d'Arte 17

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xi-xii 2017


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In di ce 05

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Lucio Fontana

Livio Vacchini

ambienti/environments

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Adriana Beretta

in conversazione

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Antonio Mariotti l’incontro

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Da non perdere cuno amiet ugo la pietra daumier

breve tour architettonico 22

L’agenda 25

Mirabilia



Lucio Fontana Ambienti/Environments Testo: Stefano Menichini

«S

Come inserire fra le immense navate dell’ex stabilimento Breda piccoli ambienti luminosi senza alterarne la natura? Il fruitore si trova a camminare fra diversi container che se all’esterno appaiono disadorni e dipinti di nero (affinché dialoghino con l’architettura scura e industriale di Hangar, secondo un suggerimento di Nanda Vigo), all’interno riproducono le stanze delle gallerie e dei musei a cui Fontana applicò la propria regia. Così, abitare il pionieristico Ambiente spaziale a luce nera, realizzato dall’artista per una personale alla Galleria del Naviglio (1949), prende un risvolto nostalgico e commovente. Colpito dalla sola luce di Wood, un oggetto biomorfo e fluorescente — «né pittura né scultura, forma luminosa nello spazio» — pende dall’oscurità del soffitto. Nell’elaborare una tale entità Fontana si era ispirato al Futurismo, al Surrealismo e, in termini più propriamente spaziali, alle protuberanze solari o alla scia lasciata da un razzo nell’atmosfera. Difficile descrivere quel che si prova qui dentro con parole diverse da quelle dell’artista in una lettera a Enrico Crispolti: «entravi trovan-

ono nato a Rosario di Santa Fé, sul Paranà. Mio padre era un grande scultore, era mio desiderio esserlo. Mi sarebbe piaciuto essere anche un bravo pittore come mio nonno. M’accorsi però che queste specifiche terminologie dell’arte non fanno per me, e mi sentii artista spaziale. Proprio così. Una farfalla nello spazio eccita la mia fantasia». Con queste parole Lucio Fontana sintetizzava il proprio vissuto e la propria ricerca, tanto radicata nelle arti tradizionali quanto tesa al loro stesso superamento. Nei propri scritti, egli mirava a un’«arte maggiore» che potesse garantire l’unità di tempo e spazio, generare «forme artificiali, arcobaleni di meraviglia, scritte luminose» col tramite della tecnologia. Proprio questo estratto dal manifesto Spaziali (1947) soprintende Lucio Fontana. Ambienti/Environments, mostra che restituisce allo spettatore di Pirelli HangarBicocca l’esperienza immersiva di nove ambienti e due strutture ambientali dell’artista, andati perduti e riuniti qui per la prima volta in virtù di una rigorosa ricostruzione filologica.

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doti completamente isolato con te stesso, ogni spettatore reagiva col suo stato d’animo del momento, non influenzavi l’uomo con oggetti o forme impostegli come merce in vendita, l’uomo era con se stesso, colla sua coscienza, colla sua ignoranza, colla sua materia». La nuova arte ambientale di Fontana non fu però compresa dalla critica italiana. Eccettuati i soffitti degli anni Cinquanta (fra cui l’arabesco al neon su «cielino blu Giotto» per la IX Triennale), passerà un decennio prima del secondo ambiente, Esaltazione di una forma (1960), apprezzabilmente non riprodotto in mostra per insufficienza di fonti. Sono invece due gli ambienti presentati alla Triennale del 1964: i corridoi Utopie, realizzati assieme a Vigo sul tema di società future dove siano riconosciute all’uomo «tutte le sue libere possibilità di espansione spirituale e fisica», oggi riallestiti grazie alla memoria dell’architetto. Nanda, che dal 1959 aveva realizzato i

