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Insomma, abbiamo assistito ad un vertiginoso carosello, senza battute d'arresto, da quando il Capo del Governo, Giorgio Napolitano, ha conferito l'incarico di formare un governo al segretario del Pd, Pierluigi Bersani. Tutti, però, incessantemente, hanno parlato di assunzione di responsabilità, dell'assoluta necessità di fare le riforme, della situazione difficilissima in cui si trova l'Italia, della quantità impressionante di persone che versano in situazioni di povertà, del bisogno assoluto di un governo stabile per il bene dell'Italia. Ma, guardando dall'esterno il giochino del gatto che si morde la coda, ho avuto la netta impressione che l'unica cosa che sta davvero a cuore ai vari partiti e movimenti non sia il bene dell'Italia ma che questi guardino esclusivamente ai loro interessi. Mi pareva evidente, da subito dopo il risultato elettorale, che la prossima Legislatura avrebbe dovuto essere caratterizzata da un Governo di scopo, con un'agenda precisa e tempi inderogabili per la loro realizzazione, sulle questioni più urgenti. Ma il mondo politico, evidentemente, non è pronto a tutto ciò. Ed il gioco dei partiti si fa sempre più pericoloso per l'Italia. Bersani, Grillo, Berlusconi, Monti ... che putiferio! Mai come oggi, in Italia, si sta toccando il fondo. Non si capisce niente. Ma è mai possibile che non riescano a sedersi tutti ad un tavolo per discutere sui bisogni del Paese, che sono tanti! e ad agire di conseguenza? Scrivo questo mio editoriale subito dopo l'incontro tra Bersani ed il Movimento 5 Stelle, che tutti abbiamo potuto seguire in streaming tv, quindi, dopo l'ennesimo no incassato dal Presidente del Consiglio incaricato. E ora che succederà? Che succederà al Paese ora che i mercati finanziari, che sembravano essersi sopiti, si stanno svegliando, innervosendosi per il caos politico?, Che succederà quando Moody’s, finora in attesa dell’esito delle consultazioni, si pronuncerà? Nei giorni scorsi era circolata la notizia di un downgrade dell'Italia, da parte dell'agenzia americana. Mentre scrivo in un'intervista alla Reuters, l'analista Dietmar Hornung avverte di seguire “gli sforzi di Bersani per formare un governo” per le sue valutazioni sul rating e afferma che l'esito del tentativo del leader Pd avrà riflessi nel “breve termine” sul profilo di credito del Paese. E che si fa con lo spread che è tornato a salire? Da una seria indagine risulta che a gennaio sono iniziate a scendere anche le vendite nei discount alimentari, che rispetto agli altri esercizi avevano mostrato vitalità anche in tempi di profonda crisi; segno tangibile della catastrofe finanziaria che colpisce l'Italia. In Italia chiudono mille imprese al giorno ed aumenta drammaticamente il numero dei suicidi (un suicidio al giorno tra i disoccupati e record di casi per motivi economici). Sempre più pensionati, costretti a vivere con una misera pensione, vengono beccati nei supermercati a rubare per fame. Ecco, tutto ciò dipinge un quadro a tinte fosche che dovrebbe essere evidente alle forze politiche. D'altronde, il risultato elettorale ha fatto capire chiaramente quale sia l'umore del popolo italiano, quello che vive al di fuori dei palazzi. È davvero giunto il momento in cui non si può più far finta di nulla, è giunto il momento in cui i partiti hanno l'obbligo di pensare alle condizioni di “sopravvivenza” di una nazione. Devono essere più vicini alla gente e con umiltà recepire il monito che gli è stato rivolto dall'elettorato. C'è tanto da fare: innanzi tutto adottare provvedimenti legislativi finalizzati alla crescita, allo sviluppo e all'occupazione. Il tema del lavoro è sicuramente prioritario. La riforma della legge elettorale non è più procrastinabile. È arrivata l'ora di abolire il finanziamento pubblico ai partiti. La razionalizzazione dei costi della politica è d'obbligo così come il dimezzamento dei parlamentari. Occorre formare un governo che realizzi pochi ma fondamentali punti programmatici. È urgente, non si può più aspettare: ci vuole davvero giudizio e senso di responsabilità e un vero rinnovamento della classe politica che abbia a cuore le sorti del Paese. Basta giocare al gatto che si morde la coda!


SOMMARIO

l’altraitalia

Sotto la lente

Editore l'altraitalia Kirchenrainstrasse 27 CH - 8632 Tann-Rüti 0041 (0)56 535 31 30 info@laltraitalia.eu www.laltraitalia.eu

Il gioco d’azzardo

Direttore Responsabile Maria Bernasconi Vice direttore Manuel Figliolini

Dipendenza dal gioco

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Il gioco d’azzardo nella storia dell’uomo e delle civiltà

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Dal vizio alla dipendenza

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Testimonianze

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30 anni di Internet

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L’INTRUSO Dalla poesia all’inaccettabile volgarità

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OPINIONI

Direttore di Redazione Rossana Paola Seghezzi

Frecciatine

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ATTUALITÀ Collaboratori Salvatore Anello Giovanni il Battista Gian Maria Bavestrello Generoso D’Agnese Tino D’Amore Carlo Di Stanislao Umberto Fantauzzo Simona Guidicelli Giacomo Papasidero Armando Rotondi Andrea Sceresini

SPORT L’ultimo traguardo di Pietro Mennea

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PSICOLOGIA Cos’è la paura?

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SOCIETÀ INCA Zurigo

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POLITICA Aria nuova in politica

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CULTURA STORIA

Foto rsp futura sagl

La Magna Charta

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ITALIANI NEL MONDO

Redazione grafica e stampa VisualFB - Magliaso visual.fb@bluewin.ch

L’avventura della fede (italiana) in Sudamerica

30

ECOTURISMO L’Italia negro amara

Webmaster Alfredo Panzera

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CINEMA L’educazione siberiana

38

BENESSERE E SALUTE

Contatti redazione@laltraitalia.eu

Carota

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ENOGASTRONOMIA

Pubblicità info@laltraitalia.eu

Mandorle, la storia del Mediterraneo in cucina

APRILE 2013

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dalla Redazione

“Stento a credere che un uomo di cultura come Franco Battiato, peraltro impegnato ora in un'esperienza di governo in una Regione importante come la Sicilia, possa aver pronunciato parole tanto volgari” è il commento di Laura Boldrini che respinge “l'insulto” di Battiato. “Da Presidente della Camera dei Deputati e da donna respingo nel modo più fermo l'insulto che da lui arriva alla dignità del Parlamento. Neanche il suo prestigio lo autorizza ad usare espressioni così indiscriminatamente offensive. La critica alle manchevolezze della politica e delle istituzioni può essere anche durissima, ma non deve mai superare il confine che la separa dall'oltraggio” afferma ancora la Boldrini.

PALERMO - 27 marzo 2013 “Battiato ha fatto affermazioni gravi e inaccettabili”. Così il presidente della Regione, Rosario Crocetta, ha inviato le scuse del governo siciliano per le affermazioni definite “certamente non istituzionali ed offensive” di Franco Battiato, assessore regionale al Turismo, nei confronti dei parlamentari italiani. “Quando si sta nelle istituzioni, - ha detto Crocetta - si rispetta la dignità delle istituzioni medesime e, nel caso di Battiato sicuramente si è andati ben oltre e si è violato il principio della sacralità delle stesse. Siamo orgogliosi di appartenere al popolo italiano e di avere un Parlamento, l'espressione della sovranità del popolo e della partecipazione dei cittadini alla vita democratica. Quando si offende il Parlamento, si offende tutto il popolo italiano - continua il governatore - e ciò non è consentito a nessun componente delle istituzioni. Mi dispiace veramente molto, sono addolorato. Il Parlamento in questo momento è rappresentato da figure come Laura Boldrini e Piero Grasso, impegnati nel profondo per rinnovare il Paese e all'interno del Parlamento ci sono uomini e donne che cercano di trovare una soluzione in una fase drammatica della vita economica, politica e sociale”. 3


OPINIONI di Giovanni il Battista

Ideale come scenario per il Pier e per il suo staff che l'ha aiutato a curare il suo look, il comportamento, l'estetica, i contenuti dei suoi discorsi (sermoni) e la scelta dei suoi compagni/accompagnatori. Il risultato finale è da tutti conosciuto: la solita Caporetto annunciata! Interessante considerare gli accadimenti che hanno seguito questa sua eccezionale performance. Ne indico qualcuno, a caso: Non ha assolutamente capito il “capitale-voti” che rappresentava e rappresenta Renzi. Non lo ha coinvolto nella campagna, malgrado gli inviti di circostanza (glaciali), e mai ha fatto cenno al 40% dei simpatizzanti PD che stavano e stanno dalla parte del bischero di Firenze. Altra scelta sbagliata: così come l'aveva combattuto (sempre Renzi) durante le primarie, peraltro (sempre il Pier) sostenuto dai maggiorenti del Partito (dai dinosauri voglio dire) in maniera molto scorretta (vedi il Presidente Bindi ed il santa santorum D'Alema) che avrebbero dovuto, a mio parere, restare superpartes e non screditare ad ogni piè sospinto il compagno/avversario (che chiaramente vedevano come il monello che li voleva rottamare). Ancora: ha sistematicamente irriso il “comico” ed il “giaguaro”, come poveri mongolini che non capivano con chi avevano a che fare. 4


FRECCIATINE Aggiungo: per tutta la campagna, invece di parlare e proporre soluzioni pratiche e concrete sulle cose da fare, si è preoccupato di dire che lui era bello, che il nuovo era lui, che lui è onesto, corretto, incorruttibile, depositario dell'unica verità vera. Mai parlato di Imu, di togliere il finanziamento pubblico ad partiti o quale vera variante immettere nel piano pensioni della famigerata Fornero (questi sono i problemi urgenti che toccano gli italiani) mettendo invece enfasi sui difetti dei suoi avversari, sul conflitto d'interesse (questi sarebbero i problemi urgenti che interessano agli italiani?). Ad abundantian: ha fatto sistematicamente dell'umorismo (a proposito di comici) sempre fuori misura se consideriamo che erano battute, non sottili, ma maleducate nei confronti dei competitors che, come si è puntualmente dimostrato, hanno ottenuto (forse e proprio per l’atteggiamento del Pier) un risultato eccezionale! Penso proprio che Bersani abbia fatto campagna a loro favore. Era partito dicendo che non avrebbe mai parlato degli avversari (del Berlusca soprattutto) ed invece si è trovato solo a curiosare nella casa d'altri, come un guardone che non vi sa resistere (biricchino!). Per di più: con il suo Staff di scienziati ha completamente negletto il fenomeno Grillo e le risorse leonine di Don Silvio ed ha partecipato alle comparsate televisive con quel fare schifato, malvoglioso, annoiato (stile: “ma cosa volete da me? Volete sapere perché ho già vinto? Volete le ricette? Ma lasciatemi in pace! La prossima volta vi mando qualcuno dei miei!”). Ed in effetti li ha mandati. Risultato: D'Alema: che sa di polvere lontano un miglio. Fassina: che come disse quello, sa più di moglie di Fassino che di economista. Bindi: che più grigia e perdente di così non si può! Puppato: che più arrogante e distributrice di “lezioni” non si può! Il Cinese Cofferati: demagogo eccellente, che prima di rispondere ad una domanda fa sempre la cronistoria degli ultimi 20 anni, solo per condannare il Berlusca, mai poi, da buon sindacalista, non da mai soluzioni concrete e percorribili per il Paese. Livello di Capacità di comunicativa della truppa sopra enunciata: pessimo! Repetita juva (?): con orgoglio e con calcolo elettorale, come al solito clamorosamente errato, il Pier ha scelto come alleato nuovamente Vendola che l'ha ancora una volta sconfitto (le altre volte con suoi candidati opposti a quelli del PD (Pisapia e compagnia), questa volta Vendola ha compiuto in prima persona il capolavoro! Perseverando: anche dopo la lettura e la valutazione (si

