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iii-iv 2017


Atelier CorniCi e restAuri

CorniCi allestimenti museali realizzazioni in plexiglas restauro

cornicierestauri.ch


In di ce 05

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Meret Oppenheim

La chiesa di San Nicolao a Giornico

opere in dialogo da max ernst a mona hatoum 09

Miki Tallone

in conversazione

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Roberta Tenconi l’incontro

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Da non perdere

j.j. winckelmann (1717-1768) joel shapiro ceramica/céramique/keramik

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L’agenda 25

Mirabilia



Meret Oppenheim Opere in dialogo da Max Ernst a Mona Hatoum Testo: Alice Nicotra

I

l Museo d’arte della Svizzera italiana ospita una delicata e completa mostra intitolata Meret Oppenheim. Opere in dialogo da Max Ernst a Mona Hatoum, in cui è presente una selezione di opere frutto delle visioni eccentriche, divertenti e oniriche di un’artista dal carattere entusiasta che si è mossa tra il surrealismo della Parigi degli anni Trenta e una libertà poetica del tutto personale, lungo un cammino durato una vita. Meret Oppenheim nasce nel 1913 a Berlino, figlia di un medico tedesco, Erich Alphons Oppenheim, e di Eva Wenger, una signora svizzera proveniente da una famiglia a dir poco singolare: la madre di Eva, Lisa, era infatti un’illustratrice e scrittrice di libri per bambini che aiutò la nipote a sviluppare il suo amore per l’arte. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, la famiglia Oppenheim si trasferisce a Delémont, un paese svizzero al confine con la Germania, dove i nonni materni possedevano una villa. La piccola Meretlein, il cui nome si deve ad uno dei personaggi dell’o-

pera Enrico Il Verde, dello scrittore svizzero Gottfried Keller, cresce in un ambiente di brillanti intellettuali, molto aperto alle influenze culturali dell’epoca: dalla letteratura romantica tedesca, letta e amata dai nonni, agli studi di Carl Gustav Jung sulla civiltà umana e i simboli, di cui il padre si serviva per compensare i suoi trattamenti medici sui pazienti e le cui influenze sono innegabilmente rintracciabili nell’opera, soprattutto pittorica, dell’artista. All’età di quattordici anni, Meret inizia ad annotare all’interno di un quaderno le proprie esperienze oniriche e farà di questa pratica una necessità che la accompagnerà per tutta la vita, facendone una surrealista inconsapevole prima del tempo e dell’incontro con i protagonisti dell’avanguardia. Già in tenera età, la nostra è un’amante dei grandi sperimentatori e intellettuali che hanno fatto la storia del teatro e della letteratura come Hugo Ball e Herman Hesse, sposo infelice, per un breve periodo, della zia di Meret, Ruth. Nel 1932, sostenuta dal padre che

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segna delle “poetiche dell’oggetto” che avevano animato l’esperienza dadaista attraverso opere come Bon Appétit Marcel! (The White Queen), un omaggio all’amato Duchamp, fervente sostenitore del gioco da scacchiera, oppure una fotografia dell’opera d’arte che l’ha consacrata all’interno del mondo dell’arte contemporanea ma, al tempo stesso, ha dato il via al primo dei fraintendimenti legati alla sua opera per mano di André Breton. Tazza, piattino e cucchiaino (1936), semplicemente così intitolato dall’artista dopo una colazione con Picasso alla quale indossava uno dei braccialetti da lei creati per la stilista italiana Elsa Schiaparelli, diventa Colazione in pelliccia, dopo che Breton ebbe creato una sintesi a due rimandi per lui molto cari. Uno è da riferirsi al Déjeuner sul l’herbe di Manet, opera che scandalizzò la capitale francese nel 1863, e l’altro al celeberrimo romanzo di Leopold von Sacher-Masoch, Venere in pelliccia, all’interno del quale il protagonista diventa amante e succube schiavo di una splendida donna. Ampio spazio viene dato sia alle opere di coloro che formarono il gusto di Meret, capace di assorbire e rielaborare attraverso strumenti propri le brillanti idee