Cronotopi, venne infatti chiamata da Lucio proprio per l’abilità negli effetti luminosi e di trasparenza, utili nel condotto rosso a indurre un senso di pace e relax — è piacevole abbandonarsi sulla moquette a pelo alto — mentre nel condotto nero si gioca sull’ambiguità percettiva data dalla sinuosità di una scia luminosa sulla parete curvilinea. Quest’ultima stanza, inoltre, anticipa l’ambiente concepito per la grande personale al Walker Art Center di Minneapolis (1966), entro il quale «nulla è come appare», perché il pavimento è in realtà di gomma e un’illusoria parete s’inserisce, per mezzo della luce, là dove non c’è che il vuoto. Dobbiamo insistere su questa storica mostra, decisiva per la fortuna internazionale di Fontana: essa risulta successiva alle prime esposizioni d’arte ambientale in America, eventi che esclusero, paradossalmente, l’artista italo-argentino che aveva formulato l’environment con un decen-

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Szeemann. Nel cubo nero a luce nera, ogni oggetto è dissolto e pare di galleggiare nel vuoto agravitazionale. Infine l’invito a Kassel (1968), dove lo spazio mistico, memore di una collaborazione con Carlo Scarpa, costituisce «un’altra formulazione del silenzio. Attraverso un labirinto di corridoi e spigoli, dipinti di un bianco vibrante come il sole, si arriva improvvisamente davanti a un grande taglio nero nel muro, l’unico segno lasciato dall’autore». Fontana sembra presagirvi la propria scomparsa, avvenuta pochi mesi dopo. L’esposizione chiude con Fonti di energia, intricata selva di neon realizzata a Torino, per la fiera del lavoro Italia ’61. A guardarle bene, le silhouettes degli spettatori, emergenti dalla luce verdeblu di questo ambiente, ricordano Quelli che restano di Boccioni, dipinto già omaggiato dall’artista con uno dei suoi primi e nebulosi tagli… Come scrisse Edoardo Persico, lo scopo di Fontana era la vita nell’arte.

nio d’anticipo sul nuovo continente. Fino al 1966, dunque, gli artisti americani conoscevano Fontana solo per i dipinti e le sculture; l’occasione di esperirne gli spazi, traendone ispirazione, si farà più ghiotta ad Amsterdam e Eindhoven, dove la stessa personale (nel 1967) si arricchiva di ben tre nuovi ambienti: una riedizione di quello del Naviglio, benché aggiornato agli stilemi pop e più simile a una galassia, la curva al neon sospesa fra pareti ciclamino e lo spaesante percorso a luce rossa. Sostando in queste sale è francamente impossibile non pensare ai successivi, ma ben più noti, lavori di Bruce Nauman, Dan Flavin o François Morellet. Mentre la fama andava crescendo, Fontana si ammalava di cuore. La consacrazione come inventore del nuovo medium si ebbe con l’invito a Lo spazio dell’immagine di Foligno (1967), prima rassegna d’arte ambientale italiana, forse influente sulla storica When Attitudes Become Form di

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Lucio Fontana, Fonti di energia, soffitto al neon per “Italia 61”, a Torino, 1961/2017 A pagina 4 Lucio Fontana, Ambiente spaziale a luce nera, 1948-49/2017 A pagina 6 Lucio Fontana, Struttura al neon per la IX Triennale di Milano,1951/2017

Lucio Fontana Ambienti/Environments

A pagina 7 Lucio Fontana, Ambiente spaziale con neon, 1967/2017

21.09.2017 – 25.02.2018

vedute delle installazioni in Pirelli HangarBicocca, Milano, 2017. Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano. ©Fondazione Lucio Fontana Foto: Agostino Osio