spera che l'abbia fatto) dei risultati elettorali, il nostro Eroe ed i suoi hanno proseguito imperterriti sulla loro strada, senza cambiare una virgola degli argomenti usati in campagna elettorale, senza capire che l'aria era cambiata, senza capire che gli italiani elettori l'avevano clamorosamente bocciato e che, more solito, l'élite che secondo lui conta come opinion-makers, gli stava voltando le spalle e/o stavano scendendo quatti quatti dal carro dello sconfitto per salire, quatti quatti su quello del vincitore (Il Beppe ... e fra un po’arriverà Renzi) e che gli unici irriducibili a restargli accanto (si fa per dire e fino a quando non si sa ... perché qualche scricchiolio già si avverte!) sono artisti e comici e qualche mummia intellettuale (ma guarda un po’ come è la vita!) (Benigni, Jovanotti, Celentano, Dario Fo, Crozza, Fazio, Lerner, Revelli, Scalfari, Travaglio, Gianini, Formigli, Ruotolo e via discorrendo) che, fra l'altro, ha fatto scrivere una lettera di raccomandazione, pro domo sua, al loro ex-commilitone Beppe… Finalino:povero il Pier che è rimasto tutto solo. Come ha sottolineato Santoro in una delle puntate di “servizio pubblico” su la 7: “cornuto e mazziato”! Last but not least: i rossi magistrati! Non appena hanno fatto cenno di volersi costituire in partito, lui, il Pier, stratega eccelso, li ha “scomunicati”! “Bel ringraziamento”, si è detto, “persone senza riconoscenza” dimenticando che è lui ed i suoi amici che finora li ha utilizzati come arma letale contro il Berlusca! Permaloso il Pier! Sto scrivendo queste note due giorni prima delle consultazioni fra i partiti (Parlamento) per le nomine dei Presidenti di Camera e Senato. Ne vedremo, a tutti i livelli, ancora delle belle, si fa per dire, visto che in effetti il Paese è sull'orlo del baratro e questa volta non si può più dare la colpa a Don Silvio a meno che non lo vogliamo rimproverare di aver dato una grande lezione di cosa vuol dire fare una campagna elettorale per raccogliere e recuperare consenso, pur in una competizione ove, in effetti, gli avversari erano veramente scarsi (lui, il buon Pier in primis, il babbioso e permaloso Super Mario, l'artista Giannino, il Chierichetto Casini e tutta la schiera dei soldatini magistrati oramai suoi ex).

Cedo bonis: scudisciatelo! Ha fatto più danni lui al PD di quanti ne ha fatti Occhetto in 20 anni! Urbi et Orbi: che il Buon Dio ed il suo nuovo delegato in Vaticano benedicano le genti italiche. 5


di Carlo Di Stanislao

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SPORT Nel settembre 2011 fu protagonista e testimonial a Firenze de “La Staffetta dell’Acqua” e in quell’occasione si trasformò in “idroforo” e corse una breve tratta tra Piazza Duomo e Piazza della Signoria, con forza e convinzione anche spendendosi ancora una volta per un progetto controcorrente: la promozione dell’acqua del rubinetto, fatta bevendo con la borraccia dal fontanello di Piazza della Signoria. Pietro Mennea, “la freccia del sud”, è morto giovedì 21 marzo dopo una vita di vittorie: l’oro olimpico a Mosca nel 1980, il bronzo a Monaco nel 72, l'argento ai Mondiali di Helsinki del 1983, le due medaglie d'oro agli Europei e gli undici titoli nazionali. Era lento alla partenza Mennea, come anche il celebre Carl Lewis, ma poi bastavano pochi metri perché il suo movimento si facesse armonioso ed elegante, efficacissimo, irresistibile e vincente. Non è mai stato uno stilista Mennea, non aveva la grazia e la naturalezza di un Berruti, l'eroe indimenticato di Roma 1960. Ma sui 200 metri, il suo terreno di elezione, “Petruzzo” sprigionava una forza nervosa, una rabbia agonistica che trasformava i piedi in artigli pronti a graffiare il terreno, a scavare il tartan per trarne una spinta animale, irresistibile per chiunque. E mostruosi erano i suoi finali di gara, quando gli altri declinavano per la violenza dello sforzo e lui veniva fuori, determinato ed irresistibile. Se ne è andato sulle ali del mito, con la sua faccia da Totò triste, solo raramente aperta al sorriso, perché conosce la durezza della vita. Ed aveva lo stesso “cielo astrologico” di Totò: Luna-Saturno dominante, quadrata all'Ascendente, con un carattere forte e melanconico, con una congiunzione Marte-Mercurio in dodicesima, che rende difficilissima l’esistenza ed il carattere sensibile, capace di prendere su di sé tutti i guasti del mondo. Come non c’è stoltezza maggiore di una saggezza inopportuna, così non c’è maggior imprudenza di una prudenza distruttrice ci insegna Erasmo nel suo “Elogio della pazzia”, ma lui, al contrario, non chiuse mai un solo occhio di fronte ai malanni (e malaffari) del mondo, perché nella vita non volle mai recitare la parte di un personaggio, ma essere autentico e vero.

È stato, con ogni probabilità, il più grande atleta azzurro di tutti i tempi. Aveva solo 61 anni: una corsa bruciante e breve, chiusasi, per un destino beffardo, proprio nel giorno in cui il mondo celebrava la Giornata Internazionale contro le Discriminazioni Razziali, perché lui, “Pietruzzo di Barletta”, aveva deciso di diventare l'uomo più veloce del pianeta guardando in tv la finale dei 200metri di Messico '68, con Tommie Smith e col compagno John Carlos, secondo classificato, celebrò a piedi scalzi e col pugno inguantato di nero, per protestare contro il razzismo dilagante negli Stati Uniti. Scrittore, autore fervido e pungente polemista, contrario ai Giochi di Pechino 2008 come alla candidatura di Roma2020, è stato fermato da un male tanto oscuro quanto spietato, lui figlio del vento, che come il vento è pronto a riapparire in “altri luoghi”. 7


ATTUALITÀ di Giacomo Papasidero

Di sicuro non piace, preferiamo evitarla, eppure essa ha un grande valore nella nostra vita. Non solo essa ci permette di comprendere quali situazioni sono pericolose, come ci insegnano le ricerche in ambito scientifico, ma ha anche un compito cruciale nel dirci quando abbiamo imboccato la strada sbagliata. Cos’è la paura nel concreto quindi? Essa non è altro che la sensazione che qualcosa non va bene e sia una minaccia reale per noi. Se l’ansia è il timore che qualcosa potrebbe andare storto, la paura è la certezza che ciò accadrà. Quando abbiamo paura di qualcosa evitiamo di affrontare un problema o una sfida, fuggiamo. La paura, da segnale di pericolo che dovrebbe farci agire con attenzione, diventa spessissimo un segnale di fuga, qualcosa che ci paralizza e ci impedisce di agire. Ovviamente questo non accade sempre, e fintanto che la paura ha la stessa funzione della spia dell’olio nella nostra automobile, è preziosa e importante. 8

Nessuno, però, dovrebbe vivere sempre con la paura. Oggi la paura è invece un coinquilino scomodo con cui molti hanno da che dividere il proprio tempo, e soprattutto siamo convinti che sia normale avere sempre paura di qualcosa. Le piccole paure quotidiane segnalano qualcosa di molto preciso: stiamo sbagliando e se ci convinciamo che sia normale averle, non agiremo mai per correggere l’errore. Esistono due cose: amore e paura. Ecco cos’è dunque la paura: il contrario dell’amore. Se amiamo ci apriamo agli altri e al mondo, siamo morbidi e disponibili, ma se abbiamo paura ci chiudiamo in noi stessi, aggrediamo per difenderci, temiamo ogni cosa e ci induriamo.Amore e paura sono incompatibili e se ho paura non posso amare. La paura serve proprio a questo: segnala che stiamo allontanandoci dall’amore, nel senso che non stiamo agendo con amore nella nostra vita. Questo accade proprio perché temiamo di soffrire, di subire una danno, di restare soli o altro e la paura subentra sempre dove non abbiamo la forza ed il coraggio di amare. Come se fossero su una linea parallela, agli opposti, amore e paura sono inconciliabili. Quando ho paura mi muovo lontano dall’amore perché aprirmi, se sono spaventato, diventa impossibile. La paura è il segnale che mi sto ingannando, che scelgo di non amare per difendermi da qualcosa che, in realtà, neppure esiste. Parlando di indipendenza emotiva ho chiarito come sofferenza, senso di vuoto, tristezza, delusione sono emozioni che creiamo noi stessi e non dipendono da quel che accade ma dalle nostre aspettative.


PSICOLOGIA La paura di vivere queste emozioni mi induce a non amare, che però è la sola cura alle stessa emozioni! Paradossalmente più mi chiudo per non soffrire, più soffro. La paura denuncia che mi sto ingannando, che non sto accettando la vita per com’è, che non uso la mia libertà e non prendo responsabilità della mia vita. La paura mi avverte che non sto scegliendo di amare, che sto rinnegando la mia stessa essenza. Una sola cura c’è ad ogni paura: mettere al centro della nostra vita l’amore, agire con amore e fare dell’amore un modo di vivere concreto e quotidiano. Così come la neve ai primi caldi primaverili, anche la paura, se scegliamo di amare, si dissolverà senza lasciare traccia.

Amare è senza dubbio la cosa più importante che esista, ciò che davvero conta e fa la differenza nella nostra vita. Non abbiamo bisogno di altro se non di amare in modo autentico, senza limiti, senza pretese, senza esclusione o eccezioni. Amare dono pienezza alla nostra vita, è l’unica strada per essere felici. Vincere le proprie paure diventa perciò la vera sfida, perché la paura è sempre opposta all’amore e se ne siamo presi non saremo capaci di amare. La prima cosa importante da capire, per vincere le proprie paure, è che non c’è mai un vero motivo per avere paura. La maggior parte, se non tutte, delle nostre paure è sempre legata al timore di perdere qualcosa: una persona, una relazione, i soldi, il lavoro o altro.

Se cominciamo a smettere di osservare la vita come una gara a chi accumula di più, ecco che la paura perdere il terreno su cui crescere. In realtà non possediamo nulla, perché niente di quel che crediamo di avere ci appartiene sul serio, ma è solo a nostra disposizione, per così dire “in prestito” per alcuni anni. Alla fine non porteremo dietro nulla di tutto questo, perché allora avvelenarci la vita per cose che dovremo abbandonare? Ognuno di noi può vincere le

proprie paure quando si rende conto che sono infondate. Per prima cosa dobbiamo comprenderle, riuscire ad osservarle, accettarle e accoglierle. Ogni paura ci dice che stiamo sbagliando qualcosa noi, non il mondo o gli altri. Se ho paura di perdere il lavoro è perché non mi fido delle mie capacità, perché non ho fiducia nella mia possibilità di aiutare gli altri in modo da riceverne quanto mi serve, perché non ho fiducia in Dio.

