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Sotto la lente Italiani in cammino

l’altraitalia

numero 53 - ottobre 2013

Fr. 5.20 Euro 5.00

la voce e l’immagine degli italiani nel mondo

PSICOLOGIA

Stress o esaurimento nervoso? ENOGASTRONOMIA

TURISMO

Brutti ma buoni

Il lago di Como

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È interminabile l'elenco di vittime senza nome ingoiate dal Mediterraneo: migliaia di uomini, donne e bambini morti nella ricerca di un futuro migliore. Ed è strano che ancora una volta le parole più forti vengano dal Papa: “VERGOGNA”. Il nostro pensiero va alle vittime di Lampedusa.

MARE NOSTRUM Solcato profondo vigilato annulli e disperdi le estreme distanze. Nero che riempi di lamenti il cielo trasparente di legni divelti composto di oli tremolante di luna. E profumi di zagare e vai giù lento e attenui di onde le mete sinistre di cieca miseria. Fa paura la notte di chi in te si ripara e raggeli le case a chi ti osserva deporre le salme scomposte che tu hai cullato. Tu non hai colpa Mare nostro insanguinato. Dany Tazzioli


l’altraitalia

SOMMARIO

Sotto la lente

Editore l'altraitalia Neuhofstrasse 5 CH - 8630 Rüti 0041 (0)56 535 31 30 info@laltraitalia.eu www.laltraitalia.eu

Italiani in cammino Louis Carrozzi Pascal D Angelo Testimonianze L impatto con l ignoto

14 18 20 23

Direttore Responsabile Maria Bernasconi L INTRUSO

Vice direttore Manuel Figliolini

Il balletto di Silvio

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OPINIONI Frecciatine

Direttore di Redazione Rossana Paola Seghezzi

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ATTUALITÀ PSICOLOGIA

Collaboratori

Stress o esaurimento nervoso?

Stefano D Alessandro Giovanni il Battista Gian Maria Bavestrello Generoso D Agnese Umberto Fantauzzo Simona Guidicelli Immacolata Mennillo Mauro Poretti Armando Rotondi

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FINANZA Il caso Telecom

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MODA Tendenze

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ISTRUZIONE Asino che legge

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PSICOLOGIA Omosessualità: cosa è?

Foto rsp futura sagl

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CULTURA TURISMO Il Lago di Como

Redazione grafica e stampa VisualFB - Magliaso visual.fb@bluewin.ch

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MUSICA Davide Van De Sfroos

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STORIA L introduzione della psicoanalisi in Italia 33

Webmaster Alfredo Panzera

CINEMA Due documentari italiani alla conquista di Venezia

Contatti redazione@laltraitalia.eu

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BENESSERE E SALUTE Il castagno

Pubblicità info@laltraitalia.eu

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ENOGASTRONOMIA Brutti ma buoni

OTTOBRE 2013

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dalla Redazione

IL balletto di Silvio Sabato 28 settembre 2013 - Nel pomeriggio Berlusconi diffonde un comunicato in cui invita i ministri del PdL a dimettersi. Secondo Berlusconi sono stati violati i “patti su cui si fonda questo governo” in seguito alla decisione di Enrico Letta “di congelare l’attività di governo, determinando in questo modo l’aumento dell’IVA”. - Poco dopo i ministri PdL - Angelino Alfano, Nunzia De Girolamo, Beatrice Lorenzin, Maurizio Lupi e Gaetano Quagliariello - diffondono a loro volta una nota in cui confermano di voler dare le dimissioni. Ma nelle ore successive diventa chiaro che la decisione non è pienamente condivisa dai ministri. - Fabrizio Cicchitto a suo modo si dissocia da Berlusconi e ricorda che “una decisione di così rilevante spessore politico avrebbe richiesto una discussione approfondita e quindi avrebbe dovuto essere presa dall’ufficio di presidenza del PdL e dai gruppi parlamentari”. Domenica 29 settembre 2013 - Considerate le reazioni, Berlusconi aggiusta il tiro con un nuovo comunicato in cui spiega nuovamente i motivi che lo hanno spinto a ritirare i ministri, ma in cui dice anche di essere disposto ad appoggiare ancora il governo Letta ad alcune condizioni: “se proporrà una legge di stabilità realmente utile all’Italia, noi la voteremo”. - Angelino Alfano, vicepresidente del Consiglio, pubblica a sua volta una nota in cui ribadisce la lealtà a Berlusconi, ma in cui ricorda che “non possono prevalere posizioni estremistiche estranee alla nostra storia, ai nostri valori” e che si conclude con “se sono quelli i nuovi berlusconiani, io sarò diversamente berlusconiano”.

- Nel tardo pomeriggio Berlusconi interviene telefonicamente durante Studio Aperto spiegando nuovamente la decisione del giorno prima e ricordando che le crisi di governo non sono un problema, e che da imprenditore era sempre contento quando se ne verificava una. - Ospite di Che tempo che fa, Letta annuncia che si recherà in Parlamento mercoledì 2 ottobre per chiedere la fiducia. Lunedì 30 settembre 2013 - Berlusconi conferma la decisione presa: “il Pdl non voterà la fiducia al governo”. Martedì 1 ottobre 2013 - In serata, dopo il vertice di Palazzo Grazioli, assente il segretario Alfano, arriva l'ordine: Il Pdl domani vota no alla fiducia al governo Letta. - L'ultimo incontro tra Silvio Berlusconi e Angelino Alfano in nottata. Mercoledì 2 ottobre 2013 - ore 10.00. Silvio Berlusconi insieme con il gruppo del Pdl ha confermato la decisione di votare no alla fiducia decidendo di restare inAula. “Se uscissimo fuori sarebbe un gesto ambiguo e gli elettori non lo capirebbero”. - ore 13.00. ''Mettendo insieme le aspettative e il fatto che l'Italia ha bisogno di un governo che produca riforme istituzionali e strutturali abbiamo deciso non senza interno travaglio per il voto di fiducia''. Così Silvio Berlusconi inAula al Senato. 3


OPINIONI di Giovanni il Battista

Nel maggio scorso mi è capitato di captare un'intervista fatta da una giornalista ad un suo collega, avente per tema il caso di Danilo Di Luca, ciclista, che dopo aver scontato due anni di squalifica per doping si è ancora fatto pizzicare non in regola durante l'ultimo Giro d'Italia essendosi somministrato dell'Epo.

La conversazione fra i due specialisti della carta stampata, dopo la necessaria filippica contro l'assunzione di sostanze dopanti, è sfociata in una dissertazione toccante la parte personale e privata dell'atleta, quasi a tentare, in qualche modo, di giustificare il comportamento del ciclista. Del tipo: “... poverino era stato scosso dalla prima squalifica e dalla reazione della gente. Lui è un talento sportivo con delle fragilità caratteriali che cercava di correggere ricorrendo a pratiche non corrette ...” Sono rimasto, a dire il vero, molto sorpreso, e soprattutto perplesso, per la posizione dei due professionisti della parola, soprattutto quando hanno esteso la loro analisi ad altrisventurati sportivi (?) del passato, perseverando nell'impostare la loro disamina facendo lo stesso percorso: “... colpevole, ma con tante attenuanti … anzi ... quasi eroe perché combattente contro le avversità della vita ...” Ora, sarà perché ai miei tempi non si conoscevano sostanze o pratiche che dovrebbero dare qualche spinta in più (a parte qualche erba cipollina raccolta nei nostri campi), sarà perché il mondo è così cambiato e forse le ambizioni e gli obiettivi di vita non sono più quelli di una volta, ma da parte mia non riesco, malgrado la buona volontà e pazienza (come quella del 4

mio amico Giobbe), a capire, interpretare e quindi essere, anche solo parzialmente, d'accordo con le motivazioni che davano i cronisti raccontati sopra. A mio modesto avviso, da qualsiasi parte si possa esaminare la questione, non vedo altra posizione da prendere nei confronti delle persone che prendono questi ... “energetici” …, se non quella di condanna. Mi si dirà: “Giovanni Battista tu sei troppo drastico, estremo, assolutista: devi capire le umane debolezze!” O ancora: “Sei un moralista, fai retorica ...” Rispondo io: “no, grazie. Troppo facile: nessuna giustificazione per favore! Punto!” Le persone che hanno un talento qualsiasi (potenzialmente tutte), in un ambito o in un altro, è giusto che lo coltivino per diventare sempre migliori, più forti, più performanti. Quali sono le eccellenze che puoi e devi coltivare e valorizzare? Tutte, senza riserve ma senza mezzi, chiamiamoli, illeciti, altrimenti il castello crolla come per incanto. “Si ma, senza un aiutino ... non ce la faccio, non sarò mai tra i primi, mai vincerò, il mio avversario mi sovrasterà, non reggo il ritmo, comunque prendo dosi basse, faccio trasfusioni non pericolose, sono pastiglie che si sciolgono


FRECCIATINE subito e non intaccano il fegato, sono solo stimolanti naturali ... basta prendere per 10 giorni degli sciroppi smaltenti, comunque così fanno tutti!” Io direi, pacatamente, che assumere pastiglie, fare trasfusioni, punture, sorbire sciroppi di varia natura per arrivare a risultati di cosiddetta eccellenza sportiva e non, è solo aberrante: sono io moralista, retorico e bacchettone? Ok, se è così che deve essere: io lo sono e non cambio idea!

E purtroppo, come sappiamo, tutto questo ha intaccato anche il mondo dei “non-talenti” e degli sportivi “della domenica” che, ancor peggio, si dopano il triplo dei cosiddetti “talentuosi” per tentare di raggiungere qualche risultato! Mi si dice: “Peccato anche per l'aspetto umano della persona: chissà quante sofferenze, quante fragilità, quante paure!” Mi possono, per favore, spiegare queste persone che difendono i “dopati” qual'è la differenza fra la persona “privata” e quella, in questo caso, “sportiva”?

Che gusto c'è a vincere barando? Lo fanno tutti? È uno scarico morale quindi andiamo avanti? Che gusto c'è? Più mi dopo più vinco perché divento più forte e resistente degli altri partecipanti ad una gara? Ma, dico io, perché non stabilire allora che la qualità della performance di un evento sportivo (e non solo) sia non solo arrivare primo ma, anche e soprattutto, quanto “doping” si è preso e più ne ho assunto più sono bravo e più vinco medaglie e coppette? “Signore e signori: il concorrente Bianchi, giunto primo, gran brava persona, si è ‘sparato’ 300 grammi in più di Epo del concorrente Rossi giunto secondo! Bravo! Bianchi riceve anche un diploma di ‘qualità di dopaggio’ con allegato ‘buono’per un premio (ad honorem o alla memoria ?) di 10.000 Dollari guadagnati se entro 10 anni si ammala di tumore al fegato, preferibilmente maligno! Signore e signori, un bell'applauso!”

Moralista? Se uno ha talento, ma non abbastanza per arrivare primo, continui a fare quello per cui riesce bene con passione ed amore: gli farà bene fisicamente, moralmente, psichicamente, emozionalmente e socialmente. Punto !

Sono diverse? Quale delle due persone condanniamo? Quella “sportiva” o quella “privata”? Non sono forse la stessa persona o per millenni io l'ho pensato e mi sono clamorosamente sbagliato? “Io sono due”? Quando faccio qualche cosa di buono è la mia parte destra che riceve i complimenti e quando sono cattivo è solo la parte sinistra che è colpevole! Ma di cosa stiamo parlando? Direi anzi che è proprio, paradossalmente (volendo seguire il ragionamento dei “non moralisti”, dei benpensanti e degli assolventi!) la persona “privata” (quella che prende la decisione scatenante di dopare il suo “io sportivo”), la più colpevole di questo duello “a due”, visto come, a me sembra, la persona “sportiva” ,è solo una trasposizione di quella “privata” e non viceversa. Mamma mia: dove mi avete portato con questo ragionamento contorto? Tutti sulla stessa barca? Pantani, Amstrong, Johnson, Maradona, Basso, Cipollini e gli altri 300 mila ... ? Qual'è l'insegnamento che diamo ai nostri giovani a livello di educazione, di moralità, di rettitudine? Un altro aspetto negativissimo di questo modo di pensare è che chi sempre più si sta sentendo come un “diverso” non è il dopato ma il puro! Qualcuno ha detto: “Il proprio idolo per un tifoso è come un figlio per una madre, è difficile ammettere che possa essere diverso da come lo si vuole”. Dove andiamo a finire? Convertitevi amici “non moralisti”, “non-retorici”, “molto liberali”, fareste solo del bene all'umanità. Homo quisque faber ipse fortunae suae. Omnia munda mundis. 5


ATTUALITÀ di Immacolata Mennillo

Stress o esaurimento nervoso? A tutti noi, almeno una volta nella vita, sarà capitato di ripetere o ascoltare frasi del tipo Sono troppo stressato ! - oppure - Mi sento in preda ad un esaurimento nervoso! . Ma cosa è di preciso lo stress e a cosa serve? È innegabile, la società moderna ci espone a dei ritmi molto frenetici e troppe volte insostenibili. La giornata è scandita da un susseguirsi di impegni di studio, lavoro, casa, famiglia, code agli sportelli, relazioni sociali, hobby.

Fermarsi è impossibile, bisogna assolutamente sbrigarsi perché il dovere chiama, ci sono scadenze da rispettare, appuntamenti da non perdere, obiettivi da raggiungere. Dopo una serie interminabili impegni finalmente arriva la sera, il momento del relax in cui stranamente non ci si riesce a distendere. Questo è un segnale da prendere in considerazione, significa che abbiamo decisamente chiesto troppo al nostro organismo! Cos’è lo stress di preciso? Lo stress può essere descritto semplicemente come una risposta fisiologica che il nostro organismo mette in atto in seguito ad una sollecitazione(stressor). Immaginiamo ad esempio che ci venga richiesto di svolgere un lavoro importante o di dover risolvere una questione piuttosto seria, che ovviamente necessita di tutta la nostra concentrazione. In simili circostanze, un livello adeguato di tensione può rivelarsi particolarmente utile perché attiva le nostre risorse, ci rende più vigili, più attenti e di conseguenza più pronti ad affrontare i problemi. 6

Questo è un esempio di come lo stress possa agire in maniera positiva, adattando adeguatamente le nostre risposte ai momenti difficili della vita. Cosa accadrebbe se un cacciatore di fronte ad un animale feroce non si mettesse seriamente in allarme? Sicuramente le conseguenze sarebbero devastanti, per cui uno stato di allerta si rende assolutamente necessario per scongiurare una vera e propria catastrofe! Lo stress incide negativamente sulla nostra salute solamente quando si protrae per periodi molto lunghi, nel caso in

Cosa può fare lo psicologo in caso di stress prolungati? Lo psicologo può essere di aiuto al paziente per analizzare con lui le motivazioni della sua tensione emotiva, le dinamiche interne che impediscono di esprimere la sua vera essenza, fornendo al contempo sostegno all ansia, decisioni, problemi e difficoltà esistenziali.


PSICOLOGIA cui ci sottoponiamo a impegni eccessivamente pressanti o a ritmi decisamente troppo duri da sostenere. Bisogna cioè imparare ad “ascoltare” i nostri bisogni, capire quale è il momento giusto per staccare la spina, concedendosi qualche attimo di quel meritato riposo che ristora, rigenera e restituisce la giusta carica per ripartire con entusiasmo! Cos’è l’esaurimento nervoso? L’esaurimento nervoso (neurastenia) si verifica in genere in seguito a periodi di stress troppo prolungati e consiste in un quadro sintomatologico caratterizzato da: Bisogno di sonno Nervosismo Instabilità emotiva Stanchezza fisica continua Difficoltà a tollerare eventi stressanti Il modo di affrontare le situazioni incide sullo stress? L’errore più comune è pensare che le situazioni di stress estremo siano un male necessario, una condizione inevitabile di fronte agli improrogabili doveri quotidiani che la società ci propone. Se fosse così saremmo tutti condannati all’infelicità eterna, alla stanchezza perpetua, allo sfinimento totale. È bene sottolineare che ciascuno di noi ha un proprio carattere, una propria personalità, un diverso modo di fare e di conseguenza un proprio modo di reagire ai problemi. Immaginiamo ad esempio di voler mettere a confronto le reazioni di un gruppo studenti in una medesima situazione di esame. Noteremmo come ciascuno di essi si comporti in modo differente e conforme alla propria personalità. Gli allievi più ansiosi sono generalmente quelli che stanno maggiormente in apprensione, passano il tempo a ripetere all’infinito le nozioni già apprese e si tormentano nel guardare l’orologio per la paura di non riuscire a consegnare in tempo il compito. Qualcuno invece potrebbe apparirci del tutto tranquillo mentre, con estrema disinvoltura evita di guardarsi intorno e si limita a concentrarsi, mentre altri si bloccano al punto da non riuscire a proferire parola .