HangarBicocca via Chiese 2 20126 Milano +39 02 6611 1573 www.hangarbicocca.org

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Adriana Beretta In conversazione Il tuo linguaggio è multiforme: dalla fotografia all’installazione, dalla scultura alla pittura, oscillando fra narrazione e concettualità. C’è una predominanza fra le due tensioni o vige un bilanciamento? Questa dualità di cui parli, in effetti, è quasi sempre presente nei miei lavori, ma si manifesta più nella modalità di lettura dell’opera che non in un’intenzionalità in fase progettuale. Lavoro sul limite fra un’impostazione di tipo concettuale e un’impostazione che può essere letta su un livello poetico. La mia ricerca è sempre stata stimolata da un’attenzione verso il modo di percepire: non solo cosa guardo ma come vedo. Un aspetto per me intrigante è, infatti, come funziona il processo di percezione: la visione che si ha sul “mondo” non è sempre tracciata e lineare, occorre vedere anche ciò che sta ai margini, tra i segni. L’aspetto poetico si trova nei piccoli scarti, nelle deviazioni dai percorsi precostituiti per rilevare le piccole cose alle quali normalmente non si presta attenzione. Cosa ti ha portato in Africa negli anni Novanta e cosa vi hai trovato visto che hai continuato i tuoi viaggi finchè la situazione politica del paese non ti ha più permesso di farvi ritorno? Sono stata in Niger per la prima volta nel 1996 per accompagnare una famiglia, soggiornandovi, successivamente, 5-6 mesi all’anno fino al 2002. In primo luogo sono stata affascinata dalle relazioni che lì si tessono e dalla comprensione che la nostra logica di percepire il “mondo” è completamente differente da quella delle persone del luogo. Confrontarsi con il deserto è, per noi, come percorrere un’esperienza di azzeramento di ogni visione, come un reset della mente. Nel deserto, infatti, non c’è abbondanza nè saturazione, ogni cosa si dà con parsimonia e ogni piccola cosa, ogni piccolo cambiamento, si nota. Impari a prestare attenzione a leggere le pic-

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a cura di Daniele Agostini


cole distinzioni tra la linea netta che separa la terra dal cielo, sul filo dell’orizzonte. Proprio quel “niente” che cerco di rilevare nei miei lavori. Il tuo lavoro è cambiato dal contatto con l’Africa? Non direi che sia cambiato, sono diventata più consapevole che i dettagli minuti sono importantissimi nella percezione di ciò che ci sta attorno. Proprio dal viaggio in Africa è nato il libro NiameyIférouane ((petites histoires incertaines)) edito da Artphilein Foundation nel 2014 e il lavoro fotografico a esso connesso. Ci racconti questo progetto? Il libro è nato dal ricordo di un evento accaduto a Niamey nel 1996: assistevo al mio primo temporale africano. Sul filo vorticoso dell’accadere, recuperando un apparecchietto analogico, ho iniziato a scattare qualche fotografia resistendo alla forza del vento. Alcuni anni dopo le ho riprese, riflettendo sul confine tra ciò che è memoria e narrazione. Con il computer ho creato una grafica, costituita da una grata composta da parentesi che ho applicato alle fotografie, una sorta di diaframma che mi riparasse da questo evento naturale e che riflettesse sulla separazione fra il mondo esterno e il mondo interno, personale e intimo. Un limite fra ciò che è pubblico e ciò che è privato ancora molto presente in Africa, ormai dissolto in Occidente. Il libro, inoltre, è accompagnato da un progetto di casa pensata come un luogo di condivisione con la famiglia che mi ha sempre ospitato e che avremmo desiderato costruire, ma che la situazione politica del paese non ci ha permesso di concretizzare, rimanendo nell’ambito delle rêveries. A distanza di più di 10 anni dall’ultima mostra personale in Ticino, stai preparando un’esposizione alla Fondazione d’Arte Erich Lindenberg di Porza che inaugura il 26 novembre. Che cosa troveremo? Si tratta di una piccola esposizione personale con una selezione di lavori degli ultimi dieci anni mai esposti prima alla quale ho integrato altri lavori realizzati appositamente affinchè si creasse un dialogo non solo fra le opere ma con il contesto che le ospita: una riflessione sullo spazio, dando concretezza al potere dell’immaginazione.