Il problema è che io non amo, non comprendo le mie doti, non accetto di dover ricominciare da capo, rifiuto e respingo, quindi ho paura, mi attacco al lavoro pensando che quel posto sia la mia sicurezza, mentre, al contrario, mi rende vulnerabile e indifeso. Ricorda che la sicurezza non sta nell’avere, ma nel poter fare a meno. Se posso toglierti la serenità, la sicurezza o la gioia con un licenziamento, tu non sei sicuro, sei indifeso e vulnerabile, debole. Ma se licenziarti non ti tocca, perché sai che troverai il necessario per vivere, allora sei sicuro, di una sicurezza che nasce dentro di te e che nessuno può togliere. La paura muore dove c’è questa sicurezza. Se ho paura di rimanere solo, abbandonato dal mio partner o dai miei amici, è perché non sono libero, sono dipendente da loro, perché penso che siano loro a rendermi felice e senza soffrirò. Ecco l’errore, non ho capito che amare è fonte di felicità, che non abbiamo bisogno di essere amati dagli altri per essere felici, sebbene ci illudano che le cose siano così. Per vincere le proprie paure, ognuno di noi deve scoprire dove nascono, comprendere che esse derivano dall’attaccamento a cose e persone, dalle nostre pretese che tutto sia come vogliamo noi. Quando molliamo la presa, e ci rediamo conto che galleggiamo senza fatica, allora la paura crolla e può nascere l’amore. Comprendi così che siamo noi a creare le nostre paure, perché non abbiamo capito come funziona la vita. Imparare ad amare e divenire consapevoli della realtà è il vero segreto per vincere le proprie paure, abbandonarsi a Dio la sola strada che permette tutto questo. Avremo sempre paura finché vediamo il mondo un posto pericoloso pronto a colpirci e renderci infelici, ma se ci accorgiamo che in realtà la vita è un viaggio meraviglioso, che Dio non ci abbandona mai se scegliamo di seguire le parole di Gesù, che troveremo sempre una soluzione ad ogni problema, impegnandoci e lavorando sodo, allora non c’è più motivo per avere paura. 9




dalla Redazione

Ingegner Tommasini, quali sono gli aspetti più rilevanti di questa nuova sentenza? Il giudizio della corte cantonale d’appello di Zurigo del 26.02.2013 (Zivilkammer, n° LB120098-O/U) conferma la precedente sentenza del Tribunale distrettuale secondo cui l’INCA/CGIL deve risarcire il capitale pensionistico, i costi legali, i costi procedurali e danni morali di chi si era a suo tempo affidato alle mani di quel patronato. Siamo stati pienamente riabilitati dalla situazione tremenda in cui ci 12

avevano precipitato le accuse di speculazione e cupidigia da parte di chi credeva di farla franca. Ma questa sentenza è anche la prova che con la perseveranza e il coraggio si può fare prevalere la giusta causa. Speriamo che le nostre vicissitudini servano da esempio ad altri: vale sempre la pena difendere i diritti, quelli propri e quelli degli altri. Considero un privilegio vivere in un paese come la Svizzera dove i diritti stanno al di sopra delle parti. Abbiamo un sacro dovere: fare in modo che rimangano al di sopra delle parti.


SOCIETĂ€

Dimostrazione del 13 marzo 2010 davanti al Consolato Generale di Zurigo

Susanna Camusso

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Ha ribaltato tutte le previsioni, ed è sicuramente un forte segnale di cambiamento, l'elezione a sorpresa di Laura Boldrini alla Camera, candidata nelle liste di Sel ed ex portavoce dell'Agenzia Onu per i rifugiati politici. Quando ormai tutti pensavano ad una soluzione “vecchia maniera”, con il Pd che proponeva a Montecitorio il capo gruppo Dario Franceschini, ecco che dal cappello magico dei democratici è uscita una vera nuova proposta in grado di scombinare le carte. Infatti, è sato solo nel corso della quarta votazione che è stato lanciato il nome della Boldrini e, per la presidenza del Senato, quello di Piero Grasso. Una mossa a sorpresa che ha ridato credibilità al Pd: il profilo di Laura Boldrini, per il suo passato, l'essere donna, la sua età e le sue esperienze personali passate, non può che essere un elemento di rottura che soddisfa tutti coloro che, all'interno del Partito democratico stesso, richiedono un rinnovamento. Un segnale tangibile della svolta è arrivato anche dal discorso d'insediamento pronunciato dalla Boldrini che ha così esordito: “Il mio pensiero va a chi ha perduto certezze e speranze” e ha proseguito “ per dare piena dignità ad ogni diritto”, “per ingaggiare una battaglia vera contro la povertà e non contro i poveri”. “Perché in quest'Aula sono stati scritti i principi fondamentali della nostra Costituzione, la più bella del mondo” e allora “quest'Aula dovrà ascoltare la sofferenza sociale di una generazione che ha smarrito se stessa, prigioniera della precarietà, costretta spesso a portare i propri talenti lontani dall'Italia. Farò in modo che questa istituzione sia il luogo di cittadinanza di chi ha più bisogno”. La neo presidente ha poi fatto richiami ai detenuti, agli esodati, all'antifascimo, ai disabili, al territorio. Il discorso di Laura Boldrini è stato interrotto numero volte da scroscianti applausi, diventati un vera e propria, lunga, standing ovation quando la presidente della Camera ha detto che “dovremo farci carico dell'umiliazione delle donne che subiscono violenza travestita da amore”. La Boldrini non ha mancato di ricorodare “i morti per mano mafiosa”, ha salutato la manifestazione a Firenze di don Ciotti, e ha rileva subito dopo che “molto dobbiamo anche al sacrificio di Aldo Moro e della sua scorta”. 14

“Questo è un Parlamento largamente rinnovato, scrolliamoci di dosso ogni indugio nel dare piena dignità alla nostra istituzione che saprà riprendersi la centralità e la responsabilità del proprio ruolo. Facciamo di questa Camera la casa della buona politica”, è stata infine l'esortazione programmatica.



di Salvatore Anello

Un giocatore patologico mostra una crescente dipendenza nei confronti del gioco di azzardo, aumentando la frequenza delle giocate, il tempo speso a giocare, la somma spesa nel tentativo di recuperare le perdite, investendo più delle proprie possibilità economiche e trascurando i normali impegni della vita per dedicarsi al gioco. 16

Giocare permette al soggetto di sfuggire i problemi, alleviare sentimenti d’impotenza, colpa, ansia e depressione. Giocare può essere un vizio, quando è un comportamento deliberatamente messo in atto, è volontario ed è criticato dagli altri, che gli danno una connotazione negativa. Questo comportamento però può trasformarsi in malattia: questa è una condizione che il soggetto subisce e che lo priva di qualcosa. Anche nel giocatore, quando diventa dipendente, si manifesteranno caratteristiche tipiche della dipendenza, quali la tolleranza (bisogno di sempre maggiore quantità di sostanza/gioco per ottenere lo stesso livello di eccitamento), l’astinenza (sensazioni di nervosismo, ansia, tremori se si tenta di smettere) e la perdita di controllo (presunta capacità di poter smettere, senza riuscirci realmente). Molti abbandonano il proprio lavoro e dilapidano ricchezze nelle sale da gioco, alla roulette o nelle slot machines; donne che trascurano casa e figli e cedono irrefrenabilmente alla passione smodata del gioco ... La fruizione morbosa del gioco d'azzardo è sempre più diffusa, tanto da non esser più necessario raggiungere un casinò per praticarla: i “video-poker” sono macchinette “mangiasoldi” presenti in molti bar italiani, nonchè i cosiddetti GRATTA E VINCI, Lotto, Superenalotto, lotterie


SOTTO LA LENTE istantanee e scommesse, che è possibile fare in quasi tutte le tabaccherie, edicole, bar, sale giochi. La nevrosi del gioco d'azzardo è una dipendenza non meno devastante di quella da sostanze: l'angoscia di sottostare alla vita comune, fatta di tempi lunghi e di fatiche, è tale da spingere questi soggetti verso una “fuga” animata dall'illusione di una vincita definitiva, che li renda diversi dai “comuni mortali” e definitivamente “liberi”. La fantasia che è al centro di questo disturbo é una sorta di monomania, per la quale il gioco rappresenta una sfida alle norme e ai doveri vigenti e la vincita un Piacere Assoluto, che accentra in se stesso ogni felicità e separa radicalmente dall'angosciosa relazione con gli altri e con la società nel suo complesso. Gli individui affetti da questa nevrosi mascherano nella ricerca ansiosa della vincita una soggiacente depressione, nella quale una temuta catastrofe, sfiorata ad ogni nuova perdita, viene poi esorcizzata grazie al perpetuo rinnovo della speranza. La dipendenza da gioco é dunque di una variante della nevrosi maniaco/depressiva, nella quale a periodi di cupa malinconia si avvicendano “miracolosi” ed effimeri momenti di eccitato attivismo. E con l'avvento di internet si sta sviluppando un alto livello di dipendenza da gioco on line.

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dal francese “hasard” , una parola a sua volta di origine araba e derivante dal termine “az-zahr” che designava il “dado”, uno dei più antichi oggetti a cui si lega la tradizione del gioco sociale di scommessa. Lo sviluppo sociale del problema del gioco d’azzardo è in parte favorita anche dalle crescenti possibilità di scelta tra una vasta gamma di tipologie di gioco, ormai sempre più legalizzate, che riescono a rispondere alle simpatie dei giocatori con diverse propensioni e con differenti personalità. Così i giocatori d’azzardo vanno dagli amanti della trasgressione da gran salone, come quella dei giochi da Casinò e delle slot-machine, agli appassionati dei video giochi che si lasciano conquistare dai sempre più diffusi L’attività giocosa che concerne la manipolazione di elementi aleatori, che vanno dai numeri ai simboli, rappresenta una tradizione degli esseri umani verso la quale l’uomo è propenso anche in virtù dell’eredità, mai completamente abbandonata, della modalità di pensiero magico-onnipotente, che spesso spinge ad associare al gioco il rischio dei propri beni e del denaro. È proprio sulla base di tale naturale propensione verso il gioco d’azzardo, che nella storia e nel tempo si sono sviluppate molteplici forme di giochi di rischio associati quasi sempre al “caso” e di cui esistono tracce sia nei reperti archeologici (dadi e oggetti similari), che negli antichi manoscritti relativi ai popoli orientali dell’antico Egitto, della Cina, del Giappone e dell’India, ma anche nelle narrazioni sull’antica Grecia legate alle scommesse degli indovini sui risultati dei giochi olimpici e sull’antica Roma dove sui combattimenti dei gladiatori si poteva scommettere con delle puntate, le cosiddette “munera”. La diffusione globale del gioco d’azzardo trova conferma nella stessa etimologia della parola “azzardo” che deriva 18

videopoker, agli appassionati dei giochi d’azzardo popolari, come le lotterie, il gioco di numeri e di schedine, fino al Bingo, la moderna trasformazione del gioco della tombola, che riesce a conquistare anche interi gruppi grazie al suo profondo legame con il vissuto di una concessa usanza festiva a dimensione familiare.


