Italia Ornitologica Dicembre 2019

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Rivista mensile di Ornitologia Scientifica - Tecnica - Pratica Organo Ufficiale della F.O.I.-Onlus

ANNO XLV numero 12 Dicembre 2019

70° Anniversario: la Storia siamo FOI



ANNO XLV NUMERO 12 DICEMBRE 2019

sommario 3 7 11

La Storia siamo FOI Antonio Sposito

Il Canarino a fattore rosso Sergio Lucarini

Il Diamante di Gould “bruno” Francesco Faggiano

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Processo di apprendimento Francesco Di Giorgio

Specialistica “Erythrura” a Lanciano

42 46 48 50 53 57

Luigi Montini

Orni-flash News al volo dal web e non solo

Fotoperiodo, ora solare o legale? Gabriele Faraone e Giacomo Marino

La Gallina Prataiola Roberto Basso

Una miniera da sfruttare Pierluigi Mengacci

Canarini di Colore

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Estrildidi Fringillidi Ibridi

La mutazione becco pigmentato C. T.N. Canarini di Colore

Serinus flavivertex VS Serinus canicollis Piercarlo Rossi

Approccio a de Chanteloup Giovanni Canali

Astrilde petto castano Luigi Pagliei

Convegno Veterinario presso l’Università di Teramo Gennaro Iannuccilli

Sul Diamante facciaverde Ivano Mortaruolo

AMMINISTRAZIONE E PUBBLICITÀ: Segreteria F.O.I.-Onlus Via Caorsana, 94 - Località Le Mose 29122 Piacenza Tel. 0523.593403 - Fax 0523.571613 Web: www.foi.it - E-mail: redazione@foi.it

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Mostra Scambio di fine estate Eugenio Casarotto e Marco Lovato

15 19 25 29 33 35

Didattica & Cultura

Estrildidi Fringillidi Ibridi

29 59 61

Pagina aperta Argomenti a tema

La posta dei lettori

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Editoriale

La Storia siamo FOI di ANTONIO S POSITO

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entre il 15 dicembre 2019 si svolgevano alla Fiera del Levante di Bari le attività preparatorie del 53° Campionato Italiano di Ornitologia, la Federazione Ornicoltori Italiani compiva il settantesimo anno dal proprio riconoscimento da parte dello Stato Italiano, avvenuto con D.P.R. n. 1166 del 15/12/1949: a questa istituzione che è divenuta, nel corso degli anni, il focolare, il tempio ed il primo punto di riferimento dell’ornitologia mondiale dobbiamo riconoscere – nessuno escluso – di aver accolto la nostra passione, il sorgere del desiderio di allevare, di selezionare, di proteggere e di partecipare alle mostre. Una Federazione che viene riconosciuta con Decreto del Presidente della Repubblica è il sintomo della rilevanza e dell’importanza che, nell’immediato dopoguerra, viene data ai movimenti democratici, in contrapposizione ed in antitesi all’oscurantismo dell’epoca dalla quale l’Italia era da poco fuoriuscita. Si voleva voltare pagina, lo stare insieme ed avere la possibilità di esprimere liberamente idee e pensieri era il fondamento della new age, della nuova epoca, difficile anch’essa, ma nuova. La FOI nasce così, è anch’essa emblema di un nuovo risorgimento, fa parte di un vasto movimento culturale, denso di correnti sociali, ricolmo di idee e di progetti da realizzare in forma finalmente consociativa, superando ogni soggettivismo e, soprattutto, senza timori, senza nascondersi. E i costituenti? Mentre scrivo ho davanti agli occhi un gruppo di persone animate di sola volontà, senza fronzoli, probabilmente senza o con poche risorse economiche, che si presentano alla massima Carica dello Stato per affermare la loro esistenza non come singole persone ma come gruppo di animalisti veri, di protezionisti seri, come costituenti di un Ente portatore di amore per la natura e di passione per l’allevamento degli uccelli in gabbia, ante litteram e senza vergogna. Probabilmente si trattava di persone semplici, come del resto debbono essere e rimanere gli allevatori di uccelli, che da una semplice idea, dal semplice desiderio di condividere la comune passione, hanno l’intuizione di far nascere il movimento degli allevatori amatoriali di uccelli. Dopo la nascita, la crescita, il cammino, i percorsi, l’evoluzione. La FOI è tutta contenuta in una valigia, viaggia da nord a sud del Paese a seconda della residenza del suo Presidente, non ha una sede stabile, non ha una struttura solida.

Risente talvolta degli umori egocentrici e campanilisti: tutto sommato è una realtà fatta da uomini! Ma la FOI resiste, resiste sempre, le difficoltà la temprano, la rinforzano, la rinvigoriscono. Diventa madre di tanti altri movimenti extranazionali di appassionati ornitologi, invoglia la ricerca scientifica, suscita la curiosità tecnica, produce nel proprio seno e mette a disposizione dell’intera comunità le migliori menti ornitologiche e, percorrendo la storia a piccoli passi, diventa il punto di riferimento dell’ornitologia mondiale. La FOI compie settant’anni ed il significato della sua esistenza rimane intatto, continua ad essere portatrice della freschezza, del desiderio, della passione che diedero le gambe a una di quelle idee che ci fa detenere primati e, almeno nell’ornitologia, ci fa essere i primi. E così le donne e gli uomini della FOI di oggi raccolgono un’eredità piena di responsabilità ed insieme densa di una ricchezza, di un orgoglio, di un senso di appartenenza senza dimensioni. L’eccellenza – tecnica, organizzativa, sportiva –

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Editoriale risiede nella Casa Ornitologica Italiana ovvero laddove la tutela della esistenza e della serenità degli allevatori amatoriali di uccelli costituisce la stella polare. Questi anniversari devono suscitare in noi l’insopprimibile volontà di manifestare a tutti i sistemi, a tutti i livelli, la nostra immensa sensibilità di allevatori che rendono possibile la nascita della vita, che creano le migliori condizioni ambientali per la nascita, la crescita e la riproduzione di esseri viventi, che rispettano la natura e le sue regole, che sono a quotidiano contatto con i processi naturali, che tutelano spasmodicamente la salute degli uccelli allevati. La copertina di questo numero di Italia Ornitologica è dedicata al 70° Anniversario della nascita dell’“ente che raggruppa tutti gli appassionati ornicoltori e gli allevatori di uccelli, riconosciuto con D.P.R. in data 15 dicembre 1949 n. 1166 con lo scopo di promuovere lo studio, il miglioramento, lo sviluppo e la conservazione del patrimonio ornitologico.”. Si tratta di un traguardo storico che prelude a tanti altri

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successi e risultati da ottenere con la collaborazione di tutti gli esponenti del movimento degli ornicoltori amatoriali e sportivi, degli allevatori di tutti gli uccelli “da gabbia e da voliera”, dei Dirigenti delle Associazioni, dei Club e dei Raggruppamenti Regionali presenti sul territorio italiano, dei Giudici delle varie specializzazioni, dei referenti delle Commissioni Tecniche che si mettono a disposizione per guidare l’intero “pianeta” FOI verso percorsi sicuri e praticabili, con l’unico fine di raggiungere le mete prefissate. Un pensiero affettuoso ed un grande ringraziamento vanno rivolti a tutti i Presidenti della FOI ed in particolare ai miei – per fatto di età – Presidenti, Pietro Droghetti, Riccardo Coffetti e Salvatore Cirmi. A quest’ultimo devo quasi tutto il mio essere FOI ed a lui noi tutti dobbiamo gran parte di quello che siamo e di quello che abbiamo in FOI. E lo stesso riconoscimento deve essere rivolto a tutti i Presidenti dell’Ordine dei Giudici.


Editoriale

Questo è l’Anniversario di tutti coloro che, negli anni, si sono sempre prodigati per il bene dell’ornitologia italiana, a seconda dei ruoli svolti (tutti importanti!), con un atteggiamento propositivo e finanche critico, ma scevro da condizionamenti e preconcetti atti solo a creare confusione, polemiche e attacchi personali dettati solo da evidente senso di inadeguatezza nel vivere pacificamente la nostra passione, per mirare erroneamente al raggiungimento di effimeri obiettivi individuali.

Auguri a tutta la Comunità della Federazione Ornicoltori Italiani, con la voglia, la determinazione e la certezza di essere sempre in prima linea per sostenere e alimentare le attività inerenti l’allevamento e l’esposizione dei nostri beniamini alati in ambito nazionale e internazionale. Noi siamo gli allevatori FOI, testimoni della natura che incanta, con negli occhi il tripudio dei colori e nelle orecchie l’armonia dei canti, Noi che abbiamo fatto la storia e siamo protratti verso il futuro.

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CANARINI DI COLORE

Il Canarino a fattore rosso Un organismo geneticamente modificato di SERGIO LUCARINI, foto E. DEL POZZO, R. ESUPERANZI e S. LUCARINI

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ra il 1922 quando gli allevatori tedeschi Hans Duncker e Karl Reich, nell’intento di trasferire nei Canarini la capacità di metabolizzare colorazioni prossime al rosso, iniziarono ad ibridarli con il Cardinalino del Venezuela. Visti i riscontri positivi, dopo di loro tantissimi altri si sono cimentati in tale pratica. Nel tempo, compresa l’importanza di una giusta integrazione di sostanze coloranti, le popolazioni di Canarini rossi sono cresciute rapidamente ed in breve hanno superato dal punto di vista numerico quelle dall’originale colorazione gialla. Ancora alla fine dello scorso secolo, mi riferisco agli anni ‘70/’90, a testimoniare la diffusione e la persistenza di tali pratiche, moltissimi F1 e R1 erano presenti nelle esposizioni. Tornati in allevamento e accoppiati a Canarine, tali soggetti davano il loro contributo ad immettere ulteriore “sangue” del Carduelide sudamericano nei ceppi a “fattore rosso”. La procedura non è troppo complicata: trovato l’ibrido di prima generazione (F1) fecondo, il più è fatto. Ogni ciclo ibridativo, che parte appunto con l’assortimento di due diversi genomi, vede poi una successiva sequenza di accoppiamenti con le Canarine dove l’obbiettivo è quello di eliminare tutti i geni “strutturali” del Cardinalino cercando, nel contempo, di preservare quelli preposti all’arricchimento cromatico. In R2, ma soprattutto in R3, la morfologia è già molto vicina a quella tipica di un Canarino. A questo stadio anche le femmine manifestano buone percentuali di fecondità, dando

“percentuale di sangue” trasferito dall’esotico. Tale metro di valutazione si basava sulla convinzione che la mescolanza tra i lipocromi gialli e quelli rossi fosse regolata da una trasmissione ereditaria di tipo prettamente quantitativo, cioè con più loci interessati. Una visione empirica, ma tutto sommato non del tutto sbagliata. Oggi che i vari DNA vengono sequenziati con relativa facilità, abbiamo modo di conoscere quali sono gli alleli che in questi quasi cento anni di continui reincroci il Cardinalino ha lasciato nel genoma del Canarino. Ed infatti, confrontando il DNA di Canarini gialli con quello di soggetti rossi, sono state contate diverse “introgressioni”, cioè tratti estranei, retaggio delle pratiche descritte.

Cardinalino del Venezuela Bruno Pastello Diluito SF femmina, foto e allevamento: Renzo Esuperanzi

la possibilità di ripartire con nuovi cicli tesi a spostare, di volta in volta, l’equilibrio in direzione di colorazioni rosse sempre più pure. All’epoca della tumultuosa corsa verso il rosso, il pregio di un ceppo usavamo commisurarlo alla

Confrontando il DNA di Canarini gialli con quello di soggetti rossi, sono state contate diverse “introgressioni”

Le attuali conoscenze Senza addentrarci in complessità eccessive, c’è da fare una considerazione sulla natura dei lipocromi presenti nei nostri Canarini. Grazie alle ricerche del professor Riccardo Stradi (“I.O.” n°6/7-2019) sappiamo che nel piumaggio dei Canarini gialli, così come in quello degli ancestrali selvatici, sono presenti delle peculiari xantofille che sono il frutto di sequenze metabolico ossidative che partono da precursori (luteina, zeaxantina, etc.) assimilati dagli uccelli con la normale dieta a base di semi e verdure. Gli stessi precursori dietetici nel Canarino rosso, come nel Cardinalino, vengono invece trasformati in chetocarotenoidi (cantaxantina, astaxantina, etc.); questo grazie ad una azione ossidativa molto più spinta. In entrambe le specie, come

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R1 di Canarino (dal Cardinalino) maschio, foto e allevamento: Sergio Lucarini

suggeriscono gli studi consultati, tali reazioni avvengono grazie ad enzimi codificati da geni situati sui cromosomi 8 e 25. Nel genoma dei Canarini rossi i ricercatori hanno isolato anche altre frazioni “introgresse”, alcune anche coinvolte nel metabolismo dei lipocromi, come ad esempio SCARB1, che svolge un ruolo

R1 di Canarino (dal Cardinalino) femmina, foto e allevamento: Sergio Lucarini

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chiave nell’assorbimento dei carotenoidi e, di conseguenza, sulla presenza o assenza di colorazione. Per quello che riguarda però l’elaborazione qualitativa, quelle che hanno cioè un loro grado di capacità ossidativa, sembra proprio che deputate siano soprattutto le due frazioni sopra individuate. …L’analisi del trascrittoma dimostra che il CYP2J19 (l’enzima codificato dal gene mappante sul cromosoma 8) è significativamente sovraregolato (livelli più alti di mille volte) nella pelle e nel fegato dei canarini a fattore rosso, implicando fortemente il CYP2J19 come chetolasi (ossidazione enzimatica) che media la colorazione rossa negli uccelli. È interessante notare che la seconda regione introgressa (quella nel cromosoma 25)risiede all’interno del complesso di differenziazione epidermica, un gruppo di geni coinvolti nello sviluppo del tegumento. (Ricardo J. Lopes ed altri – 2016). Il CYP2J19 è uno degli enzimi del citocromo P450 ossidasi; questi enzimi, presenti in tutti gli organismi viventi, oltre ad essere coinvolti nella ossidazione dei lipocromi, sono metabolizzatori primari di sostanze estranee, meglio conosciuti come enzimi di disintossicazione. Un’ipotesi specifica è che la colorazione rossa chetocarotenoide esibita da molti uccelli sia un segnale evolutivo forte sugli aspetti della funzionalità del citocromo P450, come appunto la capacità di disintossicazione o, più in generale, sulla salute e la vigoria dell’individuo. Nell’ottica di queste acquisizioni, siamo autorizzati a pensare che la variabilità cromatica (tra l’arancio e il rosso) caratterizzante i vecchi ceppi che immaginavamo fosse causata da miscele variabili di lipocromi gialli e rossi codificate da un pool di geni di diversa origine, sia stata in realtà il frutto di una evoluzione nella risposta enzimatica ai dettami di alleli diversi. L’ipotesi proposta nelle ricerche consultate è che per la codifica verso il rosso da parte dell’enzima CYP2J19 sia sufficiente una copia dell’allele trasmesso dal Cardinalino (eredità dominante); invece nella regione NW_007931203, quella situata nel cromosoma 25, di questi alleli di origine esotica è necessaria l’omozigosi per ottenerne la piena espressione (eredità recessiva).

Sul dimorfismo sessuale a livello di lipocromi Come sopra detto, nella comparazione tra genomi di Canarini gialli e Canarini rossi, i ricercatori hanno individuato diversi tratti che certamente sono retaggio dei reiterati cicli ibridativi sopra descritti. Questi punti caldi vengono individuati grazie al diverso grado di funzionalità degli alleli mappati. Tra le risposte indicative di tali introgressioni spicca quella di BCO2 (β-carotene ossigenasi 2). In questo caso non si parla di qualità del colore: qui la differenza di espressione si riflette nella distribuzione dei lipocromi nei vari distretti anatomici. Indicativo il fatto che Cardinalino e Canarino mosaico esprimano per l’attività di questo enzima valori assimilabili, espressione che invece si differenzia da quella rinvenibile in un Canarino non mosaico. BCO2 catalizza la degradazione ossidativa dei lipocromi. Una molecola di carotenoide viene scissa in due apocarotenoidi, molecole più corte prive di capacità pigmentanti. Se ad essere coinvolto è il betacarotene, dalla sua scissione si formano due molecole di vitamina A. Il meccanismo è relativamente semplice: mentre l’attività di BCO2si esplica a livello cutaneo il suo grado di espressione è mediato da una serie di geni che codificano a monte. Tra gli altri un ruolo importante lo svolgono ovviamente i geni legati ai livelli ormonali. BCO2, tra le altre sue funzioni, ha infatti anche quella di regolare il grado di divergenza cromatica tra i sessi. Le ricerche sul legame tra l’espressione di BCO2 e la colorazione delle penne hanno visto coinvolte diverse specie: Verzellino, Cardinalino, Carpodaco messicano, Canarino brinato (domestico e selvatico), Canarino mosaico. Data la natura di tale meccanismo, i ricercatori descrivono il grado di maggiore o minore dimorfismo come una caratteristica che in natura evolve in modo relativamente rapido: …che può essere prontamente acquisita, modificata o persa attraverso semplici interruttori dell’attività enzimatica. La semplice architettura genetica può spiegare perché i mutamenti dal dicromatismo sessuale verso il monocromatismo, o viceversa, si evolvono così rapidamente tra le specie


di uccelli in natura. (Małgorzata Anna Gazda et al., 2019, si veda la bibliografia). Quanto descritto è verificabile andando ad analizzare le cromie dei Serini africani, oppure dei Carduelidi americani. In entrambi i gruppi, cicli evolutivi relativamente recenti hanno consentito differenziazioni a livello di dimorfismo molto vistose. Tra i Serini, a fronte di una maggioranza di specie altamente dimorfiche, ne contiamo diverse a dimorfismo zero, sia per assenza più o meno completa dei lipocromi, come il Cantore d’Africa o il Golanera, sia per una diffusione totale in entrambi i sessi; ad esempio, il Canarino del Mozambico o i Canarino solforato, tanto per citarne i più comuni. Anche i Lucherini americani, nel loro traslare verso sud lungo la Cordigliera andina, andando a popolare varie nuove nicchie hanno innescato rapide differenziazioni per questi tratti con, anche qui, una maggioranza di forme con elevato dimorfismo a fronte di poche vistose eccezioni, come il Lucherino dei pini, il Lucherino pettonero o il Negrito. Molti anni fa, volendo partecipare all’intenso dibattito che al tempo si era innescato ed oggi non ancora del tutto sopito, circa una possibile spiegazione sull’origine del “fattore mosaico” nel Canarino, scrissi una nota che venne pubblicata nel n° 10/1988 di questa rivista. Rispetto alla disputa che si andava dipanando tra diversi esperti del settore incentrata sulla possibilità o meno che il Cardinalino potesse aver trasmesso il proprio dimorfismo al Canarino, nel mio scritto proposi una traccia diversa, basata sul fatto che la stretta parentela tra

Schema dei biomeccanismi ossidativi dei carotenoidi

il Verzellino ed il Canarino potesse suggerire l’esistenza di un antico antenato comune e che tale forma ancestrale fosse molto simile all’odierno Serino europeo, quindi un animale dal dimorfismo spiccato. Premesso questo, avanzai l’ipotesi, a mio vedere altamente probabile, che gli odierni Canarini selvatici fossero gli eredi di un piccolo gruppo di questi Serini ancestrali fortuitamente isolatosi nell’arcipelago delle Canarie. Isolamento che li ha portati ad evolvere una loro peculiare cromia, chissà per quale imperscrutabile ragione, priva di evidente dimorfismo. Una condizione di monomorfismo rimasta inalterata anche durante la lunga fase di domesticazione. Poi sono arrivate le massicce ibri-

dazioni con il Cardinalino sopra descritte e con queste c’è stato il travaso di alleli in grado di metabolizzare i chetocarotenoidi rossi. A questo punto della ricostruzione aggiunsi: …il Carduelide americano, possedendo un notevole dimorfismo sessuale, ha anche trasmesso quel particolare segmento cromosomico che, inserito nel genoma del Canarino, ha fatto riaffiorare quella disposizione cromatica che il soggiorno nelle Canarie aveva per chissà quale ragione cancellato. (…) Questo è il punto: il Cardinalino non ha trasmesso il proprio dimorfismo e la propria disposizione cromatica, ma per sostituzione, inserendo la giusta chiave genetica, ha solo fatto riaffiorare la vecchia forma dimorfica del Canarino, con la

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relativa disposizione cromatica caratteristica della specie. È poco elegante aggiungere “io l’avevo detto”, ma questa mia ipotesi di oltre trenta anni fa direi che è abbastanza sovrapponibile alle moderne conclusioni di cui sopra della Dott.ssa Gazda. Conclusioni I vecchi Canarini mosaico avevano ampie soffusioni. Inizialmente solo le femmine venivano definite “mosaico”, i maschi li chiamavamo “dimorfici”, si distinguevano dai brinati solo per il bianco nella zona ventrale tra le zampe.

pre portata avanti dalla Dott.ssa Małgorzata Anna Gazda. Si tratta di uno studio circa la genetica della mutazione “urucum”, quella che produce Canarini dal becco e zampe intensamente pigmentate di rosso (o giallo). Apparentemente, sembra un argomento che va fuori tema rispetto a quanto fin qui trattato; a mio parere, invece, questa ricerca che aggiunge conoscenze sulle importanti funzioni di BCO2ci fa meglio inquadrare quanto sopra discusso. Come detto a proposito dell’enzima BCO2, più alto è il suo grado di espressione e maggiore è la sua capacità di