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Antonio Mariotti L’incontro

Antonio Mariotti, critico/giornalista, è un membro del comitato direttivo dell’ABi (Associazione Biennale dell’Immagine). Quest’anno ricorre il ventesimo anniversario della Biennale dell’Immagine, vogliamo ripercorrere le tappe fondamentali della sua storia? La Biennale è nata a metà degli anni Novanta, con la denominazione «Autunno Fotografico», su iniziativa dell’allora addetto culturale del Comune Domenico Lucchini e di attori privati già attivi in questo campo sul territorio, in primis la Galleria Cons Arc di Chiasso. Fin dall’inizio la rassegna ha cercato di coinvolgere spazi espositivi pubblici e privati in tutto il distretto puntando sulla declinazione di un unico tema attraverso molteplici punti di vista e approcci legati sia alla storia della fotografia che alla contemporaneità. Un’altra particolarità di quella che sarebbe poi diventata la Biennale è stata da subito l’utilizzo di spazi dismessi per allestire delle esposizioni. Nel corso degli anni sono stati così sfruttati i magazzini FFS, l’ex-posto di polizia cittadino, la ex-fabbrica Calida, un garage su Corso San Gottardo, uno storico bar-night club e quest’anno - un bar-negozio di frontiera (il Mascetti) chiuso da diversi mesi. Con l’apertura del m.a.x. museo il panorama espositivo chiassese si è modificato e l’impegno in questo campo da parte del Comune si è intensificato, il che ha portato nel 2015 il comitato della Biennale a prendere la decisione di costituirsi in associazione al fine di organizzare autonomamente la manifestazione, sempre però con il prezioso sostegno del Comune. Cosa rende peculiare questa manifestazione? Esiste un legame fra le varie realtà partecipanti che oggi si irradiano da Chiasso fino a Minusio? Il legame fondamentale che ci unisce è l’amore per la fotografia e per l’immagine in generale. È una sensazione che si è po-

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a cura di Daniele Agostini


Wolf ha la capacità di metterci di fronte nel medesimo tempo alla «disumanità» e all’«umanità»del mondo urbano di oggi, grazie alle impressionanti immagini di edifici che ci propone e ai ritratti che realizza nello tuta constatare già nell’autunno dello scorso stesso contesto. anno quando abbiamo organizzato il primo Una città senza uomini incontro esplorativo con gli spazi interessati non sarebbe più una città a partecipare alla decima Biennale e credo che questa sensazione oggi la possano perma un deserto, sembra cepire tutti visitando le oltre venti mostre suggerirci l’artista.

sparse sul territorio ticinese. Il tema - che viene individuato dopo infinite discussioni all’interno del comitato - non costituisce un ostacolo o un limite, bensì uno stimolo poiché oggi la fotografia d’autore offre talmente tanti spunti che non è difficile individuare un progetto originale che si inserisca nel filone prescelto. La Biennale è come un grande puzzle con tessere più o meno grandi ma tutte fondamentali per ottenere un risultato interessante. Borderlines. Città divise/Città plurali è il tema dell’edizione corrente e pone l’accento sulla relazione fra l’uomo e lo spazio urbano. Quale tipo di rapporto emerge? Un rapporto sofferto: l’essere umano si sente sempre più spesso al centro di una rete di tensioni, di paure, di stress. La città è vista come una trappola, un inferno, un luogo dove è difficile per ciascuno conquistare il proprio spazio vitale.Al tempo stesso è un luogo ormai imprescindibile, al di fuori del quale non esistono opportunità sufficienti per vivere in maniera soddisfacente. La città di oggi è già inevitabilmente plurale ma non deve essere forzatamente divisa, come qualcuno vorrebbe farci credere. La divisione, la costruzione di muri fisici o simbolici, appare come la soluzione più semplice per cercare di risolvere problemi vecchi e nuovi ma in effetti ciò non fa che creare ulteriori tensioni che rischiano di

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far «esplodere» la città. Due esempi di mostre che ruotano attorno a questa tematica sono «Berlin. Moving Still» alla Sala Diego Chiesa e «Al Limite» al Mascetti di Chiasso. “Life in Cities” di Michael Wolf è l’evento centrale dell’edizione corrente. Raccogliendo i lavori di più di un decennio di attività del celebre fotografo, la mostra, allestita all’interno dello Spazio Officina di Chiasso, appare come una sorta di panopticon dentro il quale osservare e studiare la società contemporanea La mostra di Michael Wolf, che giunge a Chiasso dopo la sua presentazione in prima mondiale ai prestigiosi Rencontres Photographiques di Arles, è al tempo stesso un pugno nello stomaco e un percorso quasi fiabesco. Wolf ha la capacità di metterci di fronte nel medesimo tempo alla «disumanità» e all’«umanità» del mondo urbano di oggi, grazie alle impressionanti immagini di edifici che ci propone e ai ritratti che realizza nello stesso contesto. Una città senza uomini non sarebbe più una città ma un deserto, sembra suggerirci l’artista. «Life in Cities» vive di questo contrasto ma anche del contrasto fra immagini di grandi e di piccole dimensioni: è una mostra che ha bisogno di spazio ma anche di molta concentrazione da parte del visitatore. La Biennale dell’Immagine chiuderà il 10 dicembre, qualche riflessione/desiderio per il futuro? Il fatto che per la prima volta la nostra associazione abbia organizzato in prima persona questa edizione della Biennale ci ha permesso di fare esperienze importanti e stimolanti. E ci siamo in particolare resi conto che per poter organizzare efficacemente la Biennale 2019 dovremo iniziare a lavorarci l’11 dicembre 2017…