Di fronte alla medesima situazione ognuno reagisce così come sente di reagire, non c’è una risposta standard uguale per tutti. In altre parole, le problematiche psichiche, le dinamiche interiori, le percezioni personali interferiscono sul modo di affrontare le difficoltà, sulle emozioni, sulle sensazioni e perfino sui ricordi.

Quando ci si sente estremamente spossati o nervosi non si può dare la colpa solo a ciò che ci sta intorno! Gli eventi esterni possono generare stress, è vero, ma la tensione che proviamo è realmente dovuta a pressioni al di fuori del nostro controllo e indipendenti dalla nostra volontà? Molto è dovuto al modo con cui guardiamo la vita, da quei soffocanti “lacci interiori” che limitano la nostra libertà di agire e minano fortemente la serenità. Se affrontare la vita diventa un’ estenuante lotta quotidiana è segno che qualcosa in noi deve cambiare. Molte volte si fa fatica a pronunciare la parola “no”, ci si sovraccarica di troppe faccende da sbrigare , trascurando la cura del proprio spazio vitale nel quale trovare l’energia necessaria per sorridere alla vita.

Secondo una ricerca condotta dall Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna (ONDA), 9 milioni di italiani soffrono di stress da lavoro e 6 milioni di essi sono donne. Cosa fare quindi contro lo stress? Ci sono rimedi naturali per affrontare la cosa.

Che cosa fare contro lo stress e quali rimedi naturali si possono mettere in pratica? La prima cosa sensata da fare è cercare di non prendere più impegni rispetto a quelli che si possono portare avanti. Certamente non è facile, ma se si pensa che questo genere di abitudine alla lunga non permetterà di svolgere nemmeno un impegno, allora è meglio pensarci bene due volte. Questo si può risolvere con un buon corso di Gestione del tempo , dove si applicano dei metodi molto efficaci, non solo per far bastare il tempo, ma per vivere una giornata lavorativa con un grado di stress basso. A questo ad esempio si può aggiungere del sano sport. Due, tre volte la settimana in piscina con acqua ad una temperatura di 25-30 gradi, può essere un ottimo metodo naturale per rilassarsi e scaricare lo stress accumulato. Anche una sauna potrebbe essere un'ottima soluzione. Per chi invece non ha voglia di uscire può tranquillamente fare un bel bagno caldo ed immergersi nella vasca con il risultato di scaricare tutte le tensioni. Ecco perché fare il bagno è più conveniente di fare la doccia. Infine e non per ultimo, si possono praticare gli esercizi di rilassamento. L'ideale sarebbe applicare insieme tutti i metodi descritti fino a questo punto. Ad esempio: Si inizia con il fare 10 minuti di attività fisica, poi un bel bagno in acqua calda e poi per completare l'opera degli esercizi di rilassamento un bel sonno ristoratore. Fare tutto ciò è importante, perché si ritrovano nuove energie, le stesse che l'indomani ci daranno voglia di fare, creare e portare a termine i nostri impegni.

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ATTUALITÀ di Stefano D’Alessandro

Il caso Telecom e le sue ripercussioni Telecom Italia passa al gruppo spagnolo Telefonica che nel giro di un anno ne assumerà il pieno controllo. Se infatti, in questa prima fase, gli iberici giungeranno ad ottenere ben il 66% del capitale di Telco, in una seconda la loro presenza arriverà al 70%, e infine, a giugno 2014, avrà la possibilità di salire al 100%, permettendo così l uscita agli attuali soci italiani di Telco, ovvero Intesa San Paolo, Generali e Mediobanca. All’indomani dell’accordo restano da sciogliere una serie di nodi. Innanzi tutto, quale ruolo avrà la Telecom sotto la conduzione della Telefonica. Rimarrà un’azienda di punta per le telecomunicazioni europee o diventerà solo una delle tante acquisizioni della società spagnola? In secondo luogo, la curiosità di tutti va indubbiamente al mercato brasiliano, quello che ha assicurato in questi anni alla Telecom i migliori profitti. Le ultime notizie vedono Tim Brasile prossima ad essere venduta sul mercato, anche con lo scopo di ridurre il debito contratto in questi anni dall’azienda italiana. Grande però la paura che la cessione delle attività in Brasile possa provocare ripercussioni negative sull’occupazione italiana: per i sindacati i posti di lavoro a rischio sono circa dodicimila. Infine, la questione più importante; il destino della rete di Telecom Italia. Questo viene considerato un punto cruciale, in quanto essa costituisce un’importante fonte di risorse che non possiamo permetterci di perdere. Probabilmente Telefonica vorrà mantenerne la proprietà, ma il direttore dell’Agcom Antonio Preto sostiene che “se lo scorporo non sarà volontario, forse ci sono le condizioni per imporlo”. A questo proposito, in un’intervista a Bloomberg Tv, il presidente del consiglio Enrico Letta ha dichiarato che la rete è “interesse strategico”, anche perché “il livello degli occupati in Telecom Italia deve essere mantenuto”. Martedì 1 ottobre un’informativa sul caso è stata presentata alla Camera. Interessante osservare la reazione dei politici alla vicenda; dal PD come dal Pdl si sono levati alti gli sdegni per questo “pezzo d’Italia” che se ne va. Eppure, ci viene da dire, queste improvvise repliche sembrano scaturire da una quanto mai tardiva indignazione, visto che la Telco era già a maggioranza spagnola, e che da tempo i soci italiani avevano intenzione di vendere la loro parte. 8

Le origini La Società Telefonica Interregionale Piemontese e Lombarda (Stipel) nasce nel 1925. Nello stesso anno il governo Mussolini riorganizza il sistema telefonico dividendo il territorio italiano in 5 zone: Lombardia e Piemonte, gestite da Stipel; Italia centrale con centro a Bologna da TIMO; Italia centrale con centro a Firenze e Roma da Teti; Veneto da TELVE; Italia meridionale da SET. È nel 1964 che le cinque società si uniscono sotto il nome di SIP - Società Italiana per l'Esercizio Telefonico. Nello stesso anno STET - Società Finanziaria Telefonica S.p.A. dell'IRI per il settore delle telecomunicazioni, giunge a controllare Telespazio, attiva nell'ambito delle comunicazioni spaziali, la società Radiostampa, responsabile dei servizi telegrafici e radiotelegrafici e Italcable, impegnata nelle telecomunicazioni intercontinentali. Superata la crisi economica degli anni '70 che colpisce anche Sip, gli anni '80 vedono il piano di ristrutturazione della società, l'introduzione del nuovo marchio aziendale, una maggiore varietà di servizi e prodotti, nonché innovazioni sul piano tecnologico, come i nuovi sistemi informativi. Nel 1985 con il progetto San Salvador comincia il processo di numerizzazione della rete telefonica su tutto il territorio italiano. Inoltre dalla seconda metà degli '80 Sip introduce le fibre ottiche. È invece del 1993 l'avvento della Rete intelligente, che per la prima volta offre un'ampia gamma di servizi in tutta Italia, tra cui ad esempio il "Numero verde". Nel 1985 la Stet vende delle azioni Sip sul mercato e passa dal 82% di Sip al 54% di Sip (continuando a detenere il controllo). La classe politica avrebbe dovuto prevedere quanto oggi sta accadendo, dal momento in cui ha optato per una massiccia privatizzazione del bene pubblico: l’infiltrazione di capitali privati, unita alla crisi interna che sta colpendo il nostro paese, sono i due fattori che hanno portato all’attuale situazione. Ciò che è certo, al momento, è solo questo: investendo circa un miliardo di euro, la Telefonica è riuscita ad appropriarsi di una società che, solo sul mercato brasiliano, aveva un incasso dieci volte maggiore.


MODA dalla Redazione

Tendenze È ancora tempo di memorie estive, ma la moda è già orientata, risoluta e decisa, verso l'autunno/inverno. Tutto cospira per rendere invogliante la rentrée dalle vacanze con una moda accattivante, seduttiva e avvolgente. Le prossime tendenze ci vogliono pronte a metterci in riga con tessuti gessati, tweed o pied de poule su tagli ultra femminili, con il tartan scozzese rieditato in versione metropolitana, con le forme XXL, con tocchi di rosa tenue, rosso porpora o colori decisi, candore niveo opposto stampe a gogo, gonne a ruota e tante altre novità.

Anni '50 In evidenza il punto vita con gonne, abiti e cappotti che si stringono sui fianchi per allargarsi come corolle fluttuanti intorno alla figura. Da tenere in considerazione anche la lunghezza midi, a metà polpaccio. Questa linea accomuna gonne, abiti e cappotti dedicati ad una femmilità e seduttività delicatamente retrò. Stampe e fantasie Le fantasie sono molto presenti nelle collezioni: si ispirano a microdisegni pigiama-style, a fiori esotici e mediterranei oppure si definiscono in quadretti, righe e pois, fino all'onnipresente animalier con la sua vena selvaggia. La ricerca raggiunge talvolta ispirazioni surreali e mix inaspettati. Tartan Riflettori puntati sullo scozzese, rieditato in versione metropolitana, rielaborato nel design, applicato ad ogni modello e colore. Declinato dal classico kilt alle giacche più destrutturate e ai cappotti oversize, dai vestiti college a inserti per scarpe e borse: se si ama il tartan, questa è decisamente la stagione perfetta per indossarlo. 9


ATTUALITÀ Pied de poule, Gessato, Tweed e Principe di Galles I tessuti più tipicamente propri del guardaroba maschile vengono ripresi e reinventati per creare una versione femminile, con allure ironica e accenti borderline tra il serio e il creativo: i classici tailleur e le trame tradizionali si rinnovano con forme particolari e revisioni delle proporzioni del disegno, mantenendo la sensazione calda e avvolgente della lana con tagli rinnovati. Taglia XXL I cappotti della stagione hanno proporzioni ampie, avvolgenti, decisamente oversize, oppure tagli assolutamente maschili, sia rigorosi che morbidi, a vestaglia. Non sono per tutte, o si amano o si odiano, si tratta di capi particolari che non evidenziano le forme ma regalano un'eleganza sottintesa, allusiva, mimetica. La forma cocoon nasconde la silhouette, rivelandola strategicamente attraverso aperture o spacchi inattesi. Proposti in tessuti versatili come lana e mohair, color cammello, a quadri, in tinta unita, dalle lunghezze variabili e spalle importanti.

Bianco, rosa e altre storie È una stagione di tonalità minimali prevalenti. Sicuramente chic, il bianco illumina l'inverno con forme pure ed essenziali. Il rosa compare nella sua intonazione più soft e delicata, in armonia con tutta la palette di colori invernali. Il rosso domina negli accessori, ma non disdegna interventi monocromatici decisi nell'abbigliamento. Non mancheranno il total black per uno stile punk e il blu, nella palette dal bluette al notte, elegante e disarmante nella sua profondità. 10


AUTUNNO/INVERNO 2013-2014


MILANO VILLA NECCHI CAMPIGLIO dal 10 OTTOBRE al 24 NOVEMBRE 2013

JOLE VENEZIANI Alta moda e società a Milano Dal Mercoledì alla Domenica 10.00 - 18.00 (ultimo ingresso alle 17.15)



ITALIANI IN CAMMINO di Generoso D’Agnese

Louis Carrozzi Se li avesse percorsi oggi, sarebbe entrato nel Guiness dei Primati. Ottomila chilometri a piedi, attraversando letteralmente tutto il Sud America e il Centro America per arrivare sul territorio statunitense, non è infatti cosa da poco e chiunque lo facesse meriterebbe l attenzione di tanti mass media. Nessuno però si interessò a Louis Carrozzi che quel viaggio lo fece realmente e solo per la grande voglia di lavorare negli Stati Uniti. Partì con uno zaino e pochi spiccioli, un cane al guinzaglio e avendo come punto di riferimento un solo punto: il Nord.

Vi arrivò dopo anni e dopo aver patito mille disavventure. Impossibilitato a raccontare la sua storia perché nel Paese a stelle e strisce arrivò da clandestino e vi visse per alcuni anni. Ma tutto questo non importava a Louis Carrozzi. Alui bastava aver vinto la sfida con lo spazio. Nato cento anni fa a Camarda, paese alle falde del Gran Sasso, diventato, nel 1927, frazione de L'Aquila, Luigi nel 1926, prese la via dell'Argentina e approdò a Puàn, per lavorare alla fattoria di alcuni parenti. Non era quello il suo obiettivo. A tutti gli amici Luigi disse di voler andare 14

a lavorare negli Stati Uniti e per tale sogno si mise in fila per ottenere il visto. Ma un imprevisto cambio nelle leggi tra i due stati chiuse temporaneamente la porta a chi era in attesa di imbarcarsi verso New York. E chiuse le porte alle speranze di Luigi. Il giovane non si rassegnò mai alla chiusura della frontiera nordamericana. Per lui gli Stati Uniti dovevano essere raggiunti, a tutti i costi. Con pochi spiccioli in tasca Luigi si mise in marcia, lasciandosi alle spalle la fattoria dello zio Odorisio, a 500 chilometri a sud di BuenosAires. Era il giugno del 1930.


SOTTO LA LENTE Luigi (che negli USA adattò il suo nome in Louis), sulla scorta delle sue certosine annotazioni di viaggio, raccontò le sue avventure ma ebbe poche possibilità di far circolare la sua straordinaria marcia attraverso il Continente americano. Sposatosi con Margareth Brigante (di origini calabresi) Carrozzi morì a soli 50 anni, nel 1959, a LosAngeles e la sua storia si perse nella polvere del tempo. Venne riscoperta soltanto tanti anni dopo, grazie alle ricerche di Errico Centofanti, al recupero di ogni parte della memoria e delle testimonianze familiari. Eccezionale contributo è stato dato da Madeline Carrozzi, la figlia di Louis, nata negli Stati Uniti ed attualmente residente in California, che poté salutare con commozione l’uscita della versione italiana del libro di viaggi del padre: “La mia grande avventura”, edito da Portofranco con la collaborazione dell’associazione culturale San Pietro della Ienca. Il restauro testuale è stato mirato a riportare il testo il più possibile vicino alla stesura autografa, ed è un'opera che si lascia leggere con piacevole e partecipe curiosità, che attraversa la mente non senza lasciare tracce significative. Una storia che potrebbe tranquillamente affascinare qualche produttore cinematografico e che consegna alla storia un’avventura italiana che trova il suo “doppio” nella camminata di Salvatore Borsei, capace di attraversare l’intera Africa, da solo e a piedi e negli stessi anni, per raggiungere il Sudafrica e iniziare una nuova vita lavorativa. Ma questa è un’altra storia. Carrozzi ebbe come compagno solo un cane e passo dopo passo attraversò Argentina, Bolivia, Perù, Ecuador, Colombia, Panama e Honduras, prima di raggiungere New York clandestino su una nave bananiera, nel maggio del 1932. Lungo il cammino il ragazzo italiano incontrò ogni sorta di disavventura. Incarcerato, rapinato più volte, sequestrato, torturato da una tribù indigena di antropofagi, Carrozzi si adattò a vivere e dormire nei luoghi più selvaggi, dividendo lo spazio con serpenti e altri animali pericolosi. Più volte si cibò soltanto di radici e erbe e combatté per due anni la sua personale battaglia per la sopravvivenza. Sopravvisse perfino ad un terremoto ed a una rivoluzione. Quella di Luigi fu una vera e propria epopea. L’italiano incontrò la generosità degli umili e l'indifferenza dei benestanti. Ma nulla riuscì a fermarlo: né le febbri né il mal di montagna né le sabbie mobili né le pestilenze, niente riuscì a dissuaderlo. Una storia dimenticata dagli studiosi dell’emigrazione, perché rappresenta un granello infinitamente piccolo nel Mare Magnum della migrazione italiana. Ma non dimenticata nel piccolo paese di Camarda, dove per anni circolava la storia di Carrozzi. Raccontata come una leggenda e recuperata alla cronaca grazie alle ricerche di un editore italiano, dopo il ritrovamento del testo scritto in inglese, pubblicato negli Stati Uniti e mai tradotto in italiano. Quella di Carrozzi era infatti una storia pubblicata solo nel 1954: l’avventurosa marcia non aveva potuto divulgare subito le memorie della sua avventura, in quanto era entrato illegalmente negli Usa.