Canarino mosaico rosso maschio, foto: E. del Pozzo

Questo è il naturale dimorfismo del nostro Canarino, quello atavico, una disposizione a mio vedere sovrapponibile a quella del Verzellino. Il resto l’ha fatto la nostra selezione. I ricercatori suggeriscono che la diffusione dei carotenoidi nel piumaggio sia un tratto evolutivamente molto sensibile; noi allevatori lo abbiamo toccato con mano, riuscendo a trasformare, nel giro di poche generazioni, i vecchi dimorfici negli attuali mosaico. Prima di chiudere questa nota vorrei riferire i risultati di un’altra ricerca sem-

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degradare i lipocromi, quindi minore ne risulta il deposito nel piumaggio. La sua funzione è regolata a monte da una serie di geni: una regolazione fine con mirate differenziazioni di espressione tra le varie parti anatomiche. In questo contesto, il fatto che normalmente il becco e le zampe dei Canarini non siano interessati da depositi di origine lipoide è il segno evidente che in queste parti “nude” l’azione dell’enzima sia massima. Il fattore in esame, “urucum”, nasce da una mutazione puntiforme (una sostituzione di base, istidina con arginina)

che annulla la funzione di BCO2. A livello di becco e zampe i carotenoidi non vengono degradati, quindi sono liberi di pigmentare massicciamente la cheratina. A fronte di ciò, nella retina dei mutati Urucum sono stati trovati livelli più bassi di apocarotenoidi (il prodotto della scissione operata dall’enzima) rispetto a quelli normalmente presenti nei soggetti non mutati. Gli apocarotenoidi e i carotenoidi ossidati presenti in alcuni componenti del fondo dell’occhio contribuiscono alla visione a colori. Dopo questa parentesi, ed avviandomi alla conclusione, vorrei se possibile scusarmi con i lettori per questo scritto certamente pesante, con argomenti che forse esulano da quelli di nostro primario interesse. Personalmente trovo, però, queste moderne ricerche particolarmente interessanti e stimolanti, con possibilità di scambi di conoscenze tra allevatori e ricercatori in entrambe le direzioni. Spesso, infatti, in tali lavori troviamo riferimenti a nostre esperienze ed è da mutazioni insorte nei nostri allevamenti e da noi fissate che spesso prende spunto il lavoro di ricerca. Quello sopra riportato sul Canarino Urucum ne è un esempio. Chiudo tornando all’argomento centrale, quello sul dimorfismo, con un’ultima considerazione: ovviamente, non possiamo sapere se il nuovo allele, quello che alterandone la funzione ha aumentato la capacità di degradazione selettiva dei lipocromi da parte di BCO2, sia il frutto, come asserisce la Dott.ssa Gazda, di una introgressione lasciata dal Cardinalino, oppure di una semplice mutazione spontanea come teorizzato dal nostro Giovanni Canali (“I colori del Canarino” – 1992): quello che voglio dire è che a questo punto del discorso, con il meccanismo responsabile abbastanza delineato e con i risultati fenotipici ben acquisiti, forse saperlo non ha più neanche tutta questa importanza. BIBLIOGRAFIA - R. J. Lopes et al., Genetic Basis for Red Coloration in Birds. Curr. Biol., 1427–1434 (2016) - Małgorzata Anna Gazda et al., Genetic Basis of De Novo Appearance of Carotenoid Ornamentation in Bare Parts of Canaries (2019) - Małgorzata Anna Gazda et al.,The Genomic and Transcriptomic Basis of Carotenoid-Based Sexual Dichromatism in Finches (ESEB 2019)


ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

Il Diamante di Gould “bruno” Sviluppi ed orientamenti di una nuova selezione testo e foto di FRANCESCO FAGGIANO in collaborazione con B. LA MAIDA, E. TAURINO, S. SEVERINO e A. VENTUROLI Premessa Riteniamo corretto appellare questa nuova varietà del Diamante di Gould con il termine diffusamente utilizzato di “bruno”, che adottiamo però nel titolo con l’uso del virgolettato perché ancora non ratificato e oggetto di una controversa discussione sull’identità genetica della stessa mutazione, che vede alcuni italiani non concordi con l’idea generale degli ornitofili europei che ritiene, di contro, essere questa mutazione realmente la classica bruno sessolegato.

A sinistra ancestrale, a destra Diamante di Gould bruno, all. Severino

Introduzione Da qualche anno seguo con interesse i notevoli risultati dell’allevamento e della selezione che gli amici Bettino La Maida, Sabatino Severino, Antonio Venturoli ed Eugenio Taurino, appassionati del Diamante di Gould, con alterne fortune, sono riusciti a raggiungere, portando notevolmente avanti la selezione della varietà bruno anche in combinazioni piacevoli e di interesse tecnico. Se da subito la varietà bruno si è combinata con la pettobianco, ora grazie al loro impegno la pos-

Una serie di elementi ed indirizzi ci portano a sostenere con determinazione che la mutazione in questione sia, con molta probabilità, veramente un bruno sessolegato classico

siamo ammirare anche in combinazione con la blu e con la lutino, sia testa nera che testa lipocromica. Tali abbinamenti ci donano il piacere di ammirare fenotipi estremamente inediti e piacevoli, oltre a darci importanti indizi tecnici. L’interessante corsa selettiva di questi quattro bravi allevatori nell’ottenimento di combinazioni fenotipiche inedite con la varietà bruno è fortunatamente coincisa anche con l’obbiettivo espositivo degli stessi, così da ottenere col tempo buoni soggetti dai nuovi toni cromatici. Proprio l’osservazione e l’analisi di queste combinazioni ci permette, attraverso ragionamenti logicodeduttivi, di elencare una serie di elementi ed indirizzi che ci portano a sostenere con determinazione che la mutazione in questione sia, con molta probabilità, veramente un bruno sessolegato classico e ci spinge ad orientarci verso un indirizzo selettivo adeguato di massima ossidazione e giusta espressione melanica, ovvero scuro, sì, ma del colore giusto! Pertanto, nel

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caso specifico del Diamante di Gould bruno è corretto affermare che l’eumelanina è indicabile come quella frazione bruno/marrone dello spettro dei colori visibili.

Lutino bruno femmina TN, all. La Maida

Storia e descrizioni del fenotipo Comparsa in Belgio in ceppi commerciali non particolarmente spinti nella selezione, la mutazione bruno si è manifestata tipicamente sulla varietà a testa nera, così come è successo per la lutino, sulla quale probabilmente è stata individuata anche perché più facilmente distinguibile... Presto valorizzata, non ha tardato ad arrivare in Italia, dove validi allevatori ne hanno iniziato una selezione migliorativa tanto della struttura quanto del colore, che inizialmente era smorto e poco tipico per essere istintivamente identificato come bruno. Sappiamo però che il Diamante di Gould, data la complessità della sua livrea, all’apparizione di nuovi fattori mutanti non evidenzia mai le vere potenzialità del fenotipo. Si pensi a come erano

Lutino bruno TA femmina, all. Venturoli

Bruno pettobianco TA femmina, all. Venturoli

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sbiaditi e atipici i primi lutino! Di contro, oggi la maggior parte dei bruni italiani, provenienti praticamente tutti da due principali linee selettive, presenta caratteristiche chiare e identificative per la mutazione. In primis, il colore della maschera melanica è tipicamente marrone scuro, assimilabile al colore del cioccolato fondente. Il collarino turchese mette poi in evidenzia il verde morbido del dorso che non presenta toni di acidità, perché più ricco di feomelanina che smorza “l’effetto limone” dei lipocromi. Nelle femmine migliori, sul dorso è percettibile addirittura una patina feomelanica caratteristica. Si realizza così un colore verde piacevole e distintivo non riscontrabile in altre varietà. Il petto è quasi impercettibilmente schiarito, cosa apprezzabile in buone condizioni di luminosità, mentre il ventre appare di un bel giallo caldo migliorato dalla presenza della feo. Il groppone non subisce sostanzialmente modificazioni. Remiganti e timoniere appaiono brunastre. Va evidenziato


che tanto la riduzione eumelanica quanto l’ampliamento della carica feomelanica non appaiono come fenomeni massivi, elemento tipico della mutazione bruno che, ricordiamo, fa parte di quei fenotipi definiti, per l’appunto, ossidati. Per giunta, la capacità ossidativa del Gould è fortissima (sulla testa raggiunge il nero assoluto), per cui il viraggio da nero a marrone scuro è sì evidente, ma non forte come in altri casi. Un’attenta osservazione permette comunque di evidenziare che l’aspetto qualitativo del deposito eumelanico tipico della varietà bruno si manifesta adeguatamente, non evidenziando melanina nera o grigia che, di contro, si presentano marroni. Si presti attenzione al fatto che, come per altre varietà, è possibile osservare e valutare correttamente queste modifiche del colore solo dal vivo e con illuminazione adeguata, pena l’impressione di avere di fronte soggetti a melanina nera... questo soprattutto attraverso osservazioni virtuali dei soggetti tramite foto

Femmina bruno, all. Severino

e video. In combinazione con la varietà bruno pettobianco, venendo meno il deposito feomelanico, ricompare l’effetto limone dei lipocromi su un dorso che rimane comunque di tonalità più chiara e calda dell’ancestrale. Sempre nella varietà bruno pettobianco, i depositi eumelanici risultano leggermente schiariti per effetto della mutazione, ma rimangono di colore bruno/marrone e in particolare il colore della maschera melanica tende ad assumere un tono marrone brillante per l’assenza della feo. La combinazione più suggestiva rimane comunque quella con la mutazione lutino, dove l’estrema riduzione della stessa si combina sinergicamente con l’effetto di amplificazione delle eumelanine brune, andando così a rimarcare i contrasti beige dei disegni che esaltano la bellezza propria del Gould. In tale abbinamento, che ricordo genericamente essere definito satiné, la maschera melanica assume un gradevole tono beige scuro che esaltato da un evidente collarino turchese si

Lutino bruno blu, all. La Maida

Bruno pettobianco portatore di lutino, all. La Maida

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distacca da un dorso quasi caramello dato dall’interazione tra il lipocromo e il residuo eumelanico. Lo stesso è valorizzato dalla limpidezza del ventre interessato da solo lipocromo. Ricordiamo che il lutino inibisce totalmente il deposito feomelanico e permette solo il deposito delle eumelanine brune che la mutazione bruno potenzia in quantità e qualità. Quest’anno si sono ottenuti anche i lutino bruno a maschera lipocromica sia ros-

essendo geneticamente dei Pastello SF portatori di bruno e lutino, esprimono un fenotipo assimilabile (simile, ma non uguale) ai Pastello DF! Il fenomeno di interferenza reciproca su caratteri poligenici come la pigmentazione melanica (diverso dall’allelomorfia multipla), pur non essendo particolarmente diffuso e comunque noto ai tecnici più esperti, non stupisce troppo, ma sarà interessante vedere come e quanto si modi-

porto di medesima identità del gene, oppure se si tratti del primo caso di allelomorfia multipla del gene interessato (ad oggi, della mutazione bruno sessolegato classico non si hanno casi di allelicità). Non escludiamo che potremmo essere nuovamente dinanzi al fenomeno di interferenza genetica (dato dai deficit che diverse mutazioni determinano anche in condizione di eterozigosi nell’espressione fenotipica poligenica), così come abbiamo visto precedentemente tra pastello e bruno.

Lutino bruno TR femmina, all. Taurino

sa che arancio, estremamente belli. La combinazione lutino bruno, alias satiné, è stata esposta anche su base blu, dove è più apprezzabile la tonalità eumelanica beige limpida e assente da feo, che realizza sul dorso un colore celeste confetto gradevolissimo. Un effetto molto particolare si è visto quest’anno nei maschi pastello SF/bruno/lutino di Severino, che curiosamente manifestano un fenomeno di interferenza per cui, pur

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ficherà il fenotipo dei soggetti Pastello SF a base bruna. Di recente acquisizione è la notizia che dall’accoppiamento tra il bruno e il “Diluito ungherese” la figliolanza sia nata tutta mutata. Non abbiamo notizie certe del campione di soggetti nati, né immagini o rendiconti oggettivi sul fenotipo e soprattutto sul genotipo di questi soggetti; prendiamo atto della notizia e attendiamo di vedere se sia possibile stabilire un vero rap-

Conclusione Oggi il Diamante di Gould è l’estrildide domestico più importante del panorama ornitofilo selettivo europeo e probabilmente mondiale; per questo andrebbe maggiormente studiato e tutelato nella selezione domestica e nella sua controversa biodiversità. Questo è possibile promuovendo tanto la sua conoscenza tecnica quanto l’esposizione sportiva, dando spazio ad ogni singola e significativa occasione di incontro. In Italia abbiamo due principali realtà espositive quali Erythrura di Lanciano e la Nazionale del Gould di Franciacorta che dedicano tutte le loro risorse per la realizzazione di mostre realmente votate alla divulgazione e all’approfondimento tecnico sul Gould, che diventano così occasione annuale di incontro e confronto significativo per allevatori e tecnici. Le stesse sono seguite dignitosamente da altre realtà quali ad esempio Zebras, Exotica e la Salento Esotici che, se pur in formato ridotto, dedicano al Gould il giusto riferimento e prestigio, col fine ultimo di divulgare e promuoverne la selezione e l’allevamento in una rete di contatti e sinergie utili ed efficaci a far sì che tanti allevatori rimangano ardentemente appassionati del meraviglioso Diamante di Gould, così come avviene per gli amici Bettino La Maida, Antonio Venturoli, Sabatino Severino ed Eugenio Taurino che, per pura passione, hanno dato a tutti noi la possibilità di ammirare tanta bellezza e che per questo ringrazio di cuore.


CANARINI DI COLORE

La mutazione becco pigmentato testo C.T.N. CANARINI DI COLORE, foto PATRICIO ESTÉVEZ

A

ll’inizio degli anni ’90 è apparsa una mutazione il cui effetto più appariscente è la pigmentazione lipocromica del becco. Non è chiaro se sia apparsa prima nei canarini gialli o rossi, né è altrettanto chiaro il luogo d’origine. Si attribuisce la nascita dei primi soggetti mutati in Spagna ma si hanno notizie di contestuali nascite di soggetti mutati in Italia e in Sud America (Brasile e Messico). Si tratta di una mutazione autosomica recessiva il cui effetto additivo agisce sui pigmenti lipocromici. La pigmentazione del becco è, dunque, solo l’effetto più appariscente della mutazione, mentre l’azione più interessante consiste nella maggiore concentrazione di lipocromo e nella sua estensione che interessa il basso ventre anche nei soggetti brinati. Non meno rilevante risulta l’estensione del lipocromo alle zampe e alla pelle del canarino. Nei brinati l’effetto additivo comporta una riduzione della brinatura che risulta molto fine e le scaglie risultano anch’esse pigmentate ma di una tonalità più tenue. Pur necessitando di riscontro di laboratorio, vi è opinione diffusa secondo la quale la mutazione avrebbe anche un effetto sulla struttura della penna, tanto che il piumaggio appare più setoso. Attualmente alla mutazione non è stata attribuita una denominazione unica per cui i rossi che ne sono interessati vengono chiamati “urucum” mentre nei gialli la mutazione è denominata semplicemente “becco giallo”.

Pigmentazione evidente del becco in nidiaceo rispetto agli altri pulli

Non è noto l’effetto della mutazione sui canarini avorio, né sui mosaico. È facile intuire, tuttavia, che l’effetto sui mosaico non sarebbe affatto compati-

Attualmente alla mutazione non è stata attribuita una denominazione unica

bile con le caratteristiche che ne contraddistinguono la tipicità. Perfettamente compatibile risulta l’abbinamento urucum-rubino e becco giallo-lutino. Riassumendo, i caratteri distintivi dei canarini urucum e becco giallo consistono nell’effetto additivo della pigmentazione lipocromica che interessa tutto il piumaggio fino al basso ventre anche nei brinati, le parti cornee e la pelle. Quanto innanzi riportato sull’effetto additivo operato sui brinati impone la formulazione di standard distinti per categoria e varietà.

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STANDARD - Varietà Valutazioni

Descrizioni

punti

Purezza del colore e visibile effetto additivo generato dalla mutazione. Ottimo

Perfetta uniformità e massimo tenore quantitativo su tutte le zone interessate.

24

Remiganti e timoniere di colore uniforme alla livrea. Becco e zampe pigmentati in maniera evidente e uniforme.

Buono

Buona purezza con effetto additivo leggermente inferiore all’ottimo in soggetti che evidenziano una leggera schiarita rispetto al resto del piumaggio.

23 - 22

Determinano la valutazione sufficiente i seguenti difetti: Sufficiente

- Impurità di colore appena percettibili

21 – 20

- Remiganti e timoniere di colore non uniforme. - effetto additivo sufficiente a identificare chiaramente la mutazione. Determinano la valutazione insufficiente i seguenti difetti: - Interferenza evidente fra i due colori lipocromici di base o vistosa tonalità violacea

Insufficiente

- aree del piumaggio non uniformemente colorate con schiarite e concentrazioni più elevate in altre

19 - 15

- scarsa espressione lipocromica tipica della mutazione tanto da renderla non immediatamente riconoscibile.

CATEGORIA - INTENSO URUCUM E BECCO GIALLO Valutazioni Ottimo

Descrizioni

punti

Massima espressione dell’intensità esaltata dall’effetto additivo della mutazione.

29

Nessun effetto di brinatura su tutta la livrea

Buono

Lievissimo ed appena percettibile effetto di brinatura limitata al dorso e alla zona addominale che si manifesta nella particolare espressione dei soggetti interessati dalla mutazione

28 - 27

Sufficiente

Effetto di brinatura limitato che può interessare più parti della livrea: dorso, guance, collare, fianchi, addome, tale da consentire la definizione della categoria.

26 - 24

Insufficiente

Evidente effetto di brinatura esteso a tutta la livrea in soggetti tendenti alla categoria dei brinati.

23 - 18

CATEGORIA BRINATO URUCUM E BECCO GIALLO Caratteri tipici Nei soggetti interessati dalla mutazione la brinatura si manifesta in maniera molto differente rispetto ai normali lipocromici in quanto anche le scaglie sono interessate dal lipocromo, anche se di tonalità più pallida. Visibilmente inferiore rispetto ai normali lipocromici è il contrasto tra la parte pigmentata della piuma e quella interessata dalla brinatura.

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Urucum intenso e brinato a confronto

Novello a becco giallo in primo piano


Valutazioni

Descrizioni

punti

Ottimo

Brinatura evidente a piccole scaglie interessate da lipocromo di tonalità più pallida, uniformemente distribuita su tutta la livrea, compreso il basso ventre.

29

Buono

Buona distribuzione della brinatura che dovrà comunque esprimersi nel modo indicato in premessa, lievemente accentuata sul dorso e sul collare, oppure ridotta particolarmente sul petto.

28 - 27

Sufficiente

Brinatura eccessiva, scarsa, non uniforme, ma comunque tale da definirne sicuramente la categoria.

26 - 24

Insufficiente

Brinatura eccessiva o fortemente localizzata tanto da rendere non agevole l’identificazione dell’esatta categoria

23 - 18

Riguardo all’effetto della mutazione becco pigmentato nella categoria mosaico, recentemente, e successivamente all’elaborazione dello standard, abbiamo potuto visionare alcune foto pubblicate sul web. Le immagini diffuse da allevatori sudamericani confermano la nostra previsione circa l’estensione del lipocromo al di fuori delle zone di elezione che, a nostro avviso, contrasta con la tipicità del mosaico. Tuttavia nelle ultime settimane un allevatore spagnolo ha diffuso la foto di una femmina Mosaico Urucum con un becco visibilmente rosso e che sembra manifestare una buona categoria mosaico. Auspichiamo di poter osservare dal vivo questi soggetti per formulare eventuali valutazioni che, in ogni caso, saranno animate da serietà, prudenza e buon senso.