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Borderlines Città divise/Città plurali Chiasso e altre località del Canton Ticino 07.10 - 10.12 2017 www.biennaleimmagine.ch


Da non perdere

Cuno Amiet, Paradiso (Paradies), 1894-1895 tempera su tela, 102 x 95 cm, Collezione privata

Honoré Daumier (Marsiglia 1808 – Valmondois 1879), “Neve, neve vera… non ne ho più vista a Parigi dal 1822… mi ringiovanisce di trent’anni!”, litografia, 270 x 201 mm, Attualità, tav. 86, LD/DR 2384, © Collezione Matteo Bianchi e Carolina Leite, Tesserete

IL PARADISO DI CUNO AMIET da Gauguin a Hodler da Kirchner a Matisse

DAUMIER: Attualità e Varietà

Il museo d’arte di Mendrisio dedica una retrospettiva a uno dei massimi esponenti dell’arte svizzera della prima metà nel Novecento: Cuno Amiet (Soletta, 1868; Oschwand, 1961), definito il mediatore fra post-impressionismo e espressionismo. Partendo dalla serie del Paradiso, da cui prende il titolo, la mostra si allarga ad altre opere dell’artista gravitanti attorno a questa tematica. Una sezione è dedicata al confronto con i grandi protagonisti dell’arte europea del suo tempo, ricreando il tessuto artistico nel quale l’artista si mosse. 22.10.2017 – 28.01.2018

L’opera di Honoré Daumier (18081879), insieme a Gustave Courbet e Jean-François Millet fra i padri del Realismo, viene raccontata attraverso un vasto corpus di opere, fra stampe, disegni e sculture. Affrontando temi principalmente politici e sociali, i lavori del prolifico artista francese mettono in scena l’attualità in chiave pungente e spesso satirica. 16.09.2017 – 07.01.2018 Museo Civico Villa dei Cedri Piazza San Biagio 9 6500 Bellinzona +41 91 821 85 20 www.villacedri.ch

Museo d’arte Mendrisio Piazzetta dei Serviti 1 6850 Mendrisio +41 58 688 33 50 www.museo.mendrisio.ch

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una veduta della mostra presso Studio Dabbeni, Lugano

Ugo La Pietra. Campo Tissurato. I segni e l’urbano. 1964/1972 La mostra personale di Ugo La Pietra, attraverso una serie di opere sia pittoriche sia scultoree, esplora i rapporti fra “elementi di disturbo all’interno di una base programmata”- definite da Dorfles come influenze “randomiche”- protagonisti nella ricerca dell’artista. Come la maggior parte delle mostre storiche allestite allo Studio Dabbeni, un ricco materiale d’archivio ne fa una mostra di ricerca dal taglio scientifico.

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10.10.2017 – 09.12.2017 Studio Dabbeni Corso Pestalozzi 1 6900 Lugano +41 91 923 29 80 www.studiodabbeni.ch



