5 minute read

Blanque mon amour

Next Article
Forma e colore

Forma e colore

testo e foto di GIUSEPPENASTASI

Allevo uccellini da più di 40 anni ma quello che mi è capitato un po’ di tempo fa ha qualcosa di veramente straordinario. Nel mio paesino una coppia di sposi ebbe “l’originale idea” di far volare all’uscita della chiesa quattro bellissime colombe di razza KING, per intenderci quelle meravigliose bestiole con un portamento altero e bellissimo. Veramente uno spettacolo vedere quelle colombe volare… ma che fine faranno quelle bestiole una volta involatesi? Sicuramente la stessa fine che fa un canarino scappato via: o viene mangiato da un gatto o semplicemente muore di fame perché non sa come procacciarsi il cibo. Il giorno dopo il matrimonio andai nel chiosco dove di norma vado a prendere il caffè e notai sul tetto una di quelle colombe involatesi il giorno prima al matrimonio; la guardai incuriosito e chiesi alla signora del bar se avesse notato

“Blanque” fotografata dall’autore quella colomba sul tetto. Lei mi rispose di si, anzi mi disse: “gli ho dato delle patatine ma non ne ha mangiata neanche una”. Corsi subito a casa per andare a preparare un mix di avena, farro e mais tritato; tornai al chiosco e offrii quel cibo alla colomba che, immediatamente, si pre ci pitò e fece una grossa scorpacciata di quel misto da me propinato. Il giorno dopo tornai al chiosco e trovai quel bell’esserino sul tetto; mi diressi subito in macchina, presi quel mix di semi, glielo offrii e lei nuovamente si precipitò a mangiare. I giorni passarono e io puntualmente trovavo la colomba sul tetto del chiosco; gli offrivo da mangiare e lei pronta mente faceva largo uso del cibo da me preparato. Dopo qualche mese mi accorsi che la colomba, appena mi vedeva arrivare con la mac china, scendeva dal tetto del chio sco, si metteva nell’angolo dove di solito le davo il cibo e si metteva a tubare avvi-

Puntualmente trovavo la colomba sul tetto del chiosco; gli offrivo da mangiare e lei faceva largo uso del cibo

cinandosi a me senza paura; a quel punto cercai di accarezzarla e lei si è fece sfiorare il becco. Con il passare dei giorni, la storia si ripeteva immutata: arrivavo con la mia auto, lei mi vedeva, immediatamente andava nel “nostro” angolino e si metteva a tubare. Io gli porgevo il cibo e, mentre mangiava, io la accarezzavo dolce men te. Improvvisamente, un giorno, mentre la stavo accarezzando, lei con il suo becco mi sfiorò le mani. Questa bestiolina diventò la mascotte di tutta la clientela del chiosco, sebbene non si facesse avvicinare da nessuno tranne che da me. Tutti provavano ad accarezzarla, ma lei prontamente scappava: io ero il prescelto anche perché ero l’unico a darle sempre il cibo. Un giorno a sorpresa non la trovai: chiesi alla signora, nessuno sapeva dove fosse finita quella colomba. Il giorno dopo niente, lei non c’era… Il terzo giorno me la ritrovai lì, al solito posto: lei si precipitò verso di me, mettendosi sulle mie spalle a tubare continuamente. Le porsi il cibo, lei mangiò, solite carezze, solite beccate alle mie mani: era tornata. Mi fermò un signore di nazionalità rumena che mi confessò: “Sai che avevo catturato la colomba? L’ho portata a casa, gli ho messo da mangiare quello che gli dai tu ma lei per due giorni non ha toccato cibo. Stamattina ho visto che era un po’ malandata e l’ho liberata: come

sta adesso?” “Bene” - gli dico - evidentemente si è vista chiusa in una gabbia, io non c’ero e lei si è depressa. Ormai si è abituata a stare fuori e ad avere il mio cibo quotidianamente”. Un giorno mi recai come sempre al chiosco e trovai una sorpresa: insieme a lei c’era una colomba selvatica… lei me la presentò ma questa scappò immediatamente. Evidentemente ave va tro va to un amico. Passarono tanti giorni, sempre la stessa storia: carezze, bacini, era sempre più felice della nostra amicizia. Un giorno a sorpresa me la trovai davanti insieme a due colombine: mi fece le fusa come al solito e mi presentò i suoi figli. Erano due meticci bianchi e grigi che lei fece mangiare per primi, poi mangiò anche lei. Cercai di accarezzare i due colombini ma questi scapparono senza indugio. Per alcuni giorni la famiglia si presentò alla mia offerta di cibo: queste due colombine erano certamente meno timorose ma non si facevano avvicinare più di tanto. Questa storia durò per circa due anni, quando un giorno arrivai al chiosco e trovai la colomba sul tetto. Lei si avvicinò e mi accorsi che qualcosa non andava: stava palesemente male. Cercai di prenderla ma quel giorno per la prima volta non si fece avvicinare. Tentai più volte di prenderla per portarla a casa e provare a cu rarla, senza riuscirci; non mangiò per tutto il giorno e, la sera, mi volò sulle spalle per darmi una decina di baci, cosa che non aveva mai fatto prima, per poi volare via e non vederla più. Blanque (così la chiamai) andò a morire in qualche angolo ma, prima di andare all’aldilà, mi volle comunicare la sua gratitudine con quei bacini che non dimenticherò mai. Ho avuto due cani prima di avere quello che ho oggi: tutti e due sono morti di vecchiaia ma nessuno dei due mi ha salutato prima di andarsene. Blanque, invece, un uccellino, mi salutò come se avesse voluto dirmi: “non ti dimentico, ci vedremo sicuramente qualche volta in un altro mondo”. Vi confesso che sto scrivendo senza vedere quello che scrivo, perché ho gli occhi pieni di lacrime.

This article is from: