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Piercarlo Rossi
Il Cardellino ieri, oggi e domani
testo di PIERCARLOROSSI, foto AUTORIVARI
Seconda parte
Il Cardellino e le mutazioni di colore Di rari soggetti mutati, presenti in natura, ce ne sono sempre stati; ricordo ancora una foto, mostratami con orgoglio dal mio concittadino Annibale Leonardi, raffigurante un soggetto mutato recuperato in natura insieme ad altri soggetti ancestrali e poi donato ad un facoltoso collezionista verso la metà degli anni ‘70. In quegli anni nessuno pensò di fissare tale mutazione, ma con il passare del tempo e dati i risultati sempre più incoraggianti nell’allevamento in purezza della specie, il reperimento di qualche esemplare di colorazione anomala generò il desiderio di fissare quelle originali caratteristiche fenotipiche nella speranza, ovviamente, che l’inedito carattere fosse trasmissibile alla prole. Oltre alla sfida sopra descritta, un altro evento diede una scossa ed un nuovo inputal “mondo cardellino”: la comparsa dei primi Carduelis major. La sottospecie major, una delle 10 sottospecie ascritte al Carduelis con la croce nera, è presente in Siberia, Altai, est degli Urali, fiume Yenisei e sud Semipalatinsk, Zaysan e Kazakhstan settentrionale; questa sottospecie negli ultimi tempi è stata denominata C.c. frigoris. Dopo anni di importazioni di C.c. canicepso cardellino dell’Himalaya, agli inizi degli anni ‘90 apparvero i primi C. frigoris, che avevano una taglia maggiore rispetto ai C. carduelispresenti sul nostro territorio, che si attestava sui 14/16 cm. Presentavano colori più chiari, dovuti ad una minore carica melanica, una lunetta bianca più ampia alla base della croce, mentre le guance la gola ed il fungo erano di un bianco candido; la croce, anche se più estesa, era meno regolare che nel nostrano. Inoltre, il disegno pettorale, di colore intenso, in alcuni di essi presentava tracce di nero; il colore del dorso era sfumato di beige, fu amore a prima vista. Agli inizi furono generati diversi meticci, vista la scarsa propensione delle femmine di frigorisa riprodursi in cattività, ma con il passare degli anni, grazie alla bravura ed alla passione degli allevatori italiani ed europei, furono fissati ceppi sempre più robusti di questa splendida sottospecie. Di pari passo apparvero le prime mutazioni ed in pochi anni il cardellino diventò il fringillide maggiormente alle-
Incardellato pezzato, foto: A. Parodi Cardellina Isabella in cova, foto: Associazione Pesarese Ornicoltori
vato in ambiente controllato, ad oggi con il maggior numero di mutazioni stabilmente fissate. Facendo un piccolo excursus, scopriremo che la stragrande maggioranza di queste ultime è apparsa in natura e solo in seguito sono state fissate grazie alla bravura degli allevatori europei. Tra i pionieri di questo affascinante mondo, vorrei ricordare l’ingegner Edmondo Mazzoli che con i suoi splendidi articoli e le superbe copertine della rivista Uccelliha ammaliato un numero sempre maggiore di appassionati nel corso degli anni. Ma vi è un allevatore a cui l’Italia ornitologica dovrebbe essere grata e questa persona è, senza ombra di dubbio, il Sig. Paolo Gregorutti. Lui è stato il capostipite nella selezione delle varie mutazioni della maggior parte dei fringillidi indigeni comunemente allevati. Grazie a Paolo abbiamo potuto ammirare lucherini, organetti, verdoni, ciuffolotti, ma soprattutto splendidi cardellini mutati e, vista la grande passione che gravita su questo splendido fringillide, nessuna mutazione apparsa fino ad oggi è andata persa. La prima mutazione fissata fu la pastello, con un comportamento ereditario del tipo recessivo sessolegato. Da un punto di vista fenotipico induce un appastellamento generale delle melamine sia eu che feo, con un’azione però disomogenea; grazie a questo effetto è difficile osservare due soggetti perfettamente identici. Il merito va attribuito all’allevatore belga Gottfried Callens. I primi soggetti presentavano una riduzione modesta della eu nera su remiganti e timoniere ed una altrettanto modesta della feo bruna. In seguito, con accoppiamenti mirati si sono visti i primi soggetti veramente tipici, con una giusta ossidazione delle penne forti che ci permette comunque di godere dell’effetto pastello. Altra zona interessata da questa mutazione è il dorso, che grazie all’effetto che va ad agire sulla feomelanina ne cambia il colore da bruno carico a bruno/grigio; anche in questo caso i
