoglie più di 100 adesioni in tutta la Germania. Nel dicembre dello stesso anno, a seguito di minacce estorsive a danno della gastronomia italiana a Berlino, decine di ristoratori, facendo riferimento all’iniziativa “Mafia? Nein danke!”, espongono subito denuncia, aiutando così gli investigatori tedeschi a catturare i due camorristi, autori dell’estorsione. La polizia berlinese presenta l’impegno della comunità italiana nella capitale come auspicabile “modello” per le altre nazionalità presenti in Germania. In Parlamento, Laura Garavini, è componente della Commissione per le Politiche Europee, oltre che della CommissioneAntimafia. Ha presentato, fra le altre, la proposta di legge PRIME, elaborata con diversi ricercatori italiani in Europa, al fine di incentivare un ritorno dei “cervelli italiani” e l’internazionalizzazione del sistema della ricerca italiana.
Nato a Palermo il 31 marzo 1959, è un magistrato e giornalista italiano. Si forma professionalmente a Palermo, sua città natale, a partire dal 1987, nel pool di Falcone e Borsellino. Quest'ultimo l’aveva espressamente voluto al suo fianco. Sostituto procuratore a Palermo dal 1992 con Gian Carlo Caselli, diviene un importante pubblico ministero antimafia, si occupa di noti casi legati alla malavita organizzata, come il caso Contrada, e conduce processi di una certa rilevanza sui rapporti tra la mafia e il mondo della politica e dell’economia. Una delle indagini che fanno capo a lui riguarda l’attuale senatore del PdL Marcello Dell'Utri,
che avrebbe fatto da ponte tra mafia del sud e mondo imprenditoriale del nord, attraverso mafiosi come Salvatore Riina e i fratelli Graviano. Ingroia ottiene una prima condanna per Dell’Utri nel 2004 a nove anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, confermata in appello il 29 giugno 2010 con una riduzione di due anni; il senatore è però assolto per le condotte successive al 1992, poiché i giudici hanno giudicato non provato il “patto di scambio” politico/mafioso con Cosa Nostra. Durante l’indagine preliminare fu indagato anche Silvio Berlusconi, ma poi la sua posizione fu archiviata. Nel 2009 è stato nominato procuratore aggiunto della procura distrettuale antimafia di Palermo. Il 17 aprile 2011 l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) lo ha insignito del Premio Renato Benedetto Fabrizi. Il 18 maggio del 2012 è uscito nelle librerie la sua nuova opera, “Palermo”, edito da Melampo: in questo scritto, il magistrato racconta la sua città con gli occhi di chi ha scelto di rimanere e contribuire con l’ausilio della legge a trascinarla fuori dalla morsa della mafia, compiendo quello che può essere definito un vero atto d’amore, tenendo presente l’esempio del Suo maestro, Paolo Borsellino. È forse lo scritto più intimo del Procuratore Ingroia; lo scritto che scava dentro l’animo di un palermitano sensibile e fortemente innamorato del suo mondo. Lo scritto che più di ogni altro lascia tanto al lettore e che consente di operare una riflessione su quelli che possono essere i sacrifici di un uomo che allo Stato ha deciso di dare tutta la sua vita. Nel maggio del 2012 in commemorazione dei 20 anni dalla morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino pubblica il racconto “I giorni del dolore e del riscatto” inserito all'interno della raccolta “Dove Eravamo”, Vent'anni dopo Capaci e Via D'Amelio (Caracò Editore, 2012). Dal 18 maggio 2012 è iscritto all’Ordine dei Giornalisti. Dal 25 giugno, il Procuratore Ingroia è giornalista pubblicista. Diverse sono state le collaborazioni con redazioni giornalistiche. Tra le più recenti, ricordiamo quella con la testata siciliana “Live Sicilia” dove il Procuratore ha tenuto una rubrica “Fuori dal Bunker” e la più recente con il quotidiano “L'Unità”. Al momento della consegna della scheda, il procuratore ha affermato: “Non scrivo però romanzi, come sostiene qualche uomo politico alludendo a nostre recenti indagini”. Il 26 luglio 2012 il CSM ha dato il via libera al collocamento fuori ruolo del Procuratore aggiunto di Palermo Ingroia che smetterà le vesti di PM per un anno per andare a dirigere in Guatemala un’unità di investigazione per la lotta al narco traffico su incarico dell'ONU. Nell’ottobre del 2011 partecipa al convegno politico organizzato dal Partito dei Comunisti Italiani, dove dichiara: “… Un magistrato deve essere imparziale quando esercita le sue funzioni ma io confesso che non mi sento del tutto imparziale. Anzi, mi sento partigiano, sono un partigiano della Costituzione …”. La sua partecipazione e le sue dichiarazioni hanno suscitato forti polemiche e la critica da parte del CSM. 13
Paraolimpiadi Londra 2012 Il count down è agli sgoccioli: i Giochi Paraolimpici di Londra 2012 apriranno ufficialmente la sera del 29 agosto con la cerimonia di apertura. Di lì in avanti, per undici giorni, 4200 atleti provenienti da 160 Paesi di tutto il mondo si sfideranno in una delle 20 discipline per un posto sul podio. E saranno scintille! Spesso infatti si ripete la tiritera del “per loro esserci è già una vittoria”, “le olimpiadi loro se la fanno tutti i giorni per vivere, studiare e lavorare” e bla bla bla. E in parte è vero. Ma questi sono atleti a tutti gli effetti, che hanno lottato e sudato in palestra, sui campi o in piscina per diventare i migliori del loro Paese e portarne i colori ai Giochi Paraolimpici. Un occasione che arriva ogni quattro anni e che per molti rimane unica nella vita. Potrebbero viverla con spirito decubertiano e limitarsi a dire che “l'importante è partecipare”?! Ovvio che no!
Esserci è importante, essenziale direi. Ma una volta che ci si è arrivati, non si può dare meno del massimo per ottenere il miglior risultato possibile. Nessuno si risparmierà ed è una promessa. 14
SPORT La delegazione italiana alle Paralympic Saranno 98 gli atleti della spedizione azzurra che alle Paralimpiadi che si apriranno a Londra mercoledì prossimo parteciperanno in 12 discipline sportive delle 20 presenti nel programma. Alla squadra in partenza per Londra, è arrivato ieri il saluto, con lettera, del Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Monti, a nome dell'intero Governo alla delegazione Azzurra. Nel comunicare che autorevole rappresentante del Governo alla Cerimonia d'Apertura dei Giochi sarà il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Elsa Fornero, il Primo Ministro ha aggiunto: “Auguro buona fortuna a tutte le atlete e gli atleti che, sono certo, onoreranno il nostro Paese nel corso della manifestazione. Allo stesso tempo, desidero rivolgere al Presidente Luca Pancalli ed a tutto il Comitato Italiano Paralimpico i miei complimenti per l'attività svolta”. TIRO CON L'ARCO (AR) Oscar De Pellegrin Mario Esposito Vittorio Bartoli Elisabetta Mijno Veronica Floreno Mariangela Perna Alberto Simonelli Giampaolo Cancelli Fabio Azzolini Gabriele Ferrandi ATLETICA LEGGERA UOMINI Andrea Cionna - Maratona 2 Guide: Alessandro Carloni e Doriano Bussolotto Walter Endrizzi - Maratona Alessandro Di Lello - Maratona Riccardo Scendoni - 100, 200, 400 metri Davide Dalla Palma - 800, 1500 metri Alvise De Vidi - 100 metri