Livio Vacchini Breve tour architettonico Testo: Nicholas Costa

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e prendiamo in cosiderazione solo i bravi architetti che hanno lavorato in Ticino negli ultimi cento anni, la concentrazione del numero di menti brillanti è quasi da record. Oggi sono passati dieci anni dalla morte di Livio Vacchini, che di questi pensatori dell’edificio è forse il più riconoscibile. Abbiamo colto quindi l’occasione per visitare alcuni siti da lui realizzati. Vacchini consegue il diploma al Politecnico federale di Zurigo nel 1958. Dopo vari soggiorni all’estero, torna a Locarno, e, nel 1961, inzia a lavorare con Luigi Snozzi. Nel 1969 Livio Vacchini diventa indipendente, aprendo l’omonimo studio. Nello stesso periodo è in costruzione la sua abitazione privata ad Ascona, nota per le curiosa assenza di finestre che guardano verso l’esterno, scelta che rende la casa intrinsecamente intima e strettamente connessa ai progetti di architetti scandinavi che Vacchini deve aver conosciuto durante il suo soggiorno a Stoccolma. Negli anni Settanta, l’architetto si dedica alla progettazione di numerosi edifici scolastici. Il primo concorso vinto è

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quello per le Scuole elementari ai Saleggi, realizzate in tre fasi, e sviluppate per consentire non solo l’attività didattica, ma anche lo svolgimento di attività pubbliche, manifestazioni sportive e incontri culturali; una sorta di foro romano, ripreso in chiave moderna. Contemporanea a queste commissioni pubbliche è quella dell’Edificio amministrativo e commerciale Macconi, realizzato in collaborazione con l’architetto Alberto Tibiletti, una struttura in calcestruzzo e acciaio, tamponata da lastre di granito verde; in questo caso emerge l’influenza del vicino razionalismo comasco, un’influenza che tocca a tal punto gli architetti ticinesi di questa generazione da spingere i critici - a volte illecitamente - a definirli neorazionalisti. Sempre a Lugano si trova un altro progetto di Vacchini, Casa Aurora, un edificio per appartamenti orientato verso il lago. In questo caso molto interessante è proprio la facciata che guarda verso lo specchio d’acqua, dove le proporzioni sono falsate dal camuffamento della scansione dei piani. Concludiamo questo breve tour tornando nel Sopraceneri, contemplando


Casa Vacchini Costa a Tenero-Contra, un parallelepipedo minimalista in cemento costituito da una soletta poggiante su sei pilastri, che si inserisce perpendicolarmente nel pendio collinare. Infine non si può evitare di citare la Palestra di Losone, Premio Beton nel 1997, realizzata in collaborazione con l’architetto Marco Azzola. L’edificio ha un solo ordine e un solo tipo di apertura lungo tutto il perimetro, imponente e inaccessibile, apparendo più un tempio che una palestra, che il suo creatore

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ricorda così: «La luce penetra all’interno per tutta l’altezza dello spazio, comportandosi alla stessa stregua della struttura: luce e ombra si susseguono ad alternanze identiche. Il pavimento interno le raccoglie e le amplifica; il terreno all’esterno fa la stessa cosa. La luce mutevole del sole crea situazioni inattese e multiformi: l’immobilità, la ripetizione, il numero da una parte e la non misurabilità della natura dall’altra, dialogano in maniera sorprendente.»


A pagina 16 Casa Vacchini Costa, 1991-1992 Tenero-Contra, il lato nord A pagina 18 Casa Vacchini Costa,1991-1992, Tenero-Contra, il lato sud

Casa Aurora, 1992-1995, Lugano


Felicia Lamanuzzi architetto contemporaneo

Installazione La città racconta, Stabio 2012

Nata in Puglia, a Bisceglie (BT), nel 1964, si laurea a Pescara nel 1992 e nel 1994 si trasferisce in Svizzera, a San Pietro, dove attualmente vive e lavora. Da tre anni è promotrice di un workshop di progettazione urbana (WPU), quale, al pari delle sue architetture, costruite o solo progettate, ne rivela la costante attenzione al recupero di un modo di abitare le città a dimensione umana.

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oggi, forse più che in altri periodi, siamo circondati da voci che dibattono sulla qualità delle nostre città, e su cosa ciò, in fondo, significhi. Personalmente reputo che il solo senso di tutto ciò sia da rintracciare nella presa di coscienza della necessità di riportare l’uomo a protagonista degli spazi che quotidianamente abita, dalla casa, al lavoro, alla strada, fino alla città. Ripensare quindi la trasformazione del territorio “a misura d’uomo”, ove dell’uomo va rilevata non solo la componente individualista, ma soprattutto la sua dimensione sociale.