Cardellini opale, foto: Zamagni, all. S. Budellacci soggetti possono variare in base al residuo feomelanico di ciascuno. È una mutazione molto importante in quanto non è allelica a nessuna delle altre mutazioni legate al sesso, con le quali si può sommare, creando effetti cromatici molto interessanti. Seguirono la mutazione agata, che agisce sia sulla feomelanina riducendola fortemente, come anche sull’eumelanina che viene ridotta in modo meno marcato; ne risulta un fenotipo caratterizzato dal dorso color grigio cenere nei soggetti migliori (color bruno slavato negli altri), petto molto pulito, parti cornee moderatamente diluite e, nei soggetti migliori, eumelanina nera ancora abbastanza satura. Questa mutazione è a trasmissione di tipo recessivo sessolegata ed è allelica alle mutazioni lutino e aminet, nei confronti delle quali si comporta in modo semidominante. Ad oggi possiamo affermare che questa sia l’unica mutazione apparsa nel cardellino, in cui con la selezione raggiunta ha generato soggetti con un colore peggiore rispetto ai primi apparsi, tra i quali vorrei menzionare la femmina agata di Paolo Gregorutti, a dir poco strepitosa. Dopo l’agata fu la volta della mutazione bruno, che è caratterizzata dalla trasformazione dell’eumelanina nera. A questa eumelanina viene bloccata la catena di sintesi e la polimerizzazione si ferma ad uno stadio precoce, trasformando il colore nero in bruno o marrone testa di moro; la quantità di eumelanina è identica a quella di un soggetto ancestrale ma, come detto, varia la polimerizzazione e dunque l’intensità. L’effetto che ne deriva è che le zone precedentemente interessate dal nero diventano di tonalità bruna, conferendo al soggetto un caldo mantello color nocciola. La mutazione bruno è a trasmissione di tipo recessivo sessolegata. Per questo, in un soggetto bruno cercheremo il massimo dell’ossidazione con disegni ben marcati. Ne deriva che i soggetti più dotati di forti quote melaniche saranno i prediletti per la selezione di questa mutazione. I cardellini meridionali, con le loro tinte sature e brunastre, ne favoriranno alquanto la selezione.
Nel 1991 fu la volta della mutazione testa bianca (witkop), che riduce la feomelanina ed estende il lipocromo giallo delle bande alari fino alle spalle ed al petto. La mutazione testa bianca è a trasmissione di tipo autosomico recessiva. È una mutazione di disegno che si evidenzia con l’eliminazione del disegno nero a T della testa e con l’esaltazione del lipocromo giallo dell’ala che raggiunge le spalle. Presenta inoltre una tonalità leggermente più chiara nel dorso dovuto ad una mancanza di eumelanina nel sottopiuma, maschera rosso aranciata (per mancanza del supporto eumelanico) con disegni netti. Essendo una mutazione recessiva, creerà un numero importante di portatori, facilmente riconoscibili per un’infiltrazione di colore rosso alla base della croce, sul collarino. Questo fattore è da considerarsi un difetto grave. Sempre nel 1991 apparve anche la albino, una mutazione autosomica recessiva, ossia indotta da un gene mutante che alloggia sull’assetto autosomico e non sessuale e caratterizzata dalla completa scomparsa dei pigmenti, sia eumelanici che feomelanici. Dal punto di vista biochimico, quando il gene mutante è presente in doppia coppia (omozigosi) riesce ad inibire la tirosinasi (che induce l’ossidazione della tirosina) ed in sostanza impedisce la formazione delle melanine. È nulla invece l’incidenza sui lipocromi, tanto che gli stessi si formano e si estrinsecano in maniera del tutto normale. Così il mantello si presenta di un bianco candido con l’assenza totale di disegni ad eccezione delle componenti lipocromiche, ossia l’apice rosso delle piume facciali e la barra alare gialla. Il bianco è molto più candido e spettacolare rispetto alla lutino, nella quale permane un colore di fondo melanico. Le zampe appaiono carnicine. Grazie