SOTTO LA LENTE

Di conseguenza, il gioco d’azzardo patologico si configura come un problema caratterizzato da una graduale perdita della capacità di autolimitare il proprio comportamento di gioco, che finisce per assorbire, direttamente o indirettamente, sempre più tempo quotidiano, creando problemi secondari gravi che coinvolgono diverse aree della vita. Lungo il “continuum” tra gioco d’azzardo ricreativo e gioco patologico, in relazione alle motivazioni che sembrano determinare e accompagnare il gioco d’azzardo, sono state distinte le seguenti tipologie di giocatori (Alonso Fernandez F., 1996, Dickerson M., 1993): 1. il giocatore sociale che è mosso dalla partecipazione ricreativa, considera il gioco come un’occasione per socializzare e divertirsi e sa governare i propri impulsi distruttivi; 2. il giocatore problematico in cui, pur non essendo presente ancora una vera e propria patologia attiva, esistono dei problemi sociali da cui sfugge o a cui cerca soluzione attraverso il gioco;

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3. il giocatore patologico in cui la dimensione del gioco è ribaltata in un comportamento distruttivo che è alimentato da altre serie problematiche psichiche; il giocatore patologico impulsivo/dipendente in cui i gravi sintomi che sottolineano il rapporto patologico con il gioco d’azzardo sono talvolta più centrati sull’impulsività e altre volte sulla dipendenza. Un giocatore veramente dipendente è una persona in cui l’impulso per il gioco diviene un bisogno irrefrenabile e incontrollabile, al quale si accompagna una forte tensione emotiva ed una incapacità, parziale o totale, di ricorrere ad un pensiero riflessivo e logico. L’autoinganno e il ricorso a ragionamenti apparentemente razionali assumono la funzione di strumenti di controllo del senso di colpa e innestano ed alimentano un circolo autodistruttivo in cui se il giocatore dipendente perde, giustifica il suo gioco insistente col tentativo di rifarsi e di “riuscire almeno a riprendere i soldi persi”, se vince si giustifica affermando che “è il suo giorno fortunato e deve approfittarne”, sottolineando una temporanea vittoria che supporta, attraverso una realtà vera ma alquanto instabile e temporanea, questa affermazione interiore o esteriore. Lo stato mentale di un giocatore patologico è pertanto estremamente diverso da quello di un giocatore anche assiduo non patologico e si caratterizza per il raggiungimento di uno stato similare alla sbornia, con una modificazione della percezione temporale, un rallentamento o perfino blocco del tempo, che nasce da una tendenza a raggiungere uno stato alterato di coscienza completamente assorbiti, fino ad uno stato di estasi ipnotica, dal gioco. Talvolta questa condizione della mente è favorita da un reale consumo di alcolici o di altre sostanze, associato al gioco, che alimenta la perdita di controllo della propria condotta. Per chiarire le caratteristiche diagnostiche del gioco patologico, è molto importante altresì distinguere il “vizio del gioco” dalla “malattia del gioco ”, sottolineando anche che spesso esiste una tendenza ad usare il primo termine per designare impropriamente comportamenti patologici. La distinzione è estremamente importante perché permette di individuare una delle caratteristiche fondamentali del gioco d’azzardo patologico, disturbo siglato in psichiatria G.A.P.: la perdita di controllo sul proprio comportamento, che invece nel vizio è un comportamento volontario, che può essere controllato ed eventualmente interrotto da una persona che, tuttavia, lo mette in atto con volontà e consapevolezza delle connotazioni negative attribuite ad esso da un punto di vista morale. 20

Un’altra distinzione che è opportuno fare, anche in relazione alla diversa impostazione del possibile percorso terapeutico, è quella tra “dipendenza da gioco”, ossia disturbo primario del gioco , noto anche come “compulsive gambling” o “ludopatia morbosa compulsiva”, e “gioco patologico secondario” , ossia sintomo di un’altra problematica psichica. In quest’ultimo caso, infatti, il gioco patologico può essere considerato come un effetto di un disturbo primario che deve divenire il focus della terapia. Nella “ludomania” invece spesso esistono dei problemi

psicologici o psichiatrici che sono conseguenza del circolo vizioso del gioco. In generale, secondo i criteri classificatori tradizionali della psichiatria, possiamo sintetizzare che siamo in presenza di “Gioco d’Azzardo Patologico” quando esiste un “comportamento persistente, ricorrente e disadattivo di gioco d’azzardo”, intendendo in quest’ultimo caso che il gioco è in grado di avere delle pesanti ricadute negative sulla vita personale, sociale e lavorativa del giocatore (AA.VV., 1994). I segnali di tale problema di dipendenza dal gioco possono essere più comportamenti tra quelli elencati di seguito e, in ogni caso, non riconducibili a conseguenze di altri disturbi primari: - eccessivo assorbimento in attività dirette o indirette (programmi di gioco, pensieri su come procurarsi denaro, ecc.) legate al gioco d’azzardo; - bisogno di aumentare la quantità di denaro con cui si gioca per raggiungere livelli di eccitazione desiderati; - tentativi ripetuti ma infruttuosi di interrompere, ridurre o controllare il proprio comportamento di gioco d’azzardo; - ansia o irritabilità quando si tenta di controllare o ridurre il gioco d’azzardo; - tendenza ad utilizzare il ricorso al gioco d’azzardo per ridurre stati affettivi negativi (colpa, impotenza, depressione, ecc.) o per fuggire a problemi;


SOTTO LA LENTE - richiesta ad altri di denaro necessario per rimediare alla propria situazione finanziaria più o meno disperata a causa dei debiti di gioco. Si può parlare di una vera e propria “dipendenza dal gioco d’azzardo” se sono presenti sintomi di tolleranza, come il bisogno di aumentare la quantità di gioco, sintomi di astinenza , come malessere legato ad ansietà e irritabilità associati a problemi vegetativi o a comportamenti criminali impulsivi e sintomi di perdita di controllo manifestati attraverso incapacità di smettere di giocare. Se prevalgono altri sintomi maggiormente legati al deficit nel controllo degli impulsi, il comportamento di gioco patologico impulsivo va ricondotto soprattutto ad un problema in quest’area, senza che si possa necessariamente parlare di dipendenza.

- tendenza a ritornare al gioco per rifarsi dalle perdite precedenti; - propensione a mentire sul proprio comportamento di gioco; - perdita reale o grave rischio di perdita, a causa del gioco d’azzardo, di una o più relazioni importanti oppure compromissione del lavoro o di opportunità scolastiche; - ricorso a comportamenti illegali quali furti, frodi, baro, falsificazione;

Alcuni autori (Custer, 1982) distinguono le fasi di progressione del gioco d’azzardo patologico , in cui un giocatore si può muovere sia sul versante dell’aggravamento del problema che della possibile risoluzione dello stesso. Più precisamente sono state individuate le seguenti tappe: - FASE VINCENTE: caratterizzata dal gioco occasionale e da vincite iniziali che motivano a giocare in modo crescente, spesso grazie alla capacità del gioco di produrre un piacere e di alleviare tensioni e stati emotivi negativi; - FASE PERDENTE: connotata dal gioco solitario, dall’aumento del denaro investito nel gioco, dalla nascita di debiti, dalla crescita del pensiero relativo al gioco e del tempo speso a giocare; - FASE DI DISPERAZIONE: in cui cresce ancora il tempo dedicato al gioco e l’isolamento sociale conseguente, con il degenerare dei problemi lavorativi/scolastici e familiari (divorzi, separazioni) che talvolta ha generato anche gesti disperati di tentativi di suicidio; - FASE CRITICA: in cui nasce il desiderio di aiuto, la speranza di uscire dal problema e il tentativo realistico di risolverlo attraverso il ritorno al lavoro, nonché i tentativi di ricucire debiti e problemi socio-familiari; - FASE DI RICOSTRUZIONE: in cui cominciano a vedersi i miglioramenti nella vita familiare, nella capacità di pianificare nuovi obiettivi e nell’autostima; - FASE DI CRESCITA: in cui si sviluppa maggiore introspezione e un nuovo stile di vita lontano dal gioco. 35 21


All'inizio quando sono arrivato qua eravamo cinque persone, io ero molto scettico. Piano piano, frequentando il gruppo, vedevo che le persone intorno a me avevano i miei stessi problemi e mi sono aperto: ho cercato di condividere il mio problema con gli altri e, per due anni, ho smesso di giocare. Sapevo che dovevo fare molta attenzione perché, ripeto, questa è una malattia dalla quale non si guarisce. Quando giocavo ero molto nervoso. In casa non parlavo mai, non consideravo nessuno. In casa non si parlava mai del gioco. L'unica cosa che mi ha fatto aprire è stata il gruppo, perché qui mi son trovato con altre persone che avevano il mio stesso male. Ho cominciato a giocare circa trent’anni fa. Mio padre era un giocatore ma non so se la mia condizione derivi da questo. Aveva un’impresa edile e si mangiava tutto tra donne e gioco. Cominciai ad andare con degli amici al casinò o a giocare ai cavalli. Da lì mi è venuta la compulsione del gioco. E mi sono messo a giocare. 22

Quando giocavo non pensavo a niente né a mia moglie, né a mio figlio, né ai parenti. Bastava che stessi davanti alla macchinetta oppure, andavo al casinò, a Ibiza, per esempio. L’importante era andare a giocare, della famiglia non mi fregava niente, la dimenticavo. Mi ricordo che quando venivano le feste natalizie o le ferie estive, visto che io e mia moglie le trascorrevamo separati, io dedicavo tutto il mio tempo al gioco. Mi giocavo i soldi delle bollette: al posto di andarle a pagare mi fermavo al bar. Alla sera, quando finivo di lavorare, mi fermavo al bar per giocare alla macchinetta e, la mattina successiva, invece di andare a lavorare, tornavo a giocare a quella macchinetta in cui io avevo messo i soldi la sera prima. Ovviamente questa mia dipendenza ha inciso anche sul lavoro perché i miei colleghi sapevano che giocavo. Facevo il parcheggiatore e, se volevo, potevo facilmente racimolare soldi: quando venivano a parcheggiare le macchine, non le facevo parcheggiare e mi tenevo il denaro del pedaggio. Sono stato fortunato perché una persona mi ha


SOTTO LA LENTE Ho racimolato tutto il denaro che potevo e sono andato a giocare. Senza vincere ovviamente; perché non è che si vince. Un giocatore, come me, si mette lì, davanti alla macchinetta, e non vince mai. Dopo una settimana, grazie anche al supporto di mia moglie, sono ritornato al gruppo. In quel periodo, anche mia moglie frequentava gli incontri dell’associazione a sostegno dei familiari dei giocatori, i GAAnon e anche lei, come me, frequenta le riunioni da sei anni e otto mesi. Non ho intrapreso questo percorso perché lo seguiva lei ma l'ho fatto per me, perché volevo smettere io. Non per stare vicino a mia moglie o ai mie i figli anche perché, i due gruppi, quello dei giocatori e dei familiari, sono divisi, hanno incontri separati, noi il martedì, loro per esempio il giovedì. Mi ero rivolto, contemporaneamente, anche ad un centro di igiene mentale dove mi avevano sottoposto ad una cura con dei farmaci e dei calmanti.

permesso di lavorare fino alla pensione visto che mi mancava poco tempo. In quel periodo trovavo qualsiasi escamotage per avere denaro da giocare. Mi sarei giocato anche la casa, se fosse stata mia. Fortunatamente ero in affitto. Dopo due anni di astinenza sono caduto una prima volta. Mi sono giocato tutti i soldi che avevo, i miei e quelli di mia moglie, l'oro di mia moglie.

Decisi, poco dopo, di abbandonare questo tipo di trattamento e di frequentare i GA e di seguire i dodici passi con tutto l'impegno. Per me, il gruppo è diventato come un potere superiore. Avevo Dio ma poi è stata questa stanza a prevalere perché mi ha aiutato moltissimo. Sono poi ricaduto una seconda volta e, questa, è stata di gran lunga peggiore. Mi son trovato mia moglie lì, al bar, davanti a me. Dal nervoso mi sarei buttato sotto una macchina. Ero molto nervoso, nervoso per il gioco, nervoso per il fatto che mia moglie fosse venuta a cercarmi. Adesso sono diciotto mesi che non gioco, sono abbastanza tranquillo anche se questa vita è molto dura. Ricominciare a seguire tutti i giorni il flusso di una vita normale è davvero difficile soprattutto adesso che sono pensionato e ho molto tempo libero. Esco poco perché ho paura, ho paura di ricadere nella tentazione del gioco. Quello che cerco di fare è far trascorrere le ventiquattro ore della giornata senza giocare per essere a posto con me stesso. Leggo i dodici passi, le testimonianze dei giocatori e recito la preghiera. Poi ci sono gli incontri con il gruppo che, come ho già detto è, oggi, per me il potere superiore che mi guida. Il rapporto con la mia famiglia e con mio figlio va bene, ho anche una nipotina e quindi sono a posto. Penso a far passare le ventiquattro ore e, adesso, sono diciotto mesi che non gioco. Spero di continuare così. 35 23


Era il primo gennaio del 1983 quando un piccolo drappello di scienziati d'Oltreoceano diede vita a una rivoluzione che avrebbe stravolto il mondo. Quel giorno, i computer delle principali università statunitensi vennero collegati tra loro grazie a un nuovo protocollo elettronico, il Tcp/Ip. La neonata rete venne smarcata dai network militari: la vecchia Arpanet, antesignana del web, fu ribattezzata internet e da allora non ha mai cessato di crescere. Internet non era più una connessione nelle mani della difesa americana, ma era diventato uno strumento al servizio di ricercatori e docenti universitari. “Il web è più un'innovazione sociale che un'innovazione tecnica”, ha scritto l'informatico inglese Tim BernersLee, coinventore del World Wide Web (il www delle url), che pubblicò il primo sito web nel 1991. “Non si limita a collegare macchine, connette persone”. Un assioma che, a trent'anni esatti da quelle radiose giornate, appare più 24

che mai evidente. Internet è parte integrante delle nostre vite: ci accompagna dall'alba al tramonto, scandendo i ritmi delle nostre giornate. Secondo un recente studio del Censis, l'88% dei giovani possiede un profilo su Facebook; il 60% degli italiani usa il web per orientarsi nelle grandi città; il 41% per trovare lavoro. Solo il 32% dei connazionali - bebè e anziani inclusi - non si è mai imbattuto, almeno una volta nella vita, in un social network (come Facebook e Twitter).


SOTTO LA LENTE Intrappolati nella rete Intrappolati nella Rete: sono sempre di più gli adolescenti italiani dipendenti dal web. Secondo l’ultimo report della Federazione nazionale ordini medici chirurghi e odontoiatri (FNOMCeO), sono 240mila i ragazzini tra gli 11 e 16 anni che passano almeno tre ore al giorno davanti al computer. Almeno, perché spesso le ore diventano molto di più: addirittura dalle 10 alle 12. Praticamente, ogni istante. In Giappone le forme estreme di web-dipendenza hanno un nome: è la sindrome di Hikikomori (letteralmente “stare in disparte, isolarsi”), un fenomeno scoppiato nel Paese del Sol Levante negli anni 80 e che oggi tocca anche gli adolescenti italiani. I sintomi? Il bambino o ragazzino frequenta la scuola con un profitto sufficiente, ma poi viene completamente assorbito dalla realtà parallela. Non ha amici reali, se non la playstation o il computer, e passa 10 -12 ore ogni giorno in una dimensione virtuale. I medici della FNOMCeO lanciano l’allarme, affinché le famiglie, le istituzioni e la sanità aprano gli occhi su questo fenomeno, che spesso non viene riconosciuto (e quindi non viene affrontato adeguatamente).

6. il passare molto tempo connessi; 7. utilizzare internet nonostante evidenti problemi fisici, lavorativi e sociali. PROFILI Vengono individuati cinque profili: A. cyber-sexual addiction (dipendenza cyber-sessuale, legata ai siti pornografici);

B. net-compulsion (gioco d'azzardo e shopping); C. information overload (ricerca spasmodica di informazioni); D. cyber-relation addiction (abuso di social network); E. computer addiction (utilizzo eccessivo di giochi online). TERAPIA

di Andrea Sceresini In Italia, gli internet-dipendenti sarebbero circa tre milioni: adolescenti, per lo più, ma anche tanti adulti under 40. Trascorrono davanti allo schermo dalle 8 alle 18 ore al giorno e, in qualche caso, cominciano a soffrire di “disordini psichiatrici legati all'abuso del web”. Si tratta di una nuova patologia, correlata a internet, che da maggio 2013 comparirà nella versione aggiornata della Bibbia della psichiatria, il Diagnostic and statical Manual of Mental disorders. SINTOMI Secondo la definizione dell'American Psychiatric Association, sono sette i principali sintomi tipici del disturbo, che segnalano una dipendenza (addiction) dal web: 1. il bisogno di trascorrere tempo online per ottenere soddisfazioni personali; 2. mancanza di interesse per la realtà; 3. ansia e depressione nel caso in cui non si abbia accesso alla Rete; 4. l'impossibilità di smettere di controllare gli eventi del web; 5. la necessità di ricorrere a internet con più frequenza rispetto al solito;

Giappone, “astinenza da internet

Come si cura la dipendenza da internet? Uno dei primi centri d'Italia che si sono specializzati in questa patologia ha sede presso il policlinico Gemelli di Roma. “Per guarire - spiega Eugenio Aguglia, presidente della Società italiana di psichiatria - esistono due tipi di approccio: da un lato psicofarmaci e psicoterapie, dall’altro la risocializzazione, ovvero l'accoglienza in comunità popolate da altri ragazzi con lo stesso problema”.

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CULTURA di Umberto Fantauzzo

Le due ipotesi interpretative summenzionate costituiscono peculiarità strutturali nell’evoluzione storica della Magna Charta Libertatum, un primordio di democrazia nella cultura dell’umanità. In una passeggiata romantica, attraverso i folti boschi che costeggiano il silenzioso deflusso delle tacite e limpide acque del fiume Tamigi fluente lungo le estese, verdi praterie del “garden of England”, nella contea del Surrey, che funge da melodioso coronamento al pittoresco paesaggio dell’Inghilterra meridionale, al termine di una folta brughiera il viandante inaspettatamente, attraversando con effetto mozzafiato un perenne verde prato, s’imbatte in un monumento storico nei pressi di Runnymede. Una iscrizione impressa sulla superficie frontale del monumento evoca un evento del XIII secolo in cui il re John Lackland d’Inghilterra il 5 maggio del 1215 incontrò i suoi nobili 26

oppositori, potenti proprietari terrieri, i quali contestando le prepotenze del sovrano, esigevano che il re accettasse le loro istanze a garanzia di alcuni diritti fondamentali a vantaggio della baronia inglese; su insistente pressione dei nobili, il re appose infine il suo suggello sul documento scritto del patto concordato. Le concessioni del re ai nobili ed al clero vennero denominate “libertates” da cui il titolo dell’accordo siglato che recita: “Magna Charta Libertatum”, che nel corso dei secoli divenne un rilevante punto di riferimento storico per l’ulteriore evoluzione “democratica/giuridica” della Gran Bretagna. John Lackland, ancor prima di subentrare al trono d’Inghilterra nel 1199, dopo la morte del re Riccardo Cuor di Leone, aveva perso tutti i suoi possedimenti nel Nord della Francia, per tale motivo la denominazione “Giovanni Senzaterra”. Il giovane sovrano britannico, immediatamente


STORIA L’anno seguente John Lackland morì e il successore, suo figlio Enrico II, sia per insistenza dei ribelli dall’esterno sia per consiglio dei suoi sostenitori, reiterò la Magna Charta. Re Giovanni Senzaterra

dopo la sua ascesa al trono, dichiarò guerra alla Francia nel tentativo di riconquistare le sue perdute proprietà. L’estenuante conflitto armato per la sua imprevista lunga durata fece esaurire le riserve monetarie ed auree del regno, per tale ragione il sovrano impose ai suoi sudditi baroni una pesante tassazione denominata “scutagium”, che raffigurava l’importo necessario per equipaggiare e mantenere i soldati, un impegno che i nobili vassalli feudatari dovevamo tributare al sovrano; in caso d’impossibilità di ottemperare a tale disposizione i subalterni dovevano pagare lo “scutagium” in moneta sonante. L’esito negativo della missione militare inglese in territorio francese determinò un’umiliante sconfitta per Giovanni Senzaterra nel 1214 a Bouvines nella Francia settentrioLa resa di “Re Giovanni Senzaterra”

nale; un infausto evento che determinò il malcontento del baronato feudale in patria, motivo di controversia concretizzatasi in una ricusazione dell’autorità del sovrano non avendo i baroni rinnovato il giuramento di fedeltà al re, criticato per irresponsabilità, prepotenza, falsità, crudeltà ed arbitrio. La Magna Charta, storicamente preceduta da un’analoga concessione che Federico Barbarossa aveva elargito nel 1183 alla Lega Lombarda (da non confondere con la rozza lega bossiana), rappresenta un patto tra sovrano e sudditi, inconcepibile in un’Inghilterra medievale caratterizzata da una rigida e autoritaria mentalità giuridica a regime feudale, implicante la limitazione del potere e dell’autorità del sovrano a beneficio della nobiltà e del clero i quali, in un processo di crescente autonomia, divenivano politicamente più influenti. Ben presto la sfiducia di John Lackland verso la Magna Charta riaffiorò al punto tale che il medesimo indusse il papa ad emanare una bolla per l’annullamento dell’accordo di Runnymede, codesta iniziativa del re divenne motivo di una veemente contesa tra monarchia e nobiltà inglese.

Durante il regno di Enrico II il patto venne modificato diverse volte da divenire un valido strumento per l’eliminazione della tirannide dei sovrani. Edoardo I, successore di Enrico II, rielaborando la Magna Charta per l’ennesima volta, la confermò definitivamente iscrivendola nel 1297 agli atti ufficiali del regno, tale registrazione automaticamente attribuiva all’accordo di Runnymede lo status giuridico di legge di stato. La nuova disposizione di legge, sminuendo con incisività i poteri reali, vincolava il sovrano, come i suoi sudditi, al rispetto delle norme contemplate nella Magna Charta. Ma a quel tempo il documento di Runnymede specificando solo i diritti dei “free men” ossia degli uomini liberi e, non implicando un vantaggio politico e sociale per l’umile suddito, ne beneficiavano unicamente le classi sociali privilegiate come il clero e la nobiltà che costituivano demograficamente una minoranza. La Magna Charta subiva una fase involutiva durante il regno di Carlo I (1625-1649) il quale, imponendo una politica assolutistica della corona, cagionò un inasprimento del preesistente conflitto con il Parlamento. Intanto i parlamentari rivendicando maggior indipendenza dalla corona, inoltravano al sovrano una nuova richiesta dal titolo “Petition of Right” che, concedendo al parlamento il controllo totale sulle tasse, consentiva a tale istituzione una crescente autonomia dalla corona; il sovrano nel 1628, con ingannevole consapevolezza di poterla revocare in qualsiasi momento, appagò la petizione del parlamento. 27


CULTURA Nel 1642 nel Regno Unito il sovrano, con l’abolizione del trattato politico e col rifiuto di esaudire una nuova richiesta dei rivoltosi, consistente nel diritto dei parlamentari di convocare periodicamente le rispettive alte Camere dei Comuni e dei Lord di Westminster “Houses of Parliament”, provocò l’insurrezione civile capitanata dal rivoluzionario Oliver Cromwell. Nell’aspra contesa tra i “royalisti”, cavalieri fedeli al re, e i “parlamentaristi”, le teste rotonde capeggiate da Oliver Cromwell, il re venne arrestato, processato e per la sua politica religiosa, più incline e indulgente verso la Chiesa cattolica a detrimento della ChiesaAnglicana, peculiare fenomeno dell’insularità britannica, imputato di alto tradimento e conseguentemente sentenziato alla pena capitale.