crede in lei dopo averne riconosciuto il talento alla scuola d’arte, avviene una svolta: ancora diciottenne, Meret lascia la Svizzera per la grande capitale avanguardistica dell’epoca, Parigi, dove il movimento surrealista, capitanato da André Breton, infiamma la città con la sua “Révolution surréaliste” già dal 1924, anno della pubblicazione del Primo Manifesto surrealista. Qui, entra subito in contatto con il circuito degli artisti e dei letterati surrealisti. Personaggi del calibro di Alberto Giacometti, Hans Arp, Francis Picabia, Max Ernst e Man Ray notano subito il talento di questa giovane e bellissima donna che viene invitata ad esporre con loro e a posare per loro. Il percorso espositivo ha lo scopo di mettere in risalto la figura di questa innovativa artista, curiosa intellettuale, donna determinata e instancabile, che si è guadagnata la propria libertà in un mondo ancora patriarcale all’interno di una cerchia di artisti più adulti ed esperti di lei, in grado di elevare un giovane talento femminile ma, al contempo, di fraintenderlo e imprigionarlo all’interno delle proprie surrealistiche visioni e perversioni. Le prime sale raccontano al fruitore gli inizi parigini della giovane Meret all’in-

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Meret Oppenheim, Das Paar, 1956 Scarpe in pelle 20 x 40 x 15 cm Collezione privata A pagina 4 Meret Oppenheim Ritratto con tatuaggio, 1980 Fotografia con intervento a pochoir 29.5 x 21 cm Collezione privata

rie di foto scattata da Man Ray all’interno della stamperia Marcoussis, di cui alcune immagini vennero inserite all’interno della rivista surrealista “Minotaure”, dove Meret diventa protagonista e quasi attiva performer di un gioco indiscreto e scabroso. Il percorso prosegue presentando altre opere molto interessanti come Die alte Schlange Natur (Il vecchio serpente natura), opera tarda del 1970 che, oltre a rappresentare uno dei temi a lei cari come il serpente, introduce la seconda parte della mostra in cui si trova in preponderanza la sua produzione pittorica, meno carica di geniali intuizioni e bravura tecnica ma molto più connessa ad una sfera intimistica e legata a tutti quegli aspetti fantastici, onirici e simbolici che caratterizzano gli interessi di una vita. Simbolica nel rappresentare l’aspetto visionario e creativo della produzione Oppenheim, non esente anche da profonde crisi personali e produttive, la scultura in bronzo Sechs Wolken auf einer Brücke (Sei nuvole su un ponte) del 1975, dove vengono ricreate attraverso uno sguardo infantile, e per questo puro, le forme che assumono le nuvole quando ci divertiamo a guardarle in mutamento.

di un contesto dal fervore creativo irruento, come Duchamp, Ernst e Picabia, sia a coloro che ne raccolgono l’eredità come nel caso di Mona Hatoum che, con T42 (gold), simpaticamente rielabora molte tematiche care al surrealismo come il tema del doppio e il rapporto, al limite del feticismo, con il cibo. Per citare un altro artista che raccoglie queste suggestioni, Robert Gober, ci avviciniamo alla saletta che in mostra viene denominata “Corpo e materia”. In questo caso ci viene illustrato, attraverso l’esposizione di un oggetto caro alla nostra artista come le scarpe, quello che Freud caratterizza e teorizza nei Tre saggi sulla sessualità come “feticismo”, ovvero la predilezione di una parte per il tutto che sovente viene caricata di attributi sessuali. Ed è così che Gober ci restituisce, in un contesto animato da scarpe “adulte” intente a scambiarsi effusioni come in Das Paar (La coppia), oppure a ospitare una lingua di bovino reale al loro interno, come nel caso della creazione di Birgit Jürgenssen, una piccola e deliziosa scarpa da bambina in cera che assume valenze alquanto perturbanti, come se fosse fuori contesto. Non poteva mancare la celebre se-

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Meret Oppenheim, Die Waldfrau, 1939 Olio su pavatex 28 x 37.5 cm Collezione privata