Giorgio Farroni - crono e strada Fabrizio Macchi - crono, strada, team sprint e inseg. Roberto Bargna - crono e strada Vittorio Podestà - crono, strada e team relay Ivano Pizzi - crono e strada Michele Pittacolo - crono e strada Andrea Tarlao - crono, linea, team sprint e inseg. Pierpaolo Addesi - crono, strada e team sprint EQUITAZIONE Silvia Veratti -individuale e a squadre Sara Morganti - individuale e a squadre Antonella Cecilia - individuale e a squadre Francesca Salvadè - individuale e a squadre CANOTTAGGIO (RO) Silvia De Maria - doppio mix Daniele Stefanoni - doppio mix Florinda Trombetta, Mahila Di Battista, Pierre Calderoni, Andrea Marcaccini - 4 con VELA (SA) Fabrizio Olmi - classe 2.4 Marta Zanetti - 7 skud 18 Marco Gualandris - 2 skud 18 Paola Protopapa - 5 sonar Massimo Dighe - 1 sonar Antonio Squizzato - 6 sonar TIRO A SEGNO (SH) Azzurra Ciani - SH1 R2, R3, R6, R8 Iacopo Cappelli - SH1 R1, R3, R6, R7 Marco Pusinich - SH1 P1, P4 Giancarlo Iori - SH1 P1, P3, P4 Massimo Dalla Casa - SH2 R4, R5 NUOTO (SW) La squadra azzurra di nuoto
DONNE Martina Caironi - Salto in lungo, 100 metri Annalisa Minetti - 1500 metri Guida: Andrea Giocondi Assunta Legnante - Getto del peso, lancio del disco Oxana Corso - 100, 200 metri Elisabetta Stefanini - 100, 200, 400 metri Guida: Massimo Di Marcello CICLISMO (CY) Paolo Cecchetto - crono e strada Paolo Viganò - crono e strada Alessandro Zanardi - crono, strada e team relay Claudia Schuler - crono e strada Francesca Fenocchio - crono, strada e team relay Mauro CRATASSA - crono e strada
Cecilia Camellini - 50SL, 100SL, 400SL, 100D, 200Med Emanuela Romano - 50SL, 100SL, 400SL, 100D, e 200Med Stefania Chiarioni - 50F, 200SL, 200Med Immacolata Cersauolo - 50SL, 100SL, 100F, 200Med Fabrizio Sottile - 50SL, 100SL, 400SL, 100D, 100F, 200Med 15
ATTUALITÀ Federico Morlacchi - 50SL, 100SL, 400SL, 100F, 100R, 200Med Francesco Bettella - 50SL, 100SL, 200SL, 50D Efrem Morelli - 50F, 100R, 50D e 50SL Nicolò Bensi - 50F, 50R, 150Med Francesco Bocciardo - 100D, 400SL Michele Ferrarin - 100R, 100F, 200Med
Annalisa Minetti
TENNISTAVOLO (TT) Clara Podda - Classe 2 ind. e a squadre Pamela Pezzutto - Classe 2 ind. e a squadre Michela Brunelli - Classe 3 ind. e a squadre Maria Nardelli - Classe 5 ind. e a squadre Valeria Zorzetto - Classe 4 ind. e a squadre Andrea Borgato - Classe 1 ind. e a squadre Giuseppe Vella - Classe 2 ind. e a squadre Raimondo Alecci - Classe 6 ind. e a squadre Davide Scazzieri - Classe 7 ind. e a squadre Salvatore Caci - Classe 4 individuale BASKET (WB) Damiano Airoldi, Nicola Damiano, Amhed Raourahi, Mohamed Sanna Ali, Fabio Raimondi, Fabio Bernardis, Vincenzo Di Bennardo, Amine Moukhariq, Jacopo Geninazzi, Galliano Marchionni, Alberto Pellegrini, Matteo Cavagnini SCHERMA (WF) Loredana Triglia - Cat. A fioretto Matteo Betti - Cat. A fioretto, spada, fioretto a squadreMarco Cima - Cat. B fioretto ind. e a squadre Andrea Macrì - Cat. B fioretto a squadre Alessio Sarri - Cat. B sciabola
Annalisa Minetti con il suo allenatore e guida
TENNIS (WT) Marianna Lauro - open femm. Fabian Mazzei - open maschile Marco Innocenti - quad individuale e doppio Giuseppe Polidori - quad individuale e doppio
ATLETI GUIDA, PILOTI, TIMONIERI CY Lucca Pizzi RO Alessandro Franzetti 16
SPORT
Chi l'ha detto che gli inglesi sono incollati alle tradizioni e guai a trasgredirle? Già qualche settimana fa, in occasione delle olimpiadi di Londra 2012, si erano dimostrati insolitamente dotati di spirito creativo, originalità e sense of humor. Adesso ci hanno riprovato con le Paraolimpiadi “spezzando” la torcia in quattro, una per ciascuna delle nazioni ospitanti: Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord. Con un rito avvenuto in contemporanea in cima ai monti più alti dei rispettivi Paesi - lo Scafell Pike in Inghilterra, lo Snowdon/Yr Wyddfa in Galles, il Ben Nevis in Scozia e lo Slieve Donard in Irlanda del Nord -, mercoledì 22 agosto, quattro gruppi di scout e atleti, disabili e non, hanno creato il fuoco per accendere le torce con la tecnica dello sfregamento delle selci. Un vero e proprio elemento di novità nel cerimoniale che ha portato all'accensione della fiamma olimpica e quindi al via ufficiale dei Giochi Paraolimpici all'Olympic Stadium di Londra, il 29 agosto. Prima, però, ci dovevano arrivare! Fonte: blogosfere.it
Le fiamme trasportate a valle grazie ad alcune lanterne sono servite per accendere sull’arco di 4 giorni un calderone cerimoniale in ognuna delle capitali: venerdì 24 agosto a Trafalgar Square, Londra, sabato 25 agosto a Stormont, Belfast, domenica 26 agosto a The Mound, Edimburgo e lunedi 27Agosto alla City Hall di Cardiff. Le quattro fiamme nazionali sono state riunite in un'unica Fiamma Paraolimpica a Stoke Mandeville, sede del Movimento Paralimpico, il 28 agosto. 17
DONNE NEL MIRINO dalla Redazione
Cosa dice la comunità internazionale Secondo un gruppo di esperti che hanno lavorato per il Consiglio d'Europa ( Council of Europe-Group of specialists for combatting violence against women, Final Report of Activities, Strasbourg, 197), quando si parla di violenza contro le donne è importante avere sempre presente che: · la violenza contro le donne è una violenza di genere riconosciuta oggi dalla comunità internazionale come una violazione fondamentale dei diritti umani · alcune forme si trovano in molte culture (stupro, violenza domestica, incesto), altre sono specifiche di alcuni contesti (mutilazioni sessuali, omicidi a causa della dote, ecc.) · spesso la violenza agita contro le donne è una combinazione di diversi tipi di violenze; un esempio è rappresentato dalla violenza domestica dove intervengono generalmente violenza fisica, psicologica, sessuale, economica e a volte spirituale · violenze diverse possono essere fra loro connesse; la violenza contro le/i figlie/i, ad esempio, è spesso accompagnata da violenza domestica contro la madre · la posizione degli uomini e delle donne rispetto a questo fenomeno non è equivalente: le donne figurano molto più spesso come vittime e gli uomini come responsabili; alcune forme di violenza vengono agite quasi esclusivamente sulle donne (stupro) · la violenza può assumere forme diverse, accadere in molti contesti e relazioni. La violenza contro le donne esiste, è diffusa e non appare affatto in diminuzione. Le donne sono vittime di diverse forme di violenza: nella quotidianità, nella vita domestica e in circostanze particolari come "lo stupro di guerra".
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La violenza contro le donne è un crimine ma continua ad essere considerata dagli individui, dalle istituzioni sociali e dagli Stati come una questione privata, si circoscrive nella sfera privata un crimine di ordine pubblico. La violenza contro le donne è un fenomeno molto esteso. "Secondo il rapporto di Sheila Henderson, presentato al Comitato per l'eguaglianza tra donne e uomini presso il Consiglio d'Europa (Lienderson, 1997), almeno una donna su cinque subisce nel corso della sua vita uno stupro o un tentativo di stupro; una su quattro fa l'esperienza di essere maltrattata da un partner o ex partner; quasi tutte le donne hanno subito una o più molestie di tipo sessuale: telefonate oscene, esibizionismi, molestie sul lavoro e così via". P. ROMITO, La violenza di genere su donne e minori, FrancoAngeli 2000 Le donne subiscono violenza dagli uomini. Non tutti gli uomini naturalmente usano violenza contro le donne ma si tratta comunque di VIOLENZA di GENERE cioè violenza di uomini contro donne e bambine. Gli uomini usano per lo più la violenza per mantenere o rafforzare il loro potere nei riguardi delle donne o per bloccare un regresso di questo potere. La violenza di genere é rimasta a lungo invisibile: avveniva nell'ombra in quanto coincideva con i valori dominanti, le tradizioni e le leggi a tal punto da rendere il fenomeno un fatto naturale, comune, normale!