Emigrazione, pregiudizio e xenofobia nei confronti degli Italiani Solo tra il 1880 e il 1920 oltre quattro milioni di italiani, soprattutto meridionali, emigrarono in America. Inizialmente trovavano ad accoglierli la "Statua della Libertà che illumina il mondo" (questo è il suo nome per esteso). Ma in realtà, sbarcati a Ellis Island ed entrati negli Stati Uniti, gli italiani erano invece accolti dal forte pregiudizio negativo di una maggioranza bianca (più bianca di loro), anglosassone e protestante (dunque di etnia, mentalità e religione diversa). E spesso non si capivano neanche con altre minoranze cattoliche (irlandesi, polacchi, portoghesi). A parte qualche mafioso, gli italiani finivano solitamente a fare i lavori più umili e faticosi: spazzini, lavoratori nella costruzione di ferrovie, scaricatori di porto, minatori, braccianti agricoli, calzolai, stagnini, quando andava meglio venditori ambulanti, fruttivendoli. Questo era per la stragrande maggioranza di loro l'"american dream", il sogno americano. Un emigrato italiano a proposito dell'"american dream" disse: arrivai in America pensando che le strade fossero lastricate d'oro, ma imparai subito tre cose: 1) le strade non erano lastricate d'oro; 2) le strade non erano lastricate affatto; 3) io ero quello che doveva lastricarle. 15


ITALIANI IN CAMMINO Gli italiani tutti mafiosi

Nel profondo sud tanti italiani, sbarcati a New Orleans, finivano a lavorare come braccianti agricoli nelle piantagioni di cotone o di canna da zucchero, rimaste a corto di mano d'opera dopo l'abolizione della schiavitù. Nel tempo il pregiudizio verso gli italiani, non del tutto desiderabili, portò il congresso americano ad approvare nel 1921 una legge che limitava la quota di immigrati dall'Italia a non più di 29.000 all'anno. Questa legge rimase in vigore fino al 1965. C'e' un'altra storia di pregiudizio, più triste perché riguarda i bambini. All'inizio del '900 i bambini di immigrati italiani a scuola venivano considerati dagli insegnanti inferiori da un punto di vista intellettivo, e venivano successivamente avviati al lavoro manuale piuttosto che al college.

I diritti civili degli italiani Il pregiudizio più comune era che gli italiani nascessero di indole violenta, che fossero tutti mafiosi, ma anche eccessivamente sentimentali, superstiziosi, rozzi, ignoranti. Vivevano per lo più in quartieri sovraffollati e malsani spesso chiamati Little Italy o little qualcos'altro, in città quali New York, New Orleans, Chicago, San Francisco. Una zona del French Quarter di New Orleans per esempio, dove vivevano gli italiani, si chiamava “Little Palermo”, perché in tanti provenivano da Palermo o dai suoi dintorni. Siccome gli italiani provenivano in prevalenza dal meridione, per via del termine usato spesso tra loro nella conversazione - come del resto si usa ancora oggi nell'Italia meridionale - venivano chiamati “gumbà”. Altri appellativi usati in senso dispregiativo erano: “Guido”, “guinea”, “dago”, “greaseball”, “wop”. Guido pare si riferisse allo stereotipo dello spaccone. Guinea si riferiva originariamente a schiavi negri, termine poi esteso nell'uso agli italiani per via della loro carnagione olivastra. Dago perché tanti italiani lavoravano a giornata (dunque pagati a giornata, as the “day goes”, da cui dago). Greaseball (palla di grasso) perchè gli italiani usavano molta brillantina per i capelli. L'origine di wop è interessante. Ci sono due ipotesi: si discute se derivi da With Out Papers (senza passaporto all'arrivo ad Ellis Island) o, più semplicemente, dal “guappo” del dialetto napoletano.

Gli italiani un po' negri Soprattutto i siciliani, di pelle un po' più scura, erano considerati “l'anello mancante” (“missing link”), una via di mezzo tra bianchi e negri, per via di carnagione olivastra, occhi e capelli neri, capelli a volte ricci. E ciò avveniva in un periodo in cui la discriminazione razziale era molto forte, soprattutto nel violento sud degli Stati Uniti, dove peraltro casi di linciaggio di negri erano relativamente frequenti. Forse non è un caso che alcuni italiani furono tra i pionieri della musica jazz, nata a New Orleans. Fu proprio un emigrato italiano di New Orleans, il trombettista Nick La Rocca, ad incidere con la sua Original Dixieland Jazz Band il primo disco di musica jazz (il 26 febbraio1917: “Livery stable blues” e “Dixie Jass Band one step”, inciso per la Victor). 16

Gli italiani non dovettero subire solo il pregiudizio che li vedeva tutti come immigrati poveri, rozzi, di dubbia etnia, predisposti al crimine. Ci fu anche violenza, violazione dei diritti civili, e persino - più tardi, durante la seconda guerra mondiale - deportazione per alcuni in campi di prigionia e confisca dei loro beni.

Cominciando dalla storia relativamente più recente e tornando indietro nel tempo

1) Dopo l'inizio della seconda guerra mondiale tanti italiani (come anche giapponesi e tedeschi) che non avevano ancora la residenza negli Stati Uniti vennero classificati come “enemy alien” (stranieri nemici). Per il timore di sabotaggi, alcuni vennero deportati in “campi di internamento” militari e vennero tenuti lì reclusi fino a due anni; tanti altri vennero schedati dall'FBI e furono soggetti a limitazioni delle loro libertà civili. 2) Negli anni venti i due anarchici italiani Sacco e Vanzetti vennero processati e condannati a morte (uccisi entrambi con la sedia elettrica il 23 agosto 1927). È opinione diffusa che un forte pregiudizio contribuì a farli condannare. Infatti il governatore del Massachussetts, Michael Dukakis, nel 1977 ammise che nel caso di Sacco e Vanzetti “vennero meno gli elevati standards della giustizia del Massachussets”.


SOTTO LA LENTE 3) Tra il 1890 e il 1915 vennero linciati negli Stati Uniti un totale di 48 italiani. Il più atroce di questi linciaggi, e anche il più grosso linciaggio di massa che la storia americana ricordi, fu quello di un gruppo di 11 italiani, avvenuto a New Orleans nel 1891. Il caso Hennessey e il linciaggio degli italiani a New Orleans Gli immigrati italiani a New Orleans verso il 1890 erano circa 30.000, il 90% siciliani. David Hennessey, il capo della polizia di New Orleans, venne assassinato in un'imboscata mentre tornava a casa, molto probabilmente da avversari politici, o forse dalla mafia - che allora si chiamava “la mano nera”. Il sindaco Shakespeare ordinò alla polizia: “arrestate ogni italiano che incontrate!”. Ne vennero arrestati 250, e tanti di loro in carcere vennero presi a botte, al punto che il console italiano protestò chiedendo che gli italiani arrestati “venissero trattati con la stessa considerazione come quelli di altre nazionalità”. Si diede più peso all'ipotesi del delitto mafioso che non a quella del delitto politico. Cinque degli italiani arrestati vennero accusati dell'uccisione di Hennessey e processati. Nel frattempo il quotidiano locale Times Democrat uscì con una incitazione a formare “commissioni che assistano gli uomini di legge nello scacciare la mafia assassina” e a mandare in giro ronde di vigilantes. Il sindaco Shakespeare in un discorso al City Council disse “dobbiamo dare a questa gente una lezione che non dimenticheranno mai più”. Formò una commissione di notabili, la “commissione dei cinquanta”. Una lettera aperta di questa commissione agli italiani di New Orleans, pubblicata sui giornali, concludeva minacciosamente: “A tutto questo dobbiamo por fine, pacificamente e nel rispetto della legge se possibile, violentemente e sommariamente se necessario”. Al processo il pubblico ministero non riuscì a produrre sufficiente evidenza per far condannare il gruppo di italiani. Il giorno dopo, il 14 marzo 1891, migliaia di cittadini di New Orleans gridando “impicchiamo i dagos” assalirono la prigione dove gli italiani erano detenuti e ne uccisero 11: alcuni con armi da fuoco, altri impiccandoli, altri ancora a bastonate.

In seguito un giornale locale, nel commentare l'episodio, scrisse: “la piccola prigione era affollata di siciliani la cui fronte bassa con linea dei capelli che recede, le cui espressioni rivoltanti e i cui abiti trasandati proclamano la loro natura brutale”. Il governo italiano reagì e stava

per mandare navi da guerra. Ma il presidente Harrison condannò il linciaggio, che definì “un'offesa contro la legge e l'umanità”. Gli Stati Uniti pagarono alle famiglie delle vittime 25.000 dollari di indennità. Le ostilità tra i due paesi cessarono, il pregiudizio verso gli immigrati italiani no. L'America cominciò a limitare l'immigrazione di quella che vedeva come “la feccia dell'Europa”.

Come il sindaco di New Orleans Shakespeare considerava gli immigrati italiani ... questa parte del paese (sud della Louisiana) è stata purtroppo scelta da immigrati provenienti dalle peggiori classi d'Europa, italiani del sud e siciliani. New Orleans ha una proporzione insolitamente elevata di immigrati da questi paesi (sic) e noi li troviamo i più indolenti, malvagi e indegni individui che sono tra di noi. Una grossa percentuale di loro fugge dalla giustizia, o sono ex-carcerati aiutati ad emigrare dal governo o dalla loro comunità che cerca così di liberarsene. Essi raramente mettono su casa, si riuniscono in bande, non imparano la nostra lingua, non hanno rispetto né per il nostro governo e né per l'obbedienza alle sue leggi. Monopolizzano il commercio della frutta, delle ostriche o del pesce e fanno quasi sempre i venditori ambulanti, gli stagnini o i calzolai (gli ultimi due mestieri li imparano nelle loro prigioni in patria). Sono sudici nelle loro persone e nelle loro case; le nostre epidemie quasi sempre originano dai loro quartieri. Sono privi di coraggio, onore, verità, orgoglio, religione o qualsiasi altra qualità che definisce il buon cittadino. New Orleans potrebbe anche permetterselo (se una tal cosa fosse legale) di pagare per farli deportare. Con l'eccezione dei polacchi, non conosciamo nessun'altra nazionalità che è peggiore come gente ... "Don't Speak the Enemy's Language!” Oggi le cose sono molto cambiate e gli italiani negli Stati Uniti sono addirittura per molti versi ammirati. Oggi l'emigrazione dall'Italia verso gli Stati Uniti è piuttosto un'emigrazione intellettuale. Prima di conoscere queste storie terribili mi sono spesso chiesto come mai nessuno degli italo-americani di seconda o terza generazione che ho incontrato anche a New Orleans - e ne ho incontrati tanti nel tempo - parla l'italiano. Un poster diffuso negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale dice: “Don't Speak the Enemy's Language! Speak American!” Dopo aver appreso questo, e le altre storie riportate, ho capito che conveniva agli italiani imparare presto la nuova lingua e assimilare rapidamente la nuova cultura; conveniva dimenticare l'italiano, non insegnarlo ai figli. Conveniva “americanizzarsi”, mimetizzarsi il più presto ed il più efficacemente possibile per evitare il pregiudizio. 17


ITALIANI IN CAMMINO

Il poeta del piccone e della pala

“Prendi le cipolle da sotto il letto che ce le arrostiamo e ce le mangiamo” Inizia così il racconto che Pascal, ormai lontano dalla casa paterna, ha della sua infanzia, della sua terra e in particolare della nonna morta quando lui aveva solo quattro anni. Nato in una frazione di Introdacqua il 20 gennaio 1894 era figlio di una modesta famiglia di contadini, primo di due figli. Frequentò con profitto le scuole primarie, nel 18

piccolo edificio rurale della contrada “Cauze”, in modo discontinuo dovendo aiutare i genitori nei lavori dei campi e soprattutto accudire il piccolo gregge di pecore e capre che costituiva la vera ricchezza della famiglia. Si distinse ben presto tra i coetanei sia per la sua vivacità, sovente fonte di guai, sia per le sue spiccate capacità di apprendimento e le sue doti di ascoltare gli adulti per trarne insegnamento: Melengo l’anziano contadino che era stato in sud America, Alberto il pastore stimato per la sua


SOTTO LA LENTE sincerità e la vecchia fattucchiera sono tra i personaggi che restarono vividi nei ricordi della sua brevissima infanzia. All’età di 12 anni Pasquale smise di frequentare la scuola lasciandosi alle spalle la fanciullezza ed entrando definitivamente nel duro mondo del lavoro dei campi. Dopo un lungo periodo di fatica e di privazioni una sera, rincasando, il giovane Pasquale trovò la madre che, affacciata alla finestra, singhiozzava sommessamente. Preoccupato, le chiese più volte spiegazioni e solo dopo varie insistenze venne a sapere che il padre, stanco della vana fatica, aveva deciso di partire per trovare “lamerica”. Fino al giorno della partenza per Napoli dove il giovane Pasquale, il padre e il resto dei compaesani si sarebbero imbarcati sul piroscafo che li avrebbe condotti negli Stati Uniti, il ragazzo non si era mai mosso dal paese natio e, soprattutto, non era mai salito su di un treno: “Sentii il fragore del treno, né muli né cavalli a trascinarlo …”. Grande fu, pertanto, la meraviglia per questo avveniristico mezzo di trasporto. La meraviglia che per un attimo lo rapì dalle sofferenze causate dal distacco materno e lo consegnò alle scoperte della vita che stava per iniziare. Salparono da Napoli il 7 aprile a bordo del “Celtic” della White Star. Pasquale non aveva visto mai il mare e tanto meno una nave come quella: “Sconcertato mi chiedevo come avrebbe fatto a stare a galla per molti giorni quel coso enorme”. Dopo dodici giorni di viaggio trascorsi nei disagi della terza classe, il 19 aprile sbarcarono ad Ellis Island con qualche fagotto, un piccolo gruzzolo nelle tasche (forse 90 dollari?) e tante speranze. Superati i controlli sanitari e le formalità di rito a cui venivano sottoposti gli emigranti nella stazione federale per l’emigrazione di New York, il giorno seguente furono finalmente liberi di iniziare la loro avventura americana, che li porterà, tra una scoperta e l’altra (il tram sopraelevato, una lingua incomprensibile), nel duro mondo lavorativo in cui il “caposquadra” rappresenterà una figura fondamentale.