Meret Oppenheim, Bon AppĂŠtit Marcel, 1996 Materiali vari 32 x 32 x 10 cm Collezione privata

Meret Oppenheim Opere in dialogo da Max Ernst a Mona Hatoum 12.02.2017 – 28.05.2017 MASI Lugano, LAC Piazza Bernardino Luini 6 6900 Lugano +41 58 866 42 30 www.masilugano.ch


Miki Tallone IN CONVERSAZIONE fotografia: Chiara Tiraboschi

Durante gli ultimi anni hai sviluppato opere che mettono in relazione lo spazio e la memoria, come la palafitta che hai portato l’estate scorsa a Morcote. A proposito di memoria collettiva, in Gibilterra hai realizzato un’opera che rievoca le evacuazioni dei civili durante la seconda Guerra Mondiale ad opera dell’esercito britannico - per sfruttare strategicamente l’isola - ci vuoi parlare della sua genesi? Lavorare nell’arte permette, a volte, di giungere in terre sconosciute dove si nascondono storie inattese e sorprendenti. In un territorio periferico e di confine tra i mondi europeo ed africano, Gibilterra, esistono vicende sottintese connesse all’importanza strategica che ebbero nelle guerre mondiali. Il fatto che l’evacuazione forzata da Gibilterra di donne e bambini delle famiglie di origine britannica sia rimasto nel tempo come un lutto inespresso, mi ha spinto a scegliere di lavorare su questa memoria collettiva. Così scrissi una lettera alla popolazione, chiedendo di prendere delle lenzuola dalle proprie case e di donarle per la realizzazione di quest’opera che avrebbe così elevato una piccola voce nascosta. Per questo l’installazione si è chiamata In a Low Voice. Perché proprio il lenzuolo? Credo che nulla rappresenti l’intimità individuale e di coppia quanto un lenzuolo. Per esempio, uno dei diari più toccanti presenti nell’archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano fu scritto interamente dall’autrice sulle lenzuola di casa sua. Le lenzuola sono intuitivamente associate a momenti vitali come la nascita, il sonno, il sesso e la morte. Si tratta di un archetipo collettivo, presente anche nelle comunità. Mentre ero in residenza alla Cité des Arts (Parigi), impiegai per la prima volta quel tipo di manufatto che accompagna l’uomo

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a cura di Daniele Agostini


da secoli e secoli. Ma in quel caso era importante anche il fatto che un oggetto tanto intimo – il medesimo chiaramente pulito - veniva poi impiegato anche da altre comunità come ospedali e carceri, mostrando un’intercambiabilità difficile da intuire. Esplorare, ascoltare, osservare, scandagliare il territorio sono le caratteristiche principali nella tua ricerca. Quanto è presente l’approccio scientifico? Non ho una formazione scientifica, ma sono interessata ai molteplici punti di contatto tra le varie forme d’arte e le scienze. Per esempio, un campo che mi ha sempre coinvolta – quello delle arti performative – vede dalla musica alla danza, in particolare nei suoi linguaggi di notazione, un legame indissolubile con matematica e geometria, e questo ha ispirato le mie sculture sul metodo Laban basate sulla forma dell’icosaedro. Attualmente stai lavorando al tuo progetto per la Fondazione la Fabbrica Del Cioccolato che sarà fruibile a settembre, ci anticipi qualcosa? Quegli spazi presso la ex Cima Norma a Torre, in Val di Blenio, sono ottimali e sicuramente appropriati per sperimentazioni e grandi installazioni. Così ho scelto di creare ad hoc due grandi installazioni e quattro serie di opere, in parte afferenti a tecniche tradizionali come la scultura e la stampa artistica. Questi sei lavori sono tutti legati a due aspetti fondamentali del riutilizzo di ciò che viene tolto dai tunnel connessi alle grandi opere: la modificazione morfologica del territorio dovuta allo spostamento di masse di detriti e la loro colonizzazione da parte della flora, di solito grazie ad apposite ripiantumazioni.