SOTTO LA LENTE di Angela Gennaro
Più di 120 donne uccise dai partner In Italia è femminicidio
In contemporanea in diverse città d’Italia, nei giorni scorsi sono state accese migliaia di fiaccole per ricordare Stefania Noce. Uccisa da un uomo che dice di aver amato «più della sua vita». Luci e fiamme per lei e per tutte le donne vittime di violenza, volute da «Se non ora quando» di Catania, da tutta Snoq e da tante associazioni e organizzazioni politiche. In tutto il mondo, la violenza maschile è la prima causa di morte per le donne: in Italia sono aumentate del 6,7% nel 2010. La violenza di compagni, mariti, o
ex è la prima causa di morte per le donne dai 15 ai 44 anni. «Con dati statistici che vanno dal 70% all’87% la violenza domestica risulta essere la forma di violenza più pervasiva che continua a colpire le donne in tutto il Paese», ha detto la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, Rashida Manjoo, al termine della sua visita ufficiale in Italia. Le vittime di omicidio da parte di partner o ex partner sono passate da 101 nel 2006 a 127 nel 2010. Molte violenze non vengono neppure denunciate, per quello che è ancora il contesto italiano, «patriarcale e incentrato sulla famiglia». Vi è di più: capita ancora che la violenza domestica non venga percepita come reato. E «un quadro giuridico frammentario e l’inadeguatezza delle indagini, delle sanzioni e del risarcimento alle vittime sono fattori che contribuiscono al muro di silenzio e di invisibilità che circonda questo tema». L’Italia non ha ancora ratificato la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza nei confronti delle donne firmato a Istanbul lo scorso maggio da 10 stati europei. La piattaforma italiana «Lavori in Corsa: 30 anni CEDAW», D.I.Re (Donne in Rete contro la violenza), e l’UDI (Unione Donne italiane), ne chiedono in questi giorni l’immediata ratifica. E un triste primato tutto italiano è quello di vedersi affibbiata in un documento ufficiale delle 35 21
DONNE NEL MIRINO Nazioni Unite la parola «femminicidio». In questo lo Stivale è insieme al Messico, condannato nel 2009 dalla Corte interamericana per i diritti umani per il femminicidio di Ciudad Juarez. Una storia della quale si parla poco e dai confini ancora troppo incerti: centinaia di donne, più di 500, violentate e uccise nella totale indifferenza delle autorità dal 1993. E altrettante sarebbero scomparse. Donne, ragazze e bambine (bambine) uccise ma prima sequestrate, torturate, mutilate, violentate (ed è un eufemismo) nello Stato di Chihuahua. I cadaveri straziati - nei corpi ancora in vita inseriti oggetti a beneficio di giochi erotici (anche questo è un eufemismo) mortali - buttati nella monnezza, o sciolti nell’acido. Secondo alcune denunce, si sarebbero macchiati di questi crimini anche uomini delle forze dell’ordine. Ma tanto, nonostante l’aumento della violenza contro le donne, il dibattito politico in paesi come il Messico e il Guatemala continua secondo molti osservatori ad archiviare tutti questi orrori come un danno collaterale della grande guerra del narcotraffico. Nel 1985 l’Italia ha ratificato la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU nel ’79, impegnandosi ad adottare «misure adeguate per garantire pari opportunità a donne e uomini in ambito sia pubblico che privato». Il monitoraggio dei risultati avviene ogni quattro anni. Gli Stati firmatari presentano un rapporto governativo con tutti gli interventi portati avanti per raggiungere i risultati richiesti dalla Cedaw.
«Se non ora quando» Oltre al rapporto governativo, in parallelo e autonomamente anche la società civile redige un proprio rapporto, il «Rapporto Ombra». Il Comitato Cedaw, composto da 23 esperti provenienti da tutto il mondo, eletti dagli Stati firmatari, esamina entrambi i rapporti e formula le proprie raccomandazioni allo Stato, che è tenuto a considerarle nell’ottica dell’avanzamento delle donne nella società e a risponderne negli anni successivi. 22
L’organismo delle Nazioni Unite ora ha chiesto all’Italia un aggiornamento entro due anni (invece dei canonici quattro) sulle misure adottate. Le ultime raccomandazioni fatte al nostro Paese, pubblicate il 3 agosto, sono state finalmente pubblicate sul sito delle Pari Opportunità in lingua italiana solo in questi giorni. Tra quattro anni sarà la volta di un nuovo rapporto periodico, il settimo da quando esiste la Convenzione. Nelle raccomandazioni del 2011, il Comitato Cedaw ha accolto con favore l’adozione della legge del 2009 che introduce il reato di stalking in Italia, «il Piano di Azione Nazionale per Combattere la Violenza
SOTTO LA LENTE nei confronti delle donne e lo Stalking, così come la prima ricerca completa sulla violenza fisica, sessuale e psicologica nei confronti delle donne, sviluppata dall’Istat».Azioni che, però, non bastano: «il Comitato rimane preoccupato per l’elevata prevalenza della violenza nei confronti di donne e bambine nonché per il persistere di attitudini socio-culturali che condonano la violenza domestica, oltre ad essere preoccupato per la mancanza di dati sulla violenza contro le donne e bambine migranti, Rom e Sinte». E qui l’affondo: «Il Comitato è inoltre preoccupato per l’elevato numero di donne uccise dai propri partner o expartner (femminicidi), che possono indicare il fallimento delle Autorità dello Stato-membro nel proteggere adeguatamente le donne, vittime dei loro partner o ex-partner». «Femminicidio» è la distruzione fisica, psicologica, economica, istituzionale, della donna in quanto tale, della donna che non rispetta il suo ruolo. Il termine è stato coniato per i fatti di Ciudad Juarez, e ha fatto il giro del mondo. Barbara Spinelli, avvocato di Giuristi Democratici, tra le associazioni della società civile che si occupano del Rapporto Ombra rappresentante della piattaforma Lavori in Corsa - 30 anni CEDAW, ne parla in un libro scritto già nel 2008. «Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale». Già, perché tante sono e sono state nel tempo le richieste delle organizzazioni che si occupano di diritti umani di riconoscimento giuridico del femminicidio come reato e crimine contro l’umanità. Questo, si legge nella descrizione del libro, per «individuare il filo rosso che segna, a livello globale, la matrice comune di ogni forma di violenza e discriminazione contro le donne, ovvero la mancata considerazione della dignità delle stesse come persone».
Ai sensi della Convenzione Cedaw, spiega Barbara Spinelli a Linkiesta, «lo Stato ha delle obbligazioni note internazionalmente come le 4P»: prevenire la violenza sulle
donne, attraverso un’adeguata sensibilizzazione, proteggere le donne che decidono di uscire dalla violenza, perseguire i reati commessi e procurare riparazione alle donne, supporto psicologico e sostegno all’ingresso nel mondo del lavoro. Inutile dire che, per le 4P, l’Italia potrebbe fare di più. «Il rapporto presentato dal governo italiano al Comitato Cedaw non dedica un capitolo specifico alla violenza sulle donne come richiesto», spiega la giurista.
E «illustra troppo genericamente i provvedimenti che l’Italia ha preso». Quello che manca è «l’inquadramento della violenza dell’uomo sulle donne come carattere culturale». Le violenze si consumano soprattutto in famiglia, e soprattutto quando una famiglia si sta spaccando: ecco perché si auspica l’introduzione del divorzio breve. «La violenza sulle donne non è frutto di raptus, ma dalle relazioni di genere. E l’incapacità di adattare un’ottica di genere si riflette in un’inadeguatezza», dice la Spinelli. Inadeguatezza e non sistematicità nella formazione degli operatori sanitari, sociali, delle forze dell’ordine e dei magistrati, «che costi tuiscono il primo ostacolo concreto alla protezione delle donne». Su 10 femminicidi, 7.5 sono stati preceduti da denunce alle forze dell’ordine o agli operatori sociali. «Quindi c’è una risposta inadeguata da parte dello Stato», spiega Barbara. Il comitato Cedaw «si dice appunto preoccupato per l’elevato numero di femminicidi che potrebbero evidenziare una responsabilità dello Stato nel non dare alle sue azioni in questo ambito carattere strutturale e culturale». Garantendo, tanto per cominciare, il risarcimento alle vittime.Ad oggi in Italia «la legge europea che prevede il risarcimento per le vittime è stata attuata per le vittime della violenza negli stadi, ma non per le donne», conclude amara l’esponente di Giuristi Democratici. 23
DONNE NEL MIRINO di Alessio Miceli
Maschi violenti La terapia orfana della politica
Per esempio a Milano c’è il lavoro al carcere di Bollate con gli autori di reati sessuali, “per la riflessione costruttiva e la prevenzione della recidiva”. A Torino si tiene uno sportello telefonico per “l’ascolto del disagio maschile”, spesso casi di violenza da gestire in gruppi di condivisione facilitati o da inoltrare ai servizi sociali, mentre a Firenze lo sportello telefonico è intitolato come “Centro ascolto maltrattanti” e i gruppi sono più ad orientamento terapeutico. A Modena si apre adesso il primo centro pubblico in Emilia, che raccoglie una serie di esperienze terapeutiche ma anche di riflessione più ampia sulla maschilità, mentre a Roma sta per iniziare un progetto di laboratori socio-educativi per uomini a bassa o media intensità di violenza, inviati dal tribunale.
I ragazzi di scuola dicono di questi uomini che “sono pazzi o malati” e quasi a specchio gli adulti parlano sempre più di curarli: gli uomini maltrattanti, gli stalkers, gli abusanti, i sex offenders, gli uxoricidi … in breve l’idea è di “curare gli uomini violenti”. Così negli ultimi anni si moltiplicano i corsi di formazione e i bandi di concorso, i progetti e le nuove strutture. Si sviluppa un mercato e si estende anche l’ombrello dei servizi pubblici alla “presa in carico degli uomini violenti”. 24
SOTTO LA LENTE In questi e altri casi, ci sono un approccio terapeutico e uno di apprendimento rivolti agli uomini violenti, con diversi soggetti professionali e associativi, in un contesto più o meno istituzionale. Ma una grande domanda rimane in sospeso: quali sono i nessi tra questi approcci di “cura” e la mattanza di donne che avviene ogni anno in Italia, come questione politica? Direi che la terapia, ancor più della formazione, se da un lato lavora alla ricostruzione della personalità, dall’altro rimanda al concetto della violenza come devianza individuale da rimodulare, rispetto a un corpo sociale tendenzialmente sano (e neutro, non sessuato). Poi le cornici istituzionali di questi interventi, sia quella sanitaria che giudiziaria, lavorano nella logica dei servizi, cioè di strutture che “servono” appunto alla realtà esistente, che lavorano nell’ordine delle cose che è dato. A parte la difficoltà a validare questi percorsi in base alla recidiva, cioè che il comportamento violento non si verifichi più, fatto molto controverso in letteratura, ma ciò che mi sembra cruciale di queste esperienze di “cura”, a volte importanti, è il loro essere orfane di politica. C’è un enorme bisogno di politica, quella capace di riconoscere il problema (la questione maschile irrisolta, di questa violenza strutturale sulle donne) e di darsi una prospettiva condivisa (e poi una legge organica, dei fondi strutturali ai centri antiviolenza, eccetera). Senza questa politica, non sarà il mondo della cura e dei servizi a cambiare il quadro, non è “il suo mestiere”. E questo cambiamento, questa grande discussione a tutti i livelli
della società, non può venire che da quelle donne (tante) e quegli uomini (pochi) che hanno appunto il desiderio politico di un nuovo rapporto tra i sessi. Come in quel campo di profughi afghani, in cui una grande donna, responsabile dei servizi del campo, innescò una discussione politica con i capi famiglia, per cui nessuna donna morì più in quel campo a causa di violenze e delitti d’onore.
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DONNE NEL MIRINO di Adriana Tognoni
Parliamo della violenza inarrestabile verso le donne
Ma la cosa che frena la loro probabile ribellione, ai soprusi dell’uomo, è la paura ed il terrore delle conseguenze, nella eventualità non fossero sufficientemente protette da qualcuno. Esse ponderano infine ed assurdamente di recuperare il recuperabile, della loro vita matrimoniale o di coppia e della loro precaria esistenza, sopportando schiaffi ed umiliazioni di ogni genere. Non c’è errore più grande!
Credo che, a volte, le donne non reagiscono alle violenze perché vivono una situazione di assoluta solitudine e sempre pronte a cadere nel “baratro” che le possa inghiottire per mettere fine alla loro sofferenza. Sono sole perché il più delle volte troppo debilitate, deboli ed impaurite per poter confidare, a qualcuno, che il proprio marito, padre o compagno le maltratta. Spesso, le donne vittime, vengono volutamente isolate ed allontanate dalle persone più care e questo dovrebbe essere il primo segnale percepibile per poter dare ed avere un piccolo barlume d’allarme. Le donne meditano cosa è bene per i figli e pensano che cercare un’altra strada potrebbe essere peggio di quella vissuta e non risolutiva ai propri problemi. 26
La violenza sulle donne non ha mai fine e fa parte dell’esistenza del cosiddetto maschio che vuole avere la meglio fisicamente e psicologicamente sulla donna quasi fosse un possesso inalienabile in quanto paragonata ad un bene materiale. Uccidono per gelosia e persino per banalità. Quasi la donna fosse obbligata a dover subire per tutta la vita ed in silenzio uno squallore di vita senza futuro e felicità! Le donne dovrebbero sapere, in teoria, cosa fare dinanzi a situazioni che le sminuiscono e che lasciano ferite inguaribili, ma la donna, per prerogativa naturale, è quella che guarda la famiglia prima di curare la propria fragile esistenza e la propria incolumità fisica e psichica. Ogni donna e madre vera proteggerà i propri figli a costo della sua stessa vita ed a volte muore con loro. Ogni giorno ci sono donne che, oltre ad essere uccise e violentate, subiscono angherie di ogni genere e non sempre sono necessarie le botte e gli schiaffi, a volte sono sufficienti le parole dette e ripetute all’infinito accompagnate da una buona dose di umiliazioni per far si che la donna si senta incapace di ribellarsi perché alla fine si convincerà che tutto ciò che predica il maschio, prepotente e tiranno, sia vero.
SOTTO LA LENTE Non c’è peggior persuasione nel credere che noi donne siamo esseri inferiori agli uomini! Siamo, dal punto di vista di capacità ed intelletto, decisamente superiori agli uomini. Ho sempre creduto, che noi donne siamo oltre che intelligenti, perspicaci, pratiche e sicuramente migliori di quel maschio che inveisce senza ragione verso una qualsiasi donna, sia essa moglie, madre, figlia o compagna.
Non esistono educatori e genitori infallibili esistono, invece, modelli di comportamento che vengono emulati dai bambini, sin da quando sono in grado di capire, e che vengono assimilati nella crescita. Meno rispetto ci sarà nella propria casa e con meno rispetto crescerà il proprio figliomaschio verso le donne. E le figlie, cresciute nello stesso ambiente, si convinceranno che essere maltrattate rientri nella normalità femminile e così subiranno anch’esse quanto subito dalla propria madre.
Che, con la clava in mano, trascinavano per i capelli le proprie donne. Dai tempi dei tempi le donne sono state oggetto di violenza ed assoggettamento verso l’uomo quasi fosse un dono naturale concesso per uso e consumo esclusivo dell’uomo fino a deciderne la sua sorte. Eppure le donne partoriscono, sono coloro che danno nuova vita alla vita, sono coloro che accudiscono e si sacrificano volentieri per il proprio uomo e per i propri figli, tuttavia, vengono sempre sminuite nella loro eccellente e straordinaria funzione di donna e di madre con la mancanza di rispetto, sia nel loro corpo che nella loro mente produttiva ed inarrestabile a beneficio della famiglia.
Abbiamo delle discrete normative ma poca protezione ed anticipazione nel prevenire ogni tipo di atto violento. Ogni segnalazione di atti violenti non andrebbero mai sottovalutati. Credo che, questo fenomeno di uccidere le donne, stia divenendo un problema sociale non indifferente. Come quello di gettare i neonati nei cassonetti.
L’esempio vale più delle parole nell’educazione e nel tramandare l’importanza dei valori umani ed è per questa ragione che la protezione dei bambini è il cardine di una società sana, civile ed evoluta. Fin quando non si sapranno proteggere i fanciulli nella loro stessa infanzia, eventualmente, turbata e non si avranno padri e mariti che daranno il buon esempio nel trattare una donna come essere umano e come essere alla pari per intelligenza e capacità avremo questo grandissimo problema sociale.
Ma ci siamo mai chiesti da cosa deriva questo comportamento così poco civile e violento di alcuni uomini verso la donna, nonostante la clava sia stata sostituita da coltelli, pistole, benzina ed altro ?