Ad attenderli alla “Battery” c’era Mario Lancia, il capo squadra che li aveva ingaggiati per la costruzione di nuove strade a Hillsdale. L’impatto con la realtà americana sarà duro perché la terra promessa offirà “solo” privazioni, angherie e fatica. Lontano da qualsiasi contesto umano

abbandonati in mezzo al nulla, il piccolo gruppo di Introdacqua cercherà di resistere alle difficoltà contando solo su se stesso. I problemi da affrontare saranno insormontabili e con il tempo la comunità inizierà a sfaldarsi. Molti suoi componenti si daranno per vinti e prenderanno altre strade; altri, completamente rassegnati, riprenderanno la via dell’Italia. È questo il caso di Angelo D’Angelo, il padre di Pascal, che stufo di patire privazioni peggio che in patria, prenderà la via del ritorno. Rimasto caparbiamente in “America” il giovane emigrante è deciso a mettere in gioco la sua vita fino in fondo perché è convinto che “da qualche parte in questo paese avrei trovato la luce”. Fatto ritorno a New York, il D’Angelo inizia a lavorare come operaio di fatica per le ferrovie ma ben presto si rende conto che se vorrà dare una vera svolta alla sua vita dovrà necessariamente padroneggiare la lingua degli americani. L’inglese come mezzo per far conoscere la sue emozioni, la sua storia. Dopo innumerevoli patimenti arriverà la luce: nel 1922 verrà pubblicata la sua prima poesia su una rivista a larga diffusione. La notorietà movimenterà solo in modo episodico la vita del poeta abruzzese. Egli non potrà (o non vorrà?) approfittare delle opportunità offerte dalla notorietà tanto che continuerà a condurre la solita esistenza grama. L’oblio giungerà subito dopo e Pascal D’angelo, tornato alla solita vita, morirà nel 1932, da solo, in un ospedale di Brooklyn. 19


ITALIANI IN CAMMINO

Testimonianze Spose per procura Mio nonno Antonio Stefani e sua moglie, residenti a Bolognana, avevano nove figli, di cui uno morto in guerra. La famiglia era tanta, la miseria anche. Mio padre era carabiniere, l'unico rimedio di allora era l'emigrazione per cui due figli decisero di andare in America, e le 5 figlie invece decisero di aderire alle “Spose per procura”. Molti uomini emigrarono nel Canada Inglese (Columbia) dove tutto era ancora selvaggio, infatti vi erano ancora villaggi indiani ed orsi che girovagavano per i boschi e questi uomini, che lavoravano nelle miniere, avevano chiesto di poter avere una moglie italiana e sposarla per procura.

Fu cosi che tante donne aderirono e la nave delle spose partì. Il viaggio fu lungo e doloroso per il fatto di abbandonare la propria terra e mentre si allontanavano dall'Italia pensavano all'uomo che avrebbero trovato, che conoscevano appena solo grazie a qualche sbiadita foto, ma forte era la speranza di una vita migliore. Queste cose me le hanno raccontate loro quando qualche anno fa decidemmo di andare a trovare i nostri cugini e partimmo con la mia famiglia e mio cugino Fernando di Bolognana con la moglie. Il viaggio durò circa venti ore ed al nostro arrivo ci fu tanta gente ad aspettarci. “Ecco gli Italiani” dicevano, e tutti parlavano la nostra lingua, e tutti volevano dire, raccontare, specialmente quelle donne che quando arrivarono si erano date in spose per procura a quegli uomini sconosciuti. Raccontarono le loro storie, ci dissero che all'inizio si erano trovate a disagio perché case non ce n'erano, così che dovevano dormire nelle cantine. Non vi erano neppure le strade però avevano la speranza nel cuore che il lavoro nelle miniere e qualche lavoretto extra potesse dar loro un futuro migliore. Ci portarono a vedere le miniere, le prime case fatte con tronchi d'albero. 20

Sembravano felici con i loro uomini che avevano iniziato ad amare fra sacrifici e stenti. Ora tutti stavano bene e noi eravamo, come loro, prigionieri, perché non ci lasciavano mai e raccontavano continuamente quello che ormai era stato il passato e ci portavano sempre dei piccoli regali; salmoni, dolci, inviti a cena, facevano a gara per farci visitare tutto ciò che avevano fatto e noi li seguivamo. Ci portarono all'ospedale e ad un grande stabilimento dove lavoravano i minerali che estraevano dalle miniere, carbone, rame, ferro, argento, oro ed anche noi ci sentivamo molto orgogliosi perché gli Italiani nel mondo non hanno mai deluso. Cesarina Baldacci

L’emigrazione colpì la nostra comunità, come gran parte degli italiani non soltanto delle regioni meridionali, all’indomani dell’unificazione nazionale (1861) e si sviluppò nella prima metà del Novecento tanto che fin dal 1901, allo scopo di regolare i flussi e di fornire tutela agli emigrati, venne creato il Commissariato generale dell’emigrazione. Le condizioni economiche e sociali delle terre del Sud, a coltura essenzialmente agricola, versavano in estrema miseria e soprattutto senza speranza di miglioramento, aggravate come erano dal decollo industriale dell’Italia centro-settentrionale. La vita grama spinse un gran numero di uomini ad abbandonare il nucleo familiare e a raggiungere le Americhe (settentrionale e latina), sperando poi di ricomporlo nel “nuovo mondo” o, accumulato un buon gruzzolo di dollari, di fare ritorno nei paesi d’origine.

L'arte di arrangiarsi La Texiu, ossia Teresa Repetti di Giovanni di Codorso (classe 1886), che col padre e la matrigna era emigrata in America, raccontava che per sbarcare il lunario si appostava con i genitori agli angoli delle strade di New York e, con l'ausilio di un organetto ed una scimmietta, chiedeva l'elemosina. Un giorno, mentre stava dormendo, giunsero alcuni malviventi che volevano rapinare la famigliola del magro incasso della giornata. Grazie agli strepitii ed alle urla della scimmietta, i ladri furono costretti alfine alla fuga.


SOTTO LA LENTE Avellino fu una delle province che diedero il maggior numero di emigranti, diretti nel paese della democrazia e del benessere, che racimolarono i risparmi di tutta la famiglia per pagare un biglietto di III classe e si separarono dai loro cari per sopportare le difficoltà di un viaggio lungo anche venti giorni e il soggiorno in una terra sconosciuta in cerca di un futuro meno incerto. Sulle banchine dei porti di Napoli, Palermo e Genova, da dove salpavano i bastimenti, si radunava un gran numero di famiglie, che al momento dell’ imbarco offrivano il doloroso spettacolo del distacco. Dopo un viaggio lungo e pieno di disagi, ammassati sui ponti o nelle stive delle navi, giungevano nella bellissima baia naturale in cui è situato il porto di New York, dove campeggia la Statua della Libertà. Qui i passeggeri con passaporto americano e quelli che occupavano la prima e la seconda classe venivano ispezionati superficialmente nelle loro cabine e, scortati a terra da ufficiali dell’immigrazione, potevano sbarcare tranquillamente. Invece i passeggeri di terza classe, il cui afflusso era sempre altissimo, venivano trasportati sul battello del dipartimento federale Americano dell’immigrazione a Ellis Island, un isolotto di fronte a Manhattan, divenuta dal 1894 casa di prima accoglienza, per sottoporsi a una più dura ispezione. Innanzi tutto un esame medico, in seguito al quale, chi aveva deformità veniva inviato in un'altra stanza per un esame più approfondito. Dopo questa prima ispezione, gli immigrati passavano alla Sala di Registrazione per il controllo individuale, che era il momento più temuto in quanto la paura di essere rifiutati era grande perchè occorreva dimostrare di essere in condizioni di lavorare e di mantenersi.

Anche mio padre Leondino Pescatore dovette provare la triste esperienza dell’esodo dalla propria terra e affrontare le difficoltà della vita in una terra straniera. E io, scovando nella mia mente lontane e vaghe reminiscenze dei suoi racconti e giovandomi dei ricordi piuttosto sbiaditi di mio fratello Antonio, ultra novantenne, desidero rendere omaggio ai sacrifici compiuti da lui per assicurare

maggiore benessere alla propria famiglia e, attraverso lui, manifestare rispetto ai tanti avellinesi che dovettero intraprendere la stessa strada. Nel 1904 mio nonno Luigi Modestino, ebanista, si trasferì da Valle con la famiglia (moglie e due figli) negli Stati Uniti, per avventurarsi in una terra così lontana compiendo un viaggio di 16 giorni alla ricerca di un’attività più redditizia. Imbarcatosi a Napoli sulla nave “Italia”, lunga 400 piedi e larga 49, giunse nel porto di New York il 24 aprile 1904. Superati tutti i controlli, ricevette il permesso allo sbarco

e da New York venne indirizzato, come la maggior parte degli immigrati, verso il confinante stato del New Jersey, dove si stabilì in uno dei distretti etnici in rapida espansione. Si fermò nella città di Paterson, che ospitò una consistente colonia di Italiani. Qui fu assunto da una grande fabbrica di mobili e dopo alcuni anni riuscì a comprare una piccola casa in campagna. Mio padre aveva 20 anni. In Italia aveva conseguito il diploma delle scuole tecniche, ma volle continuare gli studi negli USA iscrivendosi a corsi parauniversitari e specializzandosi in motorismo e tecniche delle comunicazioni. Con questa specializzazione poté essere assunto in una società automobilistica di trasporti. A contatto con la tecnologia e la modernità della società statunitense, ebbe l’idea di realizzare anche ad Avellino un’azienda di comunicazione per il trasporto di persone e per la distribuzione della posta nei paesi dell’Irpinia. Ogni tanto tornava in Italia non solo per cercare di mettere a punto il suo progetto, che realizzerà con la creazione della SITA, ma anche perché desiderava sposare una ragazza della sua città (come poi avvenne nel 1913) per rientrare definitivamente a Valle nel 1915 e partecipare come volontario alla grande guerra. Mio padre amava spesso intrattenerci raccontando i disagi incontrati nel lungo viaggio transoceanico e i severi controlli, cui il governo americano sottoponeva gli emigranti. Noi ascoltavamo incantati i suoi racconti come se fossero le gesta del protagonista di un romanzo d’avventure. Diceva che i controlli per gli stranieri che viaggiavano in terza classe erano rigorosi tanto che taluni emigrati, che 21


ITALIANI IN CAMMINO Il ritorno del Mulitta Mulitta (l'arrotino), forse tal Sbarbaro Agostino fu Bartolomeo, era tornato dall'America. Tutto il paese di Villa Sbarbari s'era radunato nell'attesa del paesano partito un giorno per la “Merica”. Mulitta giunse alfine in vista delle case, di là dell'acqua d'Aveto. Estrasse dalla tasca del “giacchè” (giacca) un pezzo di pane secco, lo bagnò nell'acqua del fiume e lo portò, con gesto lento, alla bocca. Un rito ancestrale suggellava il suo ritorno. Poi andò incontro ai paesani. Mulitta soleva ripetere a coloro che gli chiedevano affascinati notizie sull'America: “Và ciù a mè banca, che quanta America gh'è!”, ossia “Vale più la mia panca, che quant'America c'è!”. Lui, il vinto, dell'America n'aveva avuto abbastanza. I ritmi di quel mondo così distante dal mondo contadino, lo avevano alfine costretto alla resa. Amava la sua panca, ove nei tempi morti fra una faccenda e l'altra i contadini d'Aveto solevano fare una pennichella. Si racconta che i soldi che la moglie, rimasta in America, gli inviava perchè facesse sopra alzare la casa di un piano - il sogno di tutti gli emigranti - finissero in altrettanti fiaschi di vino. Mulitta si beveva l'America. temevano di non essere ammessi in America, fecero uno sforzo in più per comprare il più costoso biglietto di seconda classe, che si aggirava sui quaranta dollari. Molto scrupoloso era anche l’esame medico. Se vi erano condizioni particolari di infermità veniva trattenuto in ospedale a Ellis Island per la “quarantena”, per un periodo di isolamento, oppure reimbarcato. Il momento più straziante avveniva quando gli immigrati lasciavano la Sala di Registrazione e alcune famiglie venivano divise e avviate verso destinazioni diverse. Per questo motivo tra gli immigrati Ellis Island meritò il nome di “Isola delle lacrime”. Il controllo individuale vero e proprio era il momento più temuto in quanto la paura di essere rifiutati era grande perchè occorreva dimostrare di essere in condizioni di lavorare e di mantenersi. A questo proposito mio padre ricordava che due amici, conosciuti sulla nave, furono rimpatriati. Ma se si temeva la severità dei controlli, dovuta al fatto che tra gli immigrati si infiltravano anche delinquenti, mio padre riconosceva che, una volta superati questi scogli, l’immigrato veniva accolto ed integrato nella società americana vedendosi riconosciuti. i suoi diritti, innanzi tutto in materia salariale. Il soggiorno a Paterson infatti fu un’esperienza positiva per lui, che non subì mai vessazioni o discriminazioni. Oggi più che mai appare necessario conoscere e tenere presente l’importante fenomeno dell’emigrazione, in quanto l’Italia si è trasformata in terra di sbarco per centinaia di migliaia di lavoratori stranieri, nei cui confronti bisogna applicare (tranne che non si tratti di pregiudicati) il 22

concetto dell’accoglienza, della solidarietà e del rispetto della dignità umana ed allontanare atteggiamenti criptorazzisti e quei rigurgiti di intolleranza se non di xenofobia, verso i quali sta pericolosamente scivolando in questi ultimi anni il nostro Paese. Gerardo Pescatore

Fabbri e falegnami aTronco Pozo Alla fine del mese di Novembre del l889, cominciò il viaggio verso l’Argentina di una famiglia del Veneto. Già l’anno precedente avevano inviato il proprio figlio maggiore, Francesco di l8 anni perchè c'era pericolo di guerra e molta miseria, motivi questi che spinsero la maggioranza dei nostri nonni a lasciare la loro amata Italia. In questo viaggio s’imbarcarono: Paolo Prosdocimo di 48 anni assieme a sua moglie Mariana Panontin e i suoi 4 figli. Santos di l7 anni, Isabel di 11, Marina di 8 ed Angelo di 6, mio nonno. Arrivarono in Argentina il 28 dicembre del l889. Si fermarono nella città di Buenos Aires per alcuni giorni e poi hanno intrapreserto il viaggio verso Colonia Caroya. Qui affittarono una stanza in una casa che sicuramente era di qualche compaesano conosciuto in patria, e vi rimasero circaper 8 o 120 mesi. Comprarono un terreno in una località di Colonia Caroya denominata “Tronco Pozo”. Questo posto non era ancora abitato, tanto che si dovettero aprire la strada con piccone e daga poichè che era tutta montagna. Fu un lavoro arduo e di molti sforzi. Però tutti lavoravano con grandi speranze e molta fede, tanto da non sembrare loro tanto pesante, e da sopportare tutto. Erano lontani dalla guerra e con molto terreno da lavorare. Costruirono una casa tipica, uguale a quella del loro paese e man mano che la famiglia cresceva aggiungevano stanze. Quasi tutte le case erano fabbricate in lunghezza, una stanza accanto all’altra e tutte le porte si aprono verso una lunga galleria di piloni. Lì costruirono anche la loro officina di fabbri e falegnami. Il mestiere lo portarono dal loro paese: costruivano tutti i tipi di carrozze ed attrezzi per l' aratura della terra. Fu la prima industria che ha avuto la nostra Colonia e per noi tutti era un vero orgoglio. Ancora oggi si mantiene intatta, infatti mio figlio ha presentato un progetto ed già ha cominciato a restaurarla e pulirla per poterla mostrare. Si era formata una famiglia molto numerosa tanto che tra l'anno l9l6 e l920 abitarono nella nostra casa 27 persone. C’era gente anche per arare la terra, allevare gli animali: mucche, maiali, galline, cavalli, infine tutto ciò che occorreva per poter lavorare e vivere. Tutto ciò che serviva alla loro alimentazione, poichè utilizzavano tutto, lo facevano in casa. Salami, prosciutti, codeghin o musset “chorizo”, formaggi, le diverse verdure e frutta, che i serviva per ogni tipo di conserve e dolci. Ebbene, vi dico che ancora oggi in questo luogo, chiamato Tronco Pozo, come anche in altri luoghi dentro la nostra Colonia, si continua a vivere come in quell’epoca. Analia Rosa Prosdocimo


SOTTO LA LENTE Fonte Internet

Quando arrivarono nel paese situato all'estremo nord dell'Europa, fino ad allora quasi sconosciuto, erano giovani, audaci e tenaci, pieni di speranze, aspettandosi molto dalla vita. Molti erano partiti con il miraggio di un lavoro ben retribuito che avrebbe potuto rendere più tranquillo il loro futuro.ltri ave avevano deciso di trascorrere in questo paese che aveva vissuto in pace per quasi un secolo e mezzo.