Urucum: particolare dell’addome

Urucum ala bianca

Incontro sull’Opale

L

a C.T.N. “Canarini di Colore” è stata protagonista di un incontro svoltosi presso il Centro Sociale di Pagani (SA) lo scorso 6 Ottobre sul tema “La Mutazione Opale”. L’incontro, promosso e organizzato dall’Associazione Ornitologica Paganese, ha visto come relatore il Presidente della C.T.N. Gaetano Zambetta, con la presenza di Alfonso Giordano in qualità di membro della medesima Commissione Tecnica. L’appuntamento è stato introdotto da Presidente del Raggruppamento Ornitologico Campano, Domenico Borrelli, il quale è intervenuto per salutare i presenti e ringraziare gli organizzatori a nome della Federazione Ornicoltori Italiani. Durante l’incontro sono stati esposti i vari punti della trattazione circa la mutazione Opale, una delle più belle apparse nella canaricoltura di colore ma, al contempo, sempre foriera di discussione circa la corretta interpretazione del suo aspetto fenotipico in merito ai tipi base. Il Presidente Zambetta ha sottolineato e ribadito quanto l’Opale sia ancora oggi una mutazione da difendere da interpretazioni errate: in Spagna, ad esempio, si seleziona l’Opale verso la massima melanizzazione; in COM-OMJ, si parla di effetto grigio/brunastro (sul tipo Bruno) ecc. Proprio in quest’ottica, la C.T.N. ha proposto a livello internazionale di uniformare la descrizione dell’effetto opale sul Bruno, definendo la tonalità della melanina “grigia tendente all’azzurro”, auspicando che tale soluzione possa

essere soddisfacente per tutti e, al contempo, evitare ulteriore confusione al riguardo. Parlando con gli allevatori presenti all’incontro, tra cui alcuni “specialisti” dell’opale che hanno esposto nell’occasione anche dei soggetti provenienti dai loro allevamenti, si è evidenziato quanto l’effetto di questa bellissima mutazione possa variare a seconda delle differenze del tipo base utilizzato; ad esempio, è stato citato il caso che vede un’ottima espressione opale se si utilizza il tipo NeroBruno (cioè il tipo di Nero che veniva selezionato in passato), oppure il bellissimo effetto fenotipico espresso dall’Agata opale rosso avorio; sono emersi anche pareri discordanti sull’Isabella opale che prima si voleva senza disegno e ora con accenno di striature, pur restando punto fermo la chiara opalescenza delle remiganti e timoniere. È stato da tutti condiviso il fatto che la mutazione opale non si limiti alla riduzione della melanina, con abbassamento della stessa nella pagina inferiore di remiganti e timoniere, fenomeno che produce l’effetto azzurrino (diffusione ottica), ma che essa agisca anche sulle melanine presenti nella cosiddetta interstria, contribuendo alla complessiva opalescenza del soggetto mutato. Il Presidente Zambetta ha chiuso il suo intervento sottolineando il compito della CTN di indirizzare la giusta selezione nell’allevamento del Canarino di colore, affermando che, in ogni caso, non ci si adeguerà più a eventuali decisioni errate

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ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

Serinus flavivertex VS Serinus canicollis testo di PIERCARLO ROSSI, foto G. BARTOLONE e AUTORI VARI

I

l Genere Serinus annovera tra i suoi componenti solamente otto Specie, che vanno dal più conosciuto Serinus canaria ad un unico rappresentante europeo, il Serinus serinus; due Specie sono presenti nel continente asiatico: il Serinus pusillus o Verzellino Fronterossa che dir si voglia ed il Serinus syriacus o Canarino di Siria. Fanno parte di questo gruppo anche il Serinus alario ed il ed il poco conosciuto Serinus nigriceps, abitanti del continente africano. In questo mio scritto vorrei focalizzare l’attenzione dei lettori su due Specie molto simili tra loro: il Serinus flavivertex o Canarino Testa Gialla ed il Serinus canicollis o Canarino del Capo. Descrizione delle specie Le due Specie sono molto simili tra loro sia morfologicamente che cromaticamente; hanno inoltre abitudini alimentari e comportamenti in natura comuni. Vorrei partire confrontando la colorazione del piumaggio dei due maschi: Serinus canicollis - Serinus flavivertex Fronte: giallo infiltrato - giallo intenso Nuca e collo: grigio cenere - verde brillante disegnato di nero Gola: giallo verdastro - giallo brillante Petto: giallo verdognolo - giallo intenso Ventre: giallo chiaro - giallo intenso Dorso: verde disegnato di verde scuro - verde brillante disegnato di nero

Canarino testa gialla, foto e all. Gregorio Bartolone

Remiganti:

Codione: Becco:

ali e coda nere - ali e coda verde scuro leggermente orlate di giallo ocra giallo infiltrato di verde giallo intenso grigio, conico e robusto grigio, conico con mascella leggermente arcuata

Le femmine del canicollis hanno colori più spenti ma con un disegno sul dorso più marcato, il petto è grigio verdognolo, così come la gola; inoltre, il mantello è sfumato di bruno. Anche le femmine del flavivertex hanno

colori meno intensi rispetto a quelli del maschio, soprattutto sulla testa, che tende maggiormente al verde; inoltre, il disegno sul dorso è più marcato, così come sui fianchi e sull’alto petto.

Le due Specie sono molto simili tra loro sia morfologicamente che cromaticamente

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Canarino testa gialla x Verdone, foto G. Bartolone

I soggetti in natura Il canarino del Capo abita le montagne, fino ad un’altitudine di 4300 mt, di Kenya e Etiopia e fino ad una ventina di anni fa era importato regolarmente. Risulta essere Specie comune ed è possibile osservarlo sugli altopiani erbosi o nelle radure ai margini delle foreste dove, raggruppato in piccoli stormi, individua il proprio nutrimento scendendo sul terreno, alla ricerca di semi immaturi delle varie Graminacee. I suoi preferiti sono quelli delle composite, anche se, nei periodi più austeri, tutte le granaglie secche vengono appetite. Abita la Provincia del Capo dove, grazie al suo splendido canto, è di facile individuazione, nei giardini o sugli alberi da frutto. Di natura confidente, costruisce il nido ad altezza variabile, sia su cespugli che su piante di alto fusto, quasi sempre alla biforcazione di un ramo.

20 DICEMBRE 2019

La coppa viene realizzata dalla sola femmina con fibre all’esterno e lanuggine all’interno. La stagione riproduttiva è compresa tra i mesi di maggio e settembre, anche se in presenza di condizioni climatiche favorevoli, al termine della stagione delle piogge, con conseguente fioritura delle graminacee, il ciclo riproduttivo può essere anticipato o posticipato. Vengono deposte solitamente quattro uova che hanno colorazione biancastra, con piccole macchie rossicce sul polo ottuso; i piccoli nascono dopo un’incubazione di 12 giorni e vengono alimentati essenzialmente con semi immaturi, raggiungendo la piena indipendenza dopo circa quaranta giorni. Come succede anche per altri Serinus, la muta del piumaggio è tanto impercettibile quanto però graduale (vengono cambiate pochissime penne alla volta).

Oltre alla specie nominale sono riconosciute ufficialmente due sottospecie. Il maschio della sottospecie thompsonae è generalmente più scuro sulle parti superiori e presenta fronte e vertice più brillanti; la femmina di questa sottospecie è più scura della nominale e presenta le parti superiori di colore marrone-oliva chiaro, con striature piuttosto marcate. Il maschio della sottospecie griseitergum ha i colori della testa più verdi, con un giallo meno marcato, mentre il grigio della nuca è di tonalità più intensa, o grigio azzurra. Nel resto del piumaggio il giallo risulta essere più opaco. La femmina è di colore grigio verde, con tinte molto più spente. Il canarino testa gialla ha una forma piuttosto simile a quella del canarino del Capo ed in passato era considerato una sottospecie di quest’ultimo. Vive nelle zone montuose di Congo, Etiopia, Uganda e Rhodesia dove abita preferibilmente gli altopiani erbosi ai margini delle foreste; tende inoltre a colonizzare le aree antropizzate, spingendosi nei parchi e nei giardini urbani. Vaga alla ricerca di cibo, raccolto in piccoli gruppi, tanto più numerosi quanto più il cibo è scarso. La sua alimentazione è prettamente granivora, ma non disdegna piccoli invertebrati soprattutto nei primi giorni di vita dei piccoli, quando la richiesta di proteine è maggiore. Solitamente il maschio, con il suo splendido canto, attira la femmina nel territorio scelto per la nidificazione, nel quale sarà sua premura costruire il nido realizzato con piccole radici e steli d’erba, in genere su un cespuglio posto ai margini della zona di approvvigionamento del cibo. Il nido viene foderato al suo interno con piume ed altri materiali soffici, per garantire il necessario isolamento termico. Le uova deposte variano da tre a quatto e sono di colore celeste chiaro, macchiate di bruno all’estremità superiore. Il periodo riproduttivo si protrae da maggio a settembre. Sono state riconosciute due sottospecie: oltre alla specie nominale S. flavivertex, vi è la S. F. sassi presente in Ruanda, Zaire ed Uganda, e la S. F. huillensis presente nell’Angola centrale. Nelle aree di sovrapposizione si tro-


vano meticci tra la specie nominale e la prima sottospecie. Alcuni esemplari della specie nominale sono stati introdotti anche nelle isole Mauritius e Réunion. Il Canarino del capo in allevamento Essendo da sempre appassionato di Serinus africani, in passato ho allevato questo simpatico canarino africano, ma sono passati diversi anni da allora e per un racconto più preciso ho dovuto ricorrere ai miei “appunti disordinati” che scrivo ogni stagione cove. Fui incuriosito da questa Specie, oltre che per le cromie, anche perché sui testi di allora essa veniva descritta come una Specie dal canto molto melodioso, simile a quello dell’allodola. Abitando ad Alessandria, un tempo, la mia tappa fissa era l’allevamento dell’amico Carmelo Ermelindo, un bravo allevatore e, a quei tempi, anche importatore di moltissime Specie esotiche, che riempivano le sue grandi voliere dove notai un buon gruppetto di questi soggetti di fresca importazione: il dimorfismo sessuale era ben evidente e, anche se in generale prediligo i soggetti giovani, quella volta scelsi un maschio adulto con i colori ben marcati. Una volta a casa sistemai i soggetti in una voliera da 90 cm, dove palesarono subito una notevole docilità. Si adattarono velocemente al nuovo allevamento, denotando una buona robustezza e rusticità e apprezzando ogni alimento che gli veniva offerto. Essendo io un amante delle erbe prative, era un vero spettacolo poterli ammirare nelle loro piroette per recuperare ogni singolo semino. Col passare del tempo, agli inizi di maggio, notai la femmina particolarmente irrequieta ed alla continua ricerca di qualcosa, così decisi di introdurre nella gabbia un nido in vimini e schermai la parte frontale con dei rametti di abete finto. La canicollis gradì la juta, alcune erbette secche ed il fogliame del pioppo ed in breve tempo costruì un nido perfetto, mentre il maschio, ormai in pieno estro, cantava in continuazione senza dimostrare alcun segno di aggressività. La

femmina depose 3 uova di colore biancastro ed incominciò a covare regolarmente. Io, preso dalla smania, decisi inizialmente di non disturbarla, ma alla speratura, notando che due uova erano state fecondate, le passai ad una brava canarina. I piccoli schiusero regolarmente al tredicesimo giorno e la brava balia li alimentò regolarmente fino al loro completo svezzamento. I novelli, una volta involati, presentavano un piumaggio simile a quello della femmina, ma molto più striato. Si svezzarono dopo oltre un mese. Intanto la coppia di canicollis, più o meno in concomitanza con lo svezzamento dei piccoli, aveva deposto altre tre uova che, essendo ormai a fine stagione, lasciai ai genitori. Tutto si svolse nella norma ed i piccoli nati, anche questa volta due, crebbero normalmente per una settimana. Purtroppo una sera, al ritorno dal lavoro, trovai un piccolo moribondo ed il fratello molto affamato. Passai i due all’ultima canarina rimasta in cova che, fortunatamente, riuscì a salvare il piccolo meno compromesso. Una volta svezzati, divisi i piccoli delle due covate dalle madri adottive per riunirli ai genitori e farli mutare insieme. In questo periodo continuai a fornire loro le varie erbe prative di stagione (molto gradita la cicoria), mettendo sempre a disposizione il graditissimo bagnetto.

Canarino del capo, fonte: hermanusbirdclub.wordpress.com

Lucherino ventre giallo x Canarino testa gialla, foto G. Bartolone

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Questa è la mia esperienza con i canicollis, un’esperienza di un solo anno in quanto decisi di cedere i giovani e di tenere soltanto la coppia riproduttrice per la successiva stagione cove. Nell’inverno persi la femmina ed unii il maschio ad una canarina che non depose mai uova feconde. Negli anni a venire questa specie fu importata sempre più raramente e, ad oggi, non penso vi siano, almeno in Italia, ceppi fissati stabilmente. Il Canarino testa gialla in allevamento Questo interessante canarino è stato maggiormente importato rispetto a

Intervista a Gregorio Bartolone - Da quanto tempo allevi e, più nello specifico, cosa allevi? - Fin da bambino ho sempre allevato di tutto, forse incoraggiato dal fatto che anche mio padre fosse un allevatore di cardellini e Gibber. La mia passione è nata prima con i Fringillidi indigeni, successivamente approfondita con quelli esotici ed i loro ibridi. Cominciai ad ibridare i canarini con i vari indigeni, per poi passare a ibridare le varie specie di Fringillidi e, senza falsa modestia, vi posso assicurare che poche sono le Specie con le quali non ho ancora tentato.

Canarino testa gialla x Cardinalino del Venezuela, foto: G. Bartolone

quello descritto sopra e, anche se le importazioni sono state bloccate da anni, grazie a bravi allevatori possiamo affermare che un certo numero di soggetti viene riprodotto ogni anno, anche in Italia. In particolare, dobbiamo ringraziare il Sig. Gregorio Bartolone di Bagheria, che è riuscito a fissare un ceppo di questa affascinante Specie. Il sig. Gregorio, così come il sottoscritto, è un grande appassionato di ibridi e negli anni ci ha regalato delle vere e proprie gemme, in questo campo, sia con il flavivertex che non. Allevatore capace e molto disponibile, ci ha concesso questa breve intervista per saperne qualcosa in più sul Serinus flavivertex.

22 DICEMBRE 2019

- Parlaci un po’ degli ibridi che hai realizzato fino ad oggi - Ne ho realizzati molti; fra i più belli ci sono: • Cardellino x Fanello, che non sempre si esprime al massimo nei colori per via del Fanello, ma usando un Cardellino tschusii è possibile giocare proprio sull’effetto cromatico. • Verdone x Fringuello, ibrido difficile da realizzare, sempre bello, anche nelle sue varianti mutate. • Cardellino tschusii x Crociere, anche lui con cromie veramente ammalianti. - Parliamo ora dei Serinus flavivertex: qualche “segreto” nel loro allevamento? - Diversi anni fa da un venditore, in una

mostra scambio, notai degli uccellini che non avevo mai visto fino ad allora, che lui definì canarini africani. Nonostante avessero il piumaggio molto rovinato, che quasi li rendeva non riconoscibili, li acquistai ugualmente. Una volta a casa, facendo delle ricerche su internet, scoprii che si trattava di Serinus flavivertex che qualcuno classificava come una sottospecie del canicollis (Canarino del capo). Posizionati in una ampia gabbia, si ambientarono molto velocemente, anche se solamente al termine della muta si mostrarono in tutta la loro bellezza. Nel maschio, la mascherina è di un bel giallo oro e si estende quasi fino alla nuca; il resto del corpo è molto carico di lipocromo, le ali molto disegnate ricordano quelle dei lucherini e le femmine hanno dei colori più tenui. Essi in allevamento si mostrano abbastanza confidenti; in particolare i maschi sono ottimi “gallatori” e cantori. Il canto ricorda quello del Cardellino, anche se un po’ pasticciato e accelerato. Si riproducono in facilità in gabbioni da 1mt x 1mt x 50cm di profondità. Come nido non hanno esigenze particolari: io fornisco quelli in vimini da 10cm, sia interni che esterni, purché infrascati. La loro alimentazione è composta da una buona miscela di 4 semi per tutto l’anno, molte erbe prative e nel periodo riproduttivo aumento un po’ la dose di perilla, che fornisco a parte, e tante infiorescenze di erbe prative. Le femmine sono delle ottime allevatrici ed alimentano i piccoli con tutto ciò che viene fornito loro: perle, cous cous e uovo sodo; i maschi invece, dopo la schiusa, sono da tenere sotto stretta sorveglianza, perché qualche volta è capitato che abbiano buttato i piccoli fuori dal nido. Il periodo riproduttivo va da marzo a luglio; inoltre, non hanno problemi ad essere tenuti all’esterno, non temono né il caldo, né il freddo e, anche in pieno inverno, i primi a fare il bagno sono sempre loro. - E in ibridazione? - In ibridazione sono molto versatili; sia il maschio che la femmina non hanno problemi ad accettare partner di specie diversa. Gli ibridi che vengono


generati risentono molto della dominanza dei caratteri dei flavivertex, in alcuni casi fino ad annullare dei tratti tipici della Specie con cui vengono ibridati. Finora quelli da me ottenuti sono risultati molto interessanti e molto apprezzati in fase di giudizio. Personalmente, li ho ibridati con il Cardinalino, con il Verdone e con il Lucherino ventre giallo. - Progetti futuri? - Il prossimo anno tenterò di ibridare il Flavivertex con il Crociere ed il Verdone di Cina o dell’Himalaya. Nel ringraziare il sig. Gregorio per la sua grande disponibilità ed augurandogli un grosso in bocca al lupo per i suoi progetti futuri, cogliamo l’occasione per ricordare anche gli ibridi con il Lucherino esposti a Bari dall’amico Enrico Pini, dove la dominanza del flavivertex era, come sempre, molto marcata.

Canarino del capo, fonte: www.stellenboschbirds.com, autore: Jill Adams

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DIDATTICA & CULTURA

Approccio a de Chanteloup testo di GIOVANNI CANALI, foto AUTORI VARI

G

La copertina ed una pagina interna del volume di de Chanteloup

razie alla cortesia dei colleghi Maurizio Manzoni e Gennaro Iannuccilli, sono venuto (finalmente) in possesso del testo Nouveau Traité Des Sérins De Canarie… A Lauquelle En A Joint Le Traité Du Rosignol Et Des Petits Oiseaux De Volière… di M. J. C. Hervrieux de Chanteloup, A Paris ce 15 Mai 1785, cui si aggiunge a parte: Avec Approbation, & Privilège du Roi. Si dice anche: nouvelle édition (nuova edizione), ma non si precisa il numero; sappiamo per tradizione che ve ne furono diverse in poesia, ma quest’ultima è in prosa. Dice anche con aggiunta (joint) del trattato sui piccoli uccelli da voliera indicato prima, il che fa pensare che l’edizione precedente non lo comprendesse. Trattasi di un testo storico spesso citato in letteratura, ove è dato come opera postuma. Si tramanda che de Chanteloup fosse stato direttore delle voliere della principessa di Condé, quindi direi un professionista del tempo. Si noti la data, poco prima della Rivoluzione Francese, aspetto che ritengo dovrà essere di rilievo. Certo, quello che possiedo non è un libro originale, molto costoso, ma una riproduzione anastatica, tuttavia tale da soddisfare la curiosità storica, anche se non l’interesse collezionistico, peraltro secondario. Dico subito che faccio abbastanza fatica nella lettura, dato il mio pessimo francese scolastico, alle prese con la lingua del ‘700. Non ho certo letto e compreso tutto, ma sono stato fortemente colpito da alcune delle prime pagine ed intendo fornire le mie prime osservazioni al lettore.

Ne avevo già avuto notizia, si parla di colori che fanno pensare certo a mutazioni Ne avevo già avuto notizia, si parla di colori che fanno pensare certo a mutazioni ed è sommamente probabile che corrispondano ad alcune di quelle attuali. Vale a dire che certe caratteristiche che riteniamo recentissime dovrebbero essere poste indietro di un paio di secoli e più. Un primo stupore lo provo leggendo di Serìn gris commun all’inizio di una serie di colori. Strano che si parli di canarino grigio comune, probabilmente alludendo alla forma selvatica (nero brinato giallo); vero è che le percezioni dei colori e la loro descrizione possono andare incontro ad aspetti fortemente personali, ma resta strano. Di solito il canarino selvatico è descritto come verde, talora perfino giallo, ma grigio non è. Tuttavia, anche su testi attuali ho letto descrizioni sul tipo di grigio verde o simili, magari specialmente usati per la femmina. Probabilmente la brinatura accentuata nella femmina facilita questa confusione. Mi sono anche ricordato di una persona che, durante una conferenza che stavo tenendo e nella quale ero doverosamente partito dal selva-

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Giunchiglia, fonte: Pixnio.com

tico, intervenne dicendo di essere stato alle Canarie e che i canarini erano ardesia (nero bianco)... un errore gravissimo e poco comprensibile, tuttavia si può pensare che per alcuni il piu-

Canarino di tipologia selvatica

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maggio del canarino selvatico faccia pensare a quello. Forse perché meno vivace di altri verdi, specialmente nella femmina, di cui sopra. Da qui si potrebbe aprire una paren-

tesi pesantissima su certe descrizioni di colori, ma andrei fuori tema e sarebbe argomento degno di trattazione a parte: certo di errori sui colori ce ne sono stati e ce ne sono di pesanti ed anche fuorvianti. Si parla poi anche diffusamente di panachés, che significa variegato o screziato; si badi: non pezzato, che in francese si dice pie, tacheté o anche alezan. Non credo che nel francese settecentesco ci fosse differenza rispetto ad oggi. Forse le pezzature erano meno evidenti. In ogni caso si preferiva dire “variegato”. Subito dopo il grigio si parla di un grigio con piumino e zampe bianche come espressione di variegatura. Non è chiaro cosa si intenda per piumino, forse tracce acianiche sui fianchi, non saprei. Poi si parla di vari blond, che significa biondo: comune, ad occhi rossi, dorato (doré), variegati vari ed anche biondo a coda bianca come forma di variegato. Sospetto che “dorato” potrebbe stare per “intenso”; del resto, vecchi allevatori chiamavano dorati gli intensi e pagliati i brinati. Oggi il termine “dorato” è invece giustamente contrapposto al giallo limone, quindi concetto di varietà e non di categoria. Nelle indicazioni suddette si usa anche il termine race, che significa “razza”, come primo significato, ma può averne anche altri simili; ho preferito tradurre in modo non letterale, per non indurre confusione. C’è da chiedersi a cosa corrisponda il termine blond. Ovviamente non posso esserne certo, ma penso corrisponda all’isabella e forse anche al satiné o all’isabella eumo, che può darsi non venissero differenziati, come melanine del piumaggio, dall’isabella classico e si facesse riferimento solo all’occhio. Successivamente si parla di Agate ed Isabelle. Agate significa agata e ritengo possa corrispondere all’agata attuale, mentre isabelle significa isabella ma ritengo sia da riferirsi al bruno. Sappiamo che il bruno come lo intendiamo oggi è definito in modo non corretto, poiché corrisponde alla mutazione di isabellismo, quindi dovrebbe essere chiamato isabella, come lo era all’inizio. Oggi chiamiamo bruno ciò che


dovremmo chiamare isabella ed isabella l’interazione fra bruno ed agata. Non mi stupirei se all’epoca avessero chiamato gli attuali isabella biondi, senza fare differenze con il satiné o con l’eumo isabella od altro ancora, se non per l’occhio. Si parla poi di Serìn jaune commun, cioè giallo comune. Farebbe pensare ad un lipocromico giallo, invece è da ritenere si intendesse un melanico. Dico questo perché poi si parla di Serìn jaune aux duvets, race de Panachés. Quindi con piumini e variegati. Poi anche a queue blanque, coda bianca, sempre dicendo variegati. Non so cosa si intendesse, forse “giallo” sta per “intenso”? Successivamente si parla di Agate e di Isabelle, dando varie forme: comune, occhi rossi, doré, nonché varie espressioni di variegati. Forse “comune” sta per “brinato”? Di fatto c’è il problema