Can You Give Me My Position?, National Gallery of Iceland Reykjavik 2013 © miki tallone 2013 multiplo numerato 1/11-11/11 Scatola in vetro serigrafato, lenzuolo serigrafato piegato fotografia: Maurizio De Marchi

www.mikitallone.net


Roberta Tenconi L’INCONTRO Roberta Tenconi ha curato mostre presso istituzioni italiane e internazionali; dal 2015 è curatrice di Pirelli HangarBicocca a Milano. Cosa ha maggiormente contribuito alla maturazione del tuo approccio curatoriale? Mostre che hai realizzato o solo esperito, letture particolari, artisti e curatori che ti hanno ispirato… L’iniziale esperienza al Castello di Rivoli mi ha insegnato a prendermi cura delle opere nel senso più stretto. Penso che sia mio compito valorizzare l’opera seguendone tutte le fasi, dall’idea fino alla realizzazione ed esposizione, creando collegamenti dialogici che rendano onore alla sua complessità e stratificazione. Lavorando alla IV Biennale di Berlino (2006, curata da Maurizio Cattelan, Massimiliano Gioni e Ali Subotnick) ho compreso che oltre al lavoro intellettuale ciò che rende speciale una mostra è l’amore per i dettagli. Su oltre 80 artisti e 12 sedi, ogni progetto, dalle grandi installazioni fino alla più minuta incisione, riceveva estrema attenzione; perfino quanto pulire (o non pulire) i davanzali delle finestre, in virtù dello spirito del luogo. L’elenco di figure che mi ispirano cresce continuamente. Sono molto presa da Duchamp, secondo cui ogni opera nasce da un padre, l’autore stesso, e da una madre, chi la guarda: io penso pure dal modo in cui la si osserva. Gli artisti con cui ho lavorato, da Fischli e Weiss fino a Petrit Halilaj o Laure Prouvost, mi hanno insegnato che è sempre possibile osservare le cose diversamente da come siamo abituati. Citerei poi Harald Szeemann: ogni volta che sfoglio il suo ultimo libro, un compendio di tutte le mostre curate dal 1957 al 2005, scopro qualcosa di nuovo. Il solo titolo dice tutto di un’attitudine, with by through because towards despite. E poi Vicente Todolí, Direttore Artistico di HangarBicocca, dalla rara capacità di immaginare una mostra mentalmente ancor prima che sulla carta.

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a cura di Stefano Menichini


“L’arte è complicata: mi interessa che l’opera restituisca questa complessità, illuminando aspetti particolari della vita e riPrima di Pirelli HangarBicocca hai uscendo a farci guardare lavorato per Fondazione Trussardi il reale con occhi diversi.” e presso spazi come Gertrude Contemporary a Melbourne e Assab One a Milano. Cosa significa per te lavorare all’interno di organizzazioni no profit? Ho lavorato in contesti pubblici e privati piccoli o articolati come la Biennale di Venezia, ma l’approccio è sempre il medesimo: cerco di realizzare ogni mostra al meglio. La mia fortuna è aver sempre lavorato per istituzioni profondamente impegnate, aperte ai progetti più radicali e ambiziosi. Se lavorassi in una galleria dovrei trovare dei potenziali compratori, mentre in un centro d’arte mi preoccupo piuttosto di creare nuovi spazi di riflessione per gli artisti, i professionisti dell’arte e il pubblico allargato. Lo Shed di Pirelli HangarBicocca è un ambiente disomogeneo, ricco di elementi palesemente industriali. Uno spazio così lontano dal white cube rappresenta uno stimolo per te e per gli artisti? Ho sempre amato lo Shed, ricordo perfettamente la prima volta che lo vidi, ancora privo di pavimento. E hai ragione, la sua anima industriale è chiaramente lasciata visibile, con un’eleganza e equilibri particolari.Tutto qui sembra l’opposto di quello che è: in Hangar è detto lo “spazio piccolo” nonostante i 1400m²; non riceve luce naturale, ma aprendo le 13 porte si tramuta in uno scheletro di luce; il soffitto è un intrico di travi e tiranti, in grado però di reggere solo se stesso. Un artista lo ha definito “un’illusione”, appenderci qualcosa comporta un lavoro ingegneristico pazzesco. Per me lo Shed significa calarsi nell’universo dell’artista: grande e complesso, ma raccolto al tempo stesso. È come se una forza centripeta tenesse tutto assieme nonostante la dispersione. Per gli artisti credo sia lo stesso: la loro prima reazione è quella di ricavarne ambienti più piccoli, ma poi si divertono a inventare