Il 30 gennaio del 1649, al termine della violenta contesa civile col trionfo dei ribelli, conclusasi cruentemente nel sangue con la decapitazione del sovrano Carlo I di Stuart, la monarchia venne abolita ed istituita la repubblica. Carlo I di Stuart

Il rivoluzionario Oliver Cronwell, ignorando totalmente l’esistenza della Magna Charta, gestì la repubblica con regime dittatoriale fino alla sua morte nel 1658, periodo in cui il dittatore, dopo aver sedato la rivolta scozzese e irlandese, annesse alla Gran Bretagna i rispettivi territori dell’Irlanda e della Scozia. L’inaspettato decesso di Oliver Cromwell per malaria causò nel 1658 una grave crisi per la repubblica inglese e ciò consentì a Carlo II di Stuart, figlio del decapitato sovrano, il suo insediamento reale col restauro della monarchia. Il diritto fondamentale “Habeas Corpus ad subjiciendum” (abbi il tuo corpo da presentarlo in giudizio), risalente alle “Questiones” (giurie) di diritto romano, contemplando una garanzia legale per la libertà personale dei baroni, costituiva una conquista giuridicamente importante per la nobiltà inglese, motivo per cui tale diritto di base fu menzionato sulla Magna Charta nel 1215, al momento della sua prima sanzione da parte del re Giovanni Senzaterra a Runnymede. A seguito delle violente esperienze politiche della prima rivoluzione inglese e dittatura cromwelliana i parlamentari, acquisendo una profonda coscienza istituzionale, costrinsero il nuovo re Guglielmo III d’Inghilterra a sottoscrivere nel1689 il “Bill of Rights” (la dichiarazione dei diritti) con l’inserimento definitivo del principio giuridico “Habeas Corpus” nella Magna Charta; uno storico evento che affermando la sovranità e l’autonomia del Parlamento segna la 28


STORIA fine della monarchia feudale e l’inizio della democrazia inglese. Il “Bill of Rights” ascrivendo alla Magna Charta Libertatum una piena identità giuridica funge dal 1688 da virtuale costituzione per l’intera nazione; il forte vigore democratico del documento ha annullato totalmente la competenza politica del sovrano reale, demandata al Parlamento, conseguentemente il re non può più imporre la sua autorità con prepotenza e arbitrio. In virtù della “Magna Charta Libertatum” la Gran Bretagna, retta per millenni da un’ossessiva monarchia assolutistica, viene considerata la nazione più democratica del mondo per antonomasia. Pur non disponendo il Regno Unito di una costituzione scritta l’attività parlamentare britannica da numerosi secoli, considerando la storica Magna Charta, nella sua precipua funzione di legge fondamentale, come fonte d’ispirazione, ha saputo offrire un’efficace modello esemplare per tutte le democrazie occidentali e statunitense.

Winston Churcill

Il ferreo statista Winston Churcill, che abilmente durante la seconda guerra mondiale condusse il Regno Unito alla vittoria, in una sua saggia valutazione storica della Magna Charta per la sua rilevanza giuridica, nel 1946 al termine della contesa armata, ovviamente in un momento in cui il premier possedeva piena lucidità mentale in totale assenza di whisky, suo fedelissimo amico e compagno di lavoro e di letto, beatificava solennemente il documento storico con la seguente affermazione: “Un sistema di freni e contrappesi che accordasse alla monarchia la forza necessaria, ma ne impedisse ad un tiranno la distorsione”. Il corpus legislativo inglese, contemplato nella Magna Charta, per la sua valenza universale di filosofia giuridica, ha ispirato la concezione dei diritti fondamentali dell’uomo, nucleo portante della costituzione americana nella sua stesura finale del 1787, alla quale l’originale “Bill of Rights”, costituendone un vincolo culturale inalienabile, è stato allegato. Il medesimo documento britannico, transitando attraverso l’ordinamento giudiziario delle moderne democrazie europee, è stato un influente punto di riferimento per la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la cui suprema massima contenuta nell’articolo 9 come di seguito recita: “Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato”. 29


CULTURA di Tino d’Amore

In pochi hanno posto l'accento su un altro straordinario primato conquistato da Jorge Mario Bergoglio: quella di essere il primo pontefice “italo-argentino”, o meglio “italico” della storia del papato. L'Italia in effetti è uno strano paese. Capace di emozionarsi e di indignarsi per i tanti affronti subiti dagli immigrati, e allo stesso tempo di dimenticare - o al massimo sopportare - la grande presenza di un'altra Italia che vive fuori dai confini italiani. Un'Italia che per molti anni ha contribuito alla ricostruzione economica del Paese (ma c'è ancora qualcuno che ricorda la somma delle rimesse inviate in Italia dai nostri espatriati per nutrire i parenti e ricostruire o acquistare le case dei paesi natii?) e che ha regalato straordinari protagonisti della nostra genialità ai paesi che li hanno accolti. Un'Italia orgogliosa, forse più degli stessi connazionali residenti, delle proprie origini nonostante la costrizione dell’espatrio. In questo disarmante deserto della memoria si colloca anche la storia di molti italiani arrivati in Argentina e negli altri paesi del Sudamerica non in cerca di nuove opportunità di lavoro, ma di anime da convertire oppure da consolare. Pronti a lasciare gli agi di una tranquilla vita parrocchiale per sfidare la Natura e l'ignoto, il paganesimo e la superstizione, le dittature militari e le avversità climatiche per portare la parola di Dio tra le pieghe della terra sudamericana. Sono tanti e per citarli tutti occorrerebbe un scrivere un voluminoso compendio. Ma è difficile tacere di alcuni che hanno lasciato tracce importanti nel loro passaggio terreno e un'eco indelebile nelle popolazioni che li ha visti all'opera. 30


ITALIANI NEL MONDO Francesco Bibolini ad esempio. Per tutti gli argentini il “santo de las pampas”. Nato a Lerici, ordinato sacerdote nel 1847, cinque anni dopo vendette tutti i suoi beni temporali per pagarsi il viaggio verso il Paraguay. Ma al confine fu scambiato per un medico e sequestrato da un poliziotto che gli chiese di praticare un'amputazione. Il giovane prete fuggì sconvolto alla volta di Buenos Aires che raggiunse l'anno seguente dopo aver attraversato paludi e selve infestate da animali feroci, superando le province di Corrientes, Entre Rios e Santa Fe. Fu però l'ultima fuga del prelato. Bibolini riempì la vita di mille episodi caritatevoli ma uno in particolare è rimasto indelebile nella memoria d’Argentina. Nominato parroco del villaggio 25 de Mayo, riuscì con la fede e il coraggio a fermare le bellicose schiere di indiani Araucani guidate da Calfacurà guadagnandosi la riconoscenza della popolazione. Per tutti gli abitanti delle pampas Francesco Bibolini divenne il “salvatore del popolo dalle invasioni degli indios nel 1859”. I gesuiti Simone Maceta e Giuseppe Cataldino lasciarono segni indelebili sul fiume Paranà, nella terra dei Guarany. Le “reducciones” gesuitiche sono entrate nelle pagine della storia e sono entrate nella sceneggiatura di un celebre film (The Mission). I missionari trasformarono le terre del Guarany in un vero e proprio laboratorio di idee. Falegnami, fabbri, tessitori, sarti, calzolai, conciapelli, tornitori, stagnati, orologiai, scultori, pittori, fonditori di campane, strumentisti : ogni attività artigianale venne intrapresa negli agglomerati indiani e ogni paese si specializzò. Loreto divenne il centro dell'intaglio delle statue, a San Giovanni Battista si costruivano strumenti musicali. Guidati e protetti da missionari, tra i quali si distinsero il sardo Andrea Giordano e il calabrese Antonio Apparizio, i Guaranì e i Chiquitos impararono anche l'arte dell'economia e si specializzarono nella produzione del “tè del Paraguay”, articolo che trovò grandissimo successo nelle città coloniali del Sudamerica. Antonio Sepp, nato a Caldaro, Bolzano nel 1655, in giovane età fu scelto per la sua bella voce e cantò nel “Coro dei Pueri Cantores” della Corte Imperiale di Vienna, dove in quegli anni trionfava la musica italiana. In quello che era allora un centro musicale di prima categoria Sepp studiò musica arrivando alla padronanza assoluta di vari strumenti, ma all'età di 19 anni decise di lasciare la promettente carriera per diventare Gesuita. Ritiratosi in meditazione, continuò meticolosamente a studiare ed a specializzarsi nello "stile moderno" dell’epoca: la composizione di brani esclusivamente strumentali ed indipendenti dalle esigenze del coro. Destinato nel 1689 alle Missioni dell'antico Paraguay egli si mise in viaggio per Buenos Aires sulla nave "Almiranta", ed allietò i passeggeri della nave suonando musica nelle principali festività liturgiche durante la traversata dell'Atlantico. Con se portava un carico importante della Compagnia di Gesù, ovvero strumenti musicali, tra i quali anche un organo destinato a BuenosAires. Nella Reducción de los Santos Reyes de Yapeyù padre Antonio Sepp venne inviato per insegnare musica agli indigeni. Il gesuita lasciò letteralmente sbalorditi i suoi confratelli spagnoli quando si mise a costruire un organo con pedaliera ( non si era 31


CULTURA (non si era mai visto suonare con i piedi fino ad allora). Per questo straordinario strumento, non avendo stagno a sufficienza, egli utilizzò tra l’altro legno levigato per le canne maggiori e l’eccezionale resa musicale dell’organo gli valsero l’Incarico ufficiale di costruttore per le missioni dei Guaranì. “Questi Indios paraguaiani sono, di natura, come creati per la musica, in modo che apprendono la tecnica di suonare tutti i tipi di strumenti con sorprendente facilità e destrezza e questo in un tempo brevissimo”.