“variegato di nero giunchiglia” e dopo una virgola “ad occhi rossi”. Un pezzato classico non può avere gli occhi rossi, forse un eumo o forse era semplicemente incolonnato male e la virgola indicava un altro soggetto? Non direi, parrebbe descrizione unica. Infine, Serìn plein, vale a dire pieno, forse un lipocromico puro, lo si definisce il più raro. In tutta questa situazione labirintica manca la descrizione bianco a coda gialla che avevo trovato citata in letteratura. Ora, un canarino bianco a coda gialla non può esistere. Si poteva spie-

ramente bianca, ma lipocromica (acianica). Chi ha dimestichezza con pezzati vari, e non solo, sa che spesso la coda è lipocromica, tranne le timoniere più esterne. Del resto, vi sono zone più facilmente interessate da macchie, come all’inverso da zone acianiche. Le remiganti primarie sono sempre acianiche, cioè lipocromiche nei pezzati medi e solo in pezzati molto più melanici possono essere in parte melaniche o raramente in tutto. Sembra, data l’insistenza a parlare di coda bianca, che venisse considerata come una caratteristica, forse di qual-

C’è poi la faccenda giunchiglia: a cosa corrispondeva?

degli occhi rossi, a cosa corrispondevano? Nell’agate, se corrispondesse, come ipotizzo, all’agata forse era un eumo? E nell’isabelle, se come ipotizzo corrispondesse al bruno, si parlava forse di phaeo? O ancora di eumo? È un bel problema! L’unica certezza pare essere la presenza di tutta una serie di mutazioni ed interazioni. Poi si prosegue parlando di Serìn blanc, cioè bianco aggiungendo “ad occhi rossi”, poi ancora tutta una serie di variegati con macchie diverse fra cui blond ed anche noir, cioè nero. Mi sono soffermato su questo nero, chiedendomi: perché nero e non grigio, stando alle definizioni precedenti? Forse perché la melanina risalta di più sul fondo bianco? Proseguendo si parla anche di Jonquille, cioè “giunchiglia”, anche qui variegati in diversi modi, ed in un passaggio stranissimo si parla di

Fife fancy lipocromico pezzato apigmentato, 94 p.ti al Campionato Mondiale di Bari 2014, foto: S. Giannetti, all.: Massimo De Giglio

gare come indicazione non corretta di altro. Sempre in letteratura ci si è ricamato sopra (a proposito di mosaico) ed anch’io, fidando nell’esattezza della citazione, l’ho fatto, non senza perplessità. Dunque, o la descrizione era presente in altra edizione oppure trattasi di grave errore di citazione ed è quello che, alla luce di quanto letto, ritengo più logico e probabile. Da considerare, comunque, che la citazione di “coda bianca” è molto frequente. Ritengo che non si debba interpretare alla lettera, cioè ve-

che pregio. Del resto, per il gusto di persone al primo contatto con i canarini e non solo, i pezzati spesso colpiscono molto. C’è poi la faccenda giunchiglia: a cosa corrispondeva? A parte le frequentissime confusioni con il narciso, di cui è varietà, la giunchiglia è verde come foglia, quindi, se il riferimento fosse quello, ci sarebbe da ritenere che indicasse qualcosa di simile, sempre che alludesse alla foglia e non al fiore, come dovrebbe essere più probabile. In tempi passati ma valutabili, in alcuni

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decenni e non in secoli si parlava di “foglia morta di giunchiglia”: frase poetica che faceva pensare a qualcosa di meno verde e più giallastro, visto che si diceva morta, quindi appassita. Ebbene, con questo termine alcuni alludevano al bruno giallo di tonalità limone. Se ne trova traccia anche in un libretto (quello più piccolo) dell’ENCIA “I canarini bruni” della piccola collana dell’allevatore, data ed autore non indicati (se non ricordo male, anni Sessanta). Questa analogia, direi ardita, potrebbe far pensare al giallo limone, forse intenso, riecheggiante una foglia viva di giunchiglia, che però è proprio verde, non giallo verdognolo, anche se questo dà effetto complessivo verde almeno in presenza di melanine nere. Se poi, invece, riguardasse il fiore,

Bernois lipocromico pezzato intenso, 94 p.ti al Campionato Mondiale di Bari 2014, foto: S. Giannetti, all.: Toni Casto Muñoz Pérez

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come più probabile, che può essere giallo o giallo e bianco, sarebbe tutto da rivedere; giallo e bianco potrebbero perfino far pensare ad un bianco dominante con evidenti soffusioni, diverso dai bianchi definiti semplicemente così. Se così fosse, la dizione nero, nei variegati giunchiglia e bianchi, forse come dicevo (ribadisco il “forse”), potrebbe corrispondere ad una pezzatura su fondo bianco, ritenuta diversa, anche se solo in apparenza rispetto a quella su fondo giallo. Sugli occhi rossi mi sono già espresso strada facendo, ma vorrei dire che canarini ad occhi rossi erano noti anche in tempi meno remoti e prima che venisse riconosciuto il phaeo, la prima mutazione riconosciuta ad occhi rossi, almeno nelle interazioni. Ho già detto in altre sedi essere ipotizzabile che la mutazione satiné sia apparsa molto prima del suo riconoscimento, data la sua frequenza ed il fatto che non richieda interazioni per avere gli occhi rossi. Semmai, probabilmente, sarà stata trascurata. Ho citato anche l’ironia di un vecchio esperto di canarini arricciati e di forma e posizione lisci, che prendeva in giro gli allevatori del colore che andavano in visibilio per i primi phaeo, allora più correttamente detti “rubino”, dicendo appunto che i canarini con occhi rossi c’erano sempre stati e ci mandava da un ortolano che aveva effettivamente una gialla ad occhi rossi. Non aveva però capito le differenze nelle melanine del piumaggio e non solo. C’è ora da chiedersi: tutte queste diverse espressioni che fine hanno fatto? Ritengo una brutta fine. Già all’inizio segnalavo l’imminenza della Rivoluzione Francese: ebbene, i canarini erano considerati un lusso, probabilmente quasi esclusivo dei nobili. Ben sappiamo degli sconvolgimenti e degli eccessi di quella rivoluzione ed il terrore conseguente. Alcuni nobili riuscirono a fuggire all’estero, altri furono ghigliottinati, altri ancora combatterono. Non credo che potessero preoccuparsi dei loro canarini. Solo pochi pare che potessero portarseli dietro; si tramanda che forse fu il caso di chi salvò i trombettieri, vale a dire i primi

arricciati. Si narra che costoro si rifugiassero in Olanda e che, di conseguenza, gli arricciati cominciarono a chiamarsi olandesi, anche dopo il rientro in Francia, dove subirono diverse selezioni e non solo in Francia; solo dopo un certo periodo, cambiarono nome. Evidentemente, per altre tipologie come quelle descritte in precedenza, la fortuna non deve avere arriso, ragion per cui abbiamo dovuto attendere che riapparissero. Del resto, sappiamo che le mutazioni ogni tanto appaiono, con diverse frequenze, e spesso sono sempre quelle, anche in specie diverse. Nelle pagine precedenti all’elenco dei colori suddetti, Chanteloup parla di arrivi dalla Spagna di canarini (le Canarie erano e sono spagnole) ed auspica amicizia; inoltre, cita anche il Tirolo e alcuni luoghi della Germania come siti in cui si allevava il canarino. L’Italia è citata per il nome dato al canarino, ma non si fa menzione alla leggenda del naufragio all’isola d’Elba, nei confronti della quale, come noto, io nutro fortissimi dubbi. Lo scrivere dell’autore è di pregio: trattasi palesemente di persona colta. Dopo l’elenco suddetto, accenna ad ibridazioni (parla di muli), citando sia specie adatte, come il cardellino, ma anche specie impossibili o almeno difficilissime, come lo zigolo non meglio precisato e il fringuello. Non è il caso di stupirsi troppo, qualche fantasia c’è sempre stata in fatto di ibridazioni. Nelle pagine successive si fa cenno ad accoppiamenti e differenze sessuali, ma in modo, a volte, molto dubbio. Sembrerebbe tuttavia rafforzare l’ipotesi che vi sia corrispondenza fra agate ed agata ed isabelle con bruno, come pure il biondo con l’isabella. Davvero difficile inquadrare il giunchiglia, trattato in modo dubbio. In conclusione, non credo che riusciremo a chiarire con certezza la natura dei colori citati, salvo il ritrovamento di disegni o testi ulteriori, ma ne dubito molto. Di certo, dobbiamo spostare indietro di oltre due secoli l’orologio delle mutazioni. Vedrò nel prosieguo se ci saranno da fare ulteriori osservazioni.


ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

Astrilde petto castano testo LUIGI PAGLIEI, foto S. Braine, B. CONJEAUD E N. VOADEN

N

ome comune dell’Estrilda paludicola, Heuglin, 1863. Il nome scientifico di questa specie deriva dal latino e significa “amante delle paludi”, in riferimento all’ambiente che questa specie privilegia.

Caratteristiche fisiche Lunga 11 - 12 cm, è caratterizzata da una lunga coda. La testa e la schiena sono marroni, la faccia è grigia (non in tutte le sottospecie), le ali sono verdastre, la gola è biancastra, petto, fianchi e ventre sono castano chiaro, la coda è nera ed il codione rosso intenso; il becco è piccolo e rosso brillante, le

È diffusa in Africa, su un areale molto vasto che va dal Sudan all’Etiopia alla Tanzania

Estrilda paludicola benguellensis, foto: Nigel Voaden

Estrilda paludicola marwitzi, foto: Bruno Conjeaud

zampe sono nerastre e gli occhi bruni. Il dimorfismo sessuale è poco evidente: consiste generalmente in una colorazione meno accesa della femmina. I giovani sono come gli adulti, con una colorazione generale più scialba ed il becco di colore nero. Habitat Specie comune a livello locale, è diffusa in Africa, su un areale molto vasto che va dal Sudan all’Etiopia alla Tanzania; alcune popolazioni di questa specie sono presenti anche in Angola e nello Zambia. Già dal nome si capisce che questa specie privilegi le zone

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Estrilda paludicola paludicola, foto: Sean Braine

erbose ed i canneti, pur essendo presente fino a 2000 metri di quota. Poiché è una specie poco timida, la si

Estrilda paludicola benguellensis novello, foto: Nigel Voaden

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trova anche nelle zone agricole ed urbane. Sono uccelli che si muovono in stormi che variano generalmente da

15 a 30 individui, spesso mescolati ad altri congeneri. Questa specie si nutre a terra molto spesso nel folto della vegetazione, privilegiando i semi delle graminacee, benché si nutra anche di frutta, bacche ed insetti. Il periodo riproduttivo inizia verso la fine della stagione delle piogge, quando entrambi i sessi collaborano alla costruzione del nido, composto da fili d’erba intrecciati. Esso ha forma globulare ed è ubicato nel folto della vegetazione, a poca distanza dal suolo. La femmina depone 4-5 uova biancastre, dalla forma affusolata, ed entrambi i partner si alternano nel prendersi cura delle uova, che si schiuderanno dopo 2 settimane di incubazione. I pulli alla nascita sono ciechi ed implumi, di colore rosa chiaro, nonché dotati di vescicole buccali poste ai lati del becco, di colore bianco-bluastro, rifrangenti e adornate di nero. I novelli abbandoneranno il nido a 3 settimane di età e saranno autonomi a 6-7 settimane dalla nascita.


Sottospecie Sono state identificate cinque sottospecie; - Estrilda paludicola paludicola, sottospecie nominale, presente dalla Repubblica Centrafricana al Kenya; - Estrilda paludicola benguellensis, Neumann 1908, presente in Angola, Zambia e Congo. La testa è di colore grigio scuro e la zona inferiore dei fianchi è sfumata di rosa; - Estrilda paludicola marwitzi, Reichenow 1900, presente in Tanzania centro-meridionale. Caratterizzata da una colorazione marrone scuro nella zona superiore, mentre la zona inferiore è di colore bianco candido;

Questa specie si nutre a terra molto spesso nel folto della vegetazione

- Estrilda paludicola roseicrissa, Reichenow 1892, diffusa in Congo, Uganda e Tanzania. Caratterizzata da una colorazione generale più chiara, con il ventre bianco candido; - Estrilda paludicola ruthae, Chapin 1950, presente in Congo centrale. Caratterizzata da una colorazione sulla zona superiore marrone – rossiccia. Alcuni autori considerano sottospecie di questi uccelli l’Astrilde abissina e l’Astrilde dell’Anambra, chiamandole Estrilda paludicola ochrogaster ed Estrilda paludicola poliopareia, mentre attualmente si tende a classificare questi uccelli come tre specie a sé stanti, sebbene molto affini fra loro, al punto di poter costituire una super-specie. N.B. L’articolo è un sunto del paragrafo dedicato a questa specie, tratto dalla mia ultima pubblicazione: “Estrildidi, Volume 3 - Genere Estrilda”.

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CRONACA

ConvegnoVeterinariopresso l’Università di Teramo testo e foto di GENNARO IANNUCCILLI

I

n concomitanza della 1° Mostra Sociale organizzata dall’Associazione “Il Nido d’Abruzzo”, si è svolto a Teramo lo scorso 20 Ottobre un interessante convegno presso la Facoltà di Medicina Veterinaria, al quale hanno partecipato relatori di riferimento nel settore dell’ornitologia amatoriale. Tra questi, citiamo la Prof.ssa Cristina Di Francesco che ha aperto i lavori trattando dei problemi relativi ai disordini riproduttivi nei canarini, con particolare riferimento ai casi mortalità embrionale e neonatale. La relatrice ha illustrato le cause genetiche e dietetiche, oltre ai problemi legati al management degli allevamenti, ai disturbi comportamentali dei soggetti presenti negli aviari, nonché le cause infettive e i fattori ambientali

L'intervento del Presidente FOI

Il Presidente FOI Antonio Sposito insieme ai relatori e agli organizzatori dell'evento

che possono contribuire a far nascere e aumentare l’insorgenza di tali problematiche correlate principalmente alla stagione riproduttiva. Di seguito, è intervenuto il dott. Gianluca Todisco, che ben conosciamo per il suo impegno nell’ambito delle attività ornitologiche come allevatore, giudice, veterinario e membro della Commissione Salute, Benessere animale e Ricerca scientifica della F.O.I. Il “nostro” dott. Todisco ha incentrato il suo intervento sull’importanza dei probiotici come sistema primario di prevenzione delle patologie aviarie. Infatti, i probiotici agiscono occupando spazi negli organismi degli uccelli, colonizzando gozzo, intestino, cloaca e, quindi, impedendo agli agenti pato-

L’importanza dei probiotici come sistema primario di prevenzione delle patologie aviarie

geni di attecchire soprattutto nei nidiacei tra i primi 7/10 giorni di vita. Il consiglio, pertanto, è quello di iniziare a fornire i probiotici almeno un mese prima degli accoppiamenti e di somministrarli ai pulli per i primi 5/6 giorni di vita, tramite 2 imbeccate al giorno. Gli esiti di tale pratica sono

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L'intervento di un partecipante tra il pubblico presente

becco e delle piume) ha come agente eziologico il circovirus e colpisce giovani e adulti, con mortalità che arriva fino all’80/90% dei casi. La forma acuta è più presente nei Cenerini, mentre la forma cronica si sviluppa più di frequente nei pappagalli australiani. La PDD (malattia della dilatazione proventricolare) si riscontra maggiormente nelle Ara e colpisce il sistema digestivo e nervoso, causando un dimagrimento cronico. La diagnosi per tale malattia è molto complicata e, praticamente, ad oggi non ci sono cure specifiche ma solo accorgimenti preventivi e di controllo (quarantena, igiene). Al termine degli interventi di natura veterinaria e scientifica, ha preso la parola il Presidente della Federazione Ornicoltori Italiani, Antonio Sposito, invitato espressamente per l’occasione dagli organizzatori del Convegno per dare un messaggio speciale ai presenti. Il Presidente ha sottolineato l’importanza della “scienza” anche per intervenire in ambiti normativi che ancora ci vedono equiparati al mondo degli avicoli da produzione alimentare. Necessitiamo di avere contributi di conoscenza da divulgare a tutti, non solo a chi partecipa – con merito – ai convegni, altrimenti rischiamo di inficiare questi preziosi momenti di incontro con il

La sala convegni gremita Un momento della premiazione dei bambini

finora risultati uguali a quelli ottenuti con la somministrazione di antibiotici, senza però avere effetti collaterali. Il dott. Alessandro Montani ha poi relazionato i numerosi presenti circa le principali infezioni virali che colpiscono principalmente gli Psittacidi. Tra queste, la Poliomavirosi molto più frequente negli Ondulati nelle prime fasi vitali, mentre gli adulti sono quasi sempre asintomatici tranne possibili alterazioni del piumaggio. In allevamento, sono più colpiti i soggetti che vivono in locali al chiuso, piuttosto che in esterno. La PBFD (malattia del

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mondo veterinario e scientifico appena tali eventi finiscono. Il nostro Presidente ha chiuso il suo intervento evidenziando l’importanza della vita associazionistica della Federazione: in tale ambito, nelle nostre realtà territoriali, ci incontriamo, scambiamo consigli, confrontiamo i soggetti dei nostri allevamenti, alimentiamo la passione per l’ornicoltura che migliora le nostre relazioni, imparando anche dagli animali che selezioniamo per scopi prettamente amatoriali e sportivi. Tutto ciò va vissuto con quella serenità necessaria a far comprendere il vero aspetto del nostro movimento che, quest’anno, celebra il 70° anniversario della F.O.I. Al termine del Convegno Veterinario, conclusosi dopo alcune domande poste dai presenti in sala, seguite dalle risposte dei relatori, si è festeggiato insieme agli organizzatori della Mostra Sociale, allestita sempre presso i locali messi a disposizione della facoltà di Medicina Veterinaria di Teramo, i quali hanno voluto premiare i bambini protagonisti di alcuni disegni esposti per l’occasione. Il Presidente della F.O.I. ha voluto personalmente consegnare i canarini offerti dai soci ai più piccoli che, un domani, diventeranno magari grandi allevatori in grado di rappresentare il futuro dell’ornitologia.


ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

Sul Diamante facciaverde Erythrura viridifacies (Hachisuka e Delacour, 1937) testo di IVANO MORTARUOLO - foto da Internet (autori vari)

Tassonomia e cenni storici Se si esclude il Diamante coloria Erytrhura coloria, la cui descrizione apparve nel 1961 ad opera di D. Ripley e D. Rabon, il Diamante facciaverde Erythrura viridifacies può considerarsi l’ultima specie (1) appartenente al genere Erythrura ad essere segnalata al mondo scientifico. Nel gennaio del 1937, infatti, questo taxon venne descritto come Erythrura viridifacies (Bulletin of the British Ornithologist’s Club vol. LVII, pagg. 66 e 67) da due valenti ornitologi: il franco-statunitense J. Delacour (1890-1985) e il giapponese M. Hachisuka (1903-1953). Il riconoscimento di questo uccello come una specie a sé stante è stato “tardivo” e presenta elementi di originalità. Infatti, la prima segnalazione della sua presenza si ebbe il 26 giugno del 1920, quando il signor E. H. Taylor, residente a Los Baňos (località non molto distante da Manila), trovò nel suo campo da tennis i cadaveri di dieci soggetti, verosimilmente uccisi dalla corrente immessa nella rete metallica di recinzione. Alcuni esemplari conspecifici vennero in possesso anche di un certo McGregori, dipendente del Bureau of Science, il quale però non seppe identificarli. Trascorse un periodo di oblio, fino a giungere al 1935, anno in cui il Dr. Canuto Manuel segnalò che lungo le strade di Manila, da aprile a giugno, veniva venduto un gran numero di tali uccelli tenuti in gabbie di bambù e prevalentemente destinati in California con il nome di Luzon Finches. L’anno successivo i già citati McGregori e Manuel, forse spinti dal desiderio di

Maschio di D. facciaverde. Fonte: neon2rosell2015 - https://www.flickr.com

“scolpire il loro nome sull’edificio della storia dell’ornitologia”, segnalarono sul Philippine Journal of science (n. 3, pag. 325) che tali volatili dovevano considerarsi dei Diamanti di Kittlitz Erythrura trichroa e che verosimilmente la loro presenza andava attribuita al loro istinto migratorio o all’in-

Il riconoscimento di questo uccello come una specie a sé stante è stato “tardivo” e presenta elementi di originalità

tervento, accidentale o volontario, dell’uomo (Hachisuka e Delacour, 1937). Naturalmente, tale iniziativa tassonomica non incontrò i favori del mondo scientifico. Riportando il discorso sui due ornitologi Delacour e Hachisuka, è interessante rilevare che, sebbene entrambi avessero scritto delle monografie sugli uccelli delle Filippine (il primo in collaborazione con Ernest Mayr) e il secondo avesse partecipato anche a una spedizione scientifica nell’isola di Mindanao nel 1928-1929, inizialmente furono in grado di esaminare il Diamante facciaverde non osservando specimen conservati in qualche museo o catturando alcuni esemplari nei luoghi di origine, come ci si potrebbe aspettare, bensì acquistandone vari soggetti a Los Angeles (forse anche in

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Diamante facciaverde. Disegno proposto da Hachisuka e Delacour a corredo della loro descrizione di tale specie. In basso è riprodotto il maschio, in alto un giovane e non una femmina, come erroneamente indicato nell’ornitografia. Fonte: wwwbiodiversitylibrary.org

un lussuoso negozio per animali). Circostanza che francamente appare singolare, anche alla luce del fatto che il

mondo dell’ornicoltura era arrivato molto prima di quello dell’ornitologia. Nonostante ciò, i due ornitologi non si avventurarono a proporre immediatamente la loro scoperta al mondo scientifico, e prudentemente Hachisuka inviò tre suoi soggetti in pelle al dottor Manuel del Bureau of Science di Manila, al fine di effettuare una comparazione con gli specimen conservati in tale struttura. In una successiva nota, pubblicata nel settembre 1937 (v. bibliografia), gli stessi autori riportarono sostanzialmente le informazioni indicate nell’articolo in cui era stato descritto il Diamante facciaverde, aggiungendo però alcune considerazioni, fra le quali degno d’interesse mi sembra il fatto di aver individuato una rilevante affinità con il Diamante quadricolore Erythrura prasina. E questo orientamento sistematico ha successivamente incontrato il consenso di un numeroso gruppo di studiosi. Ziswiler et al. (in Goodwin, 1982) hanno poi raggruppato le due specie, insieme al Diamante di Tanimbar Erythrura tricolor, nel sottogenere Erythrura (colgo l’occasione per segnalare che Goodwin ritiene più corretto inserire il Diamante del bambù Erythrura hyperythra al posto del Diamante di Tanimbar). La stretta parentela tra i suddetti due

Diamanti facciaverde: a sinistra femmina (la coda è allungata e l’area inferiore del corpo è schiarita) e a destra un giovane (la coda è corta e l’area inferiore del corpo è tendenzialmente marroncina) Fonte: Davis et al.2015

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A differenza degli altri esponenti del genere Erythrura, questa specie è priva di cromie rosse, rossastre, blu o nere sulla testa

taxa sembra suggerita anche da un esame prima facie del fenotipo, che mette in evidenza forti somiglianze nella silhouette dei corpi, nella forma tendenzialmente allungata dei becchi e nelle timoniere centrali molto sviluppate e di colore rosso; tali valutazioni hanno poi trovato conferma pure nell’osservazione dei patterns di corteggiamento, che appaiono molto somiglianti. Il Diamante facciaverde è una specie monotipica ed endemica delle Filippine. Caratteri distintivi A differenza degli altri esponenti del genere Erythrura, questa specie è priva di cromie rosse, rossastre, blu o nere sulla testa, caratterizzandosi così per una livrea prevalentemente verde, ad eccezione della coda e sopraccoda rosse. Non esiste un dimorfismo sessuale evidente, tuttavia, a un attento esame, ne risulta facile l’individuazione: infatti, nella femmina l’area della gola, petto e addome schiarisce, il sottocoda assume il colore camoscio con tonalità senape e la coda è meno allungata. I giovani appaiono molto simili alle femmine, ma la parte compresa fra il petto e il sottocoda è tendente all’avana giallastro e la coda è più corta e sostanzialmente tronca. È stata inoltre segnalata una differenziazione fra i due sessi negli juveniles, in quanto i maschi avrebbero la coda più lunga e brillante (Clement et al., 1994). Un’ulteriore caratteristica di questa specie è costituita, come sopra accennato, dalla coda le cui timoniere centrali sono molto allungate e rosse e questa peculiarità viene condivisa solo con il Diamante quadricolore.


Colgo l’occasione per segnalare un errore (sicuramente scusabile, se si pensa che attualmente vari aspetti della biologia della specie sono ancora sconosciuti) che Hachisuka e Delacour (1937) hanno commesso proponendo un’ornitografia a corredo della loro descrizione. Infatti, il volatile rappresentato nella pagina precedente non è una femmina, bensì un giovane, in quanto la cromia delle parti inferiori del corpo ha tonalità più calde e la coda è corta, tagliata e priva delle timoniere centrali allungate e rosse. In natura, il Diamante facciaverde potrebbe essere confuso con una sottospecie del Diamante del bambù Erythrura hyperythra brunneiventris, molto simile per taglia e forma, ma distinguibile per la mancanza di rosso nella coda e la presenza di una cromia rosso-ruggine che interessa dal vertice al ventre (Clement et al.,1994). La lunghezza totale del corpo è di cm 12-13, con un peso di circa 12,6 grammi. Distribuzione geografica, habitat e status Il Diamante facciaverde vive nelle isole Filippine di Luzon, Panay, Negros, Cebu e Mindoro. La segnalazione della sua presenza in quest’ultima area è stata effettuata abbastanza di recente ad opera di T.J. Davis et al. (2015), i quali ritengono che potrebbe occupare anche altre isole dell’arcipelago. Tali autori si avventurano anche a ipotizzare che, sebbene tale specie sia sconosciuta nell’isola di Mindanao, la sua eventuale presenza potrebbe non confliggere con quella dell’endemico Diamante coloria Erythrura coloria, in quanto le due specie, pur condividendo simili habitat, vivono ad altitudini diverse: sotto i m.1000 il primo, da m. 1000 a 2250 il secondo. Inoltre, anche Clement et al. (1994) ipotizzarono che il Diamante facciaverde potrebbe occupare l’isola di Mindanao, segnatamente il Monte Apo. Il suo habitat è costituito prevalentemente da foreste montane (primarie e secondarie), boschetti di bambù, distese erbose con arbusti adiacenti alle foreste.

Presunte affinità fra le specie del genere Erythrura proposte da Goodwin (1982). Si noti il raggruppamento sistematico (sottogenere) del D. facciaverde e D. quadricolore insieme al D. del bambù

Recenti studi fanno ritenere che la popolazione complessiva abbia conosciuto un significativo declino, conseguentemente l’organismo IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura), nella sua autorevole Red List, giudica la specie VULNERABILE, vale a dire minacciata di estinzione. Viene altresì riferito che l’attuale presenza di tali volatili sia valutabile fra i 6000 e i 15000 esemplari. Come si può intuire agevolmente, le

cause della contrazione numerica di questa specie sono diverse e vanno soprattutto ricercate nella deforestazione determinata sia dai crescenti insediamenti agricoli e urbani sia dall’illegale taglio di alberi, ma un ruolo non trascurabile sembrano avere pure le catture per scopo commerciale. Fortunatamente, a tale allarmante realtà si contrappongono le iniziative di varie comunità locali, spesso organizzate in cooperative, che si

Maschio di D. facciaverde. Fonte: Wouter Tijs –http://orientalbirdimages.org/photographers.php?

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Francobollo

adoperano per la salvaguardia delle biodiversità, intervenendo anche al ripristino delle aree deforestate con l’immissione di piante autoctone. Alimentazione È opinione diffusa che la vita di questi volatili sia strettamente collegata alla presenza delle foreste e che un ruolo importante venga svolto da alcune specie di piante di bambù, i cui semi (ma anche i fiori) sono molto graditi. Tuttavia, anche il riso e i semi di varie graminacee e di piante del genere Casuarina fanno parte della loro alimentazione. Da diverse osservazioni è emerso che l’attività trofica viene realizzata singolarmente o in coppia oppure con più soggetti, ma in alcuni casi sono stati contati più di cento esemplari nel medesimo sito. L’assunzione di cibo viene effettuata sia sul terreno sia su steli e arbusti (del Hoyo, 2010). Riproduzione Si ritiene che il periodo riproduttivo sia compreso fra marzo e aprile (Ziswiler et al. in Goodwin, 1982), mentre Davis et al. (2015) ipotizzano che anche nel mese di luglio si possa realizzare tale fase biologica. Gli autori giungono a questa inedita conclusione dopo aver effettuato la terza e ultima spedizione (luglio 2013) nella parte occidentale dell’isola di Mindoro, in cui vennero catturati ed esami-

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nati, anche dal punto di vista autoptico, sette esemplari (2 maschi e 5 femmine), dei quali sei con piumaggio giovanile. È poi emerso che, nonostante l’immaturità della livrea, le gonadi di entrambi i sessi fossero ben sviluppate e in una femmina si era già formato un uovo senza guscio. Inoltre, a confermare la maturità sessuale dei volatili ha contribuito, seppur in alcuni casi, l’esito dell’esame dell’ossificazione del cranio(2) e della borsa di Fabrizio (3). La quasi totalità dei soggetti con piumaggio giovanile, ma in apparenza sessualmente attiva, ha altresì indotto a pensare che in questa specie la muta definitiva avvenga tardivamente rispetto alle altre Erythrure e che le favorevoli condizioni ambientali (in primis l’abbondanza di cibo) possano spingere i volatili a riprodursi precocemente. Del resto, in ambienti controllati non sono rarissimi i casi di accoppiamenti fra giovani o di giovani con adulti. Cito un’esperienza occorsa all’ornitologo e ornicoltore Luigi Montini. I suoi Diamanti quadricolore dell’età di circa due-tre mesi si sono riprodotti più volte (naturalmente, le relative uova sono state affidate alle cure dei Passeri del Giappone) quando ancora la loro muta era in fieri. Purtroppo le osservazioni realizzate in natura, attinenti ai vari aspetti della riproduzione, sono pochissime e, pertanto, le notizie che vengono proposte nella letteratura specialistica sono per buona parte mutuate da osservazioni effettuate in cattività. Così, per quanto attiene al display di corteggiamento, il maschio trattiene sul becco un filo d’erba o qualcosa di simile realizzando una sorta di inchino e poi, alzando la testa e la coda, agita entrambi da un lato all’altro (del Hoyo et al., 2010). Il nido, in allevamento controllato, viene costruito con fili di erba e fibre varie, assumendo poi una forma rotondeggiante. Per ogni covata vengono deposte 3-4 uova bianche incubate per quattordici giorni. I pulli alla nascita sono rosei, alla base delle due valve del becco vi sono quattro tubercoli blu iridescenti, il palato (giallo)

presenta cinque macchie scure, mentre la lingua ne ha due. Canto Il verso di contatto è costituito da un acuto “tzii” ripetuto più volte. Il canto risulta un fluido e dolce susseguirsi di brevi strofe, durante il quale il volatile allunga il collo, abbassa la coda e mantiene il piumaggio compatto. (Muller in Goodwin,1982). Avicoltura Come è stato indicato nella parte iniziale di questa nota, nel 1935 si ebbe notizia di un gran numero di esemplari che veniva spedito da Manila per i mercati della California. Delacour e Hachisuka (1937) ci informano anche che moltissimi di tali pennuti morirono poi nei bird shops d’oltreoceano. Tuttavia, non mancarono limitatissimi casi in cui alla sopravvivenza fece seguito la riproduzione, e il signor M. J. Sheffler di Los Angeles, nel 1936, fu tra questi fortunati. Colgo l’occasione per rilevare che tali uccelli, verosimilmente per la loro sobria livrea, non incontrarono i favori di molti ornitofili. La situazione non era migliore anche negli zoo o in altre strutture pubbliche: nel 1937 lo Zoo del Bronx, New York, era rimasto con un solo esemplare. Interessante appare, inoltre, la notizia secondo la quale l’ornitologo berlinese H. Bregulla, che studiò per decenni l’avifauna dei maggiori arcipelaghi del Pacifico tropicale, inviò nel 1966 una partita di quattrocento Diamanti facciaverde allo zurighese dott. R. Burkhard, un appassionato ornicoltore che possedeva un’importante collezione di specie ascritte al genere Erythrura. A tali volatili vennero somministrati semi di miglio, panico e scagliola miscelati con un prodotto in polvere a base di vitamine e oligoelementi, che furono graditi, mentre frutta e insetti vennero recisamente ignorati. Nonostante tale spartana alimentazione, i volatili si mostrarono in buona salute, pur rimanendo decisamente timorosi e, come forse era prevedibile, non si riprodussero (Lucarini et al., 2005).


Un altro insuccesso riproduttivo fu segnalato nel 1984 dal Signor I. Monrey (Inghilterra): nonostante disponesse di ben otto esemplari e avesse allevato con successo varie specie di Erythrure, la sua esperienza non andò oltre l’inizio della costruzione del nido (Evans e Fidler, 1990). In ambienti controllati, questi uccelli si dimostrano tolleranti anche verso i nuovi ospiti dell’aviario. A tale pacifico comportamento fa però riscontro una tendenza a preservare la propria distanza individuale e, pertanto, a non realizzare i cosiddetti clumping (lo stare fianco a fianco con gli altri) e allo-preening (lisciamento delle piume altrui). Purtroppo non risulta agevole il reperimento di ulteriori esperienze, ma è verosimile ritenere che i segnalati problemi di adattamento, espressi sia con un’alta mortalità sia con la difficoltà di portare a termine il ciclo riproduttivo, siano destinati ad attenuarsi significativamente con il tempo. Gli ornicoltori hanno difatti migliorato la loro preparazione interdisciplinare, prestando così maggiore attenzione alla prevenzione, all’alimentazione, agli aspetti che attengono all’etologia dell’allevamento. L’esperienza ci ha inoltre insegnato che, con il susseguirsi delle generazioni, gli uccelli sono più assuefatti alla presenza dell’uomo, hanno meno spinte neofobiche, sono più resistenti agli stress di eterogenea eziologia e, conseguentemente, tendono ad ammalarsi con meno frequenza.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE - Clement P., Harris H. e Davis J (1994). Finches & Sparrows.Christopher Elm – A&C Black. - Davis T., Tabaranza D. G., Villa J.C., Panopio J. e Oliveros C. (2015). Distribution and early breeding of Green-faced Parrot Finches (Erythrura viridifacies).Silliman Journal 1:167-175. - Delacour J. e Hachisuka M.(1937). The Green Faced Parrot Finch or Luzon Finch (Erythrura viridifacies). The Avicultural Magazine 11:2223. - del Hoyo J., Elliot A. e Christie D. (2010). Handbook of the Birds of the World (vol. 15). Lynx Editions. - Evans S. e Fidler M. (1990). Parrot Finches. Blanford. - Hachisuka M. e Delacour J.(1937). Erythrura viridifacies, sp.nov. Bull. Brit. Orn. Club 57:6667. - Goodwin D. (1982). Estridid finches of the world, Oxford University Press. - Lucarini S., De Flavis E. e De angelis A. (2005). Gli Estrildidi (vol. II). Ed. FOI. - Mortaruolo I. (2019). Note sul Diamante facciaverde -Erythrura viridifacies Hachisuka e Delacour, 1937. Depliant pubblicato in occasione della Mostra Ornitologica Erythrura di Lanciano del 25-29/9/19. NOTE (1) Va precisato che, nel 1972, l’ornitologo John Eleuthère duPont descrisse una sottospecie del Diamante di Samoa, la quale vive nell’isola vulcanica di Savaii, attribuendole il nome di Erythrura cyaneovirens gaughrani (in onore del dott. James Gaughran dell’Università di Stanford). (2) Nei giovani passeriformi il processo di ossificazione del cranio si conclude all’incirca tra i tre e i sette mesi: nelle fasi iniziali, se si spostano le piume (bagnandole o soffiando), la testa apparirà rosea o rossastra, mentre nella fase finale il colore cambia in biancastro o rosato con numerosi puntini bianchi (Svensson 1984). (3) La borsa di Fabrizio è un organo esclusivo degli uccelli, situato in prossimità della cloaca, che svolge varie funzioni immunologiche

Rappresentazione schematica della superficie forestale delle Filippine nel 1992. È verosimile pensare che attualmente le aree si siano ulteriormente ristrette. Fonte: Philippine Red Data Book, 1997

e che nei giovani è molto sviluppato, mentre con la maturità sessuale regredisce. Nei D. facciaverde esaminati dagli autori, tali organi misuravano mm 2 e 3 di diametro.

NOTA DELL’AUTORE Questo scritto costituisce un’integrazione all’articolo “Note sul Diamante facciaverde - Erythrura viridifacies, Hachisuka e Delacour, 1937” pubblicato nel depliant relativo alla mostra ornitologica Erythrura (Lanciano) del 25-29/9/19.

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CANARINI DA CANTO

Processo di apprendimento di FRANCESCO DI GIORGIO, foto GIANLUCA MARSON

C

he cosa si intende per processo di apprendimento? L’apprendimento canaricolo consiste, fondamentalmente, nell’imparare scolastico riferito ai contenuti delle singole frasi di canto nella loro armonia globale. Esso è un processo basato su un momento di ricezione, che si potrebbe definire di tipo passivo, e un momento di rielaborazione, di tipo attivo: “l’assimilazione” e “l’accomodamen-

to” sono due facce di un unico processo per cui il soggetto che apprende recepisce tutta una serie di informazioni che gli vengono dall’esterno e le rielabora al suo interno attraverso risposte specifiche. Vi è un apprendimento di tipo percettivo, attraverso cui il giovane Canarino sviluppa la sua prima relazione sensoriale con il mondo esterno. Ma questo rapporto si sviluppa ulte-

L’apprendimento canaricolo consiste, fondamentalmente, nell’imparare scolastico riferito ai contenuti delle singole frasi di canto nella loro armonia globale

riormente attraverso un’altra e più complessa forma di apprendimento: l’apprendimento emotivo. È il campo dell’assimilazione e dell’accomodamento riferito al mondo dei sentimenti: la sfera dell’affettività è un altro potente e fondamentale canale attraverso cui l’allievo alato, al pari di ogni essere umano, si relaziona con il mondo esterno e struttura le sue risposte emotive. Vi è anche un terzo tipo di apprendimento, quello legato all’affermazione di sé, che tocca la sfera della volontà. Lì dove il soggetto riesce a realizzare le sue volontà profonde, che investono il campo delle sue motivazioni, il processo di apprendimento cresce; lì dove, invece, il cantore principiante registra insuccessi, non c’è gratificazione nelle cose che fa, decade la motivazione e anche il potenziale di apprendimento si riduce. L’apprendimento di tipo intellettivo, infine, è legato ai bisogni di conoscenza canora, di esplorazione razionale della realtà: il Canarino in apprendimento riceve dall’esterno tutta una serie di informazioni in termini di messaggi di conoscenza che

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esso rielabora e su cui costruisce il proprio sistema di abilità melodiche. I diversi tipi di apprendimento sopra descritti nella realtà interagiscono fra di loro: il processo è complessivo. In un’unica esperienza ci sono contemporaneamente: il momento percettivo, il momento volitivo, il momento intellettivo. Queste forme dell’apprendimento sono diverse da Canarino a Canarino: ognuno di loro ha la propria percezione della realtà, ha il proprio campo motivazionale che lo spinge a realizzarsi in un certo modo, ha la propria modalità di sviluppo dell’intelligenza canora. È da rimarcare, però, che non esistono soltanto forme individuali di apprendimento: queste si costruiscono sulla base di bisogni del gruppo e della loro specifica connotazione. È chiaro che il rapporto con l’ambiente acquisti una dimensione molto precisa, inderogabile. In breve, si può dire che il processo di apprendimento produca tutta una serie di “mattoni” che corrispondono alle risposte percettive, emotive, volitive e intellettive che il soggetto elabora: tutti questi mattoni che la giovane creatura alata costruisce attraverso la sua esperienza di vita finiscono con il disporsi nella sua psiche in un certo modo, secondo una determinata struttura. La personalità canora è l’edificio che risulta dall’organizzazione dei mattoni dell’apprendimento. Gli obiettivi finali o “competenze” che il Canarino immesso nel circuito della scuola deve raggiungere, devono essere agganciati ai suoi saperi in ingresso. Pertanto, il programma del canaricoltore non è il punto di partenza, ma il percorso lungo cui portare gli apprendimenti pregressi del giovane interlocutore per arricchirli.