Arrivarono in giugno, preparati ad affrontare un clima rigido e freddo: furono invece accolti da un temperatura estiva eccezionale e, quando il traghetto Malmöhus, proveniente da Copenaghen, attraccò alla banchina del porto di Malmö, trovarono ad attenderli una folla immensa di curiosi, accorsi per vedere come erano in realtà gli operai specializzati importati, che avevano lasciato l'Italia ancora in rovina dopo quella guerra tremenda. Era un venerdì e la gente si era assiepata sulla banchina pensando di dovere assistere ad un nuovo spettacolo pietoso perché era ancora vivo in loro lo strazio e lo sgomento segnato sui volti delle migliaia di baltici che, per sfuggire ai sovietici, avevano cercato rifugio in Svezia e che qualche anno prima, alla fine della guerra, erano stati rimandati indietro dalle autorità svedesi. I giornali avevano descritto gli operai italiani, che ora si accingevano a sbarcare, “sfollati di guerra provenienti dall'Italia ridotta a brandelli dalla guerra crudele”.

Immaginarsi la meraviglia di tutta quella gente nel vedere sbarcare quel primo gruppo di giovani baldanzosi, che indossavano abiti di ottima fattura e cravatta. Alcuni di essi ostentavano persino un Borsalino, lusso che in questo paese era riservato esclusivamente ai benestanti. Ma questi italiani furono realmente reclutati a causa della grande penuria di manodopera che vigeva in Svezia oppure erano soltanto delle pedine di un gioco di potere ad alto livello? La domanda è pertinente se si analizza, con l'esperienza di oggi, la situazione del dopoguerra in ambedue i paesi. Non vi è infatti ombra di dubbio che in Svezia la sfera industriale che faceva capo alla famiglia Wallenberg avesse un grande ascendente sulla classe politica del paese, come avveniva in Italia per la Fiat, la maggiore industria del paese, che aveva sul fragile governo del dopoguerra - e anche in tutti quelli che si sono succeduti nel mezzo secolo trascorso da quell'epoca - tanto potere da essere in grado di far approvare qualsiasi proposta proveniente dalla potente 23


ITALIANI IN CAMMINO famiglia Agnelli di Torino. La lunga amicizia tra le più importanti dinastie della finanza dei due paesi, Wallenberg e Agnelli, sfociò in seguito con il passaggio alla SKF di Göteborg della RIV, la fabbrica di cuscinetti a sfere di proprietà della Fiat, e successivamente in una lunga cooperazione tra la Saab e la Lancia che ebbe il suo periodo ottimale nella produzione di un auto telaio che venne impiegato, oltre che per la Saab 9000, costruita in Svezia dalla fabbrica controllata dalla famiglia Wallenberg, anche per la Fiat Croma, l'Alfa Romeo 164 e la Lancia Tema: prodotte dalle tre principali industrie automobilistiche italiane controllate dalla famigliaAgnelli. Un episodio che sorprende l'osservatore attento accadde già nel 1946, quando il signor Hamberg, direttore della SKF dell'epoca, nel corso di un colloquio con il consigliere di stato Gunnar Myrdahl, faceva presente che un rappresentante della Fiat, il dottor Gianni Agnelli, gli aveva ventilato l'eventualità che, a causa dell'impossibilità dell'azienda torinese di poter esportare, quest’ultima poteva prendere in considerazione l’eventualità di dare in prestito all'industria svedese qualche migliaio di operai specializzati.

Infatti, gran parte dei 500 specialisti che vennero reclutati in Italia tra il 1947 e il 1948 dalla commissione dell'ufficio svedese per il mercato del lavoro, furono assunti dalla SKF, Asea, Atlas Copco e dalla Saab, tutte industrie appartenenti alla sfera Wallenberg. Cosa accadde di loro? Ebbero tante belle promesse, venne prospettato loro un lavoro ben retribuito con tanti vantaggi, ma nessuno li informò della consistenza delle pesanti imposte vigenti in Svezia che avrebbero causato una forte mutilazione al salario. Erano abituati alla consuetudine vigente in Italia secondo la quale il salario pattuito era quello che poi avrebbero trovato nella busta paga e che gli oneri delle tasse, dei contributi assicurativi e pensionistici all'epoca erano a totale carico del datore di lavoro. Essi erano inoltre abituati alla tredicesima mensilità, agli assegni familiari per la moglie, la prole e i genitori a carico 24

e alla liquidazione di fine rapporto, vantaggi che in Svezia erano totalmente sconosciuti. Ed oggi, a cinquant’anni di distanza, come considerano la loro situazione di pensionati?

Saab9000 (1953)

Così “I nostri ex compagni di lavoro rimasti in Italia, stanno molto meglio di noi - ci dice Paolino Sini - perché, con i soldi della liquidazione, hanno potuto mettere su una officina e molti di loro hanno persino delle piccole aziende che fanno parte dell'indotto. Soprattutto chi di noi oggi in Svezia ha problemi di salute non se la passa troppo bene - aggiunge - perché, i nostri ex colleghi rimasti in Italia possono contare su un'assistenza sanitaria quasi gratuita, pure se lo standard non è dappertutto così buono come in Svezia, ma comunque accettabile. Essi pagano cifre irrisorie per i farmaci, mentre l'immigrato pensionato che risiede in Svezia è costretto a pagare ticket molto elevati per l'assistenza medica, ospedaliera e per i farmaci. “E poi tutto questo parlare da parte delle nuove leve di immigrati di discriminazione, integrazione, persecuzioni razziali, di adattamento e della società multi culturale - ci dice Francesco L., un pugliese in pensione, che trascorre il tempo al centro commerciale Caroli City a Malmö, ove gli italiani si danno appuntamento nella caffetteria per discutere di calcio - chi aveva mai sentito prima degli anni settanta queste belle espressioni? Si aveva a stento la facoltà di esprimerci. Noi che eravamo stati assunti e che arrivammo qui con un contratto di lavoro in piena regola, non ricevemmo alcun insegnamento della lingua svedese durante le ore di lavoro remunerate. Quando arrivammo, ci rimboccammo le maniche e cominciammo subito a produrre”. Un giorno una dipendente di una biblioteca comunale che ci aiutava nelle ricerche bibliografiche sull'immigrazione degli operai specializzati italiani nel dopoguerra, discutendo su un volume/collage pubblicato a Västerås per i 40 anni dell'arrivo degli italiani nel capoluogo della regione Västmanland, mi disse al telefono: “L'autore, un italiano molto cortese ed educato, venne qui da noi personalmente a vendere il suo libro. Non può immaginare quanto rimasi sorpresa nel constatare che parlava un pessimo svedese”. “E di cosa si meraviglia? - le dissi - Questa gente era talmente occupata a lavorare e a cercare di racimolare il più


SOTTO LA LENTE possibile per poterlo spedire in Italia e provvedere al sostentamento della famiglia, da non avere tempo a disposizione da dedicare allo studio della lingua”. L'autore del volume/collage, al quale va tutto il nostro plauso, era un operaio specializzato bergamasco che aveva difficoltà ad esprimersi anche in italiano, cosa che infatti rilevammo durante la lettura, probabilmente a causa della sua scarsa istruzione. Prima della guerra, la scuola dell'obbligo era infatti limitata alle cinque classi elementari e i ragazzi, a volte già dopo aver terminato la terza, venivano avviati al più presto al lavoro come apprendisti in modo che potessero imparare un mestiere e dare un valido aiuto al sostentamento della famiglia; fenomeno molto frequente a quell'epoca. Ma per ritornare agli operai specializzati italiani che vennero in Svezia dopo la guerra, siamo del modesto parere che questi individui siano da considerare delle cavie, poiché venivano “importati” dalle autorità per studiare le reazioni della popolazione svedese in vista di uno sviluppo del fenomeno dell'immigrazione di manodopera straniera proveniente dai paesi del meridione d'Europa o da paesi extra europei, appartenente a culture totalmente diverse, con usi e costumi molto differenti dai nordici. E cosa accadde? Coloro che riuscirono a farsi raggiungere dalle mogli, molti di questi specialisti avevano anche dei figli, e che restarono in Svezia, continuarono a vivere come avevano fatto nel proprio paese, parlando l'italiano tra le pareti domestiche e trasmettendo ai propri figli e ai nipoti l'amore per il loro paese, le usanze e le tradizioni. Costoro però, proprio perché non frequentavano durante il tempo libero l'ambiente autoctono, avevano maggiori difficoltà di apprendimento della lingua. Quelli che arrivarono da scapoli, e avevano trovato una compagna indigena, trovandosi poi con figli che parlavano lo svedese in casa, furono obbligati ad imparare la lingua “ad orecchio”. In famiglia però, non appena i ragazzi cominciavano a diventare adolescenti, si verificavano spesso contrasti, causati principalmente dalla differenza di cultura, abitudini e costumi. L'immigrato da una parte, la moglie e i figli dall'altra, avevano difficoltà a trovare la via del compromesso tra le loro differenti concezioni di vita e, in moltissimi casi purtroppo, il divorzio era inevitabile. La meta tanto agognata dell'immigrato italiano, il sogno cioè di poter un giorno rientrare in patria, diventa per la maggior parte di loro un miraggio irreale a causa delle difficoltà d'inserimento che incontra, pur parlando la stessa lingua, lo stesso dialetto, rimanendo egli estraneo alla realtà quotidiana del paese d'origine e non riuscendo a dialogare con parenti e amici. L'emigrato, naturalizzato o no, assume con gli anni una personalità contraddittoria e lo si può paragonare ad un apolide poiché quando è in Italia viene considerato alla stregua di uno svedese e per gli svedesi rimane sempre un immigrato. Insomma, per trovare i mezzi per vivere, si accorge di aver perduto la propria anima di italiano.

Avetani laboriosi Si racconta che molti avetani affrontarono l'America con un piglio che li rendeva invisi alle persone di colore . Per paura di perdere il lavoro, gli emigranti avetani lavoravano instancabilmente, ad un ritmo che a quel tempo (ossia alla fine dell'ottocento) solo gli emigranti cinesi riuscivano a mantenere. Così i neri cercavano di spiegare loro a gesti (i nostri valligiani conoscevano solo la parlata avetana) che ogni tanto era il caso di riposarsi per non compromettere le poche conquiste sindacali che all'epoca si iniziava ad ottenere. Bar a Chicago Ricordava u Luigin di Zerghe, ossia Luigi Sbarbaro d'Andrea della famiglia degli Stecche: Semmu annèe in ta bara du Dullu. Gh'era de facce scassè, che zugavan a carte cun i curtelli ciantài sutta a tora , ovvero Siamo andati nel Bar di Dull. C'erano delle facce da delinquenti, che giocavano a carte con i coltelli piantati sotto la tavola . Luigin aveva vissuto, con il padre, a Chicago: qui il genitore aveva una barca che, muovendosi su e giù per il lago, fungeva da rivendita di frutta e verdura. Il dollaro d'oro Repetto Agostino fu Agostino, detto Barbottu, nato a Codorso nel 1833, era emigrato in America con la moglie Garbarino Maria detta Marustina verso i primi del novecento. Ne era tornato con un discreto gruzzolo di dollari. Un dì si era recato a Montebruno per affari. Giunto in paese, dopo aver sbrigato alcune faccende, si diresse verso l'emporio del Pedone. Comprò alcuni generi di conforto. Giunto il momento di pagare estrasse dal panciotto alcuni dollari in oro. Gettandoli con noncuranza sul banco disse al Pedone: Te n'è mai ustu de chésti? , ossia Ne hai mai visto di questi? Il Pedone si diresse nel retrobottega e comparve con una fasciella (contenitore per forme di formaggio) colma di dollari in oro, e rispose: T'oressci dì de chésti! , ossia Vorresti dire di questi! . Il Pedone faceva prestiti e dava la merce a crèenza (a credito) ai contadini del circondario, rastrellando così i dollari in oro che questi ultimi avevano faticosamente guadagnato col loro lavoro d'emigranti in America.

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TURISMO dalla Redazione

Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien quasi a un tratto, tra un promontorio a destra e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive par che renda ancor pi첫 sensibile all'occhio questa trasformazione e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda ricomincia per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni ... Alessandro Manzoni

Il lago di Como 27


CULTURA

Como “notturna”

l magnifico paesaggio del Lario, altro nome con cui è conosciuto il lago di Como, ha incantato, nei secoli, artisti e viaggiatori: dallo scrit-tore francese Flaubert ai musicisti Gioacchino Rossini, Giuseppe Verdi e Vincenzo Bellini, che qui scrisse l'opera “Norma”.Ai giorni nostri il lago continua ad attrarre celebrità del jet-set internazionale che apprezzando la bellezza del lago e le suggestive località che lo circondano hanno deciso di stabilirvi la propria dimora. Il lago di Como, situato a circa 50 chilometri da Milano, fra le province di Como e Lecco, è il terzo lago italiano per estensione, dopo il lago di Garda e il lago Maggiore, ed è il più profondo (410 metri). Il lago, tra i più importanti della Lombardia, dalla caratteristica forma ad Y rovesciata , si snoda in tre rami: di Como a sud ovest, di Lecco a sud est e di Colico a nord. Dalle sue sponde si godono molteplici e affascinanti vedute: suggestivi borghi, splendide ville e rigogliosi giardini attendono i visitatori in cerca di relax, divertimento e cultura a stretto contatto con la natura. Numerose, splendide ville, costellano le sponde del lago, meta di villeggiatura della nobiltà lombarda già a partire dal XVI secolo, mentre i suoi centri più importanti offrono diverse preziosità da scoprire. Ad esempio , a Como, cittadina da cui il lago prende il nome, si trova il Museo didattico della Seta in cui è possibile ripercorrere le testimonianze della tradizione produttiva tessile comasca. Como è inoltre considerata la patria del razionalismo artistico ed architettonico italiano; qui sorgono 28

no numerosi esempi di architettura moderna europea come il Novocomum, la casa Giuliani Frigerio, il Monumento ai Caduti e l'ex-Casa del Fascio, tutti ad opera dell'ar-chitetto italiano Giuseppe Terragni. A Cernobbio meritano una visita la cinquecentesca Villa d’Este, utilizzata da Alfred Hitchcock come location film “Giardino del piacere”, e la celebre Villa Erba, una delle più importanti ville di lago italiane dell'Ottocento ed oggi complesso espositivo congressuale di fama internazionale. L’Isola Comacina

Proseguendo verso nord si giunge ad Ossuccio, famosa per la spettacolare Isola Comacina, unica isola del lago, e per il Sacro Monte di Os-succio, riconosciuto dalla UNESCO come patrimonio dell'Umanità nel 2003.


ECOTURISMO Il conte Alessandro Giuseppe Antonio Anastasio Gerolamo Umberto Volta nacque a Como il 18 febbraio del 1745 e morì a Cumnago Volta il 5 marzo 1827. Figlio di Filippo e Maddalena Indaghi, ricevette una solida istruzione nel Collegio Gesuita di Como. Ma fu il suo precoce interesse per i fenomeni elettrici che lo portarono, da perfetto autodidatta, a definire l elettroforo, in sostanza il prototipo delle macchine elettrostatiche a induzione. Tale scoperta diede ad Alessandro Volta un certo lustro tra tutti gli accademici d Europa, tanto che entrò egli stesso a far parte di varie accademie scientifiche. Era l anno 1775. Negli anni immediatamente successivi, Volta iniziò ad approfondire le tematiche riguardanti la chimica dei gas. Studiando dunque i fenomeni inerenti in particolare la dilatazione dei gas, egli arrivò prima di Gay-Lussac alla formulazione della legge della dilatazione termica dell aria e del vapore acqueo a pressione costante. A lui si deve anche la scoperta del metano e della pistola a gas, basata quest ultima sul principio della combustione dei gas entro un ambiente chiuso. Ma fu soprattutto attorno al 1792 che Volta concentrò i suoi studi alla scoperta di ciò che lo consacrò alla futura memoria dei posteri: la pila, ricordata in onore del suo scopritore, appunto, pila di Volta.