alla totale assenza di melanine oculari, gli occhi sono rossi, grazie al circolo ematico. A seguito di quanto appena affermato, i soggetti affetti da questa mutazione sono particolarmente delicati; l’assenza di melanine oculari induce fotofobia, staticità e ridotte capacità visive, ed inoltre la mancanza di pigmenti melanici determina difficoltà nella fissazione della vitamina D3 (vitaminici antirachitici). Negli accoppiamenti risultano essere fondamentali i portatori. È utile ricordare che ai soggetti mutati è bene fornire, durante tutto l’anno, buone dosi di vitamine, D3 in particolare. Nel 1995 fu la volta dell’isabella, frutto della sovrapposizione di agata e bruno; da tale accoppiamento si ottengono maschi passe-partoutche, riaccoppiati, genereranno femmine agata e brune e, per effetto di crossing-over, femmine isabella e ancestrali. Grazie all’unione di queste due mutazioni, il bruno indurrà una riduzione dell’ossidazione della melanina nera, mentre l’Agata produrrà la riduzione della feomelanina e la riduzione quantitativa del nero. Questa mutazione agisce sull’eumelanina, riducendola lievemente, esaltando le parti bianche della testa, mentre il petto tende leggermente al beige. La mutazione isabella è di tipo recessivo sessolegata. Dovrebbe essere selezionata,come ogni mutazione, al massimo del disegno, cioè favorendo la massima estensione delle melanine, il più simile possibile al disegno dell’ancestrale. Nel 1996 fu fissata, in Italia, la mutazione giallo grazie al Dottor Massimo Natale; questa mutazione è caratterizzata da un’evidente infiltrazione di lipocromo giallo su tutto il mantello del soggetto. È forse l’unica mutazione che, invece di diluire, aggiunge lipocromo dove manca. La mutazione giallo è a trasmissione di tipo autosomico dominante, unica mutazione del tipo dominante apparsa fino ad ora in questa specie. Le mutazioni dominanti sono le più facili da selezionare, in quanto è possibile inserire soggetti non mutati con altre linee di sangue ed ottenere soggetti mutati già in prima generazione, cosa molto più difficile con le mutazioni recessive, con cui si deve lavorare con una consanguineità più stretta e soggetti più deboli. Questa mutazione manifesta al meglio le proprie potenzialità fenotipiche
Cardellino "blu", foto: Zamagni, all. S. Budellacci
Carduelis carduelis e Carduelis frigoris a confronto, foto e all. Raffaele Esposito
verso soggetti di taglia medio piccola, mentre la selezione verso soggetti di taglia maggiore (frigoris), caratterizzati da una ridotta carica feomelanica, induce un disegno irregolare e distribuito in modo confusionario. Lo stesso anno apparve per la prima volta anche la mutazione aminet, definita inizialmente eumo ed in seguito mascherato. Questa mutazione, allelica all’agata, fenotipicamente le assomiglia molto, ma le si differenzia per una forte riduzione del pigmento feomelanico; infatti, il dorso diventa color sabbia chiaro, mentre il petto, appena disegnato, ha un colore isabellino, le parti cornee sono carnicine e l’occhio è rossiccio alla nascita. Il meccanismo di trasmissione è recessivo sessolegato. L’anno successivo fu fissata la mutazione lutino, una delle mutazioni sicuramente più affascinanti tra quelle apparse fino ad oggi; infatti, questa mutazione ci permette di poter ammirare ancora i disegni della croce e delle ali, con una banda alare molto ampia in netto contrasto con il rosso della maschera. Questa mutazione inibisce la feomelanina e riduce fortemente ma non totalmente l’eumelanina. La mutazione lutino è legata al sesso ed è indotta da un gene recessivo allelico all’agata. Questo viene dimostrato dal fatto che i cardellini agata portatori di lutino abbiano un fenotipo ulteriormente ridotto rispetto all’agata classico; ciò dimostra che il gene per il lutino riesce comunque a manifestare in parte il suo effetto sul fenotipo, riducendo ulteriormente i pigmenti soprattutto quelli feomelanici. Il sottopiuma del cardellino lutino è grigio e questo è un parametro fondamentale nella distinzione dalla mutazione satiné, il cui colore di fondo è bruno chiaro. Grazie alla combinazione con la mutazione bruno ecco apparire i primi satiné.