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CRONACA

Specialistica “Erythrura” a Lanciano testo e foto di LUIGI MONTINI

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a terza edizione di ERYTHRURA, mostra ornitologica specialistica di Lanciano, ha appena chiuso i battenti e già se ne se ne sente la mancanza. Esagerazione? Forse, ma non troppo. Manifestazioni come questa danno lustro alla nostra passione di allevatori e creano le premesse perché questa passione si consolidi e si diffonda; è sufficiente notare il numero di giovani allevatori presenti, in netta controtendenza con altri settori del mondo ornitologico, per rendersene conto. Fare un bilancio entusiastico sarebbe fin troppo facile, ma le cifre non possono rendere ragione di ciò che questa manifestazione davvero rappresenta. Quali sono, comunque, questi numeri? Sono numeri da record: 1472 uccelli esposti, di cui 87 appartenenti al genere Erythrura, a cui secondo molti autori

Il pubblico presente

Un momento del Convegno

appartiene anche il Diamante di Gould, e 70 Diamanti Codalunga. In questo caso, la mostra ha esposto esemplari

La mostra ha esposto esemplari del genere Erythrura per tutte le numerose specie allevate sul territorio europeo

del genere Erythrura per tutte le numerose specie allevate sul territorio europeo, con quasi tutte le mutazioni conosciute, rappresentando un unicum nel suo genere. Sia nel complesso che nelle singole sezioni si sono raggiunti numeri raramente, se non mai, visti in Italia. Ancora più importante, però, è il numero degli allevatori e la loro prove-

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nienza. Questo dato, infatti, ci dice molto più efficacemente quanto questa mostra sia amata dagli allevatori: gli allevatori presenti sono stati 109, provenienti, grazie alla posizione centrale ed alla buonissima reputazione della squadra che organizza la manifestazione, da tutte le aree del paese e dalla maggior parte delle regioni. Per la prima volta anche dalla Sardegna. Anche questo numero, seppur impressionante, rischia di essere insufficiente a dare la dimensione di ERYTHRURA 2019. Il concetto, che si esprime male a parole ma che è la vera cifra di questa mostra, è l’amicizia. Amicizia vera, sincera, disinteressata che lega tutti coloro che fanno parte di questa manifestazione e che contagia, generando una “epidemia” positiva, tutti quanti ad essa si avvicinano per la prima volta. Amicizia che si estende, oltre che alle persone, anche tra manifestazioni. Così è nato, infatti, il “GRAND NATIONAL DEL GOULD”, in collaborazione con i “ragazzi” dell’AOF che organizzano una mostra simile a Travagliato e che invece di essere “concorrenti” sono graditi colleghi ed amici. In questi quattro giorni di mostra ho parlato con moltissimi degli allevatori presenti: tutti hanno espresso il desiderio di tornare il prossimo anno e nessuno ha polemizzato più del ragionevole sulle inevitabili, fisiologiche, piccole sbavature organizzative e di giudizio. Tutti quelli che frequentano il mondo delle mostre ornitologiche sanno perfettamente quanto, la domenica, sia sempre la giornata delle feroci critiche su tutto e su tutti. Ad ERYTHRURA 2019 no! Non è accaduto. Certo, il popolo italiano è un popolo di commissari tecnici, e quindi ognuno avrebbe fatto vincere un altro soggetto, ma senza malanimo né cattiveria, tutto con allegria e fratellanza. Vi sembra poco? Perdonate il mio tono che, forse, può apparire troppo elogiativo: per una volta, invece di scrivere o parlare di cose che non vanno, sto scrivendo di qualcosa che va, e ne sono felice. Esaurita la necessità di descrivere “l’atmosfera” della mostra, passo ai contenuti tecnici. E che contenuti tecnici… Ho avuto il pia-

La scelta dei campioni

Premiazione Best in Show

I Presidenti di due Associazioni Grand National

cere, in un modo o nell’altro, di partecipare a tutte le edizioni di questa manifestazione. Nelle due ultime edizioni in qualità di giudice e, a mostra conclusa, di manovalanza non qualificata. Ho assolto entrambi i compiti con grande piacere, facendo del mio meglio. La mia assidua partecipazione mi ha dato la possibilità di osservare, durante l’ultimo decennio, una costante tendenza al miglioramento della qualità dei soggetti esposti, oltre al loro incremento numerico. Posso testimoniare a tale riguardo, in quanto parte della giuria, una sempre crescente difficoltà nello scegliere i soggetti vincitori che affollano i tavoli dei giudici, dato il grande numero e l’ottima fattura degli stessi. Non vorrei si pensasse che io consideri la cosa negativa, ma i colleghi sanno quanto questo sia “piacevolmente” faticoso. Questo tipo di mostre è il motore essenziale per la rinascita del settore ornitologico in Italia. Ritengo perciò estremamente positiva la creazione, nel contesto di ERYTHRURA 2019, di settori paralleli che si occupano di altre specie, come il Diamante Codalunga. Splendida specie, questa, che però sta attraversando una fase non brillante, principalmente per un clima eccessivamente polemico che si è, inspiegabilmente, creato intorno al suo allevamento ed alla sua selezione. La sua presenza, in un numero di soggetti considerevole, ha generato un notevole interesse e ispirato in molti l’intenzione di intra-

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prendere il suo allevamento. Chissà perché, sono convinto che per la prossima edizione avremo un incremento di soggetti. Sensazioni… Inoltre, molto interessante è il caso del genere Erythrura, presente con addirittura 87 soggetti. Numero davvero importante che spesso non si riscontra neppure nelle manifestazioni internazionali, vuoi perché si tratta di specie costose, vuoi perché difficili da esporre in quanto soggetti a tre o quattro, imprevedibili, mute annue; vuoi perché poco allevati per le particolari esigenze alimentari e di alloggio. Nel caso delle Erythrura in mostra si parla di genere, perché l’esiguo numero di soggetti allevati per ciascuna delle specie non giustificherebbe la creazione di settori di mostra monospecifici. Grande lavoro di promozione, durante i giorni di mostra, è stato svolto dal Club del Codalunga che ha raccolto una entusiastica adesione che si è poi trasfor-

mata in un numero rilevante di tesseramenti. Una menzione speciale merita anche il Club “QUELLI DEL SUD”, che oramai dovrà cambiare nome; ho proposto “QUELLI DEL GOULD” perché ha talmente tanti iscritti in giro per l’Italia che la sua originale ragione sociale non è più “sufficiente”. Questo Club, nato in origine per fare opera di convogliamento dei soggetti allevati all’estremo Sud del Paese nelle mostre più importanti, si è rivelato un efficace mezzo di promozione dell’allevamento di questa specie, grazie al dinamismo di Natale Currò, che lo ha fondato. Sarebbe davvero importante che si creasse anche un Club delle Erythrura, perché un Club, quando lavora bene, crea cultura, produce documentazione tecnica e, unendo gli allevatori di una determinata specie o genere, ha un impatto estremamente positivo. Tornando al Gould, come ogni anno la parte del leone l’hanno fatta i soggetti

ancestrali e comunque tutte le categorie storiche erano, ovviamente, ben rappresentate. È stato molto interessante notare la presenza, in numero significativo, delle ultime mutazioni comparse su questo Estrildide come la “avorio”, non più recentissima ma ancora non standardizzata, che ha già raggiunto un livello qualitativo davvero alto. Un soggetto maschio ha, per pochi voti, mancato il premio per il Best in Show. Altra nuova mutazione, ben rappresentata, è la “bruno”, così chiamata nonostante i tecnici non siano convinti della correttezza di questa denominazione. Sono in corso, comunque, test di complementazione ibridologica che sicuramente ci daranno risposte più precise. Cosa dire, infine, della primizia rappresentata dalla mutazione per ora chiamata “codione giallo”? Una meraviglia portata in terra d’Abruzzo dal nostro amico Manny De Freitas direttamente dal Sudafrica, dove la mutazione è nata.

“Gli amici del TorZuino” - luglio 2019

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l gruppo di allevatori appassionati del TorZuino si è riunito lo scorso marzo per condividere le ultime novità: a settembre 2018, presa visione della relazione della Commissione Tecnica Arricciati e considerato il parere favorevole del Presidente di Collegio, il Consiglio dell’Ordine ha deciso di avviare l’iter per il riconoscimento della razza e la presentazione alle mostre dal 2019. Questo, oltre ad alimentare un grande entusiasmo per il prosieguo del progetto, ha permesso di allargare ancora la cerchia degli allevatori interessati a seguire l’evoluzione di questo canarino. Per organizzarci al meglio nell’esposizione nelle prossime mostre, ci siamo ritrovati anche a metà luglio, favorendo ulteriormente un buon clima di squadra. Per chi non ricordasse, il TorZuino è un canarino di origine friulana, il cui nome è un omaggio al paese in cui è venuto alla luce (Tor di Zuino, ora Torviscosa); è un nuovo canarino dalle caratteristiche peculiari che lo rendono originale rispetto agli altri canarini di forma posizione arricciata. Si presenta così: testa liscia o ciuffata,

Particolare del portamento

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Gruppo di allevatori presenti

TorZuino presente a Parma 2018

una taglia minuta e sottile, spalle strette, profilo leggermente curvato con un allungamento del collo verso l’alto, coda distante dal posatoio e, infine, un cestino accentuato con arricciature su dorso e fianchi. La nascita del TorZuino è iniziata nel 2000 selezionando negli anni attentamente i vari incroci per ottenere dei tratti sempre più definiti che rispecchiassero lo standard. Dal 2014 questo nuovo canarino è stato presentato, a scopo divulgativo, in diverse esposizioni, ottenendo diversi consensi: a livello locale l’appuntamento annuale a Ronchi dei Legionari, a livello nazionale ai Campionati Italiani di Cesena, Pesaro, Ercolano e Parma, a livello internazionale a Udine, Reggio Emilia, Caorle e ai Campionati Mondiali organizzati a Cesena. Fanno parte della squadra anche due carissimi Torviscosini che, in forma diversa, hanno contribuito alla realizzazione di questo progetto: Dino Tuniz, che con precisione e dedizione ha realizzato i disegni del TorZuino, e Valerio Chiccaro per il grande supporto tecnologico al computer. Un ringraziamento va certamente agli allevatori simpatizzanti del TorZuino dell’Associazione Isontina Ornitologica e Associazione Ornitologica Friulana per gli spazi messi a disposizione per la presentazione di questo nuovo canarino, nonché per la collaborazione nell’allestimento nelle varie occasioni. Ora gli amici del TorZuino si preparano al meglio per esporre ai prossimi Campionati Italiani a Bari il prossimo dicembre. Questo evento sarà per il TorZuino una bella vetrina… ci auguriamo possa essere un buon trampolino di lancio per questo nuovo canarino, che ora sembra sempre più pronto a spiccare il volo!


Ma non è finita qui: ERYTHRURA 2019 è stato anche un laboratorio dove gli allevatori hanno proposto elementi nuovi, come Enea Ciccarelli con i suoi Gould toy, e gli oratori invitati, che hanno dispensato consigli e conoscenza grazie ad un partecipato convegno dove si sono affrontati vari argomenti di carattere ornitologico. Purtroppo, il tempo non ha consentito di esporre in maniera esaustiva tutti gli argomenti in programma, causa la forte partecipazione. Bene così: di solito accade esattamente il contrario. Vuol dire che il prossimo anno ripartiremo da dove l’insostituibile Donato ci ha interrotti, costringendoci a sederci intorno ad un chilometrico tavolo. Confesso che ci siamo lasciati interrompere con molto piacere, sapendo che ai fornelli c’era Tonino. Per finire, un ringraziamento doveroso da parte di tutti noi, che abbiamo goduto della impareggiabile ospita-

La premiazione delle allevatrici presenti

lità che sempre ci viene offerta a Lanciano, a tutti gli organizzatori, che non nomino nel timore di dimenticarne qualcuno, tutti davvero encomiabili.

Un grazie grandissimo, l’ultimo ma il più grande, a Luciano di Biase, uomo dalla pazienza infinita che è l’anima di questa manifestazione.

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O rniFlash I Pappagalli non sono gelosi… del cibo

News al volo dal web e non solo

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li scienziati del Max-Planck-Institute for Ornithology, presso il Loro Parque di Tenerife, hanno scoperto che quattro specie di pappagalli non hanno mostrato alcuna reazione negativa nei confronti del loro partner che ha ricevuto una ricompensa migliore (cioè una distribuzione disuguale del cibo) rispetto a quella da loro ricevuta per lo stesso “sforzo” profuso. I pappagalli sono stati collocati in compartimenti adiacenti e testati in diverse condizioni, in cui variavano la qualità della ricompensa alimentare e lo sforzo richiesto per investire, rispondendo positivamente a una migliore alimentazione visibile nel compartimento vicino, indipendentemente dal fatto che fosse presente o meno un altro uccello. Il dott. Auguste von Bayern, leader del gruppo di ricerca, sottolinea: “Il nostro studio aggiunge alle recenti prove che l’avversione alla disuguaglianza non è necessariamente un prerequisito per l’evoluzione della cooperazione. Nelle specie monogame a lungo termine, come i pappagalli, al contrario, gli individui dipendono dal loro partner in modo così fondamentale che non si sono evoluti per diventare gelosi se il loro partner di cooperazione riceve profitti migliori. Rompere un legame così prezioso per cercare un partner più giusto sarebbe semplicemente troppo costoso. Quindi, sembra esserci una tolleranza molto più elevata dell’iniquità nelle specie che formano legami di coppia per la vita.” Fonte: Ufficio Stampa “Loro Parque”

L’importanza dell’alimentazione fornita agli uccelli in natura

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e persone in molte parti del mondo nutrono gli uccelli nei loro cortili, spesso a causa del desiderio di aiutare la fauna selvatica o di connettersi con la natura. Solo negli Stati Uniti, oltre 57 milioni di famiglie, spendono ogni anno più di 4 miliardi di dollari in cibo per uccelli. Utilizzando un sondaggio su 1.176 persone che nutrono gli uccelli e registrano le loro osservazioni nel database di Project FeederWatch, alcuni ricercatori hanno scoperto che la maggior parte delle persone ha notato cambiamenti naturali nei loro cortili che potrebbero essere dovuti all’alimentazione, compreso un aumento del numero di uccelli presenti intorno alle mangiatoie, gatti o falchi nelle loro vicinanze o uccelli malati in cerca di cibo e di riparo. Un risultato sorprendente che i ricercatori hanno scoperto in questo studio è stato che, nel decidere quanto nutrire gli uccelli, le persone hanno dato la priorità a fattori naturali, come il freddo, più che al tempo e al denaro disponibile. La maggior parte delle persone consultate crede che gli effetti dell’alimentazione da loro somministrata agli uccelli selvatici siano principalmente positivi per gli uccelli, anche se molti hanno preso provvedimenti in risposta a eventi naturali osservati nel loro cortile, che potrebbero avere avuto un impatto sulla salute degli uccelli a causa di una eccessiva o errata alimentazione. “Questo studio percettivo rivela alcune delle notevoli profondità associate all’alimentazione degli uccelli ed evidenzia quanto le persone che danno da mangiare agli uccelli siano in allerta per una vasta gamma di ulteriori fenomeni naturali “, ha affermato Darryl Jones, professore presso l’Istituto di ricerca della Griffith University in Australia. Fonte: https://vtnews.vt.edu/articles/2019/03/031919Fralin-Dayer-Hawley-backyard-bird-feeding

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O rniFlash I resti di uno dei primi uccelli mai apparsi sulla Terra che solcavano i cieli preistorici del super-continente della Pangea 120 milioni di anni fa sono stati scoperti in Giappone. La creatura, che presenta dimensioni paragonabili a quelle di un piccione, presentava un piumaggio nero e grigio, secondo gli scienziati. Denominato Fukuipteryx, le sue ossa, straordinariamente ben conservate, sono state rinvenute in uno strato di roccia risalente al periodo del Cretaceo, quando i primi uccelli stavano iniziando a fare la loro comparsa sul pianeta. Il Fukuipteryx è il primo uccello primitivo di questo periodo trovato fuori dalla Cina, ritenuta la culla della maggior parte delle creature vissute nel Cretaceo, e potrebbe implicare un radicale stravolgimento delle conoscenze moderne degli scienziati per quanto riguarda l’evoluzione del volo. Le vertebre dell’uccello sono fuse in un unico lungo osso semiflessibile, con una sorta di piastra triangolare all’estremità per sostenere le piume della coda. Questa è una caratteristica fondamentale degli uccelli moderni, ma assente in molti altri fossili di uccelli del Cretaceo, come l’Archaeopteryx, fino a pochi anni fa considerato il primo uccello mai apparso sulla Terra. Il Fukuipteryx raggiungeva le dimensioni di un moderno piccione, cosa che forse contribuì a farlo diventare facile preda di volatili più grandi. Fonte: https://focustech.it/2019/11/18/ecco-il-fukuipteryxuno-dei-piu-antichi-volatili-mai-apparsi-sulla-terra-264657

Come gli stormi di taccole passano dal caos all’ordine

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li uccelli formano degli stormi caotici per scacciare i predatori che si avvicinano ai loro nidi, ma lo studio “Behavioural plasticity and the transition to order in jackdaw flocks”, pubblicato su Nature Communications da un team di biologi dell’università di Exeter, fisici dell’università di Stanford e scienziati informatici dell’università Simon Fraser, rivela che quando lo stormo raggiunge una certa densità si ha un passaggio repentino a un movimento ordinato. Inoltre, lo studio rivela anche che le taccole (Corvus monedula) seguono regole diverse quando attaccano i predatori rispetto a quando volano verso i loro posatoi invernali. È in questo caso che si assiste all’ordine che emerge dal caos: quando la densità degli uccelli raggiunge una certa soglia, improvvisamente si trasforma in uno stato ordinato e coeso nel quale gli uccelli sono allineati con i loro vicini e si muovono insieme in modo organizzato. Uno degli autori dello studio, Alex Thornton, afferma: «Questa constatazione che le regole del comportamento collettivo possono cambiare in contesti diversi potrebbe avere implicazioni per la progettazione di veicoli autonomi. Gli sciami di veicoli aerei o droni senza pilota hanno potenziali utilizzi in molte applicazioni tra cui sondaggi ecologici, antincendio e ricerca e salvataggio in regioni remote». Fonte: http://www.greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/come-gli-stormi-di-taccolepassano-dal-caos-allordine-un-modello-anche-per-i-droni/

News al volo dal web e non solo

Ecco il Fukuipteryx, uno dei più antichi volatili mai apparsi sulla terra

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CRONACA

Fotoperiodo, ora solare o legale? testo di GABRIELE FARAONE e GIACOMO MARINO

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ome risaputo da tutti, l’attività riproduttiva dei volatili dipende anche dalla durata delle ore di luce, cioè dal cosiddetto fotoperiodo. L’allungamento delle ore di luce, infatti, stimola i fotorecettori presenti nel cervello. Questi ultimi innescano il rilascio a cascata di una serie di ormoni, ultimi dei quali sono gli ormoni sessuali che stimolano le gonadi maschili e femminili che maturano solo quando il soggetto è adulto e nella fase riproduttiva. La sensibilità al fotoperiodo avviene solo se vi sia stato in precedenza un periodo di riposo con fotoperiodo breve. Alcuni problemi nell’avvio della riproduzione insorgono dalla gestione sbagliata del fotoperiodo: se la luce è

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La sensibilita al fotoperiodo avviene solo se vi sia stato in precedenza un periodo di riposo con fotoperiodo breve

gestita male, qualitativamente e quantitativamente, si possono avere delle conseguenze. Ad esempio, un rapido aumento di ore di luce può non dare il tempo biologico all’animale di attuare taluni cambiamenti che lo predispongano ad un’ottima forma amorosa. Così come un eccesso di ore di luce

può provocare il termine repentino di detta forma amorosa, per passare poi in breve a quella di muta. Molte volte abbiamo visto porre sul web questa domanda: “Come eseguo il cambio dall’ora legale a quella solare, o viceversa, nel mio allevamento?” Premettiamo, innanzitutto, che noi troviamo giusto che venga posta qualsiasi utile domanda dinanzi all’inesperienza di un giovane allevatore. Ma non accettiamo che qualcuno, approfittando dello strumento virtuale a proprio personale vantaggio, nasconda realmente la propria mancanza di conoscenza, dispensando così consigli errati. La risposta è semplice: non andrebbe fatto nessun cambio d’ora, ma andrebbero lasciati sempre in fotoperiodo con ora solare, le ore di luce dettate dalla natura. Il rischio di scondizionare qualche soggetto c’è, come ad esempio può accadere al rientro dalle mostre ornitologiche, dove i nostri soggetti, per pochi giorni, si ritrovano di colpo con molte ore di luce in più rispetto al proprio aviario. Pensateci bene: cerchiamo sempre di emulare le condizioni naturali più favorevoli al loro benessere all’interno dei nostri aviari. L’aumento e la diminuzione della giornata, se ben gestito con l’ausilio di un programmatore elettronico, rispecchia non solo le fasi di crepuscolo, l’alba e il tramonto, ma anche le quattro stagioni. Le lampade a spettro solare ne sono un altro esempio.