Venuto infatti a conoscenza delle osservazioni elettro/fisiologiche condotte da L. Galvani sulle rane morte, Alessandro Volta approfondì la materia e condusse alla scoperta che si genera una differenza di potenziale di lieve entità tra due conduttori metallici che siano posti tra loro a contatto. Questo apriva la strada alla più moderna batteria elettrica.

Nei vicini comuni di Moltrasio e Lenno, meritano una visita Villa Passalacqua e Villa Balbianello, location dei film “Guerre Stellari” e “Agente 007 - Casinò Royale”. Lungo la costa si incontra poi Tremezzo e la sua Villa Carlotta, con i giardini a terrazze e il museo, impreziosito da opere del Canova , di Thorvaldsen e Hayez . Villa Carlotta

Nel punto d'incontro dei tre rami del lago si erge Bellagio con le sue eleganti ville aristocratiche, tra cui Villa Serbelloni e Villa Melzi, celebre anche per il parco botanico. Scendendo verso sud si giunge a Lecco. Qui è d'obbligo una visita a Villa Manzoni, sede del museo manzoniano e punto di partenza di un itinerario sulle tracce dei Promessi Sposi. Proseguendo verso Nord è possibile visitare splendidi borghi come Varenna, Bellano e Colico, sede dell'Abbazia di Piona.Alla vocazione storico/culturale del lago di Como si affianca quella sportiva e delle attività all'aria aperta di un lago che rappresenta una destinazione d'eccellenza per gli amanti delle vacanze attive. Infatti in estate gli appassionati degli sport acquatici possono praticare vela, canottaggio, windsurf, motonautica, sci nautico, canoa e kite-surfing. 29


CULTURA Chi pratica gli “sport d'aria” come il deltaplano, il parapendio e il volo a vela può godere di un punto di vista privilegiato sugli splendidi panorami del lago. Gli amanti della montagna possono invece cimentarsi in arrampicate su roccia, splendide escursioni, trekking, mountain bike e passeggiate a cavallo. Anche il golf intorno al lago ha un posto d'onore con ben sette campi di fama internazionale immersi nel verde.

Varenna

Lido di Bellagio

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Dal lago di Como alla montagna il viaggio è breve grazie anche agli ottimi collegamenti. In inverno i comprensori sciistici dei Piani di Bobbio e del Pian delle Betulle offrono chilometri di piste perfettamente battute, nonché numerosi anelli attrezzati per la pratica dello sci di fondo, dello sci alpinismo e delle passeggiare con le ciaspole.

Gli amanti della buona cucina che con l'occasione di una gita al Lago e ai suoi dintorni vogliono conoscere la tradizione eno gastronomica della zona hanno l'opportunità di scoprire sapori e prodotti unici, come il risotto ai filetti di pesce persico, il pregiato olio di oliva, le numerose verdure (fra cui primeggiano gli asparagi di Rogaro e di Drezzo) e ovviamente numerosi piatti a base di pesce come i “missoltini” (agoni salati, essiccati e pressati che vengono marinati con aceto e olio).


MUSICA di Mauro Poretti

Disen tücc che el laagh de Comm ... l'è faa cumè un omm ma me sun sicüür che l'è una dôna te gh'eet de facch el fiil se te voeret sultàcch sôe perché suta la gôna gh'è la prona... e per pudè seguì ogni so caprizzi ho imparàa a curvà el legn e indrizzàl quaand che l'è stoort... Dicono tutti che il lago di Como ... ha la forma di un uomo ma io sono sicuro che è una donna, devi corteggiarla se vuoi arrivare a possederla perchè sotto la gonna c'è la ... profondità e per poter seguire ogni suo capriccio ho imparato a curvare il legno e a raddrizzarlo quando è storto ...

Davide Van De Sfroos Davide Bernasconi nasce a Monza l’11 maggio del 1965,in seguitocon la sua famiglia si trasferisce a Mezzegra sul Lago di Como. Van De Sfroos è un cognome fittizio che restituisce foneticamente, nel dialetto comasco, la frase “Vanno di contrabbando” - o, meglio - “Vanno di frodo”.Sviluppa le prime esperienze in un gruppo di ispirazione punk e da solista fino all’incontro con il bassista Alessandro “Frode” Giana, con il quale formò i “De Sfroos”. Cominciarono ad elaborare i primi testi in finto inglese, italiano e in dialetto lombardo occidentale nella sua variante laghée, che sfoceranno nella pubblicazione della musicassetta in studio “Ciulandàri!” (1992) e di quella dal vivo “Viif” (1994). La band ottenne proprio grazie ai suoi brani in dialetto un ottimo successo, catalogata come “ambasciatrice” nella penisola dalla città di Como e del suo lago. Quel lago che dopo lo scioglimento del gruppo avvenuto 1998, diventerà, con le montagne sul confine con il Canton Ticino e quelle della vicina Valtellina fonte d’ispirazione per i testi di tutte le sue canzoni. Ed anche dei suoi libri, si perché Davide è anche uno scrittore di successo e nel 1997, pubblica il suo primo libro“Perdonato dalle lucertole”, al quale faranno seguito altre tre opere: “Capitan Slaff” (2000), “Le parole sognate

Con queste parole inizia “Il costruttore di motoscafi” il brano che forse più di tutti rispecchia l’attaccamento, ma anche l’ispirazione che l’artista ha sempre avuto dal lago.

dai pesci” (2003) e “Il mio nome è Herbert Fanucci” (2005). Tornando alla musica, vince per ben 2 volte vince la “Targa Tenco” con gli album “...e semm partii” 2002 e “Pica” (2008). Nel 2011 partecipa al “Festival di Sanremo” raggiungendo la finale e portando al 4° posto il brano “Yanez”, singolo - certificato con il Disco d’Oro -, che darà poi il nome all’album pubblicato nel marzo dello stesso anno. Il 18 gennaio 2012 esce al cinema il film “Benvenuti al Nord”, il cui tema musicale è “El Carnevaal de Schignan”, brano tratto dall'album Yanez.

www.davidevandesfroos.com

Van De Sfroos a Rancate Van De Sfroos a Rancate

Innumerevoli i suoi concerti dal vivo, in tutta Italia e all’estero, e da segnalare - forse una prima mondiale - il concerto tenuto recentemente a Rancate nel Canton Ticino, dove nell’ambito della serata benefica “Sensinmusica” la sua esibizione è stata tradotta integralmente due interpreti per i non udenti, nel “linguaggio dei segni”. 31



STORIA di Umberto Fantauzzo

Quel sommo apice del litorale adriatico dove, in una posizione privilegiata sul mare, sorge la metropoli di fondazione preromana Tergeste che nel corso del diciannovesimo secolo, in virtù del suo porto sede marittima commercialmente più importante d Europa sotto la dominazione politica dell impero asburgico, fungendo da centro di convergenza di diverse culture, civiltà, etnie e lingue, il 19 dicembre 1861 divenne la città natale di Aron Hector Schmitz, da madre italiana e padre tedesco di origine ebraica. Da ambo le componenti culturali della sua genesi letteraria fece scaturire il nome d arte Italo per parte della mamma italiana e Svevo per il padre proveniente dalla Svevia, una regione dello Schwarzwald (foresta nera) nel sud della Germania.

Bruno Oliviero

La storica introduzione della Psicoanalisi in Italia Merito letterario dello scrittore Italo Svevo Ettore Schmitz, quinto di otto figli appartenente ad una famiglia di commercianti, trascorse una felice infanzia in una situazione di elevata agiatezza borghese a Trieste. Il ragazzo nel 1874, all’età di tredici anni, su decisione dei genitori, fu costretto a lasciare la sua amata città, Trieste, per recarsi, assieme ai due fratelli maggiori Adolfo ed Elio, a Segniz, in Baviera per frequentare la scuola superiore presso un famoso collegio e consentire al giovane studente una salda cultura germanofona ed il perfezionamento della lingua tedesca tramite lo studio di discipline economiche nel corso della sua formazione professionale. Sin dall’incipiente adolescenza Italo Svevo manifestava la sua precoce predilezione per la letteratura dedicandosi, con speculativa curiosità, all’attenta lettura di classici filosofici dell’idealismo mitteleuropeo postkantiano, del positivismo francese di Auguste Comte e di opere dei due principali assertori del naturalismo francese Emile Zolà e Guy de Monpassant. I due letterati francofoni furono i principali ispiratori degli ideali socialisti che caratterizzavano la “Weltanschauung” politica (visione del mondo) dell’adolescente cultore 33


CULTURA triestino: Zolà nei suoi romanzi trattava prevalentemente la dolente tematica dello sfruttamento del capitalismo nelle fabbriche delle grandi metropoli: la miseria, l’analfabetismo totale e il disagio sociale del proletariato industriale francese; il romanziere Guy de Monpassant, nelle sue opere, focalizzando la miseria sociale dell’urbe parigina, elevava a ruoli di protagonisti i diseredati, i questuanti, i bordelli con le donne di piacere, i ruffiani/puttanieri e il disgraziato volgo del crudele mondo agricolo del tempo. Dopo il fallimento dell’azienda paterna il giovane letterato triestino iniziò la collaborazione con un periodico locale “L’Indipendente”, un organo di stampa dalle ampie visioni socialiste, per il quale scrisse recensioni letterarie e saggi teatrali in lingua italiana. L’occasionale amicizia con l’intellettuale irlandese James Joyce, autore del famoso romanzo “Ulisse”, costretto a soggiornare a Trieste in quanto condannato all’esilio per aver manifestato nelle sue creazioni letterarie profondo impegno politico auspicando l’indipendenza della sua diletta Irlanda dal feroce colonialismo britannico, ricoprì una basilare rilevanza per l'evoluzione letteraria di Italo Svevo. Il patriota irlandese incoraggiò il suo amico triestino a continuare a scrivere dopo averne riconosciuto il genuino talento di romanziere, inoltre il medesimo contribuì a lanciarlo divulgando le sue opere in Italia e all’estero. James Joyce

All’alba del ventesimo secolo un inconsueto evento culturale con vigore scientifico si affermò nell’Europa centrale: l’esordio di una nuova corrente di pensiero, la psicoanalisi freudiana, storicamente sollecitata dalla frantumazione filosofica del reale, dal relativismo cognitivo propugnato dalla nuova corrente di speculazione sociologica dei critici razionalisti e dalle emergenti teorie socialiste; elementi 34

essenziali di estrazione filosofica che entrarono con prepotenza nella cultura letteraria del momento i cui maggiori esponenti sono stati Proust, Fourier, Joyce, Pirandello e Verga. Tale novità di pensiero psicoanalitico venne intenzionalmente determinata dalla curiosità scientifica che animava il passionale entusiasmo per la ricerca nel campo della medicina dell’accademico viennese Sigmund Freud per l’indagine sulla coscienza e dei suoi arcani meccanismi fino a quel momento ignoti. Sigmund Freud

Il letterato triestino contemplava con interesse e compiacimento la logica dialettica di Hegel, la triade strutturale della psiche umana di Sigmund Freud di derivazione marxista, il socialismo utopistico di Saint Simon, il pessimismo antropologico di Schopenhauer e Nietzsche ed il romanticismo filosofico/letterario di Schelling e Novalis. Codesti filosofi intellettuali e letterati con il loro impegno culturale hanno inconsapevolmente tracciato le premesse storiche della teoria freudiana concretizzandosi scientificamente nella nuova disciplina psicoanalitica. L’originale approccio della teoria del medico viennese s’impernia sulla “libido” concepita dal medesimo come complesso dei bisogni naturali e dei piacere erotici le cui immediate manifestazioni, sotto forma di pulsione sessuale, costituendo la centralità dinamica del soggetto umano, vengono definite come energie di base del comportamento sociale e dell’attività di pensiero dell’individuo. Su parere dell’autore della nuova disciplina psichiatrica, una forzata repressione di tale dinamica di base nel corso dell’infanzia e della pubertà potrebbe causare una patologia mentale. La necessità di liberare i pensieri latenti, l’importanza della realtà inconscia nell’individuo, dei sogni e dell’umorismo e le negative conseguenze di pulsioni istintive di ordine sessuale non adeguatamente gratificate, costituiscono peculiarità strutturale dell’emergente psicoanalisi. A Freud bisogna ascrivere il maggior merito per aver introdotto tre efficaci strategie nell’applicazione metodologica della sua nuova teoria rendendola scientificamente valida: l’interpretazione dei sogni finalizzata all’indagine sulle attività inconsce della mente umana; l’ipnosi catartica la quale, per il tramite della progressiva suggestionabilità, consente di penetrare nei contenuti profondi dell’inconscio


STORIA e la raffinata tecnica delle libere associazioni che frequentemente rendono possibile i ricordi dei sogni e le loro interpretazioni terapeutiche. Con quest’ultima tecnica Freud, supponendo che i sogni dei pazienti e le rispettive libere associazioni sollecitassero il terapista a chiarire i fattori causali la patologia mentale del paziente, tentò di raffinare ulteriormente l’elaborazione scientifica della psicoanalisi per una sua maggiore efficacia curativa. L’autentica genialità letteraria sveviana consiste nell’aver compreso, la consistenza scientifica, l’opportunità sociale, la rilevanza terapeutica e la necessità storica della nuova disciplina in un contesto generalizzato di emergenza sociale determinato dalla dolorosa crisi culturale culminante nella cruenta prima guerra mondiale. Le preziose esperienze umane e risorse inter culturali della sua città natale concessero all’intellettuale triestino una finezza di sensibilità empatica ed intuitiva da consentirgli una sublimazione letteraria del deleterio fenomeno di decadenza culturale e sociale della borghesia europea e relativi valori umani in quel triste contesto storico dell’epoca post bellica, che manifestandosi in un’amara realtà umana, patologicamente degenerava in senso di solitudine e disperazione individuale la quale, nella sua forma più acuta, poteva indurre il soggetto umano al suicidio per assenza di consapevole ragion di vita. Italo Svevo nella sua intera produzione romanzesca, che si snoda in numerose opere maggiori e minori ambientate nella sua città, Trieste, dall’interculturalità mitteleuropea, si rivela il migliore interprete letterario della psicoanalisi freudiana. La poetica letteraria sveviana analizza criticamente la psiche individuale di emanazione borghese, lo spirito di iniziativa imprenditoriale e la positiva dinamica di intraprendenza commerciale e industriale della sua piccola cittadina; elementi ai quali, nella coscienza storica dell’autore, in senso dicotomico si contrappongono una visione politica socialista ed un cinico pessimismo antropologico concernente l’incapacità dell’essere umano di divenire artefice e protagonista della propria esistenza. Tutte complesse figure, caratteri e motivi umani che fungono nella narrativa letteraria da icone di ordine psicoanalitico che lo scrittore triestino sovente mente fa riecheggiare lungo il suo itinerario creativo. L’intera produzione romanzesca di Italo Svevo, il miglior scrittore in lingua italiana di formazione mitteleuropea, è visceralmente intrisa dalla nuova disciplina psicoanalitica della scuola di pensiero culturale viennese. La “forma mentis”, prevalentemente di genesi teutonica, di Ettore Schmitz si rivela tangibilmente nella sua intera scrittura,

caratterizzata da una raffinata sistematicità simbiotica di contenuti, a tratti apparentemente di natura eterogenea e dall’evidente armonia della contestualità tematica; motivi portanti nella sua operosità d’autore, che poeticamente conferiscono alla sua maggior produzione romanzesca un’elevata dignità letteraria di dimensione europea. I personaggi, figure traenti nel genere narrativo dell’autore triestino, in virtù del peculiare contesto scientifico freudiano, oltrepassando i limiti spaziali e temporali, assumono una consistenza universale come nella raffigurazione artistica di Zeno per essere storicamente immortalati nella geniale estetica letteraria dell’autore. L’itinerario produttivo del trittico letterario di emanazione psicoanalitica si snoda in un lungo lasso di tempo a tappe dal 1892, anno di pubblicazione dell’opera “Una Vita”, oltrepassando l’anno 1898, data di ultimazione dell’opera “Senilità” e dopo un lungo periodo di ripensamento critico

sull’opportunità letteraria del suo capolavoro “La coscienza di Zeno” che nel 1923 vide la sua prima luce. Un medio borghese, dipendente bancario, dal nome Alfonso Nitti diviene il protagonista della prima opera maggiore dal titolo “Una vita”, costui, conscio della sua misera ubicazione sociale di partenza, nella consapevolezza velleitaria delle sue aspirazioni e aspettative, enfatizzate da una selvaggia esaltazione individualista, tenta un’ardua ascesa in verticale infrangendo le rigide strutture sociali mediante i suoi studi di filosofia e il matrimonio con la figlia del suo principale. Ma il misero “impiegatuccio”, predestinato al totale fallimento per la sua incapacità esistenziale, cade in una irreversibile depressione la cui sofferenza lo induce al suicidio. Nel suo secondo romanzo dal titolo “Senilità”, l’autore rivela una più elevata versatilità letteraria e un più profonda competenza culturale nel complesso ambito della recente evoluzione della moderna psichiatria la quale, in virtù delle sue nuove conquiste scientifiche, assume gradatamente un’imprevista rilevanza sociologica. Nell’opera letteraria “Senilità”, forzatamente contornata 35


CULTURA da un ortodosso empirismo sociale, l’autore sceglie come figura prevalente un inconsistente soggetto umano dal nome Emilio Brentano: un individuo dal carattere ermetico e fragile a rischio di depressione, incapace di intrecciare stabili rapporti di affetto in quanto sentimentalmente arido, conduce unitamente alla sorella Amalia, nella sua sfiorita maturità, un’esistenza scialba.