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soluzioni impensabili. È un braccio di ferro col luogo senza che nessuno vinca o perda, cerchi di forzare e ripensare i limiti sia del luogo che delle opere. Le mostre di Petrit Halilaj e Laure Prouvost che hai curato sono accomunate dai temi della memoria e dell’identità, anche generazionale; entrambi gli artisti usano readymade per articolare le proprie narrazioni. Si tratta di aspetti che ricerchi particolarmente? Mi fa piacere sentirlo perché in effetti queste mostre hanno qualcosa in comune, anche se io stessa me ne sono resa compiutamente conto solo a posteriori. Poi certo, sono lavori diversissimi e, a parte Duchamp, i “nonni” e le “nonne” di Halilaj e Prouvost non frequentavano le stesse spiagge. L’arte è complicata: mi interessa che l’opera restituisca questa complessità, illuminando aspetti particolari della vita e riuscendo a farci guardare il reale con occhi diversi. Ciò accade sia con Petrit che con Laure: anche se l’uno tratta drammatiche storie di guerra e l’altra tematiche femministe, entrambi restituiscono una visione del mondo e parlano di umanità. La tua prossima mostra è una personale di Rosa Barba. Ci puoi anticipare qualcosa? Quello di Rosa Barba sarà quasi un percorso antropologico per luoghi che conservano la memoria del passato. I suoi film mostrano paesaggi e storie che sembrano sospesi fuori dal tempo, quando in realtà tutto è volto all’esperienza e alla comprensione del presente. Sarà una mostra emozionale tra installazioni luminose, sculture cinetiche e proiezioni. In particolare, presenteremo il suo ultimo lavoro, From Source to Poem, un film che Pirelli HangarBicocca ha coprodotto con il CAPC di Bordeaux e la partecipazione di Tabakalera, Donostia. Girato negli Stati Uniti nel più grande archivio audio-video al mondo di materiale culturale – il Library of Congress, National Audio-Visual Conservation Center – esso esplora l’eredità e il significato del patrimonio culturale.

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Da non perdere

Atelier Angelika Kauffmann, Ritratto di J.J. Winckelmann, 1764, olio su tela, 81,5 x 62,5 cm Kunsthaus Zurigo

Joel Shapiro, Study (20 Elements), 2004、 caseina su legno, 42 x 37.5 x 38 cm, Zürich, Weber Jamileh, JS 1582 © SIK-ISEA | ©ProLitteris

J. J. WINCKELMANN (1717-1768). I “MONUMENTI ANTICHI INEDITI”. STORIA DI UN’OPERA ILLUSTRATA

Joel Shapiro Floor Wall Ceiling Il Kunstmuseum di Winterthur, dedica una mostra personale a Joel Shapiro (New York, 1941). Legato alla poetica della minimal art e del costruttivismo, lo scultore, perseguendo i concetti di massa e colore, realizza opere sia di piccolo formato, sia installazioni di grandi dimensioni - privilegiando il medium del legno - frutto di proiezioni di pensiero nello spazio e di esperimenti legati alla gravità.

Al m.a.x. museo di Chiasso, una raffinata mostra rende omaggio al padre della moderna disciplina della storia dell’arte Johann Joachim Winckelmann, riscoprendo la sua opera a stampa Monumenti antichi inediti di collezioni romane, presentando le 208 grafiche contenute nell’editio princeps del 1767. Ad arricchire la mostra vi sono alcuni ritratti dello studioso, un delizioso cammeo, un bassorilievo romano e i resti di un affresco pompeiano, messi in dialogo con le stampe che li raffigurano.