Ecco, questo credo sia oggi il difficile compito dell’architetto. Diversamente dal pensiero comune, il progetto di architettura non è altro che una delle risposte possibili alle questioni che l’abitare contemporaneo pone, pubblico o privato che sia l’oggetto (il luogo) del cimento, riportando le ragioni del suo essere, delle sue forme e in genere delle scelte operate alla lettura del luogo, quindi al suo valore collettivo. Così solo l’opera (il luogo trasformato) sarà in grado di resistere al suo tempo, in quanto parte di quel più generale ed incessante processo che è la trasformazione della città.


Fotografia: Pino Musi

Fotografia: Alessandro Esposito

Questo significa fare architettura oggi come ieri. Questo significa trasformare la città con qualità. È però anche vero che spesso non ci si rende conto che nel processo di riconquista della qualità un importante tassello è la partecipazione di tutti al progetto, il pensare e agire in modo da recuperare in ognuno di noi, l’importanza del valore “pubblico” dello spazio che ci circonda, per dare espressione alla nostra natura di “animali sociali” (come usava definirci già Aristotele). È da qui che nasce l’esperienza del workshop di progettazione urbana (WPU), che promuovo da tre anni. Esso propone occasioni di dialogo tra e con la cittadinanza intorno al valore e all’utilità reale prima e poi possibile, ma anche desiderata, dello spazio pubblico. Quello spazio urbano che quotidianamente si “abita” in quanto imprescindibile scenario delle nostre azioni.


L’agenda

DAUMIER: Attualità e Varietà 16.09.2017 - 07.01.2018 Museo Civico Villa dei Cedri Piazza San Biagio 9 6500 Bellinzona + 41 91 821 85 20 www.villacedri.ch

FILIPPO BRANCOLI PANTERA Fotografie 07.10.2017 - 22.12.2017 CONS ARC / GALLERIA Via Gruetli 1 6830 Chiasso +41 91 683 79 49 www.consarc.ch

FIONA RAE 26.08.2017 - 23.11.2017 ALEX DORICI PORTUGAL AL CUBO #729 01.12.2017 - 17.03.2018 Buchmann Lugano Via Della Posta 2 6900 Lugano +41 91 980 08 30 www.buchmanngalerie.com

AMERICAN DREAM 07.10.2017 - 10.12.2017 Fondazione Rolla Rolla.info la Stráda Végia (ex via Municipio) 6837 Bruzella +41 77 4740549 www.rolla.info

OLIVIERO TOSCANI. IMMAGINARE 08.10.2017 - 21.01.2018 m.a.x.museo Via Dante Alighieri 6 6830 Chiasso +41 91 695 08 88 www.centroculturalechiasso.ch

THE BOUNTY KILLART LET’S GYPSY DANCE! 15.09.2017 - 30.11.2017 L’INCISIONE. STORIA DI UNA COLLEZIONE DA DÜRER A OGGI 02.12.2017 - 14.12.2017 Galleria Allegra Ravizza Via Nassa 3A 6900 Lugano +41 91 224 31 87 www.allegraravizza.com


Per gli orari di apertura si prega di contattare i musei e le gallerie o di consultare il loro sito.

Moda dipinta, arte indossata dipinti antichi e abiti contemporanei

Ugo La Pietra. Campo Tissurato. I segni e l’urbano. 1964/1972

27.09.2017 - 30.12.2017

10.10.2017 - 09.12.2017

Galleria Canesso Lugano Piazza Riforma 2 6900 Lugano

Studio Dabbeni Corso Pestalozzi 1 6900 Lugano

+41 91 682 89 80 www.galleriacanesso.ch

+41 91 923 29 80 www.studiodabbeni.ch

Photographica Fine Art

IL CERCHIO INVISIBILE TONATIUH AMBROSETTI/ DANIELA DROZ/FEDERICO RELLA

per il programma espositivo di novembre-dicembre siete pregati di consultare il sito Via Cantonale 9 6900 Lugano +41 91 923 96 57 www.photographicafineart.com

01.12.2017 - 03.02.2018 Galleria Daniele Agostini Via Cattedrale 11 6900 Lugano +41 76 452 81 87 www.danieleagostini.ch