Verso la quarantina incontra Angiolina, una bella giovane popolana capricciosa e disponibile, con la pretesa di poter sfruttare al massimo tale relazione erotica senza lasciarsi abbindolare sentimentalmente. Col tempo il “tipetto” diviene egoisticamente geloso a causa di una conduzione di vita immorale e ingannevole, piena di tradimenti del suo presunto amore; questa patogena gelosia a lungo andare lo trascina in una disperata e angosciosa solitudine affettiva e sociale. Il protagonista per abulia, incapacità di autonomia e progettualità di vita, si inoltra rapidamente in un sentiero di precoce senilità amara, caratterizzata da tedio e rinuncia fino all’estinzione esistenziale. Tra il 1898 ed il 1919 lo scrittore triestino pone la sua attività letteraria in quiescenza, eccezion fatta per alcuni scritti di minor importanza come novelle e testi teatrali. Nel corso di questo intermezzo di attività scritturale il romanziere s’immerge profondamente nella lettura di recentissimi testi freudiani, fase in cui la sua speculazione psicoanalitica da curiosità culturale si trasforma in interesse pratico valutando l’opportunità terapeutica per la cura di un suo parente caduto in profonda depressione. Italo Svevo attraversa stranamente un breve fase critica in cui nutre scetticismo nell’applicazione terapeutica della psicoanalisi affermando ironicamente che tale disciplina sia più interessante per i romanzieri che per i sofferenti mentali. Il medesimo, dopo un lungo periodo di riflessione sulla legittimità scientifica della psicoanalisi, realizzabilità terapeutica, possibilità di recupero e addirittura guarigione dalla patologia mentale e dopo aver vagliato attentamente l’enorme rilevanza letteraria della nuova disciplina freudiana, inizia a scrivere il suo ultimo romanzo “La coscienza di Zeno” che dopo quattro anni di intenso lavoro venne pubblicato nel 1923 a spese sue. Uno strano individuo, Zeno Cosini, diviene il protagonista unico del nuovo capolavoro romanzesco; la patologia 36

mentale di cui è affetto il paziente a causa della sua complessa personalità, costellata da abulia, radicale inettitudine e da complessi meccanismi psichici alimentati da giustificazioni, alibi, bugie e imprevedibili comportamenti autolesionisti, nella lucida e disperata consapevolezza della gravità del suo stato patologico, la sua vita diviene un doloroso cammino esistenziale. Lo psicoanalista, presso cui Zeno si trova in cura, costata l’anomala difficoltà di diagnosi e impossibilità di terapia, da indurlo a disperare amaramente sull’assurdità di recupero. Metaforicamente il capolavoro letterario “La coscienza di Zeno” simboleggia l’amarezza e la delusione che l’autore recepisce nel diagnosticare la grave crisi della società contemporanea in cui l’innocente creatura umana, conscia dell’impossibilità catartica accompagnata da esclusione di nuove fedi, entusiasmi e speranze, casualmente si trova e immeritatamente soffre. L’autore del romanzo considera tale pessima condizione storica la conseguenza causale di un inutile e doloroso conflitto europeo e mondiale che ha determinato una situazione di tribolazione, di cruenta sofferenza e disperazione intenzionalmente voluta dal malefico egoismo dell’uomo moderno, inquinato alle radici.

La psicoanalisi freudiana implica storicamente una svolta copernicana nell’ambito della tradizionale medicina, le cui elaborazioni teoriche della scuola di pensiero viennese, infrangendo la granitica rigidità della tradizionale psichiatria, si sono repentinamente espanse sin dai suoi primi albori in tutti gli spazi geografici del nord e mitteleuropa, la sua penetrazione capillare non solo ha invaso gli spazi territoriali ma anche le rispettive culture inserendo nelcontempo i suoi paradigmi, formulazioni e linguaggio nella scienze mediche, filosofiche, teologiche e non per ultimo politiche. È merito di Italo Svevo l’aver sensibilizzato per il tramite del suo capolavoro “La coscienza di Zeno” la cultura italofona alla psicoanalisi.


STORIA Fino a quel momento nel nostro paese regnava sovrana la tradizionale psichiatria chiusa la cui applicazione terapeutica, disponendo di un approccio medievale, veniva praticata esclusivamente in centri chiusi, i “famigerati manicomi”.

Il Manicomio di Volterra

Durante tutto il periodo fascista e la prima fase post bellica fino agli anni settanta, tale crudele approccio di inumana psichiatria mirava, con la consapevole indifferenza e compiacenza di politici ignoranti, irresponsabili e menefreghisti, alla totale emarginazione sociale dei degenti; una forma crudele di ghettizzazione, la quale, causando il peggioramento psichico del paziente ne anticipava l’estinzione fisica. Il messaggio sveviano nella sua essenza culturale e scientifica è stato interamente recepito dallo psichiatra Francesco Basaglia il quale, nominato nel 1972 direttore del manicomio della città natale dell’autore del romanzo , nel corso degli anni settanta aveva tentato di esperire nuovi metodi di applicazione diagnostica di matrice psicoanalitica con l’introduzione di attività ludico/creative, istituendo nella sua clinica un laboratorio di pittura e di arte recitativa /teatrale, abolendo nel contempo le terapie farmacologiche ed elettroconvulsivanti, praticate nei famigerati manicomi senza scrupoli per immobilizzare e punire i degenti agitati. Il dottor Basaglia ha voluto, con missionaria vocazione, continuare la sua opera di sperimentazione di una “psichiatria democratica” il cui obiettivo centrale, auspicando il superamento della patologia mentale per il tramite del processo rieducativo del paziente alla libertà, divenne motivo portante della legge 180/78, denominata anche legge Basaglia approvata dal parlamento il 13 maggio 1978. Tale normativa introducendo una radicale revisione organizzativa e terapeutica del sistema psichiatrico del paese ha inteso introdurre un trattamento più umano e libero sul territorio con idee innovative e per lungo tempo ha maestosamente superato l’atteggiamento di spregevole scetticismo e opposizione della reazionaria cultura accademica del tempo, fortemente sostenuta dalle forze politiche cattofasciste. La normativa 180/78, a distanza di 35 anni dalla sua approvazione, malgrado oggetto di discussione e tentativi di modifiche restrittive, è ancora una legge quadro che regola l’assistenza psichiatrica in Italia. Per quanto tempo resisterà ancora la normativa della “psichiatria democratica” 180/78 nel contesto di oscurantismo dell’incultura di edizione berlusconiana? Ai lettori l’arduo responso!!! ...

Franco Basaglia (1924 - 1980) Era un signore veneziano benestante che, spinto dal sacro fuoco interiore della compassione e dall'intenzione pura volta al miglioramento della società malata, trovò la forza per contestare un sistema medico, sociale e politico disfunzionale. Trasse la forza dalle sue esperienze carcerarie durante la seconda guerra mondiale ma, soprattutto, dal radicamento delle sue conoscenze mediche. Era un visionario con solide basi scientifiche, un altruista a volte un po' burbero nei modi, ma sicuramente efficace nei metodi visti i risultati ottenuti con l'approvazione di due Leggi rivoluzionarie per la Psichiatria italiana e mondiale (Legge Mariotti del 1968; Legge 180 del 1978). Era uno Psichiatra anti convenzionale, etichettato di sinistra perché il periodo storico in cui operò fu caratterizzato dalla contrapposizione, molto forte, tra valori proletari e borghesi. Questi ultimi furono da lui contestati per la condizione di isolamento sociale in cui costringevano i malati mentali. La valenza dell'intervento di Basaglia ha, in realtà, una duplice natura: medico/sanitaria da un lato, e politico-sociale dall'altro. L'impossibilità di curare il malato all'interno della struttura manicomiale, che per sua conformazione determina un peggioramento della malattia, si sposa con la necessità di annullare la ghettizzazione della devianza. Questa scissione sociale era ritenuta indispensabile per mantenere l'ordine del sistema capitalistico, desideroso di eliminare l'inefficienza umana a tutti i livelli. Ogni elemento che turbava l'ordine sociale costituito, nel nostro caso la malattia mentale, non era visto come un fattore di riequilibrio omeostatico, che tentava di riportare le condizioni del Sistema stesso entro parametri più umani e meno orientati al risultato economico esclusivo, ma come un elemento che minava le capacità produttive ed era per questo pericoloso. Basaglia incarnò le grida di sofferenza di migliaia di persone in Italia, e di milioni di persone nel mondo, che soffrivano sia per la malattia da cui erano affetti sia per il trattamento disumano cui erano sottoposti. Fu il Medico dei diritti sanitari e sociali dell'umanità. Nei suoi testi e nei suoi discorsi scelti, si possono leggere parole ispirate da una motivazione profonda alla giustizia e all'efficacia sanitaria.

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CULTURA di Armando Rotondi

Due documentari italiani alla conquista di Venezia CINETURISMO Mostra Internazionale d Arte Cinematografica di Venezia Il periodo tra fine agosto e inizio settembre è sempre dedicato, cinematograficamente parlando, a Venezia e alla Mostra Internazionale d Arte Cinematografica, il più antico festival del mondo sulla Settima Arte. Sin dal 1937-38, quindi pochi anni dopo la nascita della kermesse, fu creato il Palazzo del Cinema, uno dei più celebri edifici, insieme al Casinò, della sottile striscia di terra del Lido di Venezia. Nel corso degli anni, la Mostra non si è mai spostata dalla sua sede e dal Lido, con non poche difficoltà. Il crescente numero di spettatori ha mostrato come il Palazzo del Cinema non fosse adatto a essere sede principale della manifestazione e, sin dal 1991, si sono indetti bandi per creare una nuova cittadella del cinema.

Di inizio settembre, come riporta Il Mattino di Napoli in una sua intervista, la proposta del produttore Aurelio De Laurentiis di spostare la Mostra, dal Lido a Venezia centro, utilizzando la città come intero scenario della manifestazione che avrebbe, in tal modo, il proprio focus in Piazza San Marco (al pari della Piazza Grande di Locarno). Un modo per dare un ulteriore spinta alla Mostra nei confronti degli avversari di sempre, in primo luogo Cannes. Si spera se ne possa discutere, nonostante le forti perplessità del Sindaco. 38

Lultima Mostra d Arte Cinematografica ha visto due bei documentari italiani conquistare il pubblico e la critica di Venezia. In primo luogo, il ritorno alla vittoria del Leone d Oro di un film nostrano. Un film straordinario sotto molti punti di vista: Sacro GRA di Gianfranco Rosi, primo documentario italiano ad essere selezionato in concorso e che subito è salito sul podio più alto del festival cinematografico più antico del mondo. Una scelta sicuramente non facile, questa della giuria presieduta da Bernardo Bertolucci, una scelta che dà dignità al documentario al pari dei film di finzione.


CINEMA Con “Sacro GRA”, Rosi realizza un’opera ambiziosa, poetica, piena di grande cinema, riuscendo nel compito ardito, con occhio attento, di umanizzare uno dei luoghi più alienanti e alienati d’ Italia: il Grande Raccordo Anulare (GRA) che cinge Roma. Un’immagine tratta da “Sacro GRA”

Il regista realizza un documentario anticonvenzionale che racconta storie in maniera non lineare, incrociando e intrecciando le varie vicende. Si va dal nobile piemontese decaduto che vive con la figlia in un appartamento in periferia, vicino ad un dj indiano, al pescatore d’anguille, dall’esperto botanico che lotta per la sopravvivenza delle palme, al paramedico con una madre affetta da demenza senile, dalle ragazze immagine alle prostitute transessuali, ad un altro nobile che vive in un castello affittato come set per fotoromanzi, sino a fedeli che osservano un’eclisse al DivinoAmore attribuendola alla Vergine. Rosi guarda all’elemento umano e realizza una sorta di film di viaggio in una terra di nessuno (il GRA), ma dove, in ogni caso, si svolgono le esistenze più eterogenee. “Sacro GRA” è così un documentario toccante e sorprendente, girato benissimo e potente dal punto di vista visivo. Altro documentario italiano capace di stregare la Mostra di Venezia è “Che strano chiamarsi Federico” di Ettore Scola, delizioso omaggio al grande Federico Fellini in occasione del ventennale della sua scomparsa.

AGENDA DI OTTOBRE Giornate del Cinema Muto dal 5 al 12 ottobre a Pordenone. Cineteca del Friuli. www.cinetecadelfriuli.org Le Giornate del Cinema Muto di Pordenone rappresentano una delle più importanti manifestazioni mondiali dedicate alla riscoperta ed allo studio del cinema delle origini. Sono organizzate dalla Cineteca del Friuli e si svolgono dal 1982, tutti gli anni nel nel mese di ottobre. Quest anno verrà presentata in anteprima mondiale anche un opera perduta di Orson Welles.

ArteCinema Dal 10 al 13 ottobre a Napoli. Teatro San Carlo e Teatro Augusteo. www.artecinema.it È un Festival internazionale dei film sull'arte contemporanea. Nato nel 1996 con l'obiettivo di far conoscere al grande pubblico le diverse espressioni dell'arte, attraverso una selezione di documentari sui maggiori artisti, architetti e fotografi della scena internazionale. Biografie, interviste, narrazioni montate con materiali d'archi-vio, permettono agli spettatori di addentrarsi nel mondo dell'arte seguendo gli artisti nei propri atelier o dietro le quinte di importanti progetti o esposizioni. Ogni anno viene presentata una selezione di circa trenta documentari ricercati direttamente presso i registi e i produttori in tutto il mondo. Il programma è diviso in tre sezioni: Arte e dintorni, Architettura e Fotografia.

Ravenna Nightmare Filmfest

Il film vede l’utilizzo di un linguaggio che intreccia scene scritte e ricostruite a Cinecittà con materiali di repertorio, scelti dagli archivi delle Teche. Non un’opera nostalgica, questo “Fellini raccontato da Scola”, ma anzi gioiosa come gioioso era il regista di Rimini, piena di ironia e sarcasmo. Un ritratto personale di Scola per scoprire il maestro Fellini.