11.01.2017 – 17.04.2017 Kunstmuseum Winterthur Museumstr. 52 8400 Winterthur +41 52 267 51 62 www.kmw.ch

05.02.2017 – 07.05.2017 m.a.x.museo Via Dante Alighieri 6 6830 Chiasso +41 91 695 08 88 www.centroculturalechiasso.ch

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Buchmann Galerie Agra, opere di Tony Cragg e Bettina Pousttchi, exhibition view | © Courtesy Buchmann Galerie Agra/Lugano and the artists Foto Rémy Steinegger

CERAMICA / CÉRAMIQUE / KERAMIK La mostra presso la Galleria Buchmann di Agra, offre uno sguardo sulla produzione artistica contemporanea con un focus sulla ceramica. Sono presentati lavori degli anni Novanta e recenti di Tony Cragg, una selezione di sculture caratterizzate dalle forme primitivo-arcaiche di Martin Disler, che si contrappongono a quelle geometriche dei lavori di Alberto Garutti e Alex Dorici, oltre ad alcune opere, legate all’architettura, di Bettina Pousttchi e Thomas Virnich. Da sottolineare il delicato e poetico lavoro di Véronique Arnold, un kimono in georgette di seta fioccata arricchito di foglie in porcellana di Limoges.

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19.02.2017 – 31.05.2017 Buchmann Galerie Via Gamee 6927 Agra +41 91 980 08 30 www.buchmanngalerie.com



La chiesa di San Nicolao a Giornico Testo: Nicholas Costa

L

a chiesa di San Nicolao a Giornico, è definita come il monumento romanico più importante del Canton Ticino. Oggi il suo aspetto è dettato da un restauro definito purista, aggettivo che qui indica la totale rimozione di qualsiasi decorazione pittorica o struttura architettonica non attinente a stilemi medievali. Grazie a questo approccio tremendamente Belle Epoque, la chiesa e i posteri sono stati privati di qualche affresco cinquecentesto e di alcune modifiche settecentesche ma, a ragione, si può dire che il fascino medievale è giunto a noi malandato ma incolume. Sappiamo che la costruzione di San Nicolao è conclusa nel 1210 e che nelle sue vicinanze doveva sorgere un convento legato all’ordine benedettino di cui, già nel XVI secolo, si sono perse le tracce. La chiesa, fedele ai canoni del romanico lombardo, presenta una facciata a capanna - lungo la cui sommità corrono archetti pensili a slan-

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ciarne la figura - al cui centro si trova il portale, inquadrato da due lesene e arricchito da leoni stilofori e capitelli scolpiti, il tutto è completato da alcune sculture dedotte da bestiari medievali. Il secondo portale, che si apre nella parete sud, si distingue per le curiose teste barbute che arricchiscono il sostegno dell’architrave. Questi elementi esterni sono solo un antipasto per il visitatore, la portata principale si trova all’interno. Percorrendo l’unica navata di San Nicolao, troviamo, sulla sinistra, un’inusuale vasca battesimale a base esagonale del XII secolo, proveniente dalla vicina chiesa di San Michele. Lungo la navata, qualche acuto osservatore noterà la presenza di semipilastri: è probabile che questi siano i resti di un divisorio utilizzato per separare lo spazio dedicato ai fedeli da quello occupato dall’ordine benedettino, un elemento che ricorre in altre forme e modi nelle chie-


Due capitelli nella cripta A pagina 16 Il portale con i leoni stilofori

se di Santa Maria degli Angeli a Lugano e Santa Maria delle Grazie a Bellinzona. Sotto il presbiterio si trova la cripta, in una posizione apparentemente inusuale, che nasce in edifici precedenti di secoli come soluzione addottata per consentire ai pellegrini di adorare le reliquie dei santi. Infatti, nel medioevo, arti, denti, crani e strumenti di martirio erano conservati in molte chiese, che gareggiavano fra di loro per chi ne possedeva di più: maggiore era la quantità di reliquie, maggiore era la rinomanza del-