Con poche parole il gesuita descrisse in una lettera quanto talento naturale vi era negli indigeni delle sue missioni, fornendo addirittura i nomi dei suoi migliori allievi (Ignacio Paica e Gabriel Quirì divennero grandi costruttori ed esecutori di strumenti musicali). Padre Antonio inventò tra l’altro anche l'arpa a corda doppia ( che si estese ben presto in tutto il territorio) costruendo l'antenato diretto dello strumento nazionale di queste terre: l'arpa paraguaiana. L’italiano creò in ogni Reducción una scuola di canto corale, di musica e danza, insegnando quasi tutti i tipi di strumenti, trai quelli permessi per esecuzioni in Chiesa. Insegnò ai suoi Guaranì e selezionò centinaia di cantanti che vennero mandati in concerto nelle città argentine, brasiliane e uruguaiane. Rimase più di quaranta anni nelle selvagge foreste del Sudamerica e lasciò il suo testimone all’altro grandissimo esponente della musica missionaria: Domenico Zipoli. Saranno però piemontesi le più belle storie scritte sul finire dell'Ottocento nelle terre inesplorate dell'Argentina e del Cile: Patagonia e Terra del Fuoco. Giuseppe Fagnano e Giovanni Cagliero divennero protagonisti assoluti dell'evangelizzazione sudamericana. Allievi di San Giovanni Bosco, i due salesiani piemontesi attraversarono l'Atlantico per poi intraprendere un percorso terrestre verso il Pacifico. Giuseppe Fagnano (nato a Rocchetta Tanaro nel 1844), si guadagnò l'appellativo di “Capitano Bueno” e viaggiò instancabile tra le isole Malvine, la Terra del Fuoco e la Patagonia argentina; spostandosi a bordo della 32

goletta “Maria Ausiliatrice” portò a tutti i membri del vasto territorio aiuti spirituali e materiali, costruì scuole e missioni tra i bellicosi indiani Onas, Haus e Acaluffi. In suo nome il contrammiraglio cileno Vincente Montes battezzò un lago scoperto nel 1892: il lago Fagnano è situato ai confini di Cile e Argentina), regalando all’instancabile apostolo una fama imperitura. Giovanni Cagliero (nato a Castelnuovo d'Asti nel 1838) in anni di intensa opera missionaria, divenne agli occhi del Presidente della Repubblica Argentina “il civilizzatore della Patagonia”! I suoi resti riposano nella città patagona di Viedma. Lasciò un’imponente opera umana e religiosa. 1400 missionari, 12 istituti fondati a Buenos Aires dai salesiani e dalle suore di Maria Ausiliatrice, con 5000 tra alunni ed alunne. 68 case con 10 mila alunni interni e 15 mila esterni nel resto dell’Argentina e altri 137 istituti salesiani tra Cile, Brasile, Paraguay, Uruguay, CentroAmerica. Nato a Pollone (Vercelli) nel 1883 Alberto Maria De Agostini riuscì nell'impresa di unire l'apostolato alla passione per le esplorazioni e per le scalate in alta quota. Fratello del fondatore della casa editrice omonima, il salesiano nel 1909 partì alla volta della Terra del Fuoco. In quasi 50 anni di permanenza De Agostini percorse quasi ogni angolo della Cordigliera fueghina, delle isole dell'arcipelago della Terra del Fuoco, delle Ande della Patagonia. De Agostini esplorò i canali Beagle e Cockburn, la penisola Brennock, la baia Desolada, l'isola O'Brien, scoprendo nuovi ghiacciai cui diede nomi nostrani come il Roncaglia e l'Italia. Scalò infine il monte Italia e il monte Francese. tra il 1930 e nel 1931 il missionario esploratore conquistò la piramide del monte Mayo, effettuò la traversata della cordigliera patagonica centrale partendo dal ghiacciaio Uppsala fino al fiordo Falcòn nel Pacifico. I monti sopra il lago S. Martin (i Mellizos) rappresentarono un'altra delle tante tappe esplorative del salesiano. Nel 1943 conquistò la vetta S. Lorenzo, in compagnia delle guide svizzere Hemmi e Schmoll. Nei suoi innumerevoli viaggi estivi nella Terra del Fuoco e nella Patagonia il missionario raccolse fossili e campioni di rocce, studiò la morfologia di montagne glaciali, classificò egregiamente un grande numero di specie vegetali, descrivendole anche al grande pubblico, si trasformò in antropologo seguendo da vicino gli ultimi gruppi indigeni della Terra del Fuoco e della Patagonia, gli Onas, Tehuelces, Yamanas eAlacalufes. Numerosi i suoi libri e i suoi articoli apparsi su periodici e quotidiani di mezzo mondo, numerosi i riconoscimenti accademici. Il governo cileno dedicò a De Agostini un fiordo lungo 35 chilometri, scoperto dallo stesso religioso il 6 febbraio 1912 lungo il massiccio centrale della cordigliera fueghina. All'esploratore è intitolato anche il parco nazionale situato nella provincia di Magallanes, ai confini con l'Argentina, e comprendente 380 mila ettari di boschi. Per aver domato il colosso della Terra del Fuoco - una montagna con caratteristiche prettamente alpine e quindi molto familiare agli scalatori italiani - egli ricevette il “General Bernardo O'Higgins”, la più alta onorificenza del governo cileno.



CULTURA di Generoso D’Agnese

Le colonne doriche a Taranto

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ECOTURISMO Il Salento viene identificato sulla carta geografica da una linea ideale che unisce il golfo di Taranto, sulla costa ionica, a Fasano, sulla costa Adriatica. Entrambe città dal ricchissimo passato storico (quanti italiani sono cresciuti con le nozioni sul le epiche battaglie tra romani e cartaginesi nelle guerre puniche?), Taranto e Fasano accolgono ancora oggi numerose vestigia del loro passato.

Fasano è infatti è costruita sulle rovine della città messapica di Egnazia (foto sopra) sul confine con l’antica Peucezia. È una divisione prettamente geografica, quella che unisce i due centri pugliesi, e che non tiene conto delle sovrapposizioni culturali che nei secoli hanno circoscritto il Salento tra Ostuni, Taranto e Santa Maria di Leuca. Un clima più umido rispetto al resto della Puglia ha differenziato a sua volta questo territorio nella sua produzione agro alimentare, regalando l’habitat ideale per produzioni di grande pregio. Ulivi e i resti di torri costiere contraddistinguono un paesaggio che ha nella terra rossa (ricca di ferro) la sua peculiarità e nelle masserie fortificate (costruite tra il XVI e XVIII secolo) il suo tratto distintivo. Taranto, Lecce, Brindisi, Francavilla Fontana, Grottaglie, Ostuni, Manduria, Nardò, Martina Franca, Fasano e Massafra rappresentano le colonne di un “tacco” d’Italia che affonda letteralmente nella ricchezza storica. Le colonne doriche a Taranto, le colonne poste

alla fine della Via Appia a Brindisi, l'anfiteatro romano e il Teatro Romano a Lecce, invitano a riflettere sullo splendido passato di una penisola che i greci chiamavano Messapia (”Terra fra due mari”), abitata dai Messapi, di origine probabilmente illirica, e dominata dall'antica città greco/spartana di Taranto. Qui nacquero figure di spicco della letteratura latina quali Ennio e Pacuvio, a Brindisi morì Virgilio, mentre tornava da un viaggio in Grecia. Le vicende storiche videro il Salento assalito dai Saraceni, occupato dai Longobardi, saccheggiato più volte dai Mussulmani, difeso dai Bizantini, conquistato dai normanni. Lecce dette i natali al re normanno Tancredi di Sicilia della famiglia d'Altavilla, e assurse a centro principale della penisola salentina, da allora ufficialmente denominata “Terra d'Otranto”. Nel 1480, sotto gli Aragonesi, Otranto fu invasa dai Turchi guidati da Ahmet Pascià, che provocò l'eccidio di 800 persone che rifiutarono la conversione all'Islam. Fu questo l'episodio più eclatante di una lunga serie di assalti turchi e barbareschi, che si fecero particolarmente intensi nel XVI secolo, tanto che vennero edificate centinaia di torri lungo le coste, per poter avvistare in tempo le navi corsare. Le successive dominazioni spagnole e borboniche accompagnarono il Salento verso l’Unità d’Italia mentre Lecce, tra il XVI e XVIII secolo, divenne uno dei centri più cospicui del barocco.

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CULTURA Caratterizzata da un’architettura urbanistica avente un tessuto molto compatto di vicoli bianchi dalle pareti dipinte a calce sempre ravvivata e dagli accesi colori degli infissi, il territorio salentino ha sempre trovato la sua esaltazione nella produzione vitivinicola e olearia. Antica mappa di Taranto

I pezzetti, (uno spezzatino di carne di cavallo al sugo piccante) la pitta di patate, la puccia (pane con le olive) le frisedde (ciambelle di pane biscottato che va ammorbidito mediante breve immersione in acqua e quindi condita con olio, sale e pomodoro), le pittule ( frittelle di forma grossolana ripiene di rape, fiori di zucca, baccalà o senza ripieno che si gustano inzuppate nel vino cotto), il pasticciotto leccese, il fruttone, le bocche di dama, la pasta di mandorla, lo spumone salentino rappresentano la tipicità gastronomica di una terra che trova esaltazione soprattutto nella produzione di vini di grande corposità. Il vino Costiera salentina

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salentino, una volta utilizzato esclusivamente come vino da taglio per aumentare la gradazione dei vini settentrionali, negli anni ha trovato la sua identità tipica attraverso vini quali il Primitivo di Manduria, il Negroamaro, il Rosato del Salento. Sarà però soprattutto il Negroamaro a caratterizzare il vero marchio della enologia salentina. Chiamato in dialetto “Niuru Maru” (nero nero) il Negroamaro è un vitigno molto antico che attualmente viene utilizzato in 14 vini DOC. Il suo sapore rotondo, lievemente amaro ne fanno il principe dei vitigni del territorio e il prodotto di riferimento per chiunque voglia conoscere davvero il Salento. Insieme al Merlot, il Negroamaro contiene la più alta percentuale di Reveratrolo, tra i più potenti antiossidanti, e potrebbe quindi definirsi anche un vero toccasana per la salute. Coltivato fin dall’epo-ca della colonizzazione greca (a partire dall’ 800 a.C) il Negroamaro ci ha messo secoli per conquistare una propria identità, permettendo nel frattempo a decine di vini italiani e internazionali di crescere in notorietà. Il vitigno autoctono per eccellenza del Salento ha permesso a questa terra di farsi conoscere attraverso il suo prodotto tipico regalando alle tavole uno dei vini più caratteristici dell’Italia. Nomi come Agricole Vallone, Santi Dimitri, Cantina Petrelli hanno fatto conoscere il Negroamaro


Spumoni salentini

portandolo a vette eccellenti e regalando il marchio DOC a quello che una volta veniva semplicemente considerata uva da taglio per i vini prelibati di altre terre italiane. Ai vari Severino Garofano, Elio Minoia, Giuseppe Pizzolante Leuzzi, Antonio Romano va il merito di aver saputo lavorare sul vitigno fino a trasformarlo in uno dei prodotti più tipici della tavola italiana, gemello inseparabile della terra salentina e compagno indispensabile durante le pause pranzo del viaggio al centro della storia dell’antica Terra d’Otranto.