A volte sono i cittadini stessi, quelli dotati di coraggio e senso civico, che potrebbero salvare la vita di una donna o di un bambino, chiamando semplicemente le forze dell’ordine, per ogni tipo di violenza che si sente o si vede e che non rientri in un normale litigio familiare. Il più delle volte c’è gente che finge di non sentire e di vedere , addirittura si chiudono serrati in casa per non essere coinvolti. Che vergogna immane e che misera complicità silenziosa avviene in questi casi. 27
DONNE NEL MIRINO di Adriana Tognoni
Anno 2012. Da un lato (per esempio) il Tg1 delle ore 20.00 del 25 gennaio. Servizio di Vincenzo Mollica: il «capitano» Gianni Morandi e Rocco Papaleo presentano la valletta del Festival di Sanremo, Ivana Mrazova. Bellissima, come didascalicamente descritto dalla telecamera. Dall’altro, quella che è molto più di una «tirata d’orecchie» all’Italia da parte del Comitato Cedaw, l’organismo Onu che verifica il rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite contro le discriminazioni nei confronti delle donne. «Il Comitato rimane profondamente preoccupato per la rappresentazione della donna quale oggetto sessuale e per gli stereotipi circa i ruoli e le responsabilità dell'uomo e della donna nella famiglia e nella società». Stereotipi, attenzione, «contenuti anche nelle dichiarazioni pubbliche rese dai politici», che «minano la condizione sociale della donna, come emerge dalla posizione svantaggiata in diversi settori, incluso il mercato del lavoro, l'accesso alla vita politica e alle cariche decisionali». È da poco terminato il viaggio in Italia della relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, Rashida Manjoo. Una missione conoscitiva - la prima del genere in Italia, durante la quale la Manjoo ha visitato carceri, campi rom, si è fatta un’idea della realtà quotidiana delle donne. L’allarme lanciato non lascia dubbi: la violenza sulle donne «resta un problema in Italia». E l’invito è che la crisi economica non costituisca un alibi per distogliere l’attenzione. «L’Italia occupa il penultimo posto tra i paesi europei sul tema dell’equiparazione di genere, quindi che ci sia una questione femminile mi sembra molto evidente», spiega a Linkiesta Emma Bonino, vicepresidente del 28
SOTTO LA LENTE Senato. «È meno evidente ai più che questa è anche una questione di altissima priorità per il paese». L’Italia, infatti, «ha un problema di crescita che sta diventando il più grave problema per il futuro». E «tenere in panchina il 50% del capitale umano del paese è una scelta insensata», avverte l’esponente radicale. La chiave è proprio nel tema dell’occupazione femminile, avverte Bonino, che è anche presidente onoraria di Pari o Dispare, «sia dal punto di vista quantitativo», ovvero in termini di livelli occupazionali, «che qualitativo», cioè dal punto di vista delle carriere. Rossana Scaricabarozzi, responsabile programma diritti delle donne ActionAid Italia, dà i numeri della rappresentanza politica delle donne. Italia: 20% dei parlamentari. Rwanda: 47 per cento, Spagna: più del 34%, Germania: 27%, Francia: 20,5 per cento. «Anche l’Afghanistan, dove certo ci sono problemi ben più gravi, a livello di rappresentanza politica supera l’Italia», spiega la Scaricabarozzi. D’altro canto nel nostro paese 4 donne su 10 «continuano a lasciare il lavoro dopo la prima gravidanza», tutto questo in un contesto di «assenza di welfare a protezione delle lavoratrici precarie». Elsa Fornero ha annunciato di voler trovare una soluzione: «La maternità o la paternità non devono più essere vissute come un ostacolo alla carriera», spiega il ministro del Welfare con delega alle Pari Opportunità. «Anche nelle istituzioni e nella politica le posizioni di leadership sono in larghissima maggioranza occupate da uomini», spiega ancora Emma Bonino. E quindi «è evidente che la sensibilità sul tema è, anche nei casi migliori, quanto meno più indiretta». Poi c’è il contesto culturale: «per quanto riguarda i ruoli nella famiglia, la condivisione delle responsabilità di cura, è cambiato troppo lentamente e in modo assai difforme nelle diverse regioni del paese», dice la senatrice. Gli stereotipi femminili «persistono in tutti gli ambienti: nella vita familiare, in quella professionale, sociale e politica e sono continuamente confermati dai media, dalla pubblicità alla tv». Continuamente. «Quindi non c’è da stupirsi che le tematiche femminili vengano relegate in bassa priorità e percepite con un certo fastidio, soprattutto quando la crudeltà degli indicatori, come per esempio nel rapporto Cedaw, denuncia un ritardo clamoroso». Della condizione femminile in Italia, tanto racconta anche la situazione delle carceri. La relatrice dell’Onu Rashida Manjoo spiega di essere stata messa a parte, durante la sua visita in Italia, delle difficoltà di accesso allo studio e al lavoro, «riconducibili alla mancanza di risorse e alle pratiche discriminatorie da parte del personale delle strutture carcerarie». E non manca la «disparità di trattamento da parte di alcuni giudici di sorveglianza nel riesame delle sentenze per la scarcerazione anticipata delle detenute che soddisfano i requisiti per le misure alternative al carcere». C’è poi tutta la questione dei bimbi dietro le sbarre, «i problemi che affrontano le detenute con figli minori all’interno e fuori dal carcere»: questione per la quale, secondo la Manjoo, «ove possibile, occorre valutare eventuali pene alternative». La soluzione alla quale si sta pensando, ovvero di innalzare da tre a sei anni il limite di età
dei bambini che possono stare con le mamme in carcere fino a 6 anni, non è invece, per la relatrice Onu, auspicabile. Quella delle donne in Italia è una storia che parla ancora troppo di ritardi strutturali e culturali. E però non mancano provvedimenti che Rashida Manjoo ha definito apprezzabili: la legge sullo stalking, i piani d’azione nazionali sulla violenza contro le donne e il Piano nazionale per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro. Ma non basta. La «piena ed effettiva partecipazione delle donne al lavoro e alla sfera politica» è ancora una sfida. Il quadro politico e giuridico «frammentario» e la «limitatezza delle risorse finanziarie per contrastare la violenza sulle donne», secondo la Manjoo, «ostacolano un’efficace ottemperanza dell'Italia ai suoi obblighi internazionali». E infatti siamo sorvegliati speciali, anche perché il rischio è che la crisi economica «non può essere utilizzata come giustificazione per la diminuzione di attenzione e risorse dedicate alla lotta contro tutte le manifestazioni della violenza su donne e bambine in questo Paese».