Ma che cos’è l’ora legale? L’ora legale è stata introdotta in Italia nel 1966. È un sistema che permette di sfruttare al meglio le ore di luce durante tutta la bella stagione. Tra marzo e ottobre, infatti, c’è a disposizione naturalmente più luce, poiché il sole, in questo periodo dell’anno, sorge prima e tramonta più tardi. Spostando avanti le lancette di un’ora, le ore di luce coprono meglio le ore destinate alle attività umane. Ma quindi a cosa servirebbe il cambio dell’ora? È una pratica a solo beneficio personale dell’allevatore per guadagnare più tempo nella gestione del proprio aviario, in particolar modo nelle prime ore di luce, durante il periodo riproduttivo, ove vanno anche rimosse le uova, anche se in realtà non sempre è così. Infatti, l’esperienza ci ha fatto notare come, alla presenza di Canarine gio-

vani, le prime deposizioni spesso avvengano anche due o più ore dopo l’albore mattutino. Se con l’ora solare il sole nei mesi estivi sorge alle 4.30 del mattino e tramonta alle 20, con l’ora legale il periodo di luce tra alba e il tramonto va dalle 5.30 alle 21. È facile intuire che un aviario sveglio già dalle ore 4.30 e non dalle 5.30 faciliti le citate operazioni nella gestione del proprio allevamento, sicuramente a tutto vantaggio delle deposizioni. Vale la pena ricordare che a tal proposito è consigliabile rimuovere le uova entro le prime 4 ore dalla loro deposizione, per evitare così l’avvio del processo di sviluppo dello zigote, conseguentemente ad una anticipata incubazione. Ovvio, c’è poi chi per problemi di spazio o per scelta personale ha la necessità di allevare al chiuso, quindi uti-

lizzando la luce artificiale in via esclusiva e non ausiliaria a quella solare. Ma non per questo trova ragionevolezza il cambio dell’ora. Ricordiamo, a tal proposito, che molti studi hanno dimostrato che la maggior parte degli organismi viventi, sia vegetali che animali, possiede un oscillatore endogeno, dotato di un periodo di oscillazione simile alla durata del giorno astronomico. Inoltre, molti organismi possiedono orologi biologici che oscillano con un periodo simile a quello di altri cicli geofisici che rivestono un ruolo importante nella loro vita. Per fortuna, tutto questo è destinato a finire; infatti, il parlamento Europeo ha votato a favore dell’abolizione dell’ora legale dal 2021, lasciando la decisione sull’ora solare o legale ai singoli Stati membri. Per altre informazioni potete trovarci su www.canaryteam.altervista.org

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DIDATTICA & CULTURA

La Gallina Prataiola testo di ROBERTO BASSO, foto ARCHIVIO CIVICO MUSEO DI STORIA NATURALE DI JESOLO

Da sinistra verso destra due femmine adulte, una di provenienza sarda e una pugliese, a seguire un maschio adulto in livrea invernale e un maschio in livrea estiva di provenienza pugliese

L

a gallina prataiola o otarda minore è l’unico rappresentante del genere Tetrax e la specie più piccola all’interno della famiglia delle Otididae nell’area paleartica. Nonostante il suo nome volgare italiano, la gallina prataiola non possiede alcun gene in comune con i galliformi, bensì mostra una certa affinità con i gruiformi. Essa ha abitudini terricole; è un uccello di medie dimensioni con un dimorfismo sessuale nel maschio particolarmente evidente durante il periodo riproduttivo ma pressoché indistinguibile nel resto dell’anno; l’abito eclissale è simile alle femmine adulte e agli immaturi.

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Questa specie può raggiungere il chilogrammo di peso e i 43-45cm di lunghezza. Il maschio in età riproduttiva ha nella testa e nel collo colori vivaci e sgargianti che vanno dal blu al nero con contrasti di bianco, caratteri

Questa specie può raggiungere il chilogrammo di peso e i 43-45 cm di lunghezza

importanti per attrarre le femmine nel prescelto territorio riproduttivo. Presenta un’apertura alare notevole (90 cm), le ali sono bianche con apici neri. Le zampe sono giallo-grigie piuttosto sviluppate e robuste, tipiche degli uccelli corridori. Il suo habitat rientra nel tipico ambiente della steppa sia di pianura che collinare (fino ad un massimo di 600/700 m s.l.m.). Predilige i terreni incolti e i pascoli con vegetazione erbacea alta e non troppo fitta; la specie viene sempre più sovente avvistata nelle aree ad agricoltura estensiva di cereali, leguminose e medicai e ciò è legato ad esigenze di sopravvivenza dovute alla


rarefazione o distruzione degli ambienti a lei più idonei. In Italia è sedentaria e migratrice irregolare e nel periodo invernale effettua degli erratismi; la popolazione della provincia di Foggia è solita spostarsi più a sud sino alla provincia di Lecce. Anche in Sardegna nei mesi invernali i nuclei nidificanti più a nord possono spostarsi in ambienti diversi per lo svernamento, andando ad occupare anche aree di gariga, purché piuttosto ampie e povere di ostacoli visivi (come muretti a secco o zone di macchia mediterranea) che impediscano l’avvistamento a distanza di predatori o pericoli. Di fatto, è una specie dall’indole molto sospettosa, elusiva e schiva. La sua dieta è di tipo onnivoro: non disdegna infatti di cibarsi di vegetali quali semi e germogli, ma anche di insetti, molluschi, anellidi piccoli rettili. Animale di abitudini gregarie, si isola solo nel periodo della cova; d’inverno, sono stati osservati branchi anche di oltre 100 individui. Particolarmente diffidente, mantiene una distanza di involo elevata, al quale è però restia e, se disturbata, preferisce allontanarsi dal pericolo correndo sul suolo. Caratteristica peculiare, a tal proposito, è il sibilo prodotto dalla quarta remigante primaria (più piccola) durante il poderoso involo. La riproduzione avviene in tarda primavera tra la fine di aprile e giugno; il corteggiamento è caratterizzato da una tipica parata da parte del maschio, che erige il piumaggio del collo e del capo, si piega sulle zampe per poi effettuare dei balzelli. L’ovodeposizione avviene al suolo in piccole cavità naturali che possono essere arricchite con poche sterpaglie e piume. La femmina depone con intervallo di due giorni 3-4 uova (eccezionalmente 5) di color bronzeo – verdastro con striature bruno-rossicce, dal guscio liscio e lucido che cova da sola per circa 20-22 giorni. I pulli hanno uno sviluppo precoce: abbandonano infatti il nido già poco dopo la schiusa e sono pienamente sviluppati intorno ai 50-55 giorni. Nonostante ciò, resteranno con le madri per tutta la durata del primo inverno. La Gallina prataiola è considerata come

Maschio adulto visto di profilo, si noti il bianco dell’ala e delle timoniere

specie minacciata a livello mondiale dalla BirdLife International ed è inserita nella IUCN Red List come prossima ad ulteriori rarefazioni. Attualmente risulta estinta in 11 Paesi europei. Più della metà della popolazione mondiale è relegata oggi alla sola Penisola Iberica, benché qualche anno fa gli ultimi censimenti abbiano indicato una popolazione di 35-40.000 esemplari in Spagna e 14.000 in Portogallo, il resto è distribuito tra Italia (1.200 soggetti in Sardegna e meno di 50 in provincia di Foggia), Francia (censiti 1.400 maschi), Ucraina (90-100 individui), Russia (8.000 maschi), Kazakistan (16-20.000). Nel contesto italiano, i dati e le informazioni su questa specie provengono prevalentemente dagli areali occupati durante il periodo riproduttivo. Le origini della gallina prataiola in Italia sono sicuramente antecedenti a

15.000 anni fa, lo si può dedurre da numerosi resti fossili. Una curiosità meritevole di nota riguarda Federico II di Svevia che nella sua opera di ornitologia “De Arte Venandi Cum Avibus” parlò della gallina prataiola, indicandola però come Anas campestris. Da almeno 30 anni, soprattutto gli spagnoli allevano con successo questa specie in ambiente controllato, consentendo la reintroduzione in natura di importanti contingenti. Ultimamente anche in Francia esistono diversi centri di riproduzione gestiti da enti pubblici e privati. Il suo allevamento risulta abbastanza semplice, data la sua elevata rusticità e l’ampio spettro alimentare. Fondamentale è la presenza di strutture adeguate alle necessità della specie, quali voliere sufficientemente ampie in superficie ed altezza ed una copertura erbacea quanto più

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varia possibile che ne assicuri una corretta stabulazione nei diversi mesi dell’anno. Le femmine negli allevamenti raramente covano le uova, pertanto la prima deposizione viene posta in incubatrice; ne può seguire una seconda ed eccezionalmente una terza. Vi sono stati casi, però, in cui femmine particolarmente adattate hanno incubato le uova e svezzato autonomamente i piccoli. Ancora una volta la passione, dedizione e l’impegno degli allevatori hanno permesso ad una specie a rischio di estinzione di essere riprodotta e reintrodotta. I musei di storia naturale di tutto il mondo custodiscono esemplari di gallina prataiola; in un’indagine condotta da Vincenzo Rizzi del Centro Studi Naturalistici di Foggia è emerso che in 64 musei italiani e 91 stranieri sono custoditi più di 1000 reperti provenienti da 46 nazioni, tutti inerenti la gallina prataiola (animali tassidermizzati, pelli da studio, preparati osteologici, tessuti, uova, fos-

Antica stampa che ritrae una Gallina prataiola

Immagine di un maschio in parata nuziale nel suo ambiente naturale

sili risalenti al Pleistocene). I reperti censiti provenienti dall’Italia mostrano come la gallina prataiola fosse in passato presente in molte regioni ita-

liane (Sicilia, Lazio, Veneto, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Lombardia), ma la maggior parte di essi provengono dalla regione Puglia. Tra i provvedimenti intrapresi per la tutela di questa specie, appare importante citare il progetto Life+ Tetrax, volto a reintrodurre la gallina prataiola in Puglia nell’area pedegarganica, attraverso il traslocamento di diversi nuclei di animali dal parco francese Zoodyssée al centro di allevamento pugliese presso l’Oasi Lago Salso. Solo tutelando gli ambienti relitti di steppa e gariga, nonché allevando questa specie in loco, si potrà incrementare la popolazione peninsulare superstite di questa affascinante specie e scongiurarne l’estinzione.

BIBLIOGRAFIA - Basso Roberto (1984): “Osservazioni sulla Gallina prataiola, Otis tetrax, nella Penisola Salentina (Lecce, Puglia)” R.I.O. 54 (1 – 2): 9394, 15-VI-1984 - Basso Roberto (1984): “Osservazioni sulla Gallina prataiola, Otis tetrax” Riv. “40° Parallelo”, Nardò (LE), Tip. Biesse, Anno I, n. 2, nov. 1984, pp. 10-11 - Pazzuconi Aldo (1997): “Uove e Nidi degli Uccelli d’Italia”, Edizioni Calderini, pp. 665 - Petretti Francesco (1984): “Rapporto sulla situazione della Gallina prataiola in Puglia”, UNAVI, Roma - Petretti Francesco (2013): “Reintroduzione della Gallina prataiola (Tetrax tetrax) nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia, aggiornamento dello studio di fattibilità”.

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ALIMENTAZIONE

L’orto-ornitofilo

Una miniera da sfruttare L’acqua di cottura delle verdure testo e foto di PIERLUIGI MENGACCI

Cicoria, Tarassaco, Crespigno e bietole in cottura

Acqua di cottura nei beverini

Premessa I giorni scorsi, sistemando alcune pratiche nell’Ufficio con mia figlia Micaela, mi è capitato tra le mani il fascicolo di un Convegno sulla Bioedilizia che abbiamo organizzato nella Chiesetta sconsacrata del “Conventino dei Serviti di Maria” di Monteciccardo in data 16 giugno 2006 dal titolo “La Casa del Benessere”. Come un bambino curioso che sfoglia l’album delle figurine, mi siedo sul divanetto e mi metto a girare pagine e foto, ritornando con la memoria a quella giornata particolare in cui presentammo un intervento edilizio unico e innovativo per l’intera provincia di Pesaro-Urbino. Progetto, tra l’altro, selezionato da KlimaHaus di Bolzano per un convegno internazionale di Architettura Sostenibile e Bioedilizia tenutosi a Silandro (BZ) dove siamo intervenuti dal 27 al 31 ottobre 2006. I volti interessati e compiacenti del Presidente della Provincia, dei Sindaci dei paesi limitrofi, degli architetti, ingegneri, geometri, tecnici bioedili, agronomi, imprenditori edili e del pubblico presente, scorrono nella mia memoria come le pagine e le foto tra le mie dita. - Babbo, cosa fai? La voce di Micaela mi distoglie dai miei pensieri. - Niente, - rispondo- mi riguardo il fascicolo del Convegno al “Conventino”… gli abbiamo dato bene, eh !!”- E seguito a sfogliare… – Dai babbo, vieni

a darmi una mano… ormai è acqua passata!- mi riprende Micaela. - Ah, Michi, a proposito di acqua, sono arrivato al tuo intervento “LEGNO, MURATURA, ED ACQUA: IL RISPARMIO È DI CASA”! Ancora oggi mi sembra ben articolato e documentato! Finisco e poi ti raggiungo. Proseguendo nello sfogliare le pagine, mi soffermo sul capitolo “Recupero acque piovane”, dove l’introduzione “L’acqua promette di essere per il Ventunesimo secolo ciò che il petrolio è stato per il Ventesimo: il bene prezioso che determina la ricchezza delle nazioni” porta a delle riflessioni molto importanti. A fine lettura ecco nuovamente mia figlia e, prima che dica qualcosa: – Michi, sono ancora molto interessanti le slides inerenti i consumi giornalieri di acqua potabile e le dieci regole per rispettarla e riciclarla. Anzi, sono sempre più attuali. Sto elaborando, da alcuni giorni, un articolo per I.O. sul riciclo dell’acqua di cottura delle verdure…e ho notato che su internet autorevoli fonti parlano del riciclo dell’acqua di cottura non solo della pasta, come nella tua slide, per lavare piatti e stoviglie, ma anche per altri usi; altre fonti suggeriscono di bere quella delle verdure come un naturale succo, come faceva e consigliava tua nonna Dina… Penso di allegare al mio articolo alcune tue slides interessanti… che ne pensi? – Ok, se ti vanno bene, fai pure… ma adesso dammi una mano…le cartelle da archiviare sono alquanto pesanti.

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Gabbie con beverini contenenti acqua di cottura di verdure varie

Chiudo la cartella del Convegno e… al richiamo della figlia non riesco a dire di no! L’acqua di cottura, bene prezioso Non sempre siamo consapevoli che anche in cucina possiamo essere ecologisti al pari di chi recupera le acque piovane: riciclando l’acqua di cottura. Non possiamo altresì dimenticare che l’acqua è uno dei nostri beni primari, se non il più importante… e allora perché sprecarla, soprattutto se possiamo riutilizzarla ed averne anche un benefico riscontro? Quindi, prima di buttare via l’acqua di cottura, pensiamoci due volte: potremmo riciclarla ed utilizzarla per molti servizi interessanti, senza dimenticare i benefici che potrebbe apportare alla nostra salute! Eccone alcuni esempi di riutilizzo: l’acqua di cottura di riso, pasta e patate è un ottimo sgrassante. Mia mamma, quando non aveva la lavastoviglie ed anche dopo, così come mia moglie, prima di buttarla nel lavandino, la utilizza per eliminare i residui di grasso di pentole, padelle e piatti. Inoltre, mettendo in ammollo nell’acqua di cottura del riso tovaglioli e teli, si eliminano alcune macchie ostinate. L’acqua delle sole patate va bene per eliminare le erbe infestanti di marciapiedi e muri; infatti, l’amido impedisce la ricrescita delle radici e dei fusti di tutte le piante indesiderate o infestanti. L’acqua di cottura degli spinaci, essendo molto acida, è utilissima per rimuovere lo sporco e lucidare l’argenteria (com-

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Slide introduttiva dell'intervento di Micaela Mengacci nel Convegno di Bioedilizia del 2006

prese collanine, orecchini e braccialetti), cosa che faceva mia mamma, saltuariamente, con il suo servizio di posateria d’argento. L’acqua di cottura del riso, molto ricca di amido, può essere utilizzata per combattere le irritazioni, per pediluvi o, aggiunta (un paio di cucchiai) allo shampoo, sarà un ottimo nutriente per i capelli. Merita una menzione particolare l’acqua di cottura delle verdure, perché, come riportato nel titolo, è una miniera da sfruttare. Ho cercato di scoprirla e, dal mio punto di vista di ortoornitofilo, è quella che ha i contenuti più interessanti. Le verdure, come si sa, sono ricche di tante sostanze benefiche per il nostro organismo quali vitamine e sali minerali. Molte verdure le consumiamo crude, specialmente in insalata, così evitiamo che gli elementi nutritivi si disperdano durante la cottura o si deteriorino. Ma nel caso in cui si volessero assaporare cotte, o detto meglio lessate, ci rimane nella pentola una “miniera” (acqua) che il più delle volte finisce nel tubo di scarico del lavandino. Prima di parlare dei contenuti di questa “miniera”, che le verdure rilasciano nell’acqua di cottura, e come utilizzarli, vorrei accennare a un elemento che li determina. È la Clorofilla (dal greco, chloros = verde e phyllon = foglia), pigmento verde presente nei vegetali. Si trova in tutte le piante e le alghe, con esclusione dei funghi; la troviamo in quantità maggiore nelle verdure a foglia verde scuro

quali spinaci, rucola, cicoria, cavolo verza, fagiolini ecc. La funzione della clorofilla è quella di facilitare l’assorbimento della luce per realizzare la cosiddetta fotosintesi clorofilliana nelle piante. Non è il caso che mi dilunghi su questo argomento; chiunque, oggigiorno, ne conosce la funzione oppure ha modo di documentarsi. Questo pigmento, la clorofilla, conferisce alle verdure molte proprietà che sono in grado di apportare diversi benefici al nostro organismo. Chi mi ha seguito in precedenti articoli pubblicati su I.O. avrà sicuramente letto le proprietà che contengono molte verdure, di cui ho scritto, ed i benefici che si possono ricavare dal loro consumo. Ebbene, questi fitonutrienti che possiamo riassumere in vitamine ( A – C – E - K ) e sali minerali (magnesio, ferro, calcio, potassio, sodio, fosforo), betacarotene ed altri composti con proprietà antiossidanti, dopo la lessatura delle verdure, rimangono nell’acqua, ed è questa la miniera da sfruttare. Proprietà ed utilizzo dell’acqua di cottura delle verdure Gli oligoelementi e le vitamine rilasciati dalle verdure durante la cottura o lessatura rendono quest’acqua ricca di proprietà e quindi riutilizzabile non solo in cucina, ma anche per la tutela della salute, per la bellezza della pelle oppure per le piante. Naturalmente, le verdure dovranno essere perfettamente pulite prima


Tabella di Micaela Mengacci sul consumo di acqua potabile

della cottura, per evitare residui di terra o sporcizie e le si dovrĂ raccogliere in posti sicuri, privi di diserbanti e inquinanti vari; le verdure saranno state coltivate in terreni di agricoltura biologica o di provenienza garantita e prive di pesticidi, insetticidi e acidi

Slide di Micaela Mengacci sul rispetto dell'acqua

nitrici che potrebbero essere presenti se le verdure fossero di provenienza incerta. In cucina sono svariati i modi di riutilizzare l’acqua di cottura delle verdure: - la possiamo congelare per poterla riutilizzare all’occorrenza;

- possiamo preparare zuppe di cereali quali cous-cous, orzo, grano saraceno ecc. o zuppe di pane raffermo, come faceva mia nonna Ersilia; - può essere utilizzata per cuocere paste, risotti e minestre e come base per vellutate e creme;

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Acqua di cottura di verdure filtrata in bottiglia

- per rendere più gustoso e ricco di sali minerali il brodo vegetale fatto in casa, piuttosto che utilizzare i dadi, che non sono altro che un mix di conservanti, aromi e sale, oppure per preparare una besciamella vegetale. Per la salute, se si tratta di bere l’acqua di cottura delle verdure, all’inizio si è un po’ riluttanti: il colore, il profumo, l’amaro... la rendono un’operazione alquanto difficoltosa, ma se vogliamo depurare l’organismo dalle tossine e rifornirlo sia di sali minerali che di vitamine, beh, lo si può tranquillamente fare, e… dopo alcuni bicchieri ci accorgiamo che non è poi da buttare via. In sostituzione delle varie diete detox, che forse non sempre hanno gli effetti sperati, l’acqua di cottura della verdura è certamente il rimedio naturale più Acqua di cottura di bietole e cicoria

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adatto. Infatti, preserva un pool di principi attivi e sostanze nutritive tale da essere considerata come una bevanda benefica, una vera e propria bevanda bruciagrassi. Per la bellezza, alcuni usi dell’acqua di cottura delle verdure vengono da molto lontano: ad esempio, mia nonna Marietta, che ho citato più volte nei miei scritti, la utilizzava per fare dei saponi, al posto dell’acqua potabile, e alle mie domande rispondeva: “Ninén mia, maché en se botta via nient” (“piccino mio, qui non si butta via niente”). Può anche essere usata per impacchi benefici su pelli arrossate o reidratare pelli secche e renderle più lisce e rinfrescate. Per le piante, con l’acqua di cottura delle verdure possiamo annaffiare vasi di fiori, rose, cespugli e piante non solo ornamentali e utilizzandola nell’orto si arricchisce il terreno di sali minerali, fornendo così maggiore nutrimento alle piante, che cresceranno più rigogliose. Infatti l’acqua, insieme ai sali minerali, costituisce la linfa grezza che, per azione dei raggi solari, viene trasformata in linfa elaborata, nutrimento fondamentale utilizzato dalla pianta per crescere, fiorire e produrre semi e frutti. Conclusione Conservare e riciclare l’acqua di cottura dovrebbe diventare una buona abitudine, al pari di non sprecare l’acqua potabile o il recupero delle acque piovane. L’acqua usata per cuocere le verdure ha un motivo in più per non essere gettata: è un vero concentrato di sostanze nutritive. Nel mio piccolo, mia moglie l’ha sempre utilizzata, una volta fredda, per innaffiare i suoi vasi di fiori e qualche volta per dei risotti o del brodo vegetale. Mia suocera, ogniqualvolta faceva una cottura di verdure miste (cicoria, crespigno, tarassaco, bietole e spinaci), ne beveva un bel bicchierone raffreddata (per depurare il fegato dagli antibiotici, diceva) ed anch’io, dietro suo consiglio, ho provato a “sperimentarla” e, come detto sopra, dopo alcuni bicchieri, sono riuscito a… “non buttarla via”! Una volta che il mio palato ne ha accettato i sapori, ho riscontrato un benessere

generale sia fisico che mentale, per cui mi sono detto, come per tutti gli altri esperimenti fatti, “perché non la faccio provare anche ai canarini?”. Ho iniziato con l’inumidire il pastoncino secco di allevamento… Premetto che l’acqua di cottura, una volta raffreddata, la filtro in una bottiglia di vetro che mantengo in frigorifero e che utilizzo nella quantità necessaria per ammollare il cous-cous, con il quale successivamente, una volta assorbita tutta l’acqua, inumidisco il pastoncino secco di allevamento. Altro uso che ne faccio: dopo averla opportunamente raffreddata, la servo per due giorni a tutti i canarini nei beverini, dopo il trattamento mensile, di tre giorni, con l’aglio spezzettato sempre nell’acqua dei beverini. A mio avviso, dopo l’aglio (sorta di antibiotico naturale), è opportuno reintegrare l’organismo di sali minerali e vitamine e quale integratore può essere migliore dell’acqua di cottura delle verdure, una miniera piena di fitonutrienti? Nota a margine: quest’anno le femmine, a differenza degli anni passati, alimentate, oltre che con i classici semi, ininterrottamente durante tutta la preparazione alle cove e la riproduzione, con pastone secco inumidito con cous-cous in acqua di cottura di verdure, hanno deposto mediamente 6 uova per covata. Saranno i preziosi contenuti della “miniera”? Chiudo con questa massima: Le cose più semplici sono quelle che ti danno più soddisfazioni! Acqua di cottura verdure varie


CRONACA

Mostra Scambio di fine estate testo e foto di EUGENIO CASAROTTO (Pres. A.P.O.V.) e MARCO LOVATO (Pres. A.O.A.)