Chi arriva all’ombra dei monumenti barocchi leccesi, o sugli splendidi faraglioni di Otranto, non potrà prescindere dall’assaggio delle tipiche sagne incannulate o degli gno,erelli (involtini di frattaglie legati con budello), pasti che andranno accompagnati con il Negroamaro, scegliendo ad esempio tra il Matino, il Leverano, il copertino, il Salice Salentino, lo Squinzano, il Galatina, l’Alezio e il Nardò , tutti rigorosamente vini DOC. 37


CULTURA di Armando Rotondi

Ora tocca a Salvatores, autore noto all’estero sin da inizio anni ’90 quando a sorpresa vinse l’Oscar per il film straniero con “Mediterraneo” nel 1991-92, sbaragliando la concorrenza di “Lanterne rosse” di Zhang Yimou. “Educazione siberiana” è un adattamento dal romanzo di Nicolai Lilin, autore russo, cresciuto in Trasnistria e poi stabilitosi a Milano e naturalizzato italiano. 38

Salvatores adatta quindi per il grande schermo una storia di formazione umana e criminale di un giovane Kolima, cresciuto dal nonno (interpretato da John Malkovich), nel rispetto delle rigide regole che governano la vita in Transnistria, nella Moldavia Orientale. Si tratta di una vita fatta di regole ferree, di codici e di riti che Kolima e il suo amico Gagarin, destinati a intraprendere strade diverse, dovranno seguire e comprendere: l’importanza dei tatuaggi; il rispetto nei confronti dei deboli; il disprezzo di alcune categorie sociali. Allo stesso tempo, nasce un forte legame con una ragazza disturbata. I giovanissimi attori (Arnas Fedaravicius, Vilius Tumalavicius, Eleanor Tomlinson, Jonas Trukanas, Vitalji Porsnev) sono tutti molto bravi, così come John Malkovich magnifico nei panni del nonno Kuzya, e la regia di Salvatores è come al solito impeccabile tecnicamente, al di sopra, nettamente, della media di molti altri suoi colleghi italiani. Salvatores è uno sperimentatore della tecnica, e, come Tornatore, un regista che non ha paura di pensare in grande, proponendosi in racconti di viaggio, commedie, così come in opere di genere. Si pensi al parzialmente riuscito Nirvana (1997), opera di fantascienza che rappresenta quasi un caso unico nel panorama italiano. Allora dove sono i problemi di Educazione siberiana? Sia ben chiaro, vale la pena vedere il film e non si uscirà di certo delusi. Tuttavia se paragonato al libro di Lilin, il film di Salvatores, scritto insieme con Stefano Rulli e Sandro Petraglia, semplificano molto e depauperano la scrittura di Lilin e la sua storia di un discorso davvero profondo sui concetti di male, di sopraffazione e di violenza. Quello che rimane è quindi un “romanzo criminale”, un film di gangster e di “bravi ragazzi” che si spostano dalle classiche ambientazioni americane (o italiane degli ultimi film di Michele Placido) a quelle fredde, anzi gelide della Moldavia.


CINEMA Una storia sicuramente gelida e violenta, ma se i personaggi di Salvatores fossero stati attraversati da un po’ più di passione avrebbero lasciato meno indifferenti. Senza nulla togliere alla fattura e alle ambizioni di questo Educazione siberiana.

Del quartiere romano dell’Eur come set cinematografico abbiamo già parlato ormai molti mesi fa, se non anni, citando film come “L’ultimo uomo sulla terra” (1964) di Ubaldo Ragona con Vincent Price o lo shakespeariano “Titus” (1999) di Julie Taymor con Anthony Hopkins e Jessica Lange. Torniamo ora sull’argomento proponendo il volume della giornalista Laura Delli Colli “Eur è cinema”, edito dalla Palombi nel 2008. Si tratta di un volume di facile lettura, di consultazione che scandaglia, nel mare magnum cinematografico, ogni pellicola che ha visto l’Eur come propria location. Si legge nella presentazione: “L’obelisco, le gradinate, i portici di marmo e il Colosseo quadrato, simbolo di una architettura unica al mondo: è l'Eur, molto amato ieri da Federico Fellini e Michelangelo Antonioni, protagonista oggi anche delle fiction più popolari. L’Eur è perfetto per mettere in scena tutti i generi, sia per far fischiare pallottole e scatenare clamorosi inseguimenti automobilistici che per raccontare romantiche storie d’amore.

Da “Boccaccio ’70” e “La dolce vita” di Fellini a “L’ultimo bacio” di Gabriele Muccino, “Manuale d'amore” di Giovanni Veronesi, “Il caimano” di Nanni Moretti, passando attraverso la romanità internazionale del “Titus” di Julie Taymor, ecco l'avventurosa storia di un quartiere che piace al cinema e alla pubblicità”. Per qualsiasi amante di cinema che volesse addentrarsi all’Eur, più che una lettura obbligatoria è sicuramente un guida consigliata. 39


CULTURA di Simona Guidicelli

È una specie erbacea biennale, alta fino a 100 cm, che nel secondo anno sviluppa un fusto eretto e ramificato con grandi ombrelle di forma globulare composte da ombrellette. Queste sono a loro volta formate da fiori piccoli bianchi a cinque petali; il fiore centrale è rosso scuro. L'infiorescenza presenta grandi brattee giallastre simili alle foglie. Nei fiori sono presenti delle piccole ghiandole profumate che attirano gli insetti. Fiorisce in primavera da maggio fino a dicembre inoltrato. I frutti sono dei diacheni irti di aculei che aiutano la disseminazione da parte degli animali. Le infiorescenze dopo la fecondazione dei fiori si chiudono a nido d’uccello. Le foglie sono profondamente divise e pelose. La radice è lunga a fittone di colore giallastro.

Curiosità

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BENESSERE E SALUTE

Proprietà La carota è ricca di vitaminaA(Betacarotene), B, C, PP, D e E, nonché di sali minerali e amidi. Per questo motivo il suo consumo favorisce un aumento delle difese dell'organismo contro le malattie infettive. Contiene componenti con attività estrogenica, soprattutto il beta carotene che, come tutti i fitoestrogeni, è una sostanza simile agli ormoni femminili. Questa proprietà è confermata dall'uso tradizionale della carota come stimolatore del latte materno, agisce infatti sul seno promuovendo lo sviluppo delle ghiandole mammarie. Inoltre, previene l'invecchiamento grazie alla sua azione antiossidante che contrasta gli effetti nocivi dei radicali liberi. Stimola il flusso mestruale se scarso, stimola la produzione di succhi gastrici e aiuta la digestione, tonifica il fegato e ne rigenera le cellule. Usata per indigestioni, coliche, congestione epatica, cirrosi. Buona dopo la fase acuta dell'epatite, un violento attacco biliare o avvelenamento da droghe. Regola i livelli di colesterolo. Diuretica, agisce sul fegato e sui sistemi di disintossicazione grazie alla sua qualità di stimolare la produzione di urina con conseguente eliminazione di tossine e scorie, tonifica i reni, purifica il sangue, aiuta a innalzare il livello di emoglobina. Cotta, svolge un'azione lenitiva nei confronti dell'apparato digerente e regolarizza le funzioni intestinali.

Contro la cataratta L’ideale sarebbe mangiare molte carote al giorno. Se non vi piace mangiare le carote una buona alternativa potrebbe essere del succo di carota fresco. Bevetelo due volte al giorno, alla mattina ed alla sera Una maschera di bellezza per viso e corpo Ingredienti 1 tazza di yogurt, 3 cucchiai di miele, 3 cucchiai di zucca frullata, 3 cucchiai di carote Frullare ed aggiunger alla purea di carote e zucca lo yogurt e il miele. Insaponate il viso con la maschera ottenuta e versate il miscuglio nella vasca da bagno facendo un bagno relax per 10 -15 minuti. Risciacquate con acqua tiepida.

Contro la raucedine Sorseggiare durante la giornata un centrifugato di carote fresche con un cucchiaio di miele. Contro la tosse e la laringite Fate bollire 300 grammi di carote e unite a quattro cucchiaini di miele. Mangiatene liberamente. 41


Già note ai fenici, dove la coltivazione degli alberi da frutta era ampiamente praticata, così come ai cartaginesi, dove alcuni gusci sono stati ritrovati nelle tombe, le mandorle venivano predilette per il loro consistente apporto calorico. Consumate anche dai greci e dai romani, ebbero particolare fortuna presso gli arabi, che le utilizzavano sapientemente tritandole per accompagnare i piatti di carne, addolcendo il piatto e modificandone la consistenza, indice di una cucina particolarmente elaborata. Sull'uso di tritare la mandorla, che unisce arabi e siciliani, passando per i genovesi, torneremo a breve. Data l'altissima diffusione, alle mandorle viene dedicato ampio spazio in uno dei libri gastronomici più noti del Rinascimento, pubblicato intorno al 1540 sotto il titolo “Le Grand Cuisinier de toute cuisine”, una compilazione di ricette di grande attualità mescolate a ricette antiche. Questo libro è innovativo anche per l'organizzazione del testo, che segue lo svolgersi di un pasto “di grasso” in tre portate, ciascuna delle quali forma l'oggetto di un capitolo. “Il terzo capitolo - appunto - tratta della preparazione di gelatina /mandorle/creme/orzo mondo/sale e molti altri ripieni di carni”.


ENOGASTRONOMIA Sulla fortuna della mandorla ha inciso consistentemente il latte, una bibita molto energetica e dissetante utilizzata soprattutto nelle caldi estati dei Paesi mediterranei. Le mandorle si spellano, dopo essere state immerse in acqua bollente, si pestano e si lasciano riposare dodici ore in una terrina, coperte da acqua fredda. Dopo aver filtrato il composto con una tela a trama larga, si porta il liquido ad ebollizione con lo zucchero per circa dieci minuti. Latte di mandorle

Lo sciroppo deve essere servito allungato con acqua freschissima. La sua produzione è molto antica e radicata nei monasteri. Nel Medioevo la provenienza non animale del prodotto ha reso il latte di mandorla, non zuccherato, particolarmente adatto nel periodo di Quaresima. Tipicamente siciliana, la bevanda è diffusa anche in Calabria, in Basilicata, in Campania e in Puglia, dove è stata inserita nell'elenco dei prodotti agro alimentari tradizionali. Una delle ricette italiane più celebri, a base di mandorla, escludendo il variegato universo dei dolci, è senza ombra di dubbio il pesto alla trapanese, un piatto tipico inserito anch'esso tra i prodotti agro alimentari tradizionali siciliani su proposta regionale. È un piatto molto antico, che risale al Medioevo, quando nel porto di Trapani facevano scalo le 43


CULTURA A parte, una ricetta ormai nota in Italia anche se di chiarissima origine cinese, sintomo dei ponti che il cibo può gettare tra un mondo e l'altro: il pollo alle mandorle.

Busiati con pesto di mandorle alla trapanese

galere genovesi, provenienti dall'Oriente (dove entravano in contatto con la cultura araba), che portarono la tradizione dell'agliata ligure, a base di aglio e noci, l'antenato del pesto, che fu rielaborato dai locali con i prodotti del loro territorio: il pomodoro e le mandorle. Come il “parente” ligure, è una salsa cruda a base di pomodori, mandorle pelate, basilico, aglio, olio, sale e pepe. Solo a fine cottura si aggiungerà il pecorino grattugiato. Le paste utilizzate secondo tradizione sono i busiati, una pasta a forma di maccherone attorcigilato con un ramo di buso e gli gnoccoli, incavati a mano con le dieci dita. Recentemente , per comodità, si utilizzano paste secche e lunghe come bucatini e linguine. Fiori di mandorlo

DA ABBINARE CON Oltre alla denominazione di prodotto agro alimentare tradizionale siciliana per la denominazione mandorle, esistono altre denominazioni riconosciute ufficialmente: la Mandorla di Cegle Messapica, in Puglia, caratterizzata da una forma a due semi ovali, la Mandorla di Avola, siciliana, e la Mandorla di Tritto, anch'essa pugliese, oggi presidio slow food. 44

Cerasuolo di Vittoria DOCG È un vino a DOCG siciliano prodotto con uvaggio Nero d'Avola dal 50% al 70% e Frappato dal 30% al 50%. La sua produzione è consentita in parte delle province di Ragusa, Caltanisetta e Catania. Di colore rosso ciliegia, tendente al violaceo, è floreale o fruttato all'olfatto. Il suo sapore è secco, pieno, morbido e armonico. Il titolo alcolometrico minimo è di 13 gradi.




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