Cardellino favato, foto e all. A. Frigerio I giovani maschi saranno portatori di tale gene (detti passe-partout) che, riaccoppiati, daranno vita a prole femminile bruna e lutino ed in caso di crossing-over satiné ed ancestrale. L’effetto fenotipico è simile ad un lutino ma con le zone eumelaniche più scarse a causa dell’azione della mutazione bruno, in grado di non far giungere a Vorrei segnalare altre due mutazioni: la faccia bianca, in cui la mascherina rossa è completamente assente, con trasmissione ereditaria del tipo autosomico recessiva e la mutazione perlato dominante
completamento l’eumelanina nera, su cui la mutazione lutino ha uno scarso potere riducente. La mutazione satiné è a trasmissione di tipo recessivo sessolegato. Nel 1998 il nostro amico Paolo venne a conoscenza del fatto che nel Napoletano vi fosse un soggetto affetto dalla mutazione opale; fortunatamente non era un ottimo cantore e così Paolo riuscì a portarlo in Friuli. Si dovette attendere il 2001 prima di poter osservare un soggetto mutato nato in allevamento. Per evitare una consanguineità stretta, essendo la mutazione di tipo autosomico recessiva, Paolo dovette ottenere due linee di sangue distinte, così da non indebolire troppo i soggetti mutati, e lavorarci negli anni a venire. Da un punto di vista fenotipico, il gene mutante determina una forte riduzione della feo e dell’eumelanina, così il soggetto presenterà un dorso color sabbia molto chiaro. Il petto è pressoché bianco e non evidenzia il giallo pettorale, nei maschi. Le zone nere si presentano di un interessante quanto ammaliante effetto azzurrino, tipico della pietra di opale da cui la mutazione prende il nome. La mutazione presenta una trasmissione del tipo autosomico recessiva. Per questa mutazione spesso è consigliato l’uso dei portatori, mentre io penso che l’utilizzo di soggetti mutati non sia una strada sbagliata, in quanto in questi ultimi noi possiamo apprezzare l’estensione dei disegni e la carica melanica e lipocromica; soltanto in caso di necessità è possibile inserire nel ceppo soggetti con ottimi disegni provenienti da altre linee di sangue. Negli anni successivi apparvero diverse altre mutazioni come la perlato del tipo autosomico recessiva, fissata definitivamente nel 2007 dal collega giudice Ranieri Cella; inoltre, la pastello ala grigia grazie ad un soggetto recuperato nel sud della Spagna acquistato del Sig.
Capone ed inserito nel suo allevamento fino a fissare questa mutazione. L’anno successivo, sempre nella penisola iberica, fu recuperato un maschio identico, acquistato dal belga Raskin. Così, quasi in contemporanea, nel 2012 i due allevatori sono riusciti ad ottenere dei giovani. Alla luce dei risultati fino a qui ottenuti, si tratta di mutazione autosomica recessiva. Grazie a Bruno Zamagni ed alla sua splendida mostra Fringillia, nel 2016 abbiamo potuto ammirare la mutazione faccia scura: era una femmina del signor Volpe da Agrigento interessata da questa mutazione. Si tratta di mutazione recessiva sessolegata. Oltre a quelle descritte, vorrei segnalare altre due mutazioni: la faccia bianca, in cui la mascherina rossa è completamente assente, con trasmissione ereditaria del tipo autosomico recessiva, anche questa ammirata a Fringillia, e la mutazione perlato dominante, selezionata da Castellucci Franco. Questa mutazione interessa sia il colore che il disegno: essa riduce in maniera significativa l’eumelanina, provocando uno schiarimento generalizzato partendo proprio dal sottopiuma. I punti più interessanti, oltre all’estensione delle perle di remiganti e timoniere, sono il colore del petto e l’estensione del bianco nel codione, che risulterà di una tonalità più candida, con una maggiore estensione. Oltretutto, questa è l’unica mutazione che estende la banda alare gialla di un 30-40%. Vorrei inoltre menzionare la mutazione “blu” selezionata in maniera egregia, negli ultimi anni, dal Sig. Silvio Budelacci che, dopo aver recuperato alcuni soggetti in Germania da Capone, anno dopo anno è riuscito a perfezionarla sempre di più. La mutazione “blu” è a trasmissione autosomica recessiva. I soggetti migliori si presentano con un effetto grigio scuro sul dorso e con la totale inibizione del bruno; molto tipici quelli nelle foto a corredo. Da ultimo, vorrei parlare della mutazione alabastro, selezionata dal Sig. Gennaro Amitrano, che si manifestò come ala grigia in varie tonalità ma che non è da confondere con la mutazione