L’uguaglianza uomo-donna «non è soltanto un nobile ideale, è una condizione decisiva per lo sviluppo agricolo e la sicurezza alimentarevincere in modo sostenibile la lotta contro fame e povertà estrema» e per «», diceva il direttore Generale della Fao Jacques Diouf nel presentare l’anno scorso il rapporto Lo stato dell’alimentazione e dell'agricoltura. L’uguaglianza tra i generi, secondo il Rapporto sullo sviluppo nel mondo 2012 della Banca mondiale, porterebbe in alcuni Paesi ad un aumento della produttività lavorativa del 25%. «Ma quando si dà attenzione all’uguaglianza di genere ci viene il dubbio che sia una questione sottolineata solo per cercare nelle donne quella mancanza di crescita dei tempi di crisi che viviamo», avverte Rossana Scaricabarozzo di ActionAid. «Il motore del cambiamento è la necessità, mentre per essere reale e duraturo è fondamentale che sia culturale». La via d’uscita? «Le donne non sono il problema ma la soluzione», dice all’Italia la commissaria Cedaw Violeta Neubauer. «Io sono un’ottimista cocciuta», sorride Emma Bonino. «E penso che le crisi siano degli agenti di cambiamento e che non dobbiamo perdere l'occasione della prossima riforma sul lavoro». Una riforma che «per la prima volta vedrà al tavolo negoziale un ministro donna che ha anche le responsabilità del welfare e delle pari opportunità e due controparti importanti come Confindustria e la Cgil con leader donne. Confido quindi che l’occupazione femminile e tutte le tematiche ad essa connesse saranno tenute in massima considerazione». 29
CULTURA di Alejandra Daguerre
Possedere un mezzo di trasporto proprio a 8 o 9 anni non era una cosa da nulla. Mi aveva dato i primi strumenti per imparare a rintracciare la rotta su due piedi: i forti venti contrari, il caldo opprimente del sole pomeridiano, le condizioni del terreno (dopo un acquazzone era meraviglioso portare la bici nel fango) e, comunque, mi aiutava a partecipare attivamente alle mie prime “iniziative di gruppo”: la responsabilità di dare un passaggio a qualche amica o di portare la più esile della banda seduta sul manubrio ... avventure epiche! La mia bicicletta non era nuova, era stata il veicolo delle mie sorelle e - ad essere onesti - era un po' un catorcio. Sognavo in silenzio di averne una nuova, una come quelle delle pubblicità in TV, e così scelsi con grande cura ed entusiasmo il numero della lotteria del club che aveva un primo premio molto speciale: una bici con l'immagine di Wonder Woman. Ovviamente non vinsi la lotteria e non si materializzò la bici dei miei sogni. Venni presa dalla frustrazione e un giorno, tornando a casa, un piccolo difetto meccanico del mio veicolo fece esplodere ciò che oggi definirei senza esagerazione come un “episodio furioso”. Urla, grida, calci, rabbia ... tutto quello che avevo a portata di mano per far sapere ai miei genitori (che identificavo chiaramente con la direzione generale del mondo) che volevo una bicicletta nuova fiammante, moderna, con tutti gli accessori ... insomma, 32
un gioiello su due ruote. I miei genitori mi stettero a sentire e mi domandarono perché non avevo mai parlato della bicicletta dei miei sogni. Capii all'improvviso che loro erano al di fuori del potere del mio desiderio e che non avevo ottenuto ciò che desideravo semplicemente perché non l'avevo chiesto; non avevo concentrato la mia volontà nel posto giusto ... e avevo subito un NO che io stessa avevo provocato. Lasciando da parte i capricci, quante volte ci diciamo di NO boicottando i nostri legittimi desideri? Quante volte soffriamo in solitudine un'impossibilità “auto imposta”? Quante volte ci colmiamo di rabbia e risentimento invano, solo perché non abbiamo il coraggio di mettere chiaramente in evidenza ciò che vogliamo? Quante volte rimaniamo in attesa che gli altri decodifichino e compiacciano i nostri desideri? Quante volte rimaniamo bloccati nella richiesta? Quante domande ... Adesso che non sono più una bambina mi rendo conto che posso avere desideri (è perfettamente lecito!) e raggiungere un accordo con le mie ambizioni come adulta. Cerco di non “pedalare i miei desideri”, e mi rendo conto che quando lo faccio qualcosa in me sprigiona tanta felicità e vibra a frequenza così elevata e amplificata che non ho più bisogno di ricevere una bici nuova per sentirmi Wonder Woman.
PSICOLOGIA
I genitori temono il desiderare del figlio perché ben sanno, in quanto adulti, che questo sarà la causa del loro soffrire. Investire nei propri desideri è scommettere nella propria storia ritagliandola entro i limiti di questa vita e delle persone che coinvolgiamo nella narrazione. Eppure è proprio questo limite che permette di sentire il valore e la forza del nostro desiderio fino al punto, paradossale, che qualcuno può riconoscere il desiderio di vita solo quando si ammala o il desiderio per quella persona solo quando se ne va. Il limite disegna i confini del nostro essere e questo permette di essere visti e di vederci, di riconoscere l’altro e di responsabilizzarci sia sulla nostra vita che su quella degli altri. Lasciare che i figli impattino soli con il limite della vita è rischioso. Il limite dato dagli altri, quelli che non sono interessati a loro non sarà caldo e affettuoso come solo quello di un genitore può essere. Oppure, ancora più spaventoso, saranno loro stessi a cercarlo nelle esagerazioni pericolose. I genitori di quest’epoca si sono forse scontrati duramente contro limiti irremovibili e sono cresciuti con la fragilità di non essere stati riconosciuti nel loro desiderare, nella legittimità del loro provare emozioni e avere idee. Ora rischiano di fare da cassa di risonanza rispetto ai primi dolori del figlio. Vanno avanti pensando che nessuno debba soffrire, nessuno debba avere paura. Loro soffrono, si ritrovano soli, senza famiglia, con le difficoltà lavorative ma chiedono ai figli di renderli felici, non possono tollerare che anche i loro figli siano in difficoltà. Per questo addossano le responsabilità dei limiti del figlio al mondo, agli altri, a volte anche a se stessi.
Cosa fare? Per prima cosa è importante sostenere il desiderare del figlio anche quando esso si nasconde dietro desideri poco in sintonia con i propri. La svalutazione del proprio desiderio da parte degli adulti, fino a che non si è un po’ più forti e autonomi, rischia di innescare un processo di adeguamento o di ribellione non autentici. Poi è necessario guardare lontano, tenendo alta la speranza: il figlio adolescente non è in grado di riconoscere il proprio desiderio più pieno. Tentenna, sobbalza, guarda non più lontano di qualche giorno. Avrà bisogno di rafforzarsi e di accrescere il senso di sé che può agire in modo efficace prima di pronunciarsi sul suo desiderio più importante. L’adulto deve saper aspettare. Mentre aspetta, il genitore sa mettere da parte le assolutizzazioni, non per devitalizzare idee, valori e sentimenti, ma per promuovere un atteggiamento di responsabilità alla ricerca di un proprio senso e di una capacità di accettazione del rischio e della fatica necessari. Educare al rispetto delle regole senza paura al dire no, senza la paura di perdere l’affetto dei figli. È importante ricordare che, proprio grazie ai limiti, il figlio riconoscerà se stesso e il suo desiderio, e lo troverà degno di essere investito. I limiti danno valore a ciò che è limitato. I desideri superficiali non verranno altrettanto investiti. Il confronto con il limite insegnerà anche al ragazzo che le difficoltà possono essere sfide da prendere con gusto. Esse infatti aiutano a pensare: senza difficoltà si crea il vuoto. Oggi si assiste ad un aumento in adolescenza delle difficoltà legate alla mancanza di senso, all’inutilità di qualsiasi investimento. La società del benessere, dove tutto sembra possibile, paradossalmente produce un diffuso e sempre più forte senso di vuoto, di disagio e di impotenza. L’assenza di limiti crea una sorta di bulimia per cui si vorrebbe divorare tutto, oppure un atteggiamento di rinuncia perché nulla sembra più desiderabile, interessante e si perde così il senso stesso del vivere. Far sentire il valore del tempo, altrimenti si assiste al dilagare di comportamenti che presuppongono uno stato di PRESENTE INFINITO: ci siamo sempre e per sempre. La nostra storia, invece, ha un limite ma in questo limite assume anche una dimensione di valore. Se invece penso che ci sono per sempre e che l’altro c’è comunque, va sempre bene tutto, non mi devo preoccupare, ci sarà sempre un rimedio a tutto. Continuare ad essere persone desideranti: l’adolescente più che dar retta a quel che gli si dice, guarda e valuta riorganizzando una propria idea del mondo. Se guarda ad adulti appassionati, che non han paura di rischiare, che reggono il proprio dolore crescerà in lui la speranza di riconoscere i propri desideri e di poterli reggere. Gli adolescenti, con l’irruenza e la provocazione, ci lanciano sempre un appello chiaro: entrare in relazione, dare voce ai loro desideri, avvertire che ciò che portano con sé, la loro vita, la loro richiesta affettiva, è importante prima ancora di ogni pensiero giusto preconfezionato. Questa è la nostra responsabilità, che, a volte, lascia tracce significative. 33