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la chiesa. Chiuso questo piccolo excursus un po’ morboso, torniamo a parlare della cripta, vero gioiello di San Nicolao: divisa in tre navate mediante otto colonne, il fulcro dell’attività scultorea di questo luogo si trova nei capitelli, ognuno reso unico da una varietà di motivi fitomorfi e zoomorfi, geometrici e antropomorfi. Affascina il fatto che ogni fiore, animale o uomo sembra essere lì per un motivo preciso; l’esempio più eclatante riguarda forse il capitello su cui è scolpito il giglio ancora bocciuolo


Nicolao da Seregno, Cristo in Mandorla, 1478

fora centrale, una Crocifissione accompagnata da figure di sante. A concludere le particolarità iconografiche della chiesa di San Nicolao il vultus trifrons, una figura a tre teste e quattro occhi simbolo della Trinità, proibita successivamente dalla Chiesa a causa del suo aspetto mostruoso.

su un lato e in fiore sull’altro. Sembra che questo simbolo dell’Annunciazione fosse originariamente colpito dalla luce del sole proprio il 25 marzo, giorno dell’annuncio dell’arcangelo Gabriele alla Vergine Maria. La chiesa conta, tra l’altro, alcuni cicli di affreschi, certi in migliori condizioni di altri. Tra questi è sicuramente da segnalare la decorazione pittorica dell’abside eseguita in data 1478 e firmata Nicolao da Seregno. Passando dal Cristo in Mandorla alla serie di santi seguiamo, dopo la mono-

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Chiesa di San Nicolao CH - 6745 Giornico

Il coro e la cripta della chiesa

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L’agenda

IN(DE)FINITI LUOGHI UTOPIE ARCHITETTONICHE E REALTÀ ARTISTICHE 11.03.2017 – 06.08.2017 Museo Civico Villa dei Cedri Piazza San Biagio 9 6500 Bellinzona +41 91 821 85 20 www.villacedri.ch

TOPOGRAFIE FOTOGRAFIE DI FABIO TASCA 27.03.2017 – 13.05.2017 CONS ARC / GALLERIA Via Gruetli 1 6830 Chiasso +41 91 683 79 49 www.consarc.ch

J. J. WINCKELMANN (17171768). I “MONUMENTI ANTICHI INEDITI”. STORIA DI UN’OPERA ILLUSTRATA 05.02.2017 – 07.05.2017 m.a.x.museo Via Dante Alighieri 6 6830 Chiasso

CERAMICA / CÉRAMIQUE / KERAMIK 19.02.2017 – 31.05.2017 Buchmann Galerie Via Gamee 6927 Agra +41 91 980 08 30 www.buchmanngalerie.com

+41 91 695 08 88 www.centroculturalechiasso.ch

ROBERT INDIANA 09.04.2017 – 13.08.2017 Pinacoteca comunale Casa Rusca Piazza S. Antonio 6600 Locarno +41 91 756 31 85 www.museocasarusca.ch

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LAWRENCE CARROLL “I WANT TO GO HOME” 18.02.2017 – 31.05.2017 Buchmann Lugano Via Della Posta 2 6900 Lugano +41 91 980 08 30 www.buchmanngalerie.com


Per gli orari di apertura si prega di contattare i musei e le gallerie o di consultare il loro sito.

ANDY WARHOL 19.01.2017 – 17.03.2017 Galleria Allegra Ravizza Via Nassa 3A 6900 Lugano +41 91 224 31 87 www.allegraravizza.com

LOUIS DORIGNY UN FRANCESE NELLA SERENISSIMA 06.03.2017 – 13.05.2017 Galleria Canesso Lugano Piazza Riforma 2 6900 Lugano +41 91 682 89 80 www.galleriacanesso.ch