Locandina di presentazione della manifestazione

D

omenica 29 settembre 2019, presso lo showroom della ditta Margraf, a Gambellara (VI), l’Associazione Provinciale Ornicoltori Vicentini (A.P.O.V.-VI) e l’Associazione Ornitologica Arzignanese (A.O.A.) hanno organizzato, sotto l’egida della FOI e del Raggruppamento Interregionale Veneto e

Canarini in esposizione per il pubblico

Trentino Alto Adige di Ornitologia, la Mostra Scambio di fine estate. La manifestazione che ha ottenuto i patrocini dei Comuni di Gambellara (VI) che ci ha ospitato e di Chiampo (VI), ha visto la partecipazione di numerosi allevatori iscritti alla FOI con molti tavoli prenotati. Hanno fatto da cornice alla manifestazione, l’esposizione di numerosissime e prezio-

Ha completato l’esposizione la presenza di alcuni stand ornitologici e del settore del pet

se lastre di pregiato marmo, provenienti da tutto il mondo e anche dal vicentino, la mostra fotografica dell’Associazione “Faunambiente” di Tonezza del Cimone, che ha esposto numerosi pannelli riportanti la flora e la fauna del vicentino, l’esposizione di splendidi esemplari di bonsai, dell’Associazione “Il Bagolaro” di San Bonifacio (VR), il Museo di archeologia e Scienze Naturali “G. Zannato”, di Montecchio Maggiore (VI), che ha esposto numerosi fossili e minerali del vicentino e l’Associazione “Beccacciai Vicentini” con i loro studi sulla beccaccia. Inoltre, sia al mattino che nel pomeriggio l’Associazione “I cani del Tribolo” di Vicenza, ha deliziato il pubblico presente, fra il quale molti bambini e giovani ragazzi, con dimostrazioni di soccorso

Il Presidente del Raggruppamento Daniele Maronese, con i presidenti dell'APOV-VI Eugenio Casarotto e dell'AOA Marco Lovato ed alcuni componenti dei Consigli Direttivi delle due associazioni

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Il "futuro" dell'ornitologia

dei loro incantevoli cani. La partecipazione delle summenzionate Associazioni ha fatto si che la manifestazione sia stata visitata da un numeroso pubblico, formato anche da famiglie che hanno mostrato, specie i più giovani, grande curiosità ed interesse, tanto per le iniziative collaterali, quanto per gli uccelli presenti sui tavoli, nonché per quelli esposti, volutamente in modo ben visibile, all’entrata del padiglione, sulle classiche cavalle e gabbie da mostra. Ha completato l’esposizione la presenza di alcuni stand ornitologici e del settore del pet. Si ringrazia il Presidente, Avv. Antonio Sposito e tutto il direttivo FOI

Ingresso alla mostra scambio

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Gli istruttori con i cani da soccorso dell'Associazione "I cani del Tribolo-Soccorso cinofilo"

per il sostegno e la fiducia accordataci, il Presidente del Raggruppamento Interregionale Veneto e Trentino A.A. di Ornitologia, Sig. Daniele Maronese ed i Sig.ri Basso Fiorenzo e Civiero Giancarlo, il cui contributo è stato fondamentale per superare alcune criticità sorte sotto l’aspetto burocratico-sanitario, le Amministrazioni Comunali di Gambellara e di Chiampo che hanno concesso il loro patrocinio e la collaborazione, la ditta Margraf che ci ha messo a disposizione l’ampio spazio espositivo nel quale si è svolto l’evento, le Associazioni e le ditte che con i loro stand hanno reso la manifestazione più completa ed interessante,

i cinofili dell’Associazione “I cani del Tribolo”, che con i loro stupendi e festosi animali hanno rallegrato bambini ed adulti, i numerosi allevatori FOI che hanno partecipato direttamente, o che ci hanno visitato. Ed infine, ma non in ordine d’importanza, i Consigli Direttivi ed i soci delle nostre due Associazioni che ci hanno creduto fino in fondo e che in amicizia ed in costante sinergia e collaborazione, con impegno e sacrificio, hanno permesso l’organizzazione e la realizzazione dell’iniziativa, occasione ancora una volta per far conoscere la nostra passione, il nostro hobby, al maggior numero di persone possibile.


Se desideri proporre un argomento scrivi a: redazione@foi.it

P agina aperta Q

uesto mese, la nostra rubrica aperta agli argomenti suggeriti dai lettori ospita la domanda di un allevatore sul possibile utilizzo di molteplici semi per i Cardellini. Per evitare eventuali sprechi di mangime e, di conseguenza, di denaro, abbiamo chiesto al nostro referente Renzo Esuperanzi, noto allevatore e giudice E.F.I., di fornire un suggerimento per la corretta alimentazione dei Cardellini, ottimizzando una dieta idonea per l’allevamento di tali soggetti in ambiente domestico. Siamo certi che un corretto utilizzo di semi e mangimi complementari possa garantire il benessere degli uccelli presenti nei nostri aviari, ferma restando la possibilità da parte di chi vuole (e chi può) di somministrare prodotti integrativi, sempre tenendo in considerazione le indicazioni dei produttori e, in casi opportuni, dei veterinari. Di seguito, riportiamo integralmente il quesito posto dal lettore e l’intervento di Renzo Esuperanzi.

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elativamente all’alimentazione del Cardellino, esistono svariati miscugli già pronti e di per sé ben studiati. Personalmente fornisco girasole piccolo e chia a parte, in mangiatoie dedicate; poi, somministro un miscuglio a base di erba mazzolina (30%) con aggiunta di perilla (50%), niger (10%) e canapuccia (10%). Durante l’allevamento metto a disposizione niger germinato e piselli decongelati (tritati e mischiati con un pastone secco all’uovo). Ovviamente si può fornire molto altro ma, negli anni, ho razionalizzato più che potevo la dieta per i Cardellini, e l’attuale sistema sembra funzionare bene. Saluti

Cardellino ancestrale

Argomenti a tema

alve, mi chiamo Michele Lisanti, sono della Basilicata e vorrei un’informazione circa un mangime composto per Cardellini, completo e ben bilanciato per tutto l’anno, utilizzando tutti i semi sotto elencati. Sementi prative, lattuga bianca, cicoria, niger, canapa, girasole piccolo, perilla bianca, perilla scura, camelina, ravanello, panico rosso, finocchio, anice, erbe officinali, erba mazzolina, cardo mariano, scagliola, lino oro, sesamo, girasole nero, ravizzone rosso e nero, erba medica, panico rosso, quinoa, lattuga nera, pino; papavero blu; chia, girasole decorticato, rapa, girasole, papavero, bella di notte, canapuccia, abete, cipresso. Se è possibile, mi farebbe piacere sapere la quantità essenziale in grammi per ogni singolo seme indicato, per fare un rapporto in base a 1 kg. Grazie, MICHELE LISANTI

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Scuola e Ornitologia

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el settembre del 2018, in occasione del Settembre Quarratino, in seguito alla proposta del Segretario dell’Associazione Pratese Ornitologica sig. Balli Alessandro, le insegnanti delle classi seconde A e B del Plesso “Alberto Manzi” hanno partecipato per la prima volta alla 6^ Mostra Ornitologica “Volando” con l’esposizione dei lavori eseguiti dagli studenti. La presenza della scuola all’evento rientrava nel programma di conoscenza del territorio sviluppato nel corso dell’intero anno scolastico. I bambini sono stati coinvolti nella realizzazione di disegni e manufatti a tema ornitologico, dando piena libertà alla fantasia. Il successo dell’esperienza delle colleghe ha avuto un riscontro positivo sia per gli adulti che per gli alunni, tanto da ripetere la partecipazione anche quest’anno: infatti, dal 3 al 6 ottobre 2019 al Polo Tecnologico di Quarrata le classi 5ªA e 4ªB del Plesso “Alberto Manzi” hanno esposto i lavori artistici realizzati con entusiasmo dagli alunni. L’adesione alla 7ª Mostra Ornitologica “Volando” si è rivelata un’interessante occasione di collaborazione e approfondimento di aspetti e realtà del nostro territorio. La rassegna dei manufatti e dei disegni ha avuto per tema il mondo

ornitologico, che ha stimolato negli alunni non soltanto una palese curiosità riguardo alla conoscenza più approfondita degli uccelli, ma anche la gioia di creare insieme, aiutandosi vicendevolmente, il divertimento nella ricerca delle informazioni, la concentrazione e la cura nella realizzazione dei pannelli, dividendosi i compiti. Il tempo e le stagioni sono stati scelti come filo conduttore principale di collegamento tra i lavori, che si sono succeduti in una alternanza gioiosa di colori, forme e rimandi all’artigianato tipico quarratino, il filet. Chiudeva il percorso la riproduzione in tecnica mista del famoso affresco di Giotto “Predica agli uccelli” della Basilica superiore di Assisi, come omaggio a San Francesco, figura simbolo per eccellenza dell’amore e del rispetto nei confronti del Creato e la cui ricorrenza cade il 4 ottobre. Vogliamo cogliere l’occasione per ringraziare calorosamente l’Associazione Pratese Ornitologica per l’opportunità che ci ha regalato invitandoci a questo evento, permettendoci di vivere un’esperienza assolutamente positiva che ha segnato il percorso di crescita personale e scolastica non solo degli studenti, ma anche delle insegnanti, rafforzando al tempo stesso il senso del rispetto per l’ambiente e la natura.

Lettere in Redazione

A curadelle I NSEGNANTI CLASSI 5ªA E 4ªB della SCUOLA P RIMARIA “ALBERTO MANZI di QUARRATA (PT)

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Riflessioni e pensieri di un allevatore di provincia di P IER F RANCO S PADA

Lettere in Redazione

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i chiamo Pier Franco Spada, ho 42 anni e sono un allevatore di canarini di razza Fife Fancy che vive a Villacidro, un paese di circa 14000 abitanti nella provincia del Medio Campidano, a 50 km da Cagliari. La mia felice famiglia è composta da mia moglie Stefania e dai nostri splendidi figli Alessandro, di cinque anni, e da Emanuele di due anni e mezzo, più i 120 canarini Fife che allevo in un apposito locale di circa 60mq che si affaccia, attraverso una vetrata di tre metri e mezzo, alla catena montuosa del Monte Linas. La passione per l’ornitologia e per l’ornicoltura mi ha sempre accompagnato fin da bambino ma soltanto nel 2008 decisi di entrare a far parte della grande famiglia FOI iscrivendomi per la prima volta ad una delle nove associazioni presenti in Sardegna. Attualmente faccio parte dell’Associazione Ornitologica Arborense, nella quale ricopro con entusiasmo la carica di vicepresidente. Nel 2017 decisi di iscrivermi al Fife Club Italiano e nello scorso dicembre, partecipando al 52° Campionato di Ornitologia a Parma, ho ottenuto con immenso orgoglio e gioia un inaspettato secondo posto nella categoria Fife singolo pigmentato pezzato. Ho sentito il forte bisogno di scrivere queste righe dopo aver avuto in maniera del tutto inaspettata, attraverso una telefonata ricevuta da parte del nostro Presidente di Associazione Giorgio Vaccargiu in un afoso e caldo pomeriggio di fine agosto, la notizia della nascita di una nuova federazione di appassionati ornicoltori in Italia, di cui a dire il vero non ricordavo neppure il nome, perché in me subito ha prevalso il desiderio di sapere perché si fosse in modo così inaspettato giunti ad una novità così estrema. Essendo una persona molto curiosa ho cercato subito di avere maggiori elementi al riguardo e alcuni giorni dopo giungo in possesso, grazie ai moderni sistemi di informazione social, di un’intervista di circa un minuto e trenta a Giuliano Passignani che esprimeva con le sue parole il perché di un’altra federazione in Italia: in sintesi, Passignani affermava che in Italia c’era bisogno di un’altra federazione perché nel resto dei paesi d’Europa esistevano, per

la diffusione dell’ornitologia, già altre due o tre federazioni e questa cosa creava, dal suo punto di vista, più scelta, più democrazia, più crescita e più competizione. Si rimarcava anche il fatto che in Italia ci fosse un calo delle iscrizioni e che i giovani non le rinnovavano; l’intervista poi si concludeva facendo un riferimento anche all’aspetto economico, dicendo che era importante che al momento dell’iscrizione si offrisse un pacchetto completo che comprendesse tutto, dove il “tutto” erano le iscrizioni alle partecipazioni alle mostre ornitologiche, al Campionato Italiano, la rivista, le Commissioni tecniche e i Giudici. Se non fosse per la profonda stima che ho da sempre nei confronti del signor Passignani, pur non conoscendolo personalmente, mi verrebbe da pensare e da chiedermi se siamo per caso in campagna elettorale, riscontrando per modalità di comunicazione, parole, toni e gesti alcune similitudini con qualche nostro politico. Ma, per fortuna, noi ci occupiamo non di politica, ma di ornitologia e di ornicoltura! Davanti alle criticità e ai problemi quotidiani, che riscontro soprattutto grazie al mio lavoro, dato che mi occupo da più di 15 anni di tutela della salute mentale e di riabilitazione psichiatrica, sono abituato ad utilizzare il metodo del problem solving, cioè partendo dall’analisi di una situazione problematica risolvere il problema attraverso dei metodi e degli strumenti. Personalmente, non credo che la nascita di un’altra federazione possa rappresentare il rimedio di tutti i problemi che fisiologicamente possono nascere in una grande Associazione come la FOI, che annovera tra i suoi iscritti circa 20000 tesserati. Ma dagli occhi di un allevatore che vive e alleva come tanti altri allevatori in provincia, nasce una riflessione che auspica una maggiore attenzione da parte degli organi federali e del direttivo FOI nei confronti degli allevatori che vivono nel meridione d’Italia e nelle isole, i quali molto spesso si sentono isolati e abbandonati e impossibilitati, a causa di una difficoltà oggettiva rappresentata dalla distanza geografica, a partecipare ad eventi di carattere nazionale e internazionale di grande


importanza, non soltanto dal punto di vista di crescita espositiva e di qualità selettiva dei soggetti allevati, ma anche per accrescere le relazioni interpersonali, aggreganti e di confronto con allevatori di grande esperienza ed indubbie capacità ornitofile. Auspico un cambiamento nella direzione di un nuovo e moderno modo di concepire e di rappresentare i raggruppamenti regionali, facendo riferimento a quello della mia terra, la Sardegna; il raggruppamento regionale è un punto di riferimento fondamentale che dovrebbe coordinare le associazioni locali facendo da raccordo fra le stesse, facendole cooperare tra loro nell’intento di organizzare insieme eventi ornitologici, impegnandosi a eliminare, o perlomeno a tentare di eliminare, stupidi e inutili campanilismi che non portano a nulla di costruttivo. I raggruppamenti regionali dovrebbero perseguire

quello che è scritto nello Statuto federale; il termine Onlus deriva da “organizzazioni non lucrative di utilità sociale”, instaurando collaborazioni continue e periodiche con le istituzioni ma soprattutto con le scuole, con la speranza che da queste collaborazioni, attraverso i progetti didattici e divulgativi, si possano avvicinare le giovani generazioni al nostro hobby per consentire di risolvere il calo di tesseramenti con l’incremento di nuovi iscritti e soprattutto per avere quel necessario ricambio generazionale. Voglio concludere questa mia personale breve riflessione citando alcune frasi di una canzone di un grande poeta purtroppo scomparso che diceva “La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone; la libertà è partecipazione”: democrazia significa libertà, ma anche dialogo, confronto e ascolto, ma soprattutto la libertà è avere entusiasmo.

L’

assemblea dei soci in data 08/09/2019 per discutere l’ordine del giorno si è subito trasformata in una vera e propria giornata ornitologica. Non interessava a nessuno del bilancio; si parlava con molto interesse dei propri soggetti: quanti canarini hai ottenuto, quante coppie hai messo in riproduzione, che tipo di vitamine stai somministrando… ed insieme si scherzava, ci si prendeva in giro. Ringrazio il Nostro Vice Presidente Antonio Di Rita che ha messo a disposizione le sue Cantine per ospitarci e, tra spumanti e torta, credo che l’unico punto che abbiano preso in considerazione i Nostri soci siano state le date delle Mostre a cui partecipare per continuare ad incontrarsi e diver-

tirsi, per avere un motivo per viaggiare, incontrare altri amici che magari “vedi” solo sui social: incontrarli di persona è tutta un’altra cosa. Rispetto all’ultima voce all’ordine del giorno, ovvero Varie ed Eventuali, di cosa si poteva discutere? Di dove andare a festeggiare i dieci anni della Nostra Associazione, magari in un bel ristorantino in collina dove fanno cucina tipica. Ecco, anche questa è la F.O.I.: aggregazione, divertimento e, purtroppo per la mia dieta, pure buona cucina. Ringrazio di cuore tutto il direttivo F.O.I. e il Nostro raggruppamento Appulo-lucano che con il loro lavoro ci tutelano e permettono di farci divertire, di farci conoscere, e di essere sempre presenti per il Nostro Hobby. In poche parole, Grazie F.O.I.!

Lettere in Redazione

Festeggiamo il 10° anno di vita della nostra Ass.ne Sanseverese

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La notte dei rapaci

Lettere in Redazione

di ANTONIO VILLUCCI

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“La notte dei rapaci”. Titolo migliore non si poteva attribuire alla manifestazione che ha primeggiato fra i tanti eventi organizzati nel mese di luglio dall’oratorio Totus Tuus ANSPI all‘interno del Chiostro della Pieve di Santo Stefano in Campi Bisenzio. La sera del 9 luglio 2019, il pievano Don Marco Fagotti, la vicepresidente Francesca Villucci e tutto lo staff dell’oratorio hanno invitato il presidente dell’Associazione Fiorentina Ornitologica, Massimiliano Terraveglia, ad esporre alcuni uccelli del suo pluripremiato allevamento di rapaci e di indigeni ed esotici di grossa taglia. Terraveglia, con immensa disponibilità, ha aderito all’iniziativa, mettendo a disposizione attrezzature proprie e quant’altro fosse necessario per l’evento. All’interno di un gazebo, allestito con luci soffuse e posatoi particolari, sono stati esposti vari esemplari di rapaci notturni e diurni quali nibbio reale, falco sacro, poiana della Giamaica, falco di Harris, gufo reale africano, gheppio europeo e gufo reale europeo, tutti particolarmente calmi e tranquilli in quanto perfettamente addestrati al volo libero ed abituati alla presenza umana. Alle 21:30, in un’atmosfera magica, incorniciata da un cielo stellato e da un brusio incontrollato di ragazzi che

crescevano a vista d’occhio, curiosi di vedere cosa celasse il gazebo, è iniziata la serata dedicata all’ornitologia. Il dottor Terraveglia, senza risparmiare energie, ha illustrato le caratteristiche di ognuno degli uccelli esposti, evidenziando meticolosamente le loro doti, differenze genetiche e fenotipiche, stili di caccia e di alimentazione. Non solo i bambini presenti, ma anche adulti e genitori, interessati ed entusiasti, non hanno risparmiato domande e curiosità. Si è aperto per i presenti un mondo sconosciuto e tutti, abituati al solo contesto casalingo di cani e gatti, si sono mostrati contenti di conoscere questa dimensione dell’ornitologia. La mascotte della serata è stato un giovane gufo reale europeo di appena 25 giorni. Per lui era la prima uscita e il primo contatto con il pubblico. Si è subito distinto per il suo goffo modo di muoversi, di cercare di svolazzare. Seppur ancora ricoperto dal tipico e candido piumaggio da nido, si è “imposto” agli altri rapaci e non si è mai sottratto alle continue carezze che gli venivano fatte. Molto significativo è stato, da parte del pubblico, l’interesse a fare esperienza da vicino con questi meravigliosi uccelli, probabilmente mai visti prima, se non su riviste, libri o testi scolastici. Nel corso della serata sono state scattate molte foto ricordo, con i ragazzi dell’Oratorio che hanno fatto da cornice alle molteplici richieste di organizzare nuovamente l’evento in periodo scolastico, con un eventuale concorso a tema. Un grazie vivissimo va alla FOI che, messa a conoscenza dell’iniziativa, ha inviato quaderni con all’interno effigiate numerose figure di uccelli da colorare, materiale didattico relativo all’ornitologia, pubblicazioni sull’allevamento del canarino domestico che sono stati gratuitamente distribuiti e molto apprezzati dai bambini.




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