pastello. Apparve per la prima volta nell’allevamento del signor Francesco Favata e fu battezzata alabastro, onorando la tradizione dell’attribuzione di nomi di minerali consoni alle varie tonalità di colore. Dopo i primi accoppiamenti fu verificato che si trattava di un fattore ad ereditarietà autosomica dominante. Negli anni furono fatte diverse ipotesi legate a questa mutazione, ma si deve ringraziare, ancora una volta, Gianmaria Bertarini che, dopo vari studi, è giunto alla conclusione che la alabastro, di fatto, corrisponderebbe al giallo vitale, mutazione ben nota in altre specie avicole ed allelica al giallo non vitale. Il gene responsabile è l’ASIP, frutto di una importante ricerca scientifica pubblicata da un team di scienziati nel 2015. L’alabastro è quindi una mutazione semidominante non drastica che si esprime sul fenotipo in singolo e doppio fattore. Per un occhio non molto allenato, può risultare arduo riconoscere i soggetti eterozigoti, cioè il singolo fattore, ma sugli omozigoti è davvero difficile confondersi. Ma cosa fa la alabastro? Riduce drasticamente l’eumelanina bruna, meno la nera, ed estrinseca la feomelanina conferendo un aspetto generale fulvo; inoltre, modifica totalmente la tessitura del piumaggio, che è più corto, ma con sottopiuma più folto, e negli esemplari omozigoti si assiste ad una sensibile riduzione della taglia. A conclusione del paragrafo dedicato alle mutazioni, vorrei parlare delle prove di complementazione; queste ci hanno permesso, grazie all’unione con il canarino affetto dalla stessa mutazione (bruno, agata, pastello, satiné etc.) di ottenere prole mutata in entrambi i sessi, cosa che ci conferma che il fattore mutante sia lo stesso. Oltre all’unione con il canarino, sicuramente il metodo principalmente utilizzato, negli anni, è stato l’accoppiamento di fringillidi affetti dalla stessa mutazione, così abbiamo potuto ammirare soggetti di sesso maschile di organetto bruno x cardellino bruno, cardellino agata x verdone agata, cardellino opale x carpodaco messicano opale, e così via.
Cardellino pezzato, foto e all. Claudio Spano
Considerazioni Rispetto agli allevatori d’oltralpe che spesso tendono a schiarire ogni mutazione, forse per soddisfare una maggiore richiesta di mercato, un esempio su tutti i ciuffolotti “doppio pastello”, in Italia si seleziona cercando di esaltare le caratteristiche peculiari di ogni singola mutazione saturando al massimo la feo e la eu bruna, nei bruni, e ricreando la massima ossidazione della eu nera, con la maggiore riduzione possibile della feo nell’agata, e così via. Considerando inoltre che il cardellino ha disegni nettissimi e quindi difetti “facilmente leggibili”, selezionare un bel soggetto non è cosa facile e ancora più difficile è allevare un soggetto mutato nel quale, alla nettezza dei disegni, si deve unire la massima espressione della mutazione. In generale si può affermare che le mutazioni conosciute riducano i pigmenti o li trasformino e mai aggiungano un qualcosa che nella varietà nero-bruna non esiste (unica eccezione, ad oggi conosciuta, la mutazione gialla). Infine, vorrei parlare dei cardellini pezzati. È, questa, una condizione genotipica caratterizzata dalla comparsa di zone depigmentate (assenza di melanina) sul piumaggio, con la scomparsa delle melanine in un determinato settore. L’obbiettivo finale di questo percorso, con accoppiamenti mirati, è quello di ottenere un soggetto totalmente acianico, ossia un cardellino bianco ad occhio nero. Mi permetto soltanto una piccola osservazione, perché grazie a Madre Natura noi possiamo ammirare uno degli uccelli più belli, con cromie contrastanti, ed allora mi chiedo: che cosa ci spingerà mai a ricercarne uno completamente acianico? Queste cose non le capirò mai; la mia preoccupazione maggiore è che con il passare del tempo, visto che i pezzati sono più in voga e nella forma recessiva, questo possa creare degli innumerevoli portatori che, inseriti in
Maschio di Cardellino Isabella, all. S. Budellacci
un ceppo “puro”, vadano a portare delle tare nei nascituri, quali piccole macchie acianiche, come è già successo nel mondo degli estrildidi: basti pensare ai passeri del Giappone, ai diamanti mandarini o ai padda, che nei soggetti ancestrali (grigio) alcune volte presentano delle macchie bianche alla base del becco, dovute al meticciamento con i bianchi, per ingrandirne la taglia, creando un fattore di squalifica in fase di giudizio.