Dal 26 ottobre al 2 novembre a Ravenna. Sedi varie. www.ravennanightmare.it È un festival dedicato al cinema di genere horror nella sua accezione più ampia, che si tiene nella città di Ravenna dal 2003. Comprende un Concorso internazionale per lungometraggi che assegna L'Anello d'Oro e un Concorso europeo per cortometraggi che assegna il Premio L'Anello d'Argento e la nomination al Méliès d'Or. 39


CULTURA di Simona Guidicelli

Il castagno Castanea saliva Il castagno è un albero di grande sviluppo che forma dei boschi spontanei abbastanza estesi in tutta l'Europa meridionale; inoltre viene anche coltivato come pianta fruttifera. In Italia i castagneti selvatici si estendono sulle Prealpi e sugli Appennini, unicamente su terreni profondi, freschi e acidi (infatti è una pianta tipicamente calcifuga), ad altitudini comprese tra i 300 e i 900 m, cioè in zone a clima temperato/freddo ma in posizioni ben soleggiate e calde. Il castagno selvatico, nato da seme, forma dei boschi fitti, se lasciato crescere liberamente o se allevato per lo sfruttamento del legname; invece nei castagneti da frutto le piante vengono opportunamente diradate e allevate in forma arborea. Nei castagneti specializzati, sfruttati per la produzione dei frutti, si coltivano di preferenza i marroni, una varietà a frutti più grossi e dolci. La pianta isolata presenta un tronco corto e la chioma raggiunge dimensioni notevoli; i primi frutti appaiono dopo 20-25 anni. Le castagne saporite e nutrienti, si consumano in vari modi e si utilizzano per preparare ottime marmellate, il famoso castagnaccio o altre confetture. Le altre parti della pianta contengono tannino e hanno proprietà astringenti, sedative e toniche. 40

QUANDO SI RACCOGLIE Le castagne selvatiche e i marroni si raccolgono all'inizio dell'autunno, nel momento in cui i ricci cadono a terra e si aprono spontaneamente; si conservano in ambiente fresco. COME SI COLTIVA Il castagno è una pianta che necessita di grande spazio e di pieno sole; si sviluppa bene nei terreni acidi, argillosi, sciolti, abbastanza profondi e freschi; prima dell'impianto, lavorate accuratamente il terreno della buca che accoglierà la pianta, arricchendolo con letame di stallatico ben maturo; annaffiate regolarmente e abbondantemente nei primi 2-3 anni dalla messa a dimora. La specie tipica si moltiplica per seme, mentre le varietà orticole per innesto di marze da effettuarsi su piante ottenute da seme. Se siete alle prime armi, però, vi conviene tralasciare queste tecniche, che necessitano di cure costanti e mani esperte; vi consigliamo, invece, di rivolgervi ad un vivaio dove potrete acquistare

CURIOSITÀ La sua storia si fonde con la leggenda Si narra che la Regina Giovanna I d Aragona con al seguito cento cavalieri e dame, coi loro cavalli, fu sorpresa da un temporale durante una battuta di caccia nelle vicinanze dell albero e proprio sotto i rami trovò riparo con tutto il numeroso seguito. Il temporale continuò fino a sera, così la regina passò sotto le fronde del castagno la notte in compagnia, si dice, di uno o più amanti fra i cavalieri al suo seguito.


BENESSERE E SALUTE piante ancora giovani ma, allo stesso tempo, già grandi abbastanza da garantire un buon attecchimento e una produzione abbondante di frutti. Evitate il più possibile le potature, poiché i tagli si cicatrizzano con molta difficoltà, limitandovi ad eliminare solo i rami secchi. COME SI PREPARA PER LA CONSERVAZIONE Vengono essiccate le foglie all'ombra e quindi conservate in sacchi di carta o di tela.

I CONSIGLI DELL'ERBORISTA

La ricetta Il Castagnaccio Ingredienti 400 g di farina di castagne, 2,5 dl. di latte 50 gr. di zucchero, 20 gr. di pinoli rosmarino, olio, sale In una ciotola setacciate la farina di castagne e mescolando con una frusta versatevi il latte a filo e due bicchieri d acqua fredda. Dovete ottenere un composto fluido e cremoso. Incorporatevi lo zucchero, un pizzico di sale e tre cucchiai d olio. Spennellate d olio una teglia rotonda sufficiente a contenere l impasto di castagne non più alto di due centimetri. Cospargete la superficie di pinoli e di aghi di rosmarino e condite con poco olio versato a filo. Cuocete in forno preriscaldato a 180° per quaranta minuti. Servite il castagnaccio freddo oppure tiepido.

SCURIRE E RINFORZARE LE CIGLIA Far bollire in un quarto di acqua calda due cucchiai di foglie di castagno per 10 minuti. Filtrare con un telino e spremere bene. Lasciare raffreddare il liquido ed aggiungere un cucchiaio di olio di ricino. Mescolare bene. Pettinare tutte le sere le ciglia con uno spazzolino imbevuto nel liquido, conservato in una bottiglia chiusa.

MANTENERE IL COLORE Al CAPELLI Versare un cucchiaio di foglie, in un quarto di acqua calda e bollire per 5 minuti. Filtrare. Aggiungere un bicchiere di aceto rosso ed usare quando ci si pettina bagnando ripetutamente il pettine nel liquido. RIDONARE Al CAPELLI UN COLORE SCURO Far bollire per 10 minuti in due litri di acqua calda 100 g di foglie di castagno. Filtrare ed usare come ultimo risciacquo, dopo aver lavato i capelli. Ripetere questo trattamento per almeno due mesi. CONTRO LA PERTOSSE Versare un cucchiaino di foglie in una tazzina da caffè di acqua calda. Coprire e filtrare dopo 10 minuti. Addolcire con miele e berne almeno 2, 3 tazze al giorno, lentamente e a piccoli sorsi. ELIMINARE IL CATARRO BRONCHIALE In mezzo litro di acqua calda versare due cucchiai di foglie e far bollire per 3 minuti. Coprire e filtrare dopo 10 minuti. Aggiungere eventualmente del miele e bere a sorsi nel corso della giornata. 41


CULTURA di Gian Maria Bavestrello

Brutti ma buoni I broccoli alla prova della cucina Brutta, anzi bruttissima. Per alcuni, soprattutto i bambini, un vero e proprio castigo. Cucinata a dovere e abbinata in modo intelligente, però, la brassica oleracea italica rivela non solo proprietà nutritive sorprendenti, ma anche una pregevole adattabilità a ricette di alta gastronomia. Brassica oleracea ver. italica è l'etichetta sotto cui si cela quell'ortaggio che chiamiamo comunemente broccolo, e che altro non è se non una varietà di cavolo. Una varietà che si contraddistingue, innanzi tutto, per il fatto che di essa non si mangiano le foglie ma le infiorescenze non ancora mature e per questo poco gradevoli al sentimento estetico. I broccoli sono coltivati in varie zone d' Italia e del mondo, benché siano originari dell'area mediterranea compresa tra Grecia, Turchia, Siria e Cipro. Diffusi già in epoca romana, costituivano un ingrediente già allora tacciato come “povero”. Un destino, questo, che il broccolo si trascinerà dietro lungo l'intero corso della storia insieme ad altre verdure come sedano, navone, lattuga, porro e crescione, unico companatico possibile per la maggior parte della popolazione europea. 42

Del broccolo esistono diverse tipologie locali, oggi per lo più sostituite da varietà selezionate. In Italia le coltivazioni più diffuse si situano nel centro sud, in particolare nelle regioni Puglia, Campania, Lazio e Marche. Tipici di queste aree sono anche i broccoletti, piccoli ammassi floreali del cavolo broccolo ramoso. I broccoli sono apprezzati particolarmente dai nutrizionisti perché fonte di vitamine, fibre e magnesio. La loro fortuna recente è legata anche alle proprietà riscontrate nella prevenzione di alcuni tumori. Gli aspetti che qui più ci interessano sono però gastronomici e interessano il broccolo come preziosa risorsa sul tavolo di lavoro di chef e massaie.

La prima annotazione non può che essere fatta su quella variante del piatto forse più rappresentativo della Puglia, le “orecchiette alle cime di rapa”.


ENOGASTRONOMIA Le “recchitelle” o “strascinati” possono essere infatti accompagnate anche dai broccoli, che rispetto alle cime di rapa hanno il pregio di essere meno amari. In questa ricetta i broccoli sono prima cotti nell'acqua che sarà poi destinata alla bollitura della pasta, quindi in padella per dieci minuti insieme ad olio, aglio, acciughe sotto sale e un pizzico di peperoncino se gradito. Una parte dei broccoli sarà poi prelevata e frullata in un mixer fino a creare, aiutandosi anche con un filo d'olio extra vergine di oliva, un vero e proprio pesto. Il composto sarà quindi amalgamato ai broccoli rimasti in padella e infine alle orecchiette. Un mestolo di acqua di cottura favorirà la cremosità del piatto in cui i broccoli danno prova di grande virtù. Non è questa l'unica ricetta in cui i broccoli possono diventare occasione di gioia anche per i commensali che non sono a dieta. Se la cucina moderna è innamorata degli sformati, sfiziosi antipasti a base di purea cotti in forno a bagnomaria, la purea di broccoletti ottenuta prima lessando e passando l'ortaggio, quindi aggiungendovi besciamella, formaggio grattugiato e rosso d'uovo, promette di rappresentare un'entrèe in grado di sorprendere ospiti o clienti, soprattutto se accompagnata a una salsa di formaggio caprino diluito nel latte e ben regolato di pepe.

Capita sempre più spesso, a chi cucina, di dover soddisfare gusti vegetariani: gli sformati di broccoli sono una ricetta da tenere sempre a mente in questi casi. Impossibile dimenticare, anche, quanto i broccoli siano adatti come contorno di pesce e carni. Il loro consumo è anzi collegato in gran parte a questa funzione. Il problema – soprattutto per chi non stravede per essi - è valorizzarli, trovare l'ingrediente giusto che li renda accattivanti e saporiti. Esiste un ingrediente di questo tipo? Oltre a olio e limone, il suggerimento è quello di accompagnare i broccoli lessati a una cremosa salsa allo yogurt dal sapore intenso e aromatico, a base di yogurt fresco, latte, erba cipollina e menta. Così “vestiti”, i broccoli sprigioneranno non solo le loro proprietà nutritive, ma anche una piacevole e inedita sensazione in bocca.

La ricetta Vellutata di broccoli

400 gr. di broccoli 1 porro 400 gr. di patate 40 gr. di burro, 8 dl di brodo vegetale timo, sale, pepe 4 fette di pane olio extra vergine di oliva. Pulite e tagliate a fette il porro e le patate, precedentemente private della buccia. Lavate i broccoli eliminando i gambi e riducendoli a cimette. In un tegame fondete al burro e aggiungete i filetti di porro, facendoli scottare a fuoco basso per 10-15 minuti. Aggiungete le patate e i broccoli, fateli rosolare per qualche minuto, quindi aggiungete il brodo vegetale caldo e continuate la cottura per 30 minuti a fuoco dolce, regolando di sale e pepe. Passate le verdure e riponete in tegame la vellutata che avrete ottenuto , aggiungendo qualche foglia di timo. Guarnite con crostini di pane, olio extravergine di oliva e, se gradito, formaggio grattugiato.

DA ABBINARE CON Gioia del Colle Bianco DOC Il Gioia del Colle bianco è un vino DOC la cui produzione è consentita nella provincia di Bari. Di colore bianco tendente al paglierino, è gradevole e delicato all'olfatto, con caratteristiche di fruttato. Il sapore è asciutto, fresco e armonico. Prodotto con uvaggio Trebbiano Toscano in una percentuale compresa tra il 50 e il 70%, ha un titolo alcolometrico minimo di 10,5 gradi.

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CULTURA

AGENDA DI OTTOBRE Festa dei Frutti Dimenticati dal 12 al 20 ottobre a Casola Valsenio (RA) www. terredifaenza.it - www.proloco-casolavalsenio.blogspot.it Nel paese di Casola Valsenio, che si fregia del titolo di "Paese delle Erbe e dei Frutti Dimenticati", le antiche tradizioni contadine locali di coltivazione delle piante si esprimono anche nella salvaguardia di alberi da frutto di varietà ormai abbandonate o uscite di produzione. A questi frutti dimenticati Casola Valsenio, in provincia di Ravenna, dedica un doppio originale appuntamento autunnale: Festa dei Frutti Dimenticati. Piante spontanee o coltivate negli orti e nei frutteti di casa per il consumo domestico fin dal tardo Medioevo, i frutti dimenticati sono perlopiù caratteristici della stagione autunnale e rappresentavano una preziosa scorta di cibo da conservare con cura per l'inverno. Salvati dall'estinzione e recuperati per la gioia di chi li ha conosciuti e di chi li vede per la prima volta, ecco le giuggiole, le pere spadone, le corniole, le nespole, le mele cotogne, i corbezzoli, le azzeruole, le sorbe, le pere volpine, l'uva spina, senza dimenticare noci, nocciole, melagrane e i marroni, simbolo dell'autunno. Nel corso della festa si svolge un concorso di marmellate e un concorso dolce di marroni, mentre i ristoranti della zona proporranno per tutto l'autunno la "Cucina ai frutti dimenticati". Nei menù compaiono così i risotti di pere volpine, l'arrosto di arista con castagne e lamponi o il rotolo di vitello al melograno, la crostata di marmellata di sorbe, le prugnole ripiene di noci e zabaione, il sorbetto alle corniole.

Eurochocolate EVERGREEN - La sostenibile dolcezza dell'essere dal 18 al 27 ottobre a Perugia (PG) www.eurochocolate.com - www.perugina.it In occasione dei festeggiamenti per i suoi primi venti anni di attività, Eurochocolate Perugia amplia i suoi orizzonti e dedica all'ecosostenibile e al mondo dell'ecologia il suo impegno. E' infatti, Evergreen - La sostenibile dolcezza dell'essere, il claim ufficiale dell edizione 2013. L'immagine Ufficiale della manifestazione è tutta rivolta al green: una piantina di menta (particolarmente adatta all'abbinamento con il cioccolato) capace di esprimere il concetto di "freschezza" che viene da sempre riconosciuto al progetto di Eurochocolate, travasata in una golosa Tazza per cioccolata che sarà il Gadget Ufficiale della linea Eurochocolate 2013. La Tazza Evergreen sarà accompagnata, nel già ricchissimo merchandising ufficiale di Eurochocolate, da Via le mani dal Vaso! la nuova linea di ceramica con una golosa colata di cioccolata. Evergreen è anche e soprattutto una presa di coscienza, uno spaccato di vita sulla società contemporanea, che rivolge lo sguardo alla salvaguardia dell'ambiente nella quotidianità di tutti i giorni.

Mondomerlot dal 25 al 27 ottobre ad Aldeno (TN) Ritorna anche quest'anno la rassegna dedicata ad un'eccellenza enologica trentina, da anni punto di riferimento nazionale per quanti si occupano del prestigioso vitigno. Giunta alla 14a edizione e aperta al pubblico, l'edizione 2013 offre un ricco calendario di appuntamenti di grande richiamo ed interesse che vedranno la partecipazione di importanti operatori del settore, tecnici, giornalisti ed opinion maker. La manifestazione sarà preceduta dal Concorso Nazionale "Merlot d'Italia", giunto all' 11a edizione, che si svolgerà ad Aldeno nelle settimane precedenti. La Mostra del "Merlot d'Italia" presso il Teatro Comunale vedrà la presenza di oltre 130 etichette provenienti da tutto il territorio italiano, fra le quali le migliori aziende produttrici. Sarà aperta al pubblico nei giorni di venerdì 25 e sabato 26 pomeriggio e domenica 27 tutto il giorno. Prevista anche quest'anno la partecipazione di una sezione specifica dedicata ai bordolesi storici del Trentino e nazionali. Numerose degustazioni enogastronomiche, il tradizionale Baccanale di MondoMerlot con degustazione di 5/6 proposte di Pasta Felicetti e lo spettacolo firmato da uno dei grandi personaggi televisi di Zelig completano l'offerta.

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