Quattro decenni dopo aver portato l'uomo sul nostro satellite, la NASA annaspa fra incertezze e mancanza di entusiasmo. Servirebbe una spinta positiva, ma la guerra fredda è terminata. 40 anni fa NeilArmstrong, al comando della missione Apollo 11, fu il primo uomo a calcare il suolo lunare: fu il coronamento di un sogno, frutto di una coesione di intenti che solo un teatro come la guerra fredda poteva favorire. Era necessario dimostrare ai sovietici che gli Stati Uniti non erano rimasti indietro, che lo Sputnik e Gagarin erano state solo battaglie perse, che la corsa allo Spazio non era ancora finita. Fu in seguito ai successi sovietici che il presidente Kennedy, con un discorso tenuto nel 1962 alla Rice University di Houston, comunicò agli americani la volontà di andare sulla Luna entro la fine del decennio. “We choose to go the moon”, una frase che ha ispirato gli ideatori del sito we chose the moon, che sta riproponendo in computer-grafica l'avventura dell'Apollo 11 con una simulazione che avrà gli stessi tempi dell'originale, ma diversi protagonisti. Fu un evento di portata mondiale che tenne milioni di famiglie incollate al televisore: il 20 Luglio 1969 Armstrong, appena sceso dal modulo lunare, pronunciò la storica frase “One small step for a man, a giant leap for mankind”. 34
STORIA Il sorpasso era compiuto, d'ora in L’equipaggio di Apollo XI da sinistra Neil Armstrong, Michael Collins, ed Edwin Aldrin avanti sarebbe stata l'Unione Sovietica ad arrancare e indirizzare il proprio programma spaziale verso altri lidi. Quattro decenni dopo la NASA sta ancora pensando alla Luna: non vi mette piede dal 1972, anno della soppressione del ProgrammaApollo. La presenza umana nello Spazio ha avuto il suo picco in quei 4 anni di missioni lunari, per i decenni successivi l'uomo è rimasto quasi sempre entro i confini dell'atmosfera terrestre: satelliti, stazioni orbitanti e Space Shuttle, ma niente Luna. Come era gradualmente scemato l'interesse del pubblico per le missioni Apollo è oggi calato l'entusiasmo per i voli andata e ritorno dello Shuttle, sempre più navetta e sempre meno Space, che in qualche modo deve parte della sua esistenza proprio alle ceneri di Apollo. Incidenti come Tuttavia è la questione dei fondi uno dei maggiori problequelli del Challenger e del Columbia ne hanno poi promi che la NASAsi trova a fronteggiare: sono pochi e ancofondamente minato la credibilità e la fama. ra non si è ben capito se serviranno per completare lo sviluppo dei nuovi vettori oppure per allungare la vita operativa degli Shuttle, navi che hanno fatto la storia ma che 1° febbraio 2003 La trgedia del Columbia come qualsiasi manufatto umano accusano il peso degli anni. La dismissione della flotta, se si verificasse entro i termini prefissati, costringerebbe gli astronauti statunitensi a pagare il biglietto proprio ai Russi, le cui navicelle Soyuz continuano imperterrite a trasportare cosmonauti e turisti spaziali. Il lancio dello Shuttle
Non si sono verificati episodi che facessero da contraltare a queste tragedie, come invece era successo per fatti simili durante le missioni lunari: l'incidente dell'Apollo 1 scosse l'opinione pubblica, che però tornò a guardare con fiducia allo Spazio dopo lo scampato disastro dell'Apollo 13. Buzz Aldrin, pilota del modulo lunare di Apollo 11, recentemente ha detto che le frontiere spaziali non devono essere limitate alla Luna: avviare un nuovo programma spaziale solo per tornare sul nostro satellite costituirebbe per la NASA uno spreco di risorse per un obiettivo raggiunto già 40 anni fa. L'ex astronauta aveva tracciato quella che secondo lui era la strada per ridare impulso all'esplorazione spaziale indicando in Marte il nuovo confine dell'umanità.
Lontana dalle avventure e dai successi mediatici degli anni '60 la NASA si trova costretta adesso a destreggiarsi fra problemi tecnici e di bilancio: come denuncia Aldrin, manca forse lo spirito pionieristico proprio degli uomini e delle donne che contribuirono alle missioni lunari, l'entusiasmo per la scoperta e l'innovazione tecnologica necessari a dare nuova linfa all'esplorazione dello Spazio. (Punto Informatico) 35
All’atterraggio ci accoglie una città ventosa, freddina e senza sole, ma luminosa come non ti aspetteresti, come se dietro le nuvole il sole fosse lì a dirti sono qua e sono forte, come se bastasse questo alla mia abbronzatura che non c’è e non ci sarà. L’ostello è come dovrebbe essere, soprattutto dato che abbiamo scelto il più economico, e se anche dalla nostra finestra si vede solo il cortiletto interno in cemento, Barcellona la immaginiamo dal frastuono della strada, che comunque scendere ed essere in due minuti sulla Rambla non ha prezzo.
La Rambla
La Rambla, ne parli coi locali, e ti dicono che non capiscono proprio perché piaccia tanto, a te sembra il classico viale dello struscio del sabato pomeriggio all’italiana, con la differenza che a strusciarsi sono turisti di un po’ tutte le nazionalità incantanti, e anche noi lo siamo, dai cartelloni 36
TURISMO che promettono enormi specialità locali; anche se poi ti ricordi di quello che ti hanno detto i locali e no, la paella lì non te la mangi, anche se in fondo, non è sempre questo quello che dicono i locali. Dicevamo, i lavori in corso, tutto sembra in costruzione, la Sagrada Familia per prima e lo si sapeva in anticipo, però le gru rovinano la magia. la Sagrada Familia
E anche la metropolitana è un po’un cantiere in costruzione, ma lì le nuove fermate le aprono davvero. Un efficentissimo servizio di car sharing consente ai residenti di spostarsi sulle due ruote pubbliche praticamente gratis e c’è di che restare impressionati. Per il resto decade nel mio immaginario quello che era lo stereotipo dello spagnolo “latino” e di conseguenza approssimativo ed esuberante, un po’ come gli italiani insomma … voi non ci crederete, ma la gente per entrare alla “notte dei musei” faceva la fila!
Spiaggia Barcelloneta
La metropolitana ti porta dappertutto e quando scendi sul binario c’è il conto alla rovescia per l’arrivo del treno successivo, che dalle parti nostre sarebbe fantascienza.
Poi in spiaggia a prendere il vento, in mancanza del sole, il primo bagno della stagione lo faccio in jeans, l’acqua non oltrepassa la caviglia, ma i piedi affondano nella sabbia di Barcelloneta, e tanto basta ... prima di andare a ripararsi in un locale per sfuggire il freddo. Il turismo, beh non avete bisogno che ve lo dica io cosa c’è da vedere a Barcellona, e la metà delle cose sono sfumate per mancanza di tempo o perchè eravamo troppo presi da tapas e sidro, sangria e paella, tortilla e birra, si sa: la Spagna è anche questo. E lo è anche questa città che è quella che si può definire una metropoli multiculturale con i suoi pro e i suoi contro dove i quartieri brutti lo sono davvero, ma per le strade si vedono quasi solo giovani e turisti. Piove a tratti come non dovrebbe e il geco di Dalì (che qua nessuno pretende di essere originale) lo compri alla fine dal pakistano che ti fa lo sconto e ti parla in italiano. Tornati, anche Roma ci accoglie piovosa, stavolta niente taxi da Ciampino, prendiamo il Terravision e subito rimpiangiamo l’ormai nostra Barcellona. Hasta luego! 37
Realizzare, quindi, un trailer perfetto è davvero cosa delicata e difficile, parte integrante e tra le più importanti della campagna pubblicitaria di un film. Non basta infatti mettere insieme alcune brevi scene e immagini, mostrando alcune sequenze eccitanti, divertenti o intriganti. Bisogna racchiudere in un tempo record di circa trenta secondi l’essenza di un film, evidenziarne i pregi e le potenzialità, nasconderne i difetti e accattivare lo spettatore. I trailer sono, quindi, a tutti gli effetti uno dei principali strumenti pubblicitari dell'industria cinematografica. Realizzare trailer può essere un arte, o quantomeno un lavoro di grande professionalità, che un festival come il Trailers FilmFestival di Catania, giunto alla sua decima edizione, vuole giustamente premiare. La rassegna si svolge annualmente, a fine settembre, presso l’ex Monastero dei Benedettini, in piazza Dante 32, ora sede della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Catania, e vede tre intensissime giornate fatte di incontri con i professionisti della promozione, lezioni sui mestieri del cinema e workshop. Si tratta di una rassegna originale, quasi unica, che non può non vedere anche il Concorso come miglior trailer, sezione che rappresenta il punto forte della manifestazione. Sono 30 i trailer in concorso scelti tra tutti i film usciti in sala dal 15 agosto 2011 al 15 agosto 2012, selezionati e votati da una giuria di qualità, presieduta dal regista Mimmo Calopresti. 38
Il vincitore nel 2011 nella categoria “Miglior Trailer italiano”
CINEMA In particolare le “mini-opere” in gara si contendono il titolo di Miglior Trailer Italiano, Miglior Trailer Europeo e Miglior Trailer World, oltre al premio del pubblico del Miglior Trailer della stagione cinematografica. Come scrivono gli stessi organizzatori nella loro presentazione: “Il Trailers FilmFest è l’unico festival che attraverso un concorso riconosce il lavoro creativo dei professionisti che realizzano i trailer ed è l’unico palcoscenico che premia questi importanti frammenti di cinema, queste piccole opere d’arte che riescono in pochi secondi a raccontare una storia e convincerci ad andare a vederla, giocando un ruolo importante nel determinare dove trascorrere il nostro tempo libero ed è l’unico festival in Italia a puntare sulla professionalità di chi il cinema lo fa dietro le quinte, permettendo ai
film di arrivare al pubblico, e dove il pubblico è protagonista attraverso il dialogo con i professionisti del settore cinematografico, i testing trailer, i test screening, la scelta dei migliori trailer della stagione, la votazione della miglior locandina dell’anno”. Un festival davvero da seguire con grande interesse.