THE FIRST FAMILY LA FAMIGLIA KENNEDY ALLA CASA BIANCA

MARGHERITA TUREWICZ LAFRANCHI EFFIMERO

15.12.2016 – 08.04.2017

17.03.2017 – 06.05.2017

Photographica Fine Art Via Cantonale 9 6900 Lugano

Galleria Daniele Agostini Via Cattedrale 11 6900 Lugano

+41 91 923 96 57 www.photographicafineart.com

+41 76 452 81 87 www.danieleagostini.ch

FLAVIO PAOLUCCI ATMOSFERE

CRAIGIE HORSFIELD

11.03.2017 – 29.04.2017 Studio Dabbeni Corso Pestalozzi 1 6900 Lugano +41 91 923 29 80 www.studiodabbeni.ch

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fino al 20.05.2017 Galleria Monica De Cardenas Via Coremmo 11 6900 Lugano apertura solo su appuntamento +41 79 620 99 91 www.monicadecardenas.com


MERET OPPENHEIM 11.02.2017 – 28.05.2017 MASILugano, LAC Piazza Bernardino Luini 6 6900 Lugano +41 58 866 42 00 www.masilugano.ch

METAMORFOSI UNO SGUARDO ALLA SCULTURA CONTEMPORANEA 09.04.2017 – 25.06.2017 Museo d’arte Mendrisio Piazzetta dei Serviti 1 6850 Mendrisio +41 58 688 33 50 www.museo.mendrisio.ch

CRAIGIE HORSFIELD OF THE DEEP PRESENT 12.03.2017 – 02.07.2017 MASILugano, LAC Piazza Bernardino Luini 6 6900 Lugano +41 58 866 42 00 www.masilugano.ch

OFFF 29.04.2017 – 03.06.2017 OnArte Via San Gottardo 139 6648 Minusio +41 91 735 89 39 www.onarte.ch

SIMONE CAVADINI RES PVBLICA 14.04.2017 – 28.05.2017 Fondazione d’Arte Erich Lindenberg Museo Villa Pia Via Cantonale 24 +41 91 940 18 64 www.fondazionelindenberg.org

RAFFAELLA COLUMBERG (1926 - 2007) CERAMISTA 26.03.2017 – 20.08.2017 Pinacoteca cantonale Giovanni Züst Piazza Santo Stefano 6862 Rancate +41 91 816 47 91 www.ti.ch/zuest

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Mirabilia Fiere TEFAF Maastricht

miart

10-19.03.2017

31.03-02.04.2017

Mostre CY TWOMBLY

ANISH KAPOOR

WOLFGANG TILLMANS

30.11.2016 – 24.04.2017

17.12.2016 – 17.04.2017

15.02.2017 – 11.06.2017

Centre Pompidou, Parigi

MACRO, Roma

Tate Modern, Londra

WILLIAM KENTRIDGE THICK TIME

KEITH HARING. ABOUT ART

16.02.2017 – 18.06.2017

21.02.2017 – 18.06.2017

TONY CRAGG: A RARE CATEGORY OF OBJECTS

Lousiana Museum of Modern Art, Humlebæk

Palazzo Reale, Milano

BILL VIOLA RINASCIMENTO ELETTRONICO

MIROSLAW BALKA CROSSOVER/S

10.03-2017 – 23.07.2017

04.03.2017 – 03.09.2017 Yorkshire Sculpture Park, Wakefield

16.03.2017 – 30.07.2017 HangarBicocca, Milano

Palazzo Strozzi, Firenze

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NANDA VIGO 28.03.2017 – 30.04.2017 Palazzo Reale, Milano


Im pres sum Rivista bimestrale cartacea fondata a Lugano nel 2014, d’Arte è diffusa gratuitamente in una selezione di gallerie d’arte e di musei ticinesi e all’Istituto Svizzero di Milano. è uno strumento di turismo culturale legato alle arti visive. darte.ch facebook.com/darterivista

Direttore & Editore Daniele Agostini daniele@darte.ch

Pubblicità & Advertorial Daniele Agostini daniele@darte.ch

Direzione Artistica & Grafica Muriel Hediger

In copertina R. Gober Untitled (Red shoe) 1990 Cera colorata 21.6 x 10.2 x 10.2 cm Collezione privata

Progetto grafico Ennes Bentaïba Contributi Daniele Agostini Nicholas Costa Stefano Menichini Alice Nicotra

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