GIANLUCA DI PASQUALE 15.09.2017 - 23.12.2017 Galleria Monica De Cardenas Via Coremmo 11 6900 Lugano apertura solo su appuntamento +41 79 620 99 91 www.monicadecardenas.com

WOLFGANG LAIB 03.09.2017 - 07.01.2018 MASI Lugano (LAC) Piazza Bernardino Luini 6 6900 Lugano +41 58 866 42 00 www.masilugano.ch


SULLE VIE DELL’ILLUMINAZIONE IL MITO DELL’INDIA NELLA CULTURA OCCIDENTALE 1808-2017 24.09.2017 - 21.01.2018 MASI Lugano (LAC) Piazza Bernardino Luini 6 6900 Lugano +41 58 866 42 00 www.masilugano.ch

IL PARADISO DI CUNO AMIET da Gauguin a Hodler da Kirchner a Matisse 22.10.2017 - 28.01.2018 Museo d’arte Mendrisio Piazzetta dei Serviti 1 6850 Mendrisio +41 58 688 33 50 www.museo.mendrisio.ch

On/Photography 2 21.10-02.12.2017 The screen, the mouse, the air and I 16.12.2017 - 27.01.2018 OnArte Via San Gottardo 139 6648 Minusio +41 91 735 89 39 www.onarte.ch

ADRIANA BERETTA 26.11.2017 - 11.03.2018 Fondazione d’Arte Erich Lindenberg Museo Villa Pia Via Cantonale 24 6948 Porza +41 91 940 18 64 www.fondazionelindenberg.org

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Mirabilia Fiere Art Basel Miami Beach 07-10.12.2017

Mostre CHAGALL DIE JAHRE DES DURCHBRUCHS 1911-1919

RINEKE DIJKSTRA THE ONE AND THE MANY

LUCIO FONTANA AMBIENTI/ENVIRONMENTS

21.09.2017 - 30.12.2017

21.09.2017 - 25.02.2018

Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk

HangarBicocca, Milano

Kunstmuseum Basel

PICASSO TRA CUBISMO E CLASSICISMO: 1915-1925

AI WEIWEI: D’AILLEURS C’EST TOUJOURS LES AUTRES

DENTRO CARAVAGGIO

22.09.2017 - 21.01.2018

22.09.2017 - 28.01.2018

Scuderie del Quirinale, Roma

Musée cantonal de zoologie, Losanna

KLEE

GILBERTO ZORIO

01.10.2017 - 21.01.2018

02.11.2017 - 18.02.2018

Fondation Beyeler, Basilea

Castello di Rivoli, Torino

16.09.2017 - 21.01.2018

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29.09.2017 - 28.01.2018 Palazzo Reale, Milano


Im pres sum Rivista bimestrale cartacea fondata a Lugano nel 2014, d’Arte è diffusa gratuitamente in una selezione di gallerie d’arte e di musei ticinesi e all’Istituto Svizzero di Milano. è uno strumento di turismo culturale legato alle arti visive. darte.ch facebook.com/darterivista

Direttore & Editore Daniele Agostini daniele@darte.ch Direzione Artistica & Grafica Muriel Hediger Progetto grafico Ennes Bentaïba Contributi Daniele Agostini Nicholas Costa Stefano Menichini Pubblicità & Advertorial Daniele Agostini daniele@darte.ch

In copertina Lucio Fontana in collaborazione con Nanda Vigo, Ambiente spaziale: “Utopie”, nella XIII Triennale di Milano, 1964/2017, veduta dell’installazione in Pirelli HangarBicocca, Milano, 2017. Courtesy Archivio Nanda Vigo e Pirelli HangarBicocca, Milano. ©Fondazione Lucio Fontana Foto: Agostino Osio Scriveteci! Per contattarci o semplicemente dirci Ciao! hello@darte.ch

© 2014-2017 d’Arte, Tutti i diritti riservati.


SONNENSTUBE 19°C

A PLACE WITH NO NAME 3.11–3.12.2017

Opening: 3.11.2017, ore 18:30 Artists: Kevin Aeschbacher, Aubry and Broquard, Charlotte Herzig, Zara Idelson, Sarah Margnetti, Ivan Mitrovic

www.diesonnenstube.ch


darte.ch


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