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A scopo terapeutico si utilizzano soprattutto gli stili, cioè le barbe, che spuntano all'apice delle pannocchie; la raccolta va eseguita al momento della fioritura, cioè quando gli stili sono ancora erbacei. Le pannocchie del granoturco dolce destinate al consumo come ortaggio, lessate o abbrustolite, vanno colte quando sono ancora tenere.
Il granturco, conosciuto anche come mais o frumentone, è originario dell'America e anzi, di una ristretta regione del Messico; veniva coltivato in alcune regione degli Stati Uniti fin dai tempi remoti. Questa graminacea, così vigorosa e di rapida crescita, ma adatta solo alle regioni a clima temperato-caldo, viene coltivata estesamente anche in Europa e in Italia, soprattutto per la produzione di foraggio verde e per la raccolta del seme maturo, ambedue utilizzati per l'alimentazione degli animali domestici. È molto più esigente del frumento in fatto di clima e vegeta rigoglioso solo nei mesi caldi; perciò si semina a primavera inoltrata, in modo che la maturazione del seme avvenga d'estate o all'inizio dell'autunno. È un cereale di valore inferiore a quello del frumento, ma si può sfruttare in diversi altre modi, soprattutto per estrarre dal germe un ottimo olio commestibile che ha la proprietà di abbassare il tenore di colesterolo nel sangue. 40
Proprietà Gli stili hanno spiccate proprietà diuretiche, depurative e anche ipotensive. Nel settore della salute, con alcune parti della pianta, vengono preparati infusi, decotti , tinture,
BENESSERE E SALUTE Contro l'acetone In una tazza da tè di acqua calda versare un cucchiaino di stili e coprire. Filtrare dopo 15 minuti. Rifiltrare e bere alla sera, prima di coricarsi, metà tazza e l'altra metà al mattino a digiuno.
che aiutano a migliorare patologie afferenti la calcolosi renale, i gonfiori, le infiammazioni delle vie urinarie, i dolori di diversa natura. L’amido di mais, in particolare, viene utilizzato per svariati usi in cucina, nell’industria cosmetica, alimentare, cartaria, farmaceutica e nella produzione della birra. Per uso esterno è un ottimo emolliente, nutriente e sbiancante per la pelle. Possiede anche azione antinfiammatoria e cicatrizzante.
È una pianta erbacea annuale molto vigorosa a steli ingrossati e alti fino a 3 metri e a foglie molto ampie, lunghe e arcuate; i fiori maschili formano una pannocchia terminale, mentre quelli femminili sono riuniti su una spiga cilindrica e carnosa, avvolta da larghe brattee al cui apice spuntano lunghi stili, cioè le tipiche barbe.
Si conservano gli stili in vasi di vetro semi-aperti; la farina in sacchi di tela o di carta.
Contro l'infiammazione renale In mezzo litro di acqua calda versare 2 cucchiai di stili e bollire per 10 minuti. Filtrare e bere una tazza al mattino a digiuno ed una alla sera. Per eliminare il gonfiore delle gambe In un litro di acqua calda versare 40 grammi di stili e far bollire per 5 minuti. Filtrare e bere a sorsi durante la giornata. Un vecchio rimedio contro la febbre Impastare della farina gialla con aceto di vino rosso. Stendere su una garza ed applicare sotto i piedi alla sera, fasciare e tenere tutta la notte.
Una maschera di pulizia Mescolare 50 grammi di farina con 2 cucchiai di olio di mandorle ed un vasetto di yogurth. Stendere sul viso per 20 minuti togliendo con acqua tiepida. Un rimedio sicuro contro la nefrite Versare in un litro d'acqua calda 30 grammi di stili e di mais e far bollire. Lentamente per 5 minuti. Filtrare e berne 2-3 tazzine al giorno con aggiunta di un cucchiaino di miele oppure di melassa.
Vale allora la pena, se le cose stanno così, gettare uno sguardo a quello sfortunato paese di nome Grecia, lasciando che i suoi sapori e le sue tradizioni gastronomiche (e pertanto economiche) gettino tra noi e loro un ponte costruito non solo col cemento del “mal comune”, ma innanzitutto con la volontà di sfidare come europei (può forse l'Europa prescindere dalle civiltà greca e romana?) le avversità di questi anni. Uscendo dal tunnel, se possibile, più forti e più uniti di prima. Parlare di cucina greca significa parlare, innanzitutto e soprattutto, di tradizione casearia: nessuno mangia tanto formaggio quanto i Greci, che ne consumano oltre 27 kg. l'anno. Nemmeno i francesi osano tanto. E, tra i formaggi greci, il più celebre e rinomato è senza ombra di dubbio la Feta, che deve il suo bel nome alla tipica forma a fette nella quale viene conservato in salamoia. Stagionato, friabile, salato e dal sapore decisamente spiccato, è prodotto con latte fresco di pecora per l'80% e di capra per il restante 20%. A pasta semidura, di colore bianco e con piccoli fori irregolari, è totalmente privo di buccia e di crosta. Dopo un lungo contenzioso tra la Grecia e altri paesi, la Feta ha ottenuto il meritatissimo marchio DOP.
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ENOGASTRONOMIA Ciò che rende unico e speciale questo prodotto è infatti il territorio e i metodi di allevamento di pecore e capre di razza autoctona, abituati al pascolo libero e a cibarsi della vegetazione selvatica del paesaggio locale.
Anche se non si fregia di marchio biologico, la Grecia può di fatto vantare un formaggio dall'invidiabile salubrità, portatore di un immaginario che meriterebbe di essere meglio conosciuto e apprezzato anche all'estero. Il suo utilizzo, in cucina, è di due tipi: tradizionale e creativo. Sotto il primo aspetto è ad esempio indispensabile per preparare la famosa insalata greca, piatto mediterraneo per eccellenza, ottimo per sfidare le calure estive, che si compone tagliando a cubetti la Feta, aggiungendo pomodorini, cetriolo, olive e cipolle rosse, e condendo il tutto con olio extra vergine rigorosamente di oliva, sale e origano. Insalata greca
CULTURA La torta Spanakopita
Chi frequenta abitualmente i ristoranti greci, ormai diffusi ovunque, avrà certamente già apprezzato la Feta anche nella spanakopita, una torta di pasta “fillo” (tipica varietà greca di pasta sfoglia, priva di grassi e dal gusto neutro) con ripieno di spinaci, feta, cipolle novelle, uova e condimenti, o nella variante nota come tyropita, nel cui ripieno la feta è accompagnata da latte, semolino, uova e , talvolta, spezie. Un ottimo abbinamento decisamente più creativo, per la feta, è con melone e rucola, un piatto dal gusto sorprendente che unisce il sapore acidulo del formaggio al dulcamaro e che si può comporre sotto forma di insalata o di spiedini. Pasta con feta e melone
Non possiamo, naturalmente, lasciare i lettori italiani senza una ricetta a base di pasta: tra le tantissime ricette in cui viene oggi proposta la Feta, spicca lo sposalizio col tonno. Dopo l'immancabile soffritto di cipolla, si versa il tonno in padella, sfumando con vino bianco, e si aggiunge la feta tagliata a cubetti, proseguendo la cottura fin quando il formaggio non “cede”, trasformandosi in un composto cremoso. Dopo avervi unito la pasta (preferibilmente paccheri, penne o maccheroni), spolverare di origano o, se si preferisce, di pepe. Buon appetito. 44
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