Il Cardellino domestico Dopo un periodo iniziale, soprattutto dopo l’arrivo della sottospecie frigoris, si è tentato, negli ultimi anni, di selezionare una forma di “cardellino domestico” in cui si è deciso di raggruppare le caratteristiche delle varie sottospecie maggiormente apprezzate, come la taglia del frigorise la guancia bianca di quest'ultimo, una mascherina ampia ma ben delimitata, la croce nera netta ben delineata come nella specie nominale, il fungo bianco del petto ben visibile e fianchi marcati, la barratura alare gialla ben estesa ed in netto contrasto con il nero dell’ala, su cui saranno ben visibili le perle bianche. Nel complesso, il soggetto deve presentare disegni netti ben delimitati ed alla massima estensione, con piumaggio corto, un aspetto fiero ed elegante. Diciamo che il percorso è stato tracciato ma la strada da percorrere è ancora lunga; essa ci permetterà di ottenere un soggetto completamente diverso da quelli presenti in natura come è già successo, dopo anni di selezione, in specie allevate da più tempo, come l’organetto ed il verdone.
Che cosa possiamo attenderci nel futuro? Come già asserito in precedenza, il cardellino, ad oggi, è il fringillide con il maggior numero di mutazioni fissate e noi siamo speranzosi di arricchire ulteriormente il nostro carniere, magari con le mutazioni avorio, eumo e la topazio (di cui ho ammirato uno splendido soggetto imbalsamato di E. Mazzoli), oltre al feomelanico classico; mi auguro, inoltre, che un colpo di coda ci consenta di recuperare una delle mutazioni più belle apparse, la albino, ormai quasi scomparsa negli allevamenti specializzati, magari con accorgimenti mirati, come quelli suggeriti nel paragrafo dedicato allemutazioni. Negli ultimi tempi, inoltre, diverse mutazioni sono state portate sulle due sottospecie presenti sul nostro territorio, la C. carduelise la C. tschusii, creando un ulteriore interesse nel campo dei soggetti mutati. Vorrei concludere questo mio scritto
Cardellino meridionale tschusii, foto e all. Raffaele Esposito dedicandolo a tutti gli amici che sono rimasti ammaliati da questa specie e che negli anni ne hanno fatto il fulcro del loro allevamento; tra loro, vorrei menzionare Riccardo Leva ed il gruppo dei “Monbercellesi” Fabio, Flavio, Ernesto, amici veri con cui ho condiviso gioie e dolori dello splendido mondo del cardellino. Vorrei ringraziare infine Claudio Spano che, con la sua grande passione, mi ha permesso di conoscere il cardellino “sipontino” ed il suo splendido canto e di ammirare ottimi cardellini acianici e major nelle diverse mutazioni che ogni anno riesce a realizzare.
ERRATA CORRIGE: L’autore della foto “Cardellino satiné x Canarino satiné”, pubblicata sul numero scorso (8/9 2021) a pagina 11 (in basso), è: José